Tuesday, November 27, 2012

Maelstrom - "Change of Season" (2012)

EP autoprodotto (2012)

Formazione:    Ferdinando Valsecchi – voce/chitarre/basso/batteria elettronica
                        M. Simonelli – testi.

Provenienza:    Firenze, Toscana.

Canzone migliore del disco:

“Waiting for the Spring”, assolutamente da pelle d’oca.

Punto di forza dell’opera:

la sua poesia.

Curiosità:

“Change of Season” è stato concepito come una continuazione di “The Passage”. Ne consegue, come scritto nel booklet, che i due EP trattano altrettanti aspetti della vita di un uomo. Inoltre, tutte le canzoni sono da intendersi come un pezzo intero.

          “Dicono che suicidarsi sia da vigliacchi.” In effetti, se ci si pensa, da un certo punto di vista il suicidio è un atto veramente coraggioso, se non addirittura l’atto per eccellenza. Sì, perché da una parte abbandoni tutto, mentre dall’altro confidi forse nel fatto che la morte sia una liberazione, per poi magari ritrovarti sul serio a essere un albero agonizzante come immaginato dal divin Dante. Eppure, “Change of Season" si conclude con la Primavera, con la rinascita della Vita quindi, dopo il gelo inesorabile dell’Inverno, e quindi con i fringuelli che cantano le loro lodi alla Natura (oggi mi sento poetico!).

Ritorna così, e sempre provocando delle riflessioni molto profonde, questa strana creatura chiamata Maelstrom. Ma lo fa in un modo del tutto diverso rispetto all’opera precedente, visto che "The Passage" era vitalistico, la musicalità era sia melodica sia rumorista, e i pezzi contenevano degli assoli niente male. “Change of Season” invece cambia letteralmente le carte in tavola, seppur lo stile sia sempre molto riconoscibile e personale, però ora è decisamente malinconico. E lo è in una maniera molto strana, asettica e tremendamente energica allo stesso tempo.

Asettica perché le sonorità si sono fatte generalmente rilassate e tristi, gi assoli di chitarra sono stati del tutto banditi per un approccio più collettivo (che però non manca di sorprese), mentre le parti acustiche hanno assunto un’importanza maggiore che in passato tanto da far partire tutte le canzoni, che comunque, a dir la verità, vengono sempre introdotte (tranne "Waiting for the Spring") e concluse da suoni naturalistici, come le onde del mare con tanto di gabbiani di "Summer Breeze" o il gelo temporalesco di "Winter Snow". Ma i passaggi acustici possono ora essere pure belli lunghi e ossessivi, magari senza batteria, come in "Waiting for the Spring". Inoltre, la struttura delle canzoni è decisamente particolare, visto che è più o meno ciclica, quindi sequenziale, e tutto gira su una singola e spesso “infinita” melodia che viene variata in diversi modi.

Energica perché, prima di tutto, la batteria risulta pressoché fondamentale nell’enfatizzare tutto l’insieme tanto da sembrare quasi suonata veramente. Da tal punto di vista, "Waiting for the Spring" è l’esempio massimo che si può fare, anche perché  a un certo punto la batteria va più veloce del solito. Anche il basso offre delle prestazioni maiuscole, soprattutto nella seconda parte del disco, dove riesce a dare una mano al riffing completando splendidamente la melodia. E le canzoni riescono comunque a esplodere anche grazie all’accumulazione di suoni/strumenti/effetti, quindi lo stesso impianto strutturale è molto partecipato e vivo, seppur in maniera minimalista.

E’ cambiato qualcosa anche per quanto concerne la voce. Sì, va bene, è sempre parlata, ma il nostro Ferdinando risulta molto più sicuro nei propri mezzi, sia perché in certi e brevi momenti di "Autumn Leaves" prova perfino a cantare (e bene), sia perché si diverte a manipolare la sua voce, come in "Winter Snow" (peccato però che l’eco offuschi un po’ le parole), e "Waiting for the Spring", dove essa è attutita per poi schiarirsi sempre di più, pur ripetendo ossessivamente le stesse cose. E i testi continuano a essere in madrelingua, nonostante i titoli delle canzoni siano in inglese.

Per il resto, bisogna menzionare la fredda produzione, perfetta per i temi affrontati; e la durata progressivamente più lunga dei pezzi, partendo dai quasi 5 minuti di "Summer Breeze" ai 10 di "Waiting for the Spring".

Insomma, stavolta l’obiettivo è stato realmente centrato. Se prima c’era qualche indecisione, adesso il progetto è veramente maturo per il grande salto dell’album. Già, l’album… chissà come sarà? Per ora, gustiamoci questo pezzo di assoluta poesia in musica.

