Thursday, December 24, 2009

Mud - "Slow Degradation" (2009)


I Mud, ossia il terzo gruppo, più esattamente nella persona del cantante AldoHC, che mi ha chiesto direttamente senza che io facessi niente la partecipazione a “Timpani Allo Spiedo”, e tra l’altro tutto ciò grazie a Federico, voce dei First Reason (spero che ve li ricordiate…) che lo ringrazio sentitamente. Però un’altra cosa curiosa è data dal fatto che la musica suonata dai Mud non solo può far incavolare certi presunti anti-modaioli ma è pure decisamente poco pubblicizzata su queste stesse pagine, visto e considerato che il Metal qui non si trova proprio a garganella. Ciò significa che per questa rivistella digitale il demo, ed il gruppo, di cui tra poco leggerete la recensione, si tratta di un’esperienza sonica piuttosto particolare, ma ormai ci sto facendo l’abitudine dopo aver parlato tempo addietro dei Devastator ed il loro “Underground ‘n’ Roll”.
“Slow Degradation” è, a quanto mi risulta, il secondo parto e primo ep, pubblicato autoprodotto con un po’ di ritardo nel Gennaio 2009, dei Mud, quintetto nato nel 2004 e proveniente da una zona attualmente e tristemente nota che fa capo alla città de L’Aquila, ossia più nello specifico Avezzano (anche se nel loro MySpace ci sia scritto che vengono dalla Val Vibrata in provincia di Teramo…) dove a quanto pare sta nascendo una scena metalcore tremendamente attiva e combattiva. Il succitato quintetto, oltre che da AldoHC, era costituito, all’epoca della pubblicazione, anche da Dedo e Garçon alle chitarre, Mirko al basso (il quale è stato sostituito da Iobbi) e Frank (rimpiazzato invece da Valerio), ha dato vita con l’ultima opera a 4 pezzi, compresa l’intro, che per quanto riguarda il minutaggio non mi sembrano avere niente a che fare con l’hardcore, visto e considerato che la parte centrale supera, e non poco, i 3 minuti, mentre l’ultimo capitolo, ossia “Shit of the World” (di cui parlerò in maniera più diffusa prossimamente) arriva a toccare angosciosamente persino quota 11! L’intro, vabbè, è sempre quella più modesta di tutte, dato che raggiunge quasi l’un minuto e 30 secondi di durata (bella differenza eheh!). Iniziando a parlare più propriamente della musica, a mio avviso essa trova similitudini con gruppi quali Hatebreed e compagnia (anche se a dire il vero formazioni ottantiane come gli Integrity già suonavano in una maniera simile), manifestando così, almeno personalmente, un hardcore spesso e volentieri groovy e quindi orientato maggiormente in tempi medio-lenti dal sapore militante, mischiando il tutto con una pesantezza metal che secondo me dà una potenza in più dai tratti decisamente massacranti, come in fin dei conti conviene in un gruppo del genere. Il suono quivi proposto è veramente semplice, seppur per i miei gusti per niente scontato o banale, e segnalo inoltre che è sufficientemente vario e fantasioso, non stancandomi però mai anche grazie ad una furia e ad un modo di raggiungere i climax che apprezzo veramente. Dal punto di vista tecnico, i nostri, nonostante tutto, non mi paiono per niente degli sprovveduti, come tra l’altro si vedrà. Strutturalmente parlando invece, i pezzi, pur essendo alla resa dei conti lineari, a mio avviso sono altresì un po’ ostici, ma non tanto per dei passaggi cervellotici che sono completamente assenti, più che altro perché si reggono su un andamento sì dinamico che però non considero poi così classico. Prima di tutto, la sensazione di dinamismo pressoché continuo io la avverto se si pensa che molte soluzioni vengono ripetute per una sola volta (specialmente in “Electric Chair”), e comunque esse sono sottoposte ad un numero di battute che va da quella sopraccitata fino ad un massimo di 4, magari proponendo praticamente sempre lo stesso riff (come appunto nell’inizio