C'è stato un periodo di taaaaanti anni fa in cui, da giovane metallaro appassionato del metal più strano e anti-convenzionale (tipo Scarve, Carnival in Coal, Messhuggah...), sono stato letteralmente in fissa col jazz, anche grazie a un librone gigantesco del 1975 scritto dal grande Arrigo Polillo, "Jazz - La vicenda e i protagonisti della musica afro-americana". Per via di questo tomo ciclopico ho cominciato a conoscere questo genere, arrivando così a collezionare un po' di dischi, comprati sistematicamente dal mio negozio di musica di fiducia, Star Music, di gente come Eric Dolphy, Charles Mingus o Ornette Coleman. In particolare, per quest'ultimo nutrivo all'epoca una certa adorazione, impressionato com'ero dal folle estremismo del suo "Free Jazz: A Collective Improvisation", album del 1961 che, violentando veramente i timpani dell'ascoltatore con uno stile incredibilmente rumoroso e dissonante con pochissimi accenni melodici, creò di fatto il free jazz, che di tutti i sottogeneri jazz è di gran lunga il mio preferito perché, come al solito, se non suoni estremo per me non sei nessuno.
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Tartaro |
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Diserta! |
Ad accoglierci però è "III", che inizia tranquilla e riflessiva ma poi, sempre in modo lento e ossessivo, si estremizza e si incupisce a poco a poco fino ad approdare a sonorità pesantissime con un basso melmoso, proponendo così una via di mezzo fra lo sludge e il jazz. Segue "IV", dalla prima parte decisamente più convulsa e noisy, dopo la quale il discorso diventa più compassato e atmosferico per arrivare però a un finale ambientale abbastanza inquietante. In tutto ciò zero parti vocali, se si eccettuano dei sample in lingua inglese tratti da "Mahabharata", un interminabile spettacolo teatrale diretto nel 1985 dal britannico Peter Brook e trasposto sotto forma di film nel 1989. Ma è sempre comunque presente il sassofono, strumento a dir poco fondamentale per questo terzetto viste le sue continue improvvisazioni, raramente intervallate da motivi ricorrenti (tipo nell'inizio di "IV").
Eccovi così "Volume II". Eccovi così i Diserta!. Ed eccovi così il doomjazz, l'impro-noise o in qualsiasi modo vogliate chiamare la musica dei Diserta!. Ed è una musica che è sì di difficile assimilazione ma non manca comunque di essere molto suggestiva, offrendo fra l'altro un buon ventaglio di soluzioni stilistiche capaci di andare dallo sludge al noise e all'ambient. E vi assicuro che ha fatto un effetto piacevolmente strano sentire proprio questa musica sotto lo stelle nei giardini di Valle Aurelia. A quando un altro festivalino lì?
Recensione e foto by Flavio Er Coppola
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