Voto: 82

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Summer Breeze/ 2 – Autumn Leaves/ 3 – Winter Snow/ 4 – Waiting for the Spring

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Monday, November 19, 2012

War Possession - "Through the Ages" (2012)

Album (Hellthrasher Productions, 15 Novembre 2012)

Formazione (2008):      Vaggelis P. – voce;
                                      Kolozis P.K - voce aggiuntiva in "Medieval Bloodlust"; 
                                      Haris V. – chitarre;
                                      Christos S. – basso;
                                      John A. – batteria.

Provenienza:                 Atene, Attica (Grecia)

Canzone migliore del disco:

“World War Domination”.

Punto di forza dell’opera:

la varietà.
Copertina: Milovan Novakovic

Quando si pensa al cosiddetto war metal, la mente va a quei gruppi a dir poco fissati con le tematiche guerresche/post – nucleari, con un immaginario spesso ricco di minacciosi e buffi soldati vestiti di tutto punto, con maschere antigas, cartucciere, borchie gigantesche, mitra ciclopici impugnati alla Rambo, e così via. Solo che tale sottogenere, dal punto di vista meramente musicale, è una chimera, cioè non esiste perché, a parte l’ossessione generale per le velocità più allucinanti, possono essere etichettati in questo modo i gruppi più diversi, dai Bestial Warlust agli At War. Per non parlare di quelli che, facendo i gran fighi (… peccato che il gran figo lo stia facendo io proprio adesso…), definiscono war gruppi che non trattano i tipici temi di questo pseudo – genere, come i Black Witchery oppure gli Impetuous Ritual. E così la confusione regna ancor più sovrana. Quindi, qual è la soluzione a questo assillante problema? Personalmente ne ho trovate ben 2, ossia: 1) bisogna catalogare il gruppo secondo la musica che effettivamente suona e 2) facciamola finita con queste quisquilie e facciamola finita!

Allora, ch fanno i War Possession? Beh, calma perché si deve dire che ‘sti greci hanno partorito un disco incredibilmente fantasioso e ricco di spunti, seppur migliorabile in taluni punti. E’ comunque assodato che suonano un semplice death alla vecchia maniera, con in più una buona dose di black/death bestiale a là Nocturnal Blood, dati soprattutto certo riffing minimalisti e i grugniti bassissimi del cantante, talvolta aiutati da un ignorante effetto d’eco, e tale influenza la si sente anche in alcuni rallentamenti pieni di groove. Risulta però importante anche il doom metal, che fa sentire il suo puzzo catacombale specialmente nell’asettica “Medieval Bloodlust”, il tour de force dell’EP visti i suoi 6 minuti. Insomma, quello dei War Possession è un interessante mischione di vari generi che finisce con “Deathmarch”, outro ambientale con tastiere elementarissime e ruggiti da oltretomba.

Tale fantasia la si evince anche nella struttura delle varie canzoni. Infatti:

-          “Medieval Bloodlust” (dove compare Kolozis P.K. dei Nocturnal Vomit è il brano più sequenziale di tutto il lotto, e che contiene nel finale funeral un plagio ai mitici Vasaeleth di “Born Crypt & Tethered to Ruin”, specie nel riffing;

-          “World War Domination” ha un andamento decisamente più libero, e guardacaso è il pezzo più riuscito, anche perché vi si trova un ottimo apporto della chitarra solista, che fra l’altro sciorina sempre vari, molto atmosferici e primi anni ’90. Inoltre, è proprio in tale canzone che si fanno vive incursioni nel black e nel thrash;

-          “In the Shadow of the Ancient Gods” e “A Taste of Things to Come (Chaos Awaits)” (che ha un’introduzione dalle ritmiche heavy anni ’80) si assomigliano di più, visto che danno più importanza ai botta e risposta fra due soluzioni non esagerando però mai. Solo che la seconda utilizza la chitarra solista in maniera molto minimale, mentre la prima in modo più capillare ed efficace, seppur si dilunghi forse un po’ troppo.

Il minimo comun denominatore della struttura dei vari brani è dato dall’ossessività di certe soluzioni, che così vengono ripetute più del previsto, anche variandole un poco. Ciò dona un andamento piuttosto lento alle canzoni, che in tal modo possono anche non possedere un climax vero e proprio. Ma tale approccio talvolta funziona, mentre in altre proprio no. Nel primo caso, è esemplificativa “Medieval Bloodlust”, che, priva completamente di una qualche chitarra solista, riesce a fare effetto soprattutto grazie a quella pausa seguita da un minaccioso stacco vocale che risolve tutto, facendo subito ripartire l’assalto. Nel secondo caso, è da menzionare “A Taste of Things to Come (Chaos Awaits)”, che però è sostanzialmente immobile e con passaggi atmosferici sfruttati male.
Foto: Olak

In parole povere, “Through the Ages” è sicuramente un buon disco, anche perché partorito da musicisti di sicura esperienza e provenienti per esempio dagli Embrace of Thorns (per cui si spiega la soprammenzionata tendenza all’ossessività). Ma è comunque penalizzato da alcune indecisioni di fondo, e da un’ultima canzone che in teoria dovrebbe sempre concludere in bellezza qualsiasi opera, ma che alla fine si dimostra troppo debole. Perlomeno la scena greca mostra ancora di essere molto valida, ed è questo ciò che conta.