del pezzo sopraddetto), seppur non mi sembra che si raggiungano le 3 volte. Un altro fattore a mio avviso degna di menzione e che dà una spinta in più è rappresentata dalle continue variazioni che possono interessare un singolo passaggio, ovviamente sia a livello di riffing che di ritmiche, benché quest’ultima situazione mi pare si presenti con maggiore frequenza. A volte però, se non erro, anche la metà delle soluzioni presenti in un pezzo può essere modificata (come le 2 di “Corrupt Soul”), se non tutte (almeno così pare al sottoscritto), come avviene invece in “Shit of the World”. I passaggi principali, a meno che io non dica cazzate (è stata un’impresa capire almeno un minimo la struttura di ogni canzone), vanno dai 2 di “Electric Chair” ai 4 di “Corrupt Soul”, ma dovrei osservare inoltre che il dinamismo succitato viene a mio parere accresciuto anche dalle poche sequenze rigide che si susseguono cammin facendo, così che il tutto mi paia decisamente libero, nonostante le poche soluzioni proposte, fra l’altro modificate in modo continuo come già osservato, seppur qualche sequenza ci sia, ed a volte piuttosto ossessiva come in “Electric Chair” dove c’è un passaggio che si ripete addirittura in 3 occasioni inframmezzato da un altro che è sottoposto invece a 2 battute, e comunque aspettatevi, nella maniera più tradizionale possibile, sicuramente la ripresa nei momenti finali di qualche soluzione iniziale, magari ripresentando una sequenza, come l’1 – 1 mod. sempre di “Electric Chair”. La struttura scelta dai Mud, a parte le paranoiche modificazioni, mi fa venire in mente quella praticamente libera di certo metalcore, un po’ come gli Unearth insegnano, come per dare un messaggio, pur se indiretto, di libertà, di distruzione degli schemi, nel segno, a mio avviso, di un imprevedibilità in fin dei conti non male. C’è un altro aspetto strutturale da prendere in considerazione, ma stavolta pazientate un pochino dato che ne parlerò dopo. Ma passiamo ora alla produzione, che mi piace abbastanza. La definisco un po’ pulita, tutti gli strumenti sono in buona evidenza, tranne però il basso che lo sento un po’ in disparte, seppur non poi così molto (come mi sembra in “Shit of the World”), caratteristica comunque a mio avviso tradizionale del punk-hc dagli anni ’70 (Middle Class uber alles!) in poi. La registrazione invece mi appare decisamente più grezza della produzione (cosa che viene amplificata se sento l’ep con le cuffie), dato che qua e là (in modo particolare in “Electric Chair”….questo brano sta diventando un tormentone porca paletta!) si può sentire qualche ronzio (od in qualsiasi maniera lo si voglia chiamare) di una delle due chitarre, che a me piace dato che mi regala un senso di catastrofe imminente, e per certi versi rumorista.
“Slow Degradation” inizia con un’intro a mio avviso piuttosto buona, visto e considerato che parte facendo sentire dei passi per poi sentire il tonfo di una porta che si chiude. Poco dopo, si fanno vive differenti voci (mi sembrano 3 in tutto, 2 maschili ed una femminile) di giornalisti statunitensi, intenti a pronunciare più e più volte il nome dello stato del Tennessee, ed a dire qualcosa riguardo l’elettricità e la sedia elettrica, forse per annunciare la morte di un condannato (quindi, in tal ottica, si potrebbero spiegare i rumori di cui prima). Durante la parlantina dei “nostri carissimi” giornalisti si erge minacciosa, quasi a rappresentare idealmente i pochi secondi restati da vivere al condannato oppure la rabbia e la furia che si stanno preparando per il massacro che verrà come un fulmine lanciato a folle velocità da un’umanità più che mai incazzata, una batteria un po’ lontana, dai tratti a mio avviso un pochino hip-hop. Ma non solo. Infatti, oltre a questa ci sono pure dei disturbi, come una televisione che non ne vuol più sapere di funzionare, così da spezzettare il discorso dei giornalisti, finchè i suddetti rumori non diventano definitivi. Ho comunque l’impressione che essi servano per azzittire prepotentemente il freddo, distaccato e semplicemente descrittivo resoconto di una morte colpita da quell’orrore, definito indolore (sarà poi vero?), chiamato “sedia elettrica”. L’intro finisce in questa maniera, per poi sentire finalmente il gruppo eruttare una furia che si dimostrerà cammin facendo a dir poco incontenibile e distruttiva.
