Ristampa album (Natura Morta Edizioni, 2013)
Formazione (1993): Arcanum Anima – voce/basso;
Kryx Murthum – chitarre/voce;
Moloch – batteria;
A. Corsino (ospite) – tastiere.
Località: Brindisi, Puglia.
Canzoni migliori della ristampa:
rispettivamente “Astral Keys to My Mighty Vision” (album) e “Ars Moriendi” (tracce bonus).
Punto di forza del gruppo:
Continua la serie di ristampe della giovanissima etichetta bergamasca Natura Morta Edizioni (gestita nientepopodimeno che da Abibial degli Imago Mortis) che, dopo aver (ri)dato luce ai promettenti due demo dei Krashing (leggasi recensione di Gennaio), ha avuto la bella pensata di disseppellire dall’oblio il primo e finora unico album dei Mortifier, cioè 5 pezzi (compresa outro acustica) per quasi 31 minuti di assalto sonoro. In più, al materiale originale sono stati aggiunti 7 brani rimasti inediti fino a oggi, e che vennero registrati tra il 1996 e il 1998 (ma per Metal – Archives, invece, le registrazioni vanno dal 1998 al ’99…), raggiungendo così i tanto agognati e diabolici 66 minuti e 56 secondi di musica. Adesso, basta con le mere statistiche, e vediamo di analizzare in lungo e in largo i deliri dei Mortifier, ma vi anticipo fin da subito che mi sono un sacco esaltato nell’ascoltarli, quindi, vi raccomando immediatamente questa ristampa senza tanti indugi.
Dopo aver rilasciato due demo, i Mortifier riuscirono finalmente a pubblicare l’album di debutto, cioè “Darkness My Eternal Bride”, nel 1996 presso l’ancor attiva etichetta australiana Battlegod Productions, presentandolo con una copertina molto efficace ritraente una minacciosa figura incappucciata che si dirige in chissà quale abisso infernale (a questo punto, peccato che la copertina sia stata cambiata). Ma, appena parte la musica, quest’abisso si materializza sul serio mostrando un black metal sorprendentemente dinamico, pieno di dettagli e bello cattivo, tanto da avere qui e là dei richiami al death metal che riescono a intensificare ancor di più tutto l’assalto. Quindi, c’è poco spazio per la melodia (anche se il gruppo ha la tendenza a essere melodico lungo il finale delle canzoni) ma ci sono così tante caratteristiche interessanti da presentare un approccio veramente originale eppure tradizionale allo stesso tempo.
Per esempio, il gruppo riesce a essere spietato pur dando spesso e volentieri parecchia importanza ai tempi medio – lenti, come succede sia nel tour de force da 7 minuti “The Majesty of Empire’s Doom” che nella titletrack (che ha una prima parte veramente memorabile per quanto sa essere ossessiva e fantasiosa allo stesso tempo). Fra l’altro, il gruppo spara non poche volte un groove da far ballare spudoratamente il culo, richiamando in tal caso sia l’heavy metal sia il thrash (quest’ultimo anche a livello di riffing, come nella stessa “The Majesty…”).
Poi, riveste un ruolo a dir poco fondamentale la chitarra solista. La quale non si limita a dar manforte alla ritmica, va addirittura oltre, vomitando così degli assoli molto vari fra di loro e proponendone anche più di uno in qualche canzone. E questa è una cosa veramente rara da beccare nel black metal, ed è in grado di dare un sacco di folle imprevedibilità a tutto l’insieme (ma non solo grazie ai solismi!).
