Thursday, March 3, 2011

Blessed Dead - "Secret of Resurrection" (2010)

Demo autoprodotto (30 Giugno 2010)

Provenienza: Brescia, Lombardia

Formazione: Patrick, voce (sostituito poi da Gian)
Shon, chitarra ritmica
Ale, chitarra solista
Tolo, basso
Jonny, batteria (sostituito recentemente da Niko)

Punto di forza del demo:
la capacità del gruppo di reinterpretare caso per caso la struttura-tipo della musica migliorandola sempre lentamente.

Migliore canzone:
sicuramente “Secret of Resurrection”, in parole povere la più complessa, curata ed imprevedibile di tutte.

Cari miei, senza girare in tondo e pur essendo consapevole che potrà un po’ dispiacere almeno a farlo subito presente, questo “The Secret of Resurrection” l’ho trovato ricco sia di luci che soprattutto di ombre. Essendo però i Blessed Dead parecchio giovani avranno tutto il tempo di questo mondo per limare il proprio suono, il quale presenta degli spunti veramente interessanti che lasciano ben presagire per il futuro grazie specialmente ad una personalità già piuttosto marcata.

Trattasi infatti di un death metal quasi esclusivamente giocato sui tempi medi e che ben poco riserva a quelli più veloci che comunque sono sempre dei blast-beats (e loro varianti) più o meno estremi del tutto assenti nella sola “Secret of Resurrection”. Si gioca quindi una carta pericolosa, quella cioè di una musica la cui intensità viene poco a poco che altresì si sarebbe immediatamente fatta sentire con velocità belle sostenute. D’altro canto non è che ci siano così tante parti veramente doomeggianti, care a gruppi come Asphyx ed Autopsy, e da questo punto di vista è esemplare “Nightbreed”.

L’andamento del discorso musicale non procede però lento solo in virtù della tipologia di tempi usata e conseguente effetto psicologico sull’ascoltatore che a sua volta crea un lato infrequente nel death metal. Tale aspetto viene infatti abbondantemente accentuato se si pensa che il quintetto bresciano ama in maniera quasi morbosa delle soluzioni musicali belle lunghe e che presentano un riffing a tratti piacevolmente contorto che non si risparmia neanche in qualche tecnicismo e nemmeno nell’amore per le schitarrate schizoidi prese da certo brutal moderno (“I Am the Blessed Dead”) o per la minacciosa cupezza del death metal vecchia scuola (“Nightbreed”). Fra l’altro, nonostante il cupissimo nome che si portano dietro, le melodie non sono da ritenere infrequenti nei Blessed Dead anche perché le due asce sono capaci di spararne di insospettabili, dal sapore perfino epico (“Secret of Resurrection”). In questa cornice musicale si affacciano pure delle ritmiche che non lesinano qualche stranezza (“I Am the Blessed Dead” è l’esempio sicuramente più notevole) rendendo così meno digeribile la proposta musicale.

Un altro fattore di natura strutturale che rallenta notevolmente la musica dei 5 giovini è la tendenza, almeno nei primi due pezzi (specialmente nel primo, l’unico che per giunta rispetta più o meno un classico schema a 2 soluzioni altrimenti detto a strofa-ritornello), a proporre uno stacco preferibilmente di chitarra che introduce a quasi ogni passaggio. Solo che in “I Am the Blessed Dead” ognuno è similare all’altro perché il sistema usato è sempre e soltanto quello della chitarra in solitario. In “Dance of the Insane” invece la metodologia utilizzata risulta più fantasiosa anche grazie ai piatti stoppati che regalano al tutto un po’ più di selvaggia intensità.