Voto: 73

Claustrofobia

Scaletta:

1 – In the Shadow of the Gods/ 2 – Medieval Bloodlust/ 3 – World War Domination/ 4 – A Taste of Things to Come (Chaos Awaits)/ 5 – Deathmarch (Outro)

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Saturday, November 17, 2012

Massgrav - "Still the Kings" (2012)

Album (Selfmadegod Records, 2012)

Formazione (1996):           Norse – voce/chitarre;
                                           Ola – voce/basso;
                                            Fenok – batteria.

Provenienza:                       Stoccolma (Svezia)

Canzone migliore del disco:

“Flytta Hem Då Om Det Inte Duger”.

Punto di forza dell’opera:

la sua ciclopica e incrollabile potenza.
Semplicità e brutale intensità. Era da tempo che non si affacciava su Timpani allo Spiedo un disco con queste caratteristiche, senza scervellamenti raffinati o intellettualistici, e così via. “Still the Kings” è per certi versi un disco… riposante. Sì, lo metti nel lettore cd e cominci a muoverti/a ballare come un dannato, senza nessun cazzo di costrutto, godendo del suo estremismo patologico e divertito. Ma in fin dei conti, da un gruppo che si chiama Massgrav (“fossa comune” in svedese), , ci si deve aspettare solo un caos sonoro che picchia come se non ci fosse un domani. E questo caos è stato fatto così bene che un po’ dispiace che duri soltanto poco più di 20 minuti.

“Ma, aspetta, perché è così esigua la durata dell’album?”. Ecco, è proprio qui che vi volevo, perché oggi parliamo finalmente del più puro grindcore, seppur misto a qualche (ovvia, vista la nazionalità) inflessione nel crust più ignorante e rockeggiante, ma non sono da dimenticare quelle leggerissime incursioni nel black metal che si fanno vive qui e là. Ma quello dei Massgrav è più che altro un grindcore battagliero, cioè pregno di quelle semplici melodie epiche tanto care a certo punk/HC moderno, solo che in questo caso si va quasi perennemente e furiosamente in blast – beats. Eppure, questo approccio non è per niente limitante.

Infatti, i nostri hanno avuto prima di tutto l’accortezza di alternare l’assalto più animalesco con pezzi in un certo senso… riflessivi, ossia dai tempi medio – veloci di stampo crust e dal buon tiro grooveggiante (“Brallorna Nere Igen” e Såg Vad Du Vill). Oppure attraverso brani come “Ni Krustar, Dom Dör” (il più lungo del lotto dati i suoi quasi 2 minuti), che parte con una conversazione tutta al femminile per poi creare l’inferno, alternandolo però con delle marcette militari che danno più marzialità al tutto, per “concludersi” successivamente in dissolvenza. “Sell your Hole – for Rock’n’Roll”  è invece l’unico episodio ad avere un rallentamento sostanzioso, e mica tanto breve, cioè un tempo medio punk nel quale il batterista dà un’ottima prova di sé districandosi fra i tom – tom e il rullante. Insomma, i nostri non saranno maestri per quanto riguarda la varietà, ma ne propongono comunque a sufficienza per non stancare l’ascoltatore.

Ma quando si parla di gruppi del genere, la cosa più importante è sicuramente la potenza della loro musica. E ragazzi, i Massgrav sono così intensi da fare vera e propria Arte. Ecco infatti un perfetto esempio di collaborazione fra i compagni, che si aiutano a vicenda in qualsiasi modo, sia con feedback lancinanti, sia con accenti di batteria fulminei, sia con assoli brevissimi ma lontani dall’essere rumoristi (“Kom Ihåg Vad Du Rösta På” e Auktoritetsproblem),, sia ancora e non per ultimo attraverso delle linee vocali veramente inventive, anche perché i cantanti sono due, nessuno prevale sull’altro e sono ben distinguibili, pur essendo degli urlatori mica da ridere.

E per quanto concerne il collettivo, cioè la struttura delle canzoni, esse procedono rapidissime e senza tanti cazzi, alcune volte in maniera spezzettata (e da questo punto di vista quelle della seconda parte del disco sono esemplificative), altre proponendo degli stacchi mozzafiato nei quali fondamentali risultano essere le urla.
Per il resto, perfetta la produzione, non così sporca e con tutti gli strumenti al loro posto. Certo, sono da rivedere alcune soluzioni, come gli assoli o i tempi medi, che non sono stati sfruttati debitamente, eppure l’album è così distruttivo che per il momento ci si può passare sopra su queste piccole mancanze.

“Still the Kings”… puro olocausto sonoro!