Infatti, parlando in termini più generali, la musica dei Mortifier è spaventosamente folle e caotica proprio come il black metal dev’essere. Ciò è dovuto a diversi fattori (come già si è visto, del resto): come l’eccezionale lavoro di batteria, che è così fantasioso da essere selvaggio e fuori controllo (faccio osservare che Moloch suonerà poi, come Danny Hate, nei brutallari Onirik che, guardacaso, sono stati uno dei 6 gruppi ospitati nel primissimo numero di Timpani allo Spiedo); la struttura dei pezzi, che da una parte sono sequenziali ma dall’altra non hanno veri e propri vincoli di sorta, anche perché una stessa sequenza può essere riempita cammin facendo da diversi dettagli (fra cui delle occasionali tastiere minimaliste), così da rendere ancor più profonda l’intera musica; inoltre, qui e là ci sono dei momenti malatissimi da puro culto, come quando, in “The Majesty of Empire’s Doom”, il gruppo dà improvvisamente di matto con un’orgia di tom – tom, chitarra e basso impazziti e voce pulita manipolata alla fine, costruendo così un climax assurdo, per non parlare della lunga introduzione doom e tribaleggiante di “Astral Keys to My Mighty Vision” che, nei suoi quasi 11 minuti di delirio, rappresenta il Mortifier – sound nella sua essenza, con tanto di evocativo intermezzo acustico e breve momento parlato. Ma non bisogna neanche dimenticare quel riffing un po’ disturbato a là Hellhammer, un basso abbastanza in primo piano e che si fa rispettare soprattutto nei primi due pezzi, e così il quadro è completo.
In pratica, l’unico a non esagerare in questo black metal dalla forte impronta individualistica è il cantante che spara un classico urlo black, così da controbilanciare l’incontrollabile intensità specie delle chitarre e della batteria.
Dopo quest’album immenso, si parte con i brani inediti, nei quali i Mortifier manifestano, se possibile, una varietà addirittura maggiore di quella presente nel disco, e lo si nota subito con “Anthems to the Night Spirits”, una specie di intro sorprendetemente folkeggiante. Bisogna dire che i 7 pezzi inediti sembrano formare un vero e proprio secondo album tanto da esserci una melodica outro strumentale, cioè “Signs”, anche se lo stile, da canzone a canzone, cambia un poco, come anche la produzione.
Le differenze con il recente passato le si colgono immediatamente dalle prime due canzoni (di cui una è praticamente un rifacimento, accorciato di ben 3 minuti, della magnifica “The Majesty of Empire’s Doom”), nelle quali il gruppo suona una specie di black/death dalle derive sinfoniche, presentando al contempo una minore tendenza ai solismi chitarristici. Invece, negli ultimi 3 pezzi (tutti più o meno lunghi sui 7 minuti), il gruppo riprende un po’ lo stile imprevedibile e folle dell’album, combinandolo però con un approccio più teatrale (soprattutto per quanto riguarda il comparto vocale, molto più vario e con voci pulite relativamente frequenti) e a tratti decadente (si senta l’introduzione di “Rising Empire of Darkness”). Come al solito, i Mortifier eccellono sempre nei pezzi più lunghi ove hanno l’occasione di scatenarsi praticamente a prescindere, adesso che le parti acustiche sono quasi del tutto assenti, se non per amalgamarsi con il black metal proprio del gruppo.
Foto: Kryx Murthum/Arcanum Anima
Tirando le somme, l’album è un vero capolavoro di black metal italiano, così folle e vario da rivaleggiare con i dischi fondamentali del genere, mischiando fra loro i Darkthrone, gli Hellhammer e i Bestial Warlust più black metal. La seconda parte della ristampa invece mostra un gruppo più completo e coraggioso, ma magari in vena di eccessivi barocchismi che rovinano un po’ l’aura crudele tipica di questi ragazzacci pugliesi (si citino gli acuti di “From the Hell of the South” e le tastiere un filino invasive). Per fortuna ci si rialza alla grandissima da “The Covenant” in poi, dove a tratti il livello di cattiveria è perfino maggiore di quello dell’album. A questo punto, sarei curioso di sentire come suonano i nuovi Mortifier, ora che si sono riuniti, dopo ben 15 anni, sottoforma di un quartetto orfano, purtroppo, di Moloch (o Danny Hate che dir si voglia).
Voto “Darkness My Eternal Bride”: 94
Voto pezzi inediti: 83
Media voto ristampa: 89
Flavio “Claustrofobia” Adducci
Scaletta:
1 – From the Absu/ 2 – The Majesty of Empire’s Doom/ 3 – Darkness My Eternal Bride/ 4 – Astral Keys to My Mighty Vision/ 5 – On the Desolated Shores of Eternity/ 6 – Anthems to the Night Spirits/ 7 – From the Hell of the South/ 8 – The Majesty of Empire’s Doom Opus II/ 9 – The Covenant/ 10 – Ars Moriendi/ 11 – Rising Empire of Darkness/ 12 – Signs