Adesso analizziamo i vari strumenti che compongono l’opera, e la voce, come succede da un pezzo, ha sempre la precedenza. La prova di AldoHC, secondo me, è più che buona e decisamente intensa. Lui usa, se non sbaglio, 3 differenti tipi di voce, che poi nel genere che i Mud suonano sono piuttosto classiche, ma chissenefrega, l’originalità non mi sembra per niente indispensabile, anzi! I vocalizzi che mi paiono maggiormente usati sono in un certo senso puliti ma molto aggressivi ed incazzati, e non poche volte questi regalano il posto a delle urla disperate, le quali spesso e volentieri sono accompagnate da un effetto d’eco a mio avviso molto suggestivo, come per simboleggiare una rabbia troppo forte e pressante da perdersi nell’indifferenza generale che tale realtà costringe, e purtroppo, tanta gente, e casomai supportata pure da un effetto-lontananza (come in “Corrupt Soul”). Molto interessanti a mio parere pure quelle voci pulite (presenti, come tutte le altre, in ogni canzone del lotto) che magari danno alle volte un tocco di carica in più (almeno per ciò che penso io certo) diventando quasi rappate (“Electric Chair” mi pare esemplificativo a tal proposito), ma quello che mi incuriosisce in misura maggiore è il fatto che in ogni momento che si fanno vive queste voci esse sembrano lontane ed anche, seppur leggermente, “echizzate”, quasi a voler dare l’impressione di un’umanità comune i cui lamenti e rivendicazioni non sono per niente presi in considerazione facendoli navigare in un mondo ormai non più tale. Un plauso lo devo fare inoltre alle linee vocali, costruite in un modo a me piacevolmente molto groovy e furiose, da scapocciamento continuo della testa insomma, specialmente nel duo iniziale “Electric Chair”/”Corrupt Soul”, il tutto senza farmi mai stancare. Tocca alle chitarre. Queste ricamano riffs perennemente durissimi, semplici nel modo più deciso e monolitici, ma per fortuna a mio avviso le due asce pongono almeno un minimo di distinzione fra un brano e l’altro, mostrando quindi una fantasia in fin dei conti lodevole. Mi è terribilmente piaciuta la scelta di non dare spazio alla melodia, vuoi forse per rappresentare interamente un mondo barbaro e senza compromessi, vuoi probabilmente per una voglia di non disperarsi per ridurre tutto quanto ad una “lagna”, ma altresì urlare a più non posso azione diretta e quindi rabbia, terrore per una Terra in catafascio. Ho rintracciato, comunque, un accenno di melodia, seppur debolissimo, in un riff di “Corrupt Soul”, tra l’altro uno dei più movimentati e personali dell’ep, e di quest’ultimo tipo ce ne sono pure in “Shit of the World”, benché in tale sede il tono si fa secondo me paurosamente meccanico, mi sembra un ingranaggio impazzito del Male che si sta infilando nella mente di ogni essere umano. Riffs a mio avviso da menzionare sono anche quelli, come dire, stoppati (come nel finale di “Electric Chair”), e quelli dissonanti, stridenti e schizzati, considerando che vanno senza soluzione di continuità da note basse a decisamente più alte (sempre “Electric Chair” ma fra l’altro in “Shit of the World”), come per simboleggiare idealmente la natura stessa del Male, così fastidiosa, imprevedibile ed inquietante, e da non dimenticare