Voto: 81

Claustrofobia

Scaletta:

1 – Sell your Hole – for Rock’n’Roll/ 2 – Jag Vill Bara Dö/ 3 – Brallorna Nere Igen/ 4 – Kom Ihåg Vad Du Rösta På/ 5 – Ni Krustar, Dom Dör/ 6 – Auktoritetsproblem/ 7 – Väktarnas Värld/ 8 – Vi Höll På Snuten/ 9 – Såg Vad Du Vill/ 10 – At War with Etno/ 11 – Flytta Hem Då Om Det Inte Duger/ 12 – Full Fart Mot Döden/ 13 – Fittorna På Tele2/ 14 – Tack För Maten/ 15 – Ingen Iävla Summer of Love/ 16 – Chefens Lilla Hora Rider Igen/ 17 – G4S/ 18 – Är Det Slut Snart?/ 19 – Suicide

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Tuesday, November 13, 2012

Vivid Remorse - "Down to the Wire" (2012)

Album (Art Gates Records, 15 Ottobre 2012)

Formazione (2006):    Joel “Ocell” Repiso – voce;
                                    Gustavo “Gufy” Roveredo – chitarre;
                                    Gabriel Malavè – basso;
                                    Xavi F. Vidal – batteria.

Provenienza:               Barcellona, Catalogna (Spagna).

Canzone migliore del disco:

“Seize the Death”.

Punto di forza dell’opera:

la voce.
Secondo album, dopo “The Seed of Malaise” del 2010, per questi ragazzi spagnoli, che fanno finalmente tornare il thrash metal su queste pagine, genere che mancava dai baresi Burning Nitrum di parecchi mesi fa. Solo che i Vivid Remorse non sono propriamente un gruppo puro, e ciò significa che, come si vedrà, loro si nutrono delle più diverse influenze per creare un disco a suo modo ambizioso… e anche ambiguo.

Prima di tutto, qui il thrash è decisamente moderno fin dalla produzione, pulita e compatta. L’impatto non è violentissimo perché si cerca sempre un equilibrio fra le parti veloci (che raramente si risolvono in tupa – tupa esagitati) e quelli più lenti, tanto da proporre talvolta passaggi tipicamente macho metal (alcuni lo definirebbero groove metal, ma queste sono sottigliezze dai). Ma anche per via di un approccio melodico che sa essere interessante, come nell’epicheggiante “Theory of Fear” o in “Seize the Death”, dalle melodie a volte incredibilmente “dolci” e disperate. E non è neanche un thrash così fissato con la tecnica, e quindi con gli assoli, presenti in 6 canzoni su 11 e che spesso sono delle pur efficaci e varie comparsate essendo stranamente brevi.

Ma la prima cosa che colpisce della musicalità dei Vivid Remorse è sicuramente la voce. La quale è molto versatile, passa cioè dai momenti più passionali e melodici a quelli parlati, da quelli più isterici come improvvise urla acute a veri e propri grugniti, usati con buona frequenza, che nella sola “Involution” sanno diventare addirittura gutturali. Talvolta le voci vengono doppiate, mentre le linee vocali, spesso notevoli, sono costruite con una fantasia non di poco conto. Ma con un cantante del genere questo mi sembra ovvio…

La seconda cosa da menzionare assolutamente è la struttura dei pezzi, anche perché tra quelli della prima e della seconda parte del disco sussiste qualche leggera differenza. Infatti, i primi brani sembrano essere in genere più sequenziali e complessi, specialmente “Theory of Fear” e “Overdosed”, che talvolta sono quasi da giri di testa, mentre i restanti (“Involution” non si conta che fa razza a parte) paiono invece più liberi e scatenati, come “Seize the Death” e “L’angoixa de l’existència”. Di conseguenza, cambia anche la posizione degli assoli, che nella prima parte si fanno comunque vivi dopo aver ripetuto più o meno per due volte la stessa sequenza, ma nella seconda non sempre è così. L’andamento delle canzoni è a ogni modo (quasi) sempre interessante, se non ingegnoso come in “Nobody Answers” (dove una delle soluzioni principali praticamente si sviluppa attraverso delle variazioni fisse che rendono più isterico il tutto). Peccato però che la struttura di alcuni episodi fatichi un po’ a decollare, coinvolgendo così l’ascoltatore in misura minima: per esempio, “Biopiracy (The Seed of My Land)” ripete quasi le stesse cose, mentre “Seven Days of Fire”, da un momento in poi fino al finale, si fossilizza su una certa soluzione che non viene sviluppata debitamente. In questi casi, urge probabilmente un breve assolo che dinamicizzi il tutto, oppure uno schema più agile, come quello di “Involution”.

