martedì 6 maggio 2025

Delle origini dimenticate del bestial black/death metal: i Bestial Summoning e gli Impurity!

L'ho detto parecchie volte su queste pagine e ultimamente pure sul mio ultimo libro dedicato al grindviolence, "Più Veloce!": il bestial black/death metal o war metal che dir si voglia (però alcuni si ostinano addirittura a chiamarlo "metal of death" ma secondo me questa definizione è fuorviante perché rimanda al death metal) è uno dei miei stili metallici preferiti ormai da lungo tempo. Perché mischia l'oscurità del black metal, la cavernosa cupezza del death metal e la furia nichilista del grindcore, tanto più che questo sottogenere è pieno di pezzi brevissimi lunghi meno di un minuto, primo fra tutti "War Command" dei canadesi Blasphemy, gruppo che nel 1989 praticamente inaugurò questo modo folle di concepire il metal estremo pur pescando parecchia ispirazione dai brasiliani Sarcófago, per certi versi dei loro anticipatori. La più violenta brutalità regna quindi sovrana nel bestial black/death metal, e sulla webzine/fanzine ne ho spesso parlato. Solo che adesso questo stile è diventato quasi una "moda" nell'underground ma mi ricordo che, quando me ne sono appassionato (all'incirca negli ultimi anni 2000) dopo aver comprato (precisamente da Sound Cave, nella sua sfortunata sede in zona San Paolo a Roma) e consumato l'immenso "Vengeance War 'till Death" degli australiani Bestial Warlust, in pochi lo suonavano. Ergo per noi fanatici era dura procurarci roba nuova del genere, e quindi "studiavamo" i capostipiti, cioè i Blasphemy, i finlandesi Beherit, gli statunitensi Black Witchery e Morbosidad, i canadesi Conqueror e Revenge e una manciata di altri. Ma per fare quest'articolo mi sono prefissato una cosa: quella di non parlare dei pionieri ultraconosciuti di questo genere (tipo i Blasphemy che, quando sono venuti per la prima volta a Roma 6 anni fa, sono costati un botto a causa di un prezzo d'ingresso insensato sui 35 €... alla faccia dell'underground!) ma di quelli un po' snobbati, alle volte quasi dimenticati. Ecco a voi allora gli olandesi Bestial Summoning, e i brasiliani Impurity!

BESTIAL SUMMONING - "THE DARK WAR HAS BEGUN" (No Fashion Records, 1992)

Parliamoci chiaro: in termini di brutalità l'Olanda metal si è sempre fatta rispettare fin dai primi anni '80 grazie a gruppi come Picture (quelli dei primi 2 album), Sad Iron o i punkettosi Vopo's. E nel decennio successivo la tradizione è fieramente continuata e con ancora più foga, come abbiamo già visto 2 mesetti fa quando vi ho parlato degli sfortunati ma prolifici Unlord. Ma prima che questi entrassero nella scena black metal, c'era un'oscura band di pionieri del genere conosciuta come Bestial Summoning, ovvero un nome piuttosto esplicativo per il tema di questo articolo. Curiosamente domiciliati a Venlo, piccola città al confine con la Germania che negli anni '80 è stato un vero avamposto dell'hardcore olandese, soprattutto di quello più estremo (vedasi Pandemonium e Disgust in particolare), i Bestial Summoning sono durati soltanto dal 1990 al 1992, ma giusto in tempo per pubblicare "The Dark War Has Begun", cioè uno degli album black metal più lerci e malsani di sempre. Che fra l'altro ha un grande valore storico anche perché è stata la prima uscita in assoluto della No Fashion Records, etichetta svedese di culto gestita dal fanzinaro Tomas Nyqvist ma poi finita in modi non tanto onesti nei tentacoli orripilanti del suo distributore, la House of Kicks, una cricca di sciacalli accalappiasoldi. Ma qua non parliamo della triste parabola della No Fashion, bensì di questo leggendario disco dei Bestial Summoning.