sono le soluzioni maggiormente dilatate (come in “Corrupt Soul”). Personalmente però interessa di più l’uso, non tanto frequente ma neanche così raro, a mio avviso accorto delle due chitarre che talvolta (ossia, in tutte le canzoni) intessono delle sovrapposizioni di riffs che tra l’altro spesso dimostrano una versatilità di invenzioni secondo me notevole, come durante l’introduzione di “Corrupt Soul” in cui una chitarra vomita una soluzione a tratti con una melodia di fondo, mentre l’altra crea un qualcosa di sfuggente e particolare, su note alte, per un gruppo del genere, e succede una cosa simile, seppur a mio avviso in maniera più convenzionale ed inoltre con la parte più bassa delle chitarre dilatata e non proprio melodica, anche durante il prosieguo del pezzo sopraccitato. Da non scordare per nessuna ragione al mondo la dissonanza dall’impronta profondamente psicotica, quasi liquida, che mi regala la chitarra solista nella lunga “Shit of the World”, ed interessante a mio parere è anche un passaggio, quasi nel finale, di “Electric Chair” in cui un’ascia esegue a sprazzi ma con regolarità quello che fa l’altra. Faccio notare che, come l’hardcore tutto (beh, più o meno) insegna, non c’è nemmeno un assolo, forse per levare simbolicamente un fattore dinamico trasmettendo quindi maggiore aridità della realtà dove viviamo, e che tra l’altro c’è qualche riff sì semplicissimo ma persino pazzescamente lungo (“Electric Chair” mi pare il pezzo più esemplificativo in tal senso). Spazio ora al basso. Personalmente, come già osservato, solitamente non lo sento molto bene, anche se comunque il suo lavoro lo considero di buona qualità, visto e considerato che aggiunge a mio avviso quel pizzico in più di inquietante profondità facendomi immergere in tal modo ancora ed ancora in una società indifferente e folle. Discorso batteria: pure l’opera di Frank mi piace decisamente, anche perché non poi così raramente disegna partiture che non credo si possano definire lineari, magari rischiando un pochino con tempi meno classici del solito, come quello veloce ma spezzettato nel finale di “Electric Chair”. Tra l’altro, i tempi veloci mi sembrano spesso e volentieri quelli più semplici proposti, dato che ricalcano il tradizionale percussivismo del punk-hc con la cassa ed il rullante in perfetta sintonia fra loro, sentendoli così negli stessi momenti. Il lavoro qui non credo si possa considerare statico, almeno a livello di costruzione di diversi ritmi benché ovviamente non si seguano gli stilemi ben più fantasiosi del metal, anche se comunque, per quanto riguarda l’andamento di uno stesso pattern, viene eseguito sempre uno schema ben preciso, delle rullate specifiche che a primo acchito possono sembrare, ma invano, anche delle variazioni. Ergo, mi pare che qui il tutto suoni in un certo senso meccanico, seppur l’effetto mi piaccia dato che è come se trasmetta la ripetizione praticamente infinita e pedissequa di un Male sì vecchio, ma sempre pronto a schiacciare il prossimo. Frank, inoltre, a mio avviso risulta pure capace di dare più potenza e spinta al discorso musicale, magari con rallentamenti, giochi a due mani (come in “Shit of the World”), e via di questo passo. Notevole tra l’altro, per il mio parere, anche il suono della batteria, non così grezza ma bella genuina.
Adesso, ragazzuole e ragazzuoli, è il momento di farvi sapere quale sia per me il pezzo migliore di “Slow Degradation”. Ebbene sì, ho scelto, dopo varie consultazioni con la mia mente bacata, “Corrupt Soul”, in quanto mi sembra la canzone che possiede maggiore fantasia ed atmosfera in fatto di riffing, oltre che avere certe linee vocali devastanti, come anche delle buonissime pause, fattore tra l’altro essenziale per la musica del quintetto abruzzese, utile a mio avviso, sia quando c’è in effetti silenzio che quando uno-due strumenti preparano il massacro (come in “Electric Chair”), per aumentare in misura decisamente maggiore l’intensità e la furia del tutto, considerando fra l’altro il fatto che proprio in tale brano c’è una pausa piuttosto lunga, con le chitarre in leggero feedback e l’apparizione, quasi alla fine, di un urlo disperato ed un po’ lontano.