Tale canzone è guardacaso una delle più riuscite del lotto, e sicuramente quella più cattiva. Il motivo è presto detto: è proprio qui che si fanno rispettare le tanto decantante influenze death, che permettono al gruppo, fra le altre cose, di andare per la prima e unica volta in blast – beats, seppur per dei brevi ma intensissimi momenti. Ma “Involution” è purtroppo un episodio isolato che non trova nessun riscontro negli altri pezzi, e quindi è un peccato, perché a tratti sembra quasi di ascoltare un gruppo diverso, come nella ballata “The Never Falling Cries”, che ha lunghissimi assoli rockeggianti e introduzione acustica. Insomma, va benissimo personalizzare i pezzi ma in questi casi c’è veramente troppa dispersione.
Ecco perché prima ho usato le parole “ambizioso” e “ambiguo” per definire questo disco. I Vivid Remorse devono rendere assolutamente più compatta la propria musica, devono affinare le proprie potenzialità finora espresse in maniera un po’ confusa. I ragazzi sono a metà strada, hanno già fatto un buon passo, quindi perché non sperare in un miglioramento?

Voto: 69

Claustrofobia

Scaletta:

1 – Biopiracy (The Seed of My Land)/  2 – Imaginary Actress/ 3 – Theory of Fear/ 4 – Overdosed/ 5 – Involution/ 6 – Nobody Answers/ 7 – Seize the Death/ 8 – Seven Days of Fire/ 9 – L’angoixa de l’existència/ 10 – Stop on Time/ 11 – The Never Falling Cries

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Monday, November 12, 2012

Intervista agli Antiquus Infestus!

 E dopo mesi e mesi, finalmente c'è una bella intervista per voi. Risponde per noi, Sverkel, cantante degli Antiquus Infestus! Buona lettura!
 1)      Oi ciao! Come la va? Come prima cosa, vorrei chiedere come vi è venuto in mente di suonare una musica in fondo così particolare?

Ciao e grazie di nuovo per l’opportunità! Le cose sembrano andare bene, io e Malphas ci siamo trasferiti in Danimarca per trovare i membri mancanti, Asmodeus per ora ha deciso di non seguirci (ma dovrà farlo perche non vogliamo nessun altro bassista ) però continuerà a collaborare con noi almeno sul prossimo lavoro. Ritornando alla prima domanda, se la parte compositiva dipendesse da me suonerei solo raw black  oppure black & roll , per fortuna gli altri due non sono d’accordo con questo e hanno deciso “d’inquinare” tutto con il loro death & doom.

2)      Avevate le idee già chiare fin da subito?

Inizialmente, come prova, avevamo composto 4 brani raw black (inclusi sul primo demo “The Light of Two Suns”) ma come sound non ci soddisfaceva abbastanza, quindi Malphas ha avuto l’idea di fondere la mia voce black con elementi strumentali death e doom.

3)      E siete stati sempre in 3 e senza il batterista?

All’inizio eravamo solo io e Malphas, raggiunti poi da Asmodeus, e purtroppo non siamo mai riusciti a trovare un batterista .

4)      Cosa vi affascina dell'Egitto Antico? C'è qualche valore di quell'epoca lontana che apprezzate?

Penso di essere l’unico dei tre a essere interessato all’Antico Egitto e in gran parte è colpa dei Nile e della mia passione per i popoli antichi. Di quell’epoca apprezzo il rispetto attribuito ai morti. Ma comunque abbiamo deciso di non continuare con i concept sull’Antico Egitto per non diventare dei semplici cloni di altri gruppi.
5)      E quindi, abbracciate un qualche credo particolare?
Per quanto riguarda me e Malphas, se il cannibalismo e la necrofilia fossero un culto allora sì.
6)      Il vostro nome ha qualcosa a che fare con i Grandi Antichi di Lovecraft? In fin dei conti, lui ambientò uno dei suoi migliori racconti, "Under the Pyramids", proprio nell'Egitto...
            Non c’è nessun collegamento con i lavori di Lovecraft, Antiquus Infestus significa letteralmente l’Antico Nemico e penso che si possa interpretare in vari modi, dipende da ascoltatore ad ascoltatore, per noi era semplicemente il nome che più si addiceva alla nostra musica .
7)      Potete affrontare più nello specifico i testi dei vostri due ultimi dischi? In qualche modo è un concept anche l'ultimo parto? Come mai i titoli di "The Cult of Ra" sono così... chilometrici?