Perché sì, "The Dark Was Has Begun" merita di essere riscoperto da tutti gli appassionati del metallo nero che più nero non si può, nonostante una copertina concettualmente figa (un angelo - con la chierica! - divorato dai demoni fa sempre la sua porca figura!) ma disegnata in una maniera così infantile da essere francamente orrenda. Eppure, quando parte la canzone d'apertura, "Victory is Ours" con la sua intro dark ambient, comincia qualcosa di totalmente folle che neanche pare faccia parte di questa dimensione terrestre. Ecco, prendiamo ad esempio la spaventosa prestazione vocale al limite della possessione del cantante, autoproclamatosi non a caso come The Unsane, da pelle d'oca con le sue urla portate certe volte all'eccesso fino a produrre degli acuti lancinanti e varie bestialità assortite, esemplificate al meglio (o al peggio, come preferite) nel finale ultra-caotico di "The Dwelling of the Unholy Ghost".

Non da meno il resto del gruppo, capace di mettere su una musica a dir poco grezzissima, con dei chitarroni catacombali di derivazione death ma suonati con un estremo minimalismo di stampo black. Viene tradito però un certo dinamismo, passando così tranquillamente da un doom pestilenziale alla Hellhammer ("Unholy Prison") a momenti di una velocità allucinante prossima al grind come nei 2 minuti di "Evil Will Prevail", a mani basse la traccia più violenta del lotto. Non aspettatevi però un saggio di fantasia perché questa è ridotta ai minimi termini, eppure il tutto viene eseguito con una tale vena malata, con una tale intensità da lasciare interdetti.

A questo punto leggetevi i testi. Questi sono i classici testi che 21 anni fa, quando ero un metallaro in erba, mi affascinavano ma mi incutevano timore allo stesso tempo. E così presto sviluppai un certo culto verso il black metal della seconda ondata, visto che nel 1992 il black metal era una cosa così seria da essere perfino pericolosa, e pure qualcuno dei Bestial Summoning avrebbe onorato suo malgrado quanto urlato nei loro testi, in realtà interamente scritti da un amico della band, tal Melek Taus, attualmente invischiato in un progetto disco funk altamente discutibile a livello lirico chiamato Groovy Taus. Ma per i Bestial Summoning decise di battere ossessivamente il chiodo sulla lotta di Satana contro Dio, il Paradiso e l'umanità tutta, celebrando così il Male a ogni piè sospinto e offrendo poche variazioni sul tema. Tipo nello sfacciato invito al suicidio di "Enjoy Your Death for Satan". O tipo in "Countess of Evil", dedicata a Erszébet Bathory, cioè l'ennesimo omaggio black metal alla sanguinaria contessa ungherese. O ancora tipo in "I Am Home", dedicata invece a Dead, il cantante dei Mayhem suicidatosi nel 1991 prima tagliandosi le vene e poi sparandosi in bocca con un fucile. Un po' come dire che anche i blackster più duri e puri abbiano un cuore. Ma solo verso gli eroi caduti del black metal.

Purtroppo nel 2008, a soli 35 anni, si sarebbe tolto la vita pure il chitarrista dei Bestial Summoning, cioè Conscicide Dominus Arcula, al secolo San Van Kerckhoven, uno che fra l'altro ne capiva di grindcore e lo produceva essendo attivo nei primi anni '90 anche con la Wimp Records, con la quale fece uscire addirittura un gruppo come gli Agathocles. Invece, il batterista, Sephiroth, per i mortali Maurice Swinkels, avrebbe avuto una carriera lunga e abbastanza fruttuosa dopo la fine della band tanto da essere attualmente il cantante storico dei Legion of the Damned (già ex-Occult). Insomma, destini diversi per dei ragazzi che hanno fatto parte per 2 intensi anni di uno dei gruppi black metal veramente più lerci e malsani di sempre. E che, fra l'altro, prima di registrare il disco fecero fuori Impurity, il bassista, che di fatto partecipò soltanto al demo del 1991. E qui si apre un collegamento con...

IMPURITY - "THE LAMB'S FURY" (Cogumelo Records, 1993)

... con i brasiliani Impurity, per l'appunto. Di loro ne ho parlato un pochino sul mio primo libro, "Benvenuti all'Inferno!", e quindi mi tocca qui riscrivere che emersero nel 1988 dal "vivaio brasiliano per eccellenza del metal estremo, ovvero Belo Horizonte" (pag. 260), città gia nota per aver dato i natali a gruppi del calibro di Sepultura e Sarcófago, tutti figli di una scena nazionale fin da subito insolitamente brutale per via degli Stress, fra gli esponenti mondali dello speed metal. Però gli Impurity, appena nati, presero spunto non dagli Stress ma sicuramente dai Sarcófago e dai Blasphemy, e direi anche dai Napalm Death. Non a caso, i loro primi demo erano un'accozzaglia di black/death metal così primitivo e furibondo da toccare lidi grindcore, come certificato perfettamente nel grottesco "Noise Vomits", contenente 10 brani per soli 5 minuti circa di durata. Ma poi, fatto qualche anno di gavetta, nel 1993 arrivò finalmente l'ora di "The Lamb's Fury", l'album di debutto.