Ma c’è un’altra canzone a mio avviso molto interessante del lotto, ossia l’ultima “Shit of the World”. Il motivo è presto spiegato: essa dura, come già segnalato, la bellezza di poco più di 11 minuti, ed in un certo senso me l’aspettavo un po’ bizzarra, visto e considerato che, introdotta da quella che sembra l’apertura di un registratore con annessa immissione di cassetta, dopo 4 minuti (e tipo 10 secondi di feedback alla fine) di musica, il tutto si riduce a qualcosa come il classico rumore di un registratore che va avanti. Questa storia si perpetua, se non sbaglio, più o meno per un minuto e 30, per poi sentire finalmente un suono, un rumore sintetico, basso e sfrigolante oserei dire, che secondo me potrebbe andare benissimo per un progetto electro-industrial. Poco dopo si fa viva anche una batteria dall’impronta industriale appunto, orientata su un angosciante tempo lento, e che risulta accompagnata pure da una specie di battito elettronico, continuo ed a mio avviso inquietante perché sembra rappresentare la monotonia, così meccanica, della vita in tale società. Ma non è finita qui, perché viene svelata, dopo un po’, anche una chitarra che intesse una melodia semplice e disperata, il richiamo dell’umanità urlante e soppressa, concentrata praticamente soltanto su 3 note, la quale viene sostituita, utilizzando certe volte delle pause secondo me suggestive, da una tastiera pure questa tormentata. Tutto ciò viene propinato praticamente per più di 5 minuti, un tempo così tremendamente grande da schiacciarmi con quei toni dal sapore apocalittico. Insomma, se prima i Mud mi trasmettevano furore e rabbia, adesso invece angoscia e pietà.
Peccato però che un difetto, benché alla fine secondario perché non influisce più di tanto, della musica dei Mud io l’abbia trovato proprio in “Shit of the World”, ed è localizzato nell’ultimo vagito metalcore del pezzo, quando il gruppo fa pausa per un attimo e poi ricomincia per pochi secondi sfoderando un classico e roccioso tempo medio, un po’ schizzato, con un singolo urlo, facendo finire il tutto con tanto di feedback, come già scritto qualche riga fa. Sinceramente, penso che l’ultimo passaggio sia totalmente inutile per il brano, dato che non mi sembra aggiunga qualcosa di indispensabile, spezzettando il discorso rendendolo discontinuo.
Ed adesso, forse finalmente per molti di voi, pure questa lunga, estenuante e “pallosa” recensione volge al termine, affermando che “Slow Degradation” mi è veramente piaciuto, con quella pesantezza distruttiva caratteristica del metal (pur se qua non siamo dalle parti dei brasiliani Questions), quel minimalismo e la furia tipicamente hardcore la quale secondo il mio punto di vista costituisce il principale punto di forza dei Mud, intensa com’è, e pure abile, di conseguenza, a rendere dinamica tutta la musica. Dovrei però consigliare a questi ragazzotti di non provarci più di tanto con le pause dato che per me sono un po’ troppo frequenti, facendoli così dipendere molto da esse. Ma per il resto, tante buone cose, ed adesso che è entrato Valerio in formazione, esponente della cara vecchia scuola hardcore, sono proprio curioso di quale direzione i nostri prenderanno nella prossima opera.

Voto: 76

Claustrofobia

Tracklist:

1 – Intro/ 2 – Electric Chair/ 3 – Corrupt Soul/ 4 – Shit of the World

MySpace:

http://www.myspace.com/mud04

Sito ufficiale:

http://www.mudband.it