“Order of the Star of Bethlehem” è un concept Ep incentrato sull’ultimo periodo di vita di Nietzsche, visto attraverso i suoi occhi. Ora forse ti stai chiedendo perche l’Ep s’intitola “Order of the Star of Bethlehem”. Infatti a un primo ascolto superficiale del demo potrebbe sembrare un’opera incentrata su Bedlam (il nome volutamente fuorviante del demo deriva dall’antico ordine religioso che per primo ha occupato l’edificio nel 1247 ancora prima che diventasse un ospedale psichiatrico (lo è diventato nel 1330, poi ha assunto guardacaso il nome di "Bethlem Royal Hospital. Esiste tuttora ed è situato a Londra. Nd Claustrofobia) e pone in modo sarcastico la religione come fondamenta per tutte le nefaste vicende successive).Quindi il “Bedlam” in questione altro non è che la visione distorta della vita di Nietzsche e della religione. Lo scopo è di confondere l’ascoltatore abituandolo alla “tranquillità” relativa dei fatti accaduti a Bedlam (la pazzia degli ospiti di Bedlam era nulla in confronto alla visione del mondo di Friedrich ) e nel frattempo trascinare il suo subconscio negli abissi di Nietzsche, un’aggressione uditiva se vogliamo metterla cosi.
Il brano numero 2 “St. Mary of Bethlehem” è il vero brano introduttivo del demo, il titolo si riferisce a uno dei più conosciuti nomi con cui veniva chiamato il Bedlam; anche qua c’è presente un dualismo in quanto il testo racconta la probabile fonte dei suoi danni neurologici generati dalla sifilide contratta durante l’incontro con una donna (figura scambiata per Santa Maria, rappresentata anche in copertina), e infatti il ritornello del brano recita “Sweet fallen Mother, be my salvation. Sweet fallen Mother, be my pleasure “
Il titolo del brano numero 3 “Bishopsgate” indica il nome del primo sito conosciuto dell’ospedale ( dove ora si trova Liverpool Street Station) e parla di uno dei pensieri più controversi di Nietzsche, e cioè che “ Dio è morto”.
Il titolo del brano numero 4 prende il nome dai 55 anni bui ( dal 1620 al 1675) di cui non si hanno molte tracce dell’ospedale, e nel testo vi si trovano reminiscenze dell’opera “ Cosi parlò Zarathustra “ mentre assistiamo al continuo decadimento mentale del protagonista.
Nel 1672 l’ospedale venne trasferito in un nuovo palazzo a Moorfields , da cui prende il nome il brano numero 5 che racconta in parallelo un’esplosione di aggressività nei pazienti di Bedlam e le ultime fasi della vita di Friedrich mentre il mese di agosto incombe in modo terrificante.
La title track racconta semplicemente la liberazione illusoria trovata nella morte. Il brano numero 1 (“Intro”) e il brano numero 7 “The Signs of Future Threat (Outro)” sono collegati , messi all’inizio e alla fine del demo per anticipare il nostro prossimo lavoro ambientato durante la caccia alle streghe. Infatti il testo dell’ultimo brano finisce con la parola “Striga”, nome del nostro prossimo demo. Tengo a precisare che dialoghi, urla e preghiere sono state tutte recitate dai membri del gruppo in inglese e in enochiano (la lingua enochiana è la lingua degli angeli, presumibilmente inventata dall'alchimista e medium inglese dell''500 Edward Kelley. Nd Claustrofobia).

“The Cult of Ra” invece affronta il viaggio fisico e spirituale verso l’immortalità, accompagnato dal dio del sole in persona. Le quattro canzoni rappresentano rispettivamente l’inizio del viaggio, l’incontro con Ra, la morte fisica e l’immortalità. La ragione dietro ai titoli chilometrici è semplice, una o due parole non erano abbastanza, solo delle frasi potevano esprimere pienamente i concetti dietro a ogni canzone.
8)      Che collegamento c'è fra la copertina di " Order of the Star of Bethlehem e le sue liriche? Volete spendere qualche parola sulla modella, Raven?
Tra le varie teorie sulle cause della morte di Nietzsche c’è anche l’incontro con una donna che si pensa gli abbia trasmesso la sifilide, abbiamo deciso quindi che una figura femminile era perfetta per l’artwork e abbiamo trovato questa figura nella meravigliosa Raven. 
9)      Siete d'accordo con la definizione che vi ho dato per descrivere la vostra musica (Black/Death/Doom metal)?
   Si direi che è molto azzeccata, la nostra musica combina tutti quegli elementi.
10)  Avete mai suonato dal vivo come Antiquus Infestus? O avete intenzione di farlo prossimamente?
No purtroppo, pur avendo ricevuto alcune offerte, ma sicuramente abbiamo intenzione di farlo, ed è questo il motivo per cui siamo andati via dall’Italia, per poter trovare altri membri e suonare dal vivo.
11)  Come singoli, avete altri progetti artistici? Tipo disegno, scrittura, quello che volete insomma. E come gruppo, cosa dobbiamo aspettarci in futuro? Dato che sembrate abbastanza prolifici, perché non un bell'album spaccaossa?
Come singoli sia Malphas che Asmodeus hanno vari progetti che spaziano dal depressive alla musica elettronica; attualmente stiamo lavorando al nostro primo full length che conterrà per la prima volta delle canzoni in italiano e sarà intitolato” S.T.R.I.G.A”. Infine vorrei ringraziare te e i tuoi lettori, continuate a seguirci, questo album avrà una gestazione più lunga del solito visto tutte le cose che sono successe, ma sono certo che non vi deluderà. 
                               

Wednesday, November 7, 2012

Engulfed - "Through the Eternal Damnation" (2012)

EP (Hellthrasher Productions, Novembre 2012)

Formazione (2010):      Serkan – voce/basso;
                                     Mustafa – chitarre;
                                     Aberrant – batteria.