Primo punto a favore di "The Lamb's Fury": a pubblicarlo ci pensò nientepopodimeno che la Cogumelo Records, lo storico negozio di dischi/etichetta discografica che tanto ha dato (e continua a dare) alla scena di Belo Horizonte, soprattutto da quando rilasciò nel lontano 1985 quello split spaccaossa fra i Sepultura e gli Overdose che rivoluzionò di fatto il metal brasileiro. Secondo punto a favore: se la copertina venne curata da Ron Seth, l'allora ex-bassista della band poi rientratoci anni dopo, il resto dell'artwork fu opera di un altro pezzo di storia del metal nazionale, ovverosia Paulo César Moura, responsabile tempo prima perfino dell'artwork di "INRI" dei Sarcófago, altro disco-spartiacque per il popolo metallaro brasiliano. Terzo e ultimo punto a favore: per l'album gli Impurity "affinarono" il giusto il proprio assalto, pur rimanendo comunque ancorati a un grezzume totale votato alla più becera ultraviolenza.

In effetti, il quartetto degli Impurity, guidato allora come oggi dall'inossidabile cantante Ram Priest, continuava spesso a suonare a mille all'ora, senza tanti fronzoli, con una semplicità immonda ma pure con qualche palese errore di esecuzione. Perché i nostri non erano esattamente delle cime dal punto di vista tecnico, cosa percepibile per esempio nella follemente caotica "Darkness Path", dove il riff principale viene allungato o accorciato veramente ad cazzum per tutto il pezzo. Però canzoni come "Ecstasy Law" (aperta da un'intro temporalesca di sabbathiana memoria con in più delle lugubri tastiere e di una voce baritonale da messa satanica) e la vecchia "Lucifer Vomiting Blasphemies", già apparsa perfino nel primo demo del 1989, sono saggi di pura furia in blast che non ammette compromesso alcuno.

Eppure gli Impurity ormai non parlavano soltanto un verbo mutuato dai Blasphemy e dai Sarcófago. Perché negli 8 pezzi di "The Lamb's Fury" potete trovarci i riff ipnotici dei Von ("Darkness Path") e pure la vena occulta e i tempi lenti dei Beherit periodo "Drawing Down the Moon" ("Sekhmet"), richiamati però anche dai growl sussurati di Ram Priest. E quindi, pur regnando una violenza a volte così incontrollata da sconfinare nel rumore, i nostri non esitavano ogni tanto a rallentare fino a un doom pachidermico ("The Firmament of Fire"). A questo punto, stupisce la potente lentezza della titletrack che, posta in chiusura dell'album, dal titolo lascerebbe invece presagire una ferocia sonora assoluta.

Peccato però per certe criticità del disco. Già detto dei frequenti errori di esecuzione, la produzione è fin troppo secca e non fa risaltare benissimo la brutalità perpetrata dai nostri. Inoltre, c'è qualche deja-vù con i riff, con quello principale di "Ecstasy Law" che più o meno si ripete uguale in "Darkness Path" ma anche, in certo modo, in "Malediction". Di contro però, "The Lamb's Fury" sprizza comunque una bestialità notevole mischiata con un'atmosfera occulta rara da riscontrare all'epoca in gruppi del genere, anche grazie a temi sì satanici ma spesso un pochino più profondi rispetto alla media, con brani dedicati, per esempio, alla divinità della guerra adorata dagli antichi egizi, la stessa Sekhmet. Ma pensate che, nonostante (l'affascinante) imperfezione di questo disco, gli Impurity lo hanno ri-registrato per intero nel 2014, pur con una formazione totalmente rimaneggiata. Insomma, come "recuperare un glorioso passato... già passato da un pezzo" ("Benvenuti all'Inferno!", pag. 261)! 

Articolo by Flavio Er Coppola 

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