Parlando in linee generali, la struttura-tipo dei pezzi si confà allo stile adottato da questi death metalloni. E’ infatti non poco arzigogolata e richiamante in un certo senso la “prolissità” degli ultimi Death solo semplificati per l’occasione, resa com’è una variante leggermente più complessa dello schema a strofa-ritornello. Ci si avvicina quindi, per fare un esempio con un altro gruppo partecipante a Timpani Allo Spiedo, ai territori cari ai romani Black Therapy, anche se questi ultimi prediligono soluzioni più brevi e delle sequenze più fluide caratterizzate da 2 – 3 passaggi principali mentre nei Blessed Dead una – due in più risultando di conseguenza piuttosto ostici.

Un’altra caratteristica degna di nota proviene dal lavoro, assolutamente esente da qualsiasi sovraincisione ma non da un effetto d’eco che qui e là regala una bella dose di inquietudine, di Patrick che ad un grugnito classico e “regolare” (né basso né alto) ma non così profondo e “cattivone” alterna, raramente ma non troppo, una specie di via di mezzo quasi diabolica e tremendamente aggressiva tra un urlo ed un grugnito che poi si rivela più d’effetto della voce principale (ne vengono fuori praticamente dei vocalizzi molto simili a quelli utilizzati nel death melodico anni ’90, solo sparati con meno violenza); ed in qualche occasione si fa sfoggio di un urlo forse più adatto al metalcore solo che a mio avviso viene sfruttato male, pare forzato e non sufficientemente convinto anche perché “gracchia” pochissimo se non per nulla.

Purtroppo però le ombre non si fermano soltanto a questo dettaglio. Infatti, 1) vi è una produzione malamente bilanciata, con le chitarre dalle frequenze basse che fanno letteralmente a cazzotti con quelle più alte della batteria e della voce seppellendosi automaticamente nei momenti più concitati. D’altro canto il basso, in perfetta tradizione death metal, è messo bene in evidenza e del resto, abituato come sono io ad apprezzare le peggio produzioni, si può anche accettare volentieri la cavernosità delle chitarre e quindi tale “errore” si rivela secondario. E’ anche vero però che può essere pericoloso abbandonare al proprio destino il principale fattore atmosferico del metal estremo quale è la chitarra;

2) la batteria si presenta come il punto debole dell’opera in quanto alla fine si dimostra ripetitiva, interessata com’è, nonostante delle brillanti intuizioni, a prendere di petto soprattutto un dato ritmo che è in pratica un tempo medio bello lineare e con doppia cassa incorporata che quasi non si ferma mai. Oddio, in sé non sarebbe neanche una brutta idea, ma così facendo non dà sufficiente manforte al riffing che al contrario necessiterebbe, in rapporto alla sua complessità, di un lavoro di cassa più fantasioso e sicuramente meno semplicistico. Oppure si potrebbe dare un ruolo più importante ai piatti in modo da accentare maggiormente il riffing, od ancora utilizzare con più coraggio ritmiche meno convenzionali appesantendo delle sonorità già notevoli da questo punto di vista;

3) la lentezza esorbitante di “I Am the Blessed Dead” che si ritrova suo malgrado piena di stacchi, pause e relative ripartenze, così da rendere il discorso poco fluido e veramente poco pesante oltreché semplicistico nonostante i tempi potenzialmente assassini che offrono i Blessed Dead.
In compenso, si ha come l’impressione che mano a mano ogni pezzo si estremizzi strutturalmente parlando raggiungendo il picco in “Secret of Resurrection”, che consta fra l’altro di un assolo che quasi nella parte finale blocca temporaneamente e a sorpresa la lunga sequenza principale. Insomma, i Blessed Dead sanno bene reinterpretare caso per caso e con fantasia la propria metodologia, avendo così la capacità di migliorarsi dopo un inizio sì traballante ma comunque valido come introduzione ai pezzi successivi.

Voto: 68

Claustrofobia
Scaletta:
1 – I Am the Blessed Dead/ 2 – Dance of the Insane/ 3 – Nightbreed/ 4 – Secret of Resurrection
MySpace:
http://www.myspace.com/blessedmetals