Provenienza:                Kadıköy , Istanbul (Turchia)

Canzone migliore del demo:

“Insemination with Demon Seed”. Il finale è da estasi demoniaca!

Punto di forza dell’opera:

l’Odio. Punto e basta.
Copertina: David Torturdød

Dopo il deludente album di debutto degli Abysme, la Hellthrasher e il death vecchia scuola in generale ritornano a farsi valere con il primissimo EP di questi 3 pazzi. I quali sfornano una cattiveria così palpabile e inumana da saper rivaleggiare già senza problemi con i nuovi capostipiti della tradizione death metal come i Ritual Necromancy, i Vasaeleth o gli Ignivomous, che, non mi stancherò mai di dirlo, sono riusciti nell’impresa di evolvere un suono che si credeva ormai senza sviluppi… morto, per l’appunto. E tale “antica modernità” la si sente anche nella produzione, fatta negli studio Mayday da Alper Ketinci, tipica, nella sua puzzolente eppur chiara sporcizia (che bell’ossimoro!), di molti recenti dischi del genere. Ma andando più nello specifico, che cos’hanno da dire questi Engulfed (da non confondere con gli omonimi deathsters scozzesi autori di due oscuri demo nella metà degli anni ’90)?

Prima di tutto e come già detto, l’immane cattiveria, che, impreziosita da un riffing dinamico, viene addirittura aumentata con delle agghiaccianti intuizioni black, presenti specialmente nella traccia d’apertura “Triumph of the Impious”, utili fra l’altro a dare un tocco maestoso al tutto. La canzone appena citata è curiosamente priva delle lunghe e dolorose incursioni nel (funeral) doom che caratterizzano invece tutti gli altri pezzi, con una menzione particolare per “Inseminated with Demon Seed”, nel quale i tempi veloci si alternano con continuità con quelli più lenti. Ma non dimentichiamo la voce, che è un grugnito “ovattato” e catacombale ma comunque non statico perché capace talvolta di semi – urla vomitate di sicuro effetto.

La seconda cosa notevole che gli Engulfed hanno da dire è sicuramente la profondità della loro musica. Per esempio, nonostante i nostri siano solo in 3, da queste parti si usa con buona frequenza la chitarra solista, che disegna ora delle deliranti trame nei momenti doom, adesso degli striduli assoli rumoristi (sentitevi in particolare “Summoned”) che provano anche a essere più atmosferici del solito (“Inseminated with Demon Seed”). Ma la profondità si riflette anche nelle prestazioni dei singoli strumentisti, sempre pronti a dare una mano ai compagni così da enfatizzare saggiamente l’assalto, che è sempre e comunque fresco.

E la terza cosa è la struttura dei pezzi, che così si dimostrano ancor di più coinvolgenti. L’assalto diabolico e infame viene sparato in maniera abbastanza libera ma comunque seguendo 2 – 3 soluzioni principali. L’unica canzone che si distingue è “Supreme Lord of Blasphemy”, che ha invece un andamento più o meno sequenziale, ma per niente rigido. Gli ottimi stacchi sono pochi e contati, mentre si fa veramente un uso pazzesco delle pause, dei silenzi, che sono di un’efficacia a dir poco devastante (come in “Summoned”, dove a un certo punto ce ne sono due molto vicine fra di loro).

Ma le capacità compositive degli Engulfed si fanno sentire soprattutto nei finali, sempre vari. A tal proposito, sono da citare quelli in dissolvenza degli ultimi due pezzi:

-          “Supreme Lord of Blasphemy” si “conclude” con un disturbante doom pieno di chitarre e di urla torturate;
-          Il finale di “Inseminated with Demon Seed”, molto più classico eppure perfettamente giostrato, utilizza invece uno stesso lungo riff su diversi ritmi, con la definitiva e ipnotica variazione blasteggiante introdotta da un passaggio ritualistico condito da tom – tom tonanti e da una voce che annuncia chissà quale apocalisse.
In pratica, in tutte queste nefandezze non ho trovato difetti sostanziali, se non un accumulo di chitarre in “Supreme Lord of Blasphemy” non troppo funzionale alla formazione a 3 degli Engulfed. E poi il fatto che i nostri abbiano debuttato con canzoni progressivamente sempre più lunghe (si va dai 5 ai 7 minuti del brano finale. Curiosamente bisogna dire che i primi due condividono un minutaggio identico), e quindi difficili da gestire, è un pregio di non poco conto. Insomma, un’ottima sorpresa che mostra un gruppo già pronto per un album spazza – Paradiso!

