Friday, October 7, 2011

The Providence - "Horror Music Made in Hell" (2011)

Album (Audio Ferox, Maggio 2011)

Formazione (2008):
Bloody Hansen, voce, chitarre, basso, drum – machine, tastiere, effetti vari.

Provenienza: Siligo (Sassari), Sardegna

Canzone migliore dell’album:
sicuramente “Rosemary”, e per sapere perché leggetevi tranquillamente la rece.

Punto di forza del disco:
il fatto di essere concepito come un film, e di conseguenza la struttura molto particolare delle canzoni.

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Mai nome è stato più azzeccato di The Providence. Infatti, contestualizzandolo con l’immaginario horror di questo progetto sardo, grazie al nome si può risalire al memorabile scrittore H.P. Lovecraft, colui che dalla ridente cittadina di Providence appunto riuscì a rivoluzionare per sempre la narrativa horror, creando fra l’altro una specie di mitologia mostruosa a cui si ispirano ancora adesso vari artisti delle più differenti estrazioni. Solo