Voto: 83

Claustrofobia

Scaletta:

1 – Triumph of the Impious/ 2 – Summoned/ 3 – Supreme Lord of Blasphemy/ 4 – Inseminated with Demon Seed

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Thursday, November 1, 2012

Vermingod - "Symptom Cult" (2012)

Demo autoprodotto (13 Luglio 2012)

Formazione (2003):       Aris - voce;
                                     George - chitarra;
                                     Telis - chitarra;
                                     Jimmy - basso;
                                     Stathis (sostituito recentemente da Ilias) - batteria.

Provenienza:                 Patrasso_, Peloponneso (Grecia)

Canzone migliore del demo:

"Pull of Insanity".

Punto di forza dell'opera:

le chitarre.
Copertina: TM

Chissà perchè, in questi ultimi anni la Grecia sta partorendo una serie notevole di gruppi davvero validi, soprattutto in ambito death, come per esempio i Dead Congregation, i Resurgency, e così via. E di sicuro i Vermingod, agguerriti deathsters pure loro, non sono da meno, e fra l'altro non stiamo parlando di novellini dato che il disco che mi sto apprestando a recensire è praticamente un antipasto del loro secondo album, con il primo, "The Grand March to Devastation", pubblicato nel 2010.

Ma a differenza delle formazioni sopraccitate, i Vermingod propongono un death metal più che altro moderno, che risulta molto equilibrato fra tempi veloci e quelli più lenti, i quali vengono elargiti in special modo nel tour de force da 6 minuti "Pull of Insanity". Non ci si dimentica neanche di sparare qualche ritmo bello grooveggiante così da dinamicizzare ulteriormente il tutto.

La prima caratteristica interessante che salta all'orecchio viene però dalla struttura dei pezzi. Infatti, essi procedono seguendo uno schema sostanzialmente ibrido, cioè per metà sequenziale e ordinato, e per metà istintivo e libero da vincoli particolari. E il discorso viene proposto in maniera fluida, senza quindi eccessivi stacchi e pause, perlopiù ridotti al minimo necessario. Eppure, per certi versi, i brani si muovono lentamente, vuoi perchè alcune soluzioni sono lunghe più del solito, così da staticizzare un po' troppo l'insieme, e vuoi perchè si ha una curiosa tendenza al ripetere quasi ossessivamente un dato passaggio, magari condendolo in compenso da vari cambi di tempo da parte di un batterista molto partecipativo e utile alla causa.

Lo è leggermente di meno, perchè totalmente assente in 2 canzoni, la chitarra solista, che quando c'è dà sempre un tocco atmosferico particolare a tutta la proposta, sia quando tira l'assolo di "The Eldest Ghost", sia quando si diletta con note fredde e apocalittiche nella già citata "Pull of Insanity". Insomma, io consiglio ai nostri di sfruttare di più l'ascia solista, anche per rendere più completi e profondi i vari brani. E fra l'altro, il riffing, che a volte è bello cattivo, sfoggia a tratti una severità paurosa.

Ritornando a parlare "Pull of Insanity", bisogna dire che questa è la canzone sicuramente più curiosa e riuscita dell'intero lotto, e non soltanto perchè è quella più lunga. Come prima cosa, è proprio qui che il death dei Vermingod si scurisce divenendo più doom e minaccioso, mentre viene giostrato molto bene l'andamento del brano, a volte ossessivo, altre persino spezzettato, per non parlare di un finale catastrofico molto suggestivo. E pensare che quando ho ascoltato per la prima volta tale pezzo l'ho ritenuto un po' troppo immobile, ma sentendolo meglio e con più calma, tale (relativa) staticità è decisamente più funzionale che non nelle più veloci "Fawning on Purgation" e "The Eldest Ghost".

Però certo, il tipo di produzione, tipico dei gruppi moderni, non è che aiuti molto questo pur buon disco. Le sonorità sono infatti sì cupe come piace a me, ma un poco strozzate. Per esempio, i grugniti, talvolta doppiati anche da quelle che sembrano urla, sembrano praticamente ovattati, se non persino seppelliti in un passaggio di "Distorting the Art of Murder". Oppure la batteria, che pare plastica ma comunque efficace anche grazie alle già citate facoltà del batterista di variare attivamente il ritmo all'interno di una stessa soluzione.
Quindi, alla fine il disco non è assolutamente male, vista anche la capacità dei nostri di ribaltare, come già scritto, i propri difetti per renderli dei veri e propri pregi. E così quest'antipasto fa promettere un album con i fiocchi, che avrà il compito di perpetuare ancora una volta la recente tradizione di un paese tanto lacerato all'interno quanto vivo artisticamente parlando... un po' come l'Italia. Ma in fin dei conti, come diceva il prete ortodosso de "Mediterraneo" (l'ottimo film, uscito nel 1990, di Gabriele Salvatores e con Diego Abatantuono e un giovanissimo Claudio Bisio): "italiani greci mia faccia, mia razza. Una faccia, una razza".

Voto: 75

Claustrofobia

Scaletta:

1 - Fawning on Purgation/ 2 - The Eldest Ghost/ 3 - Distorting the Art of Murder/ 4 - Pull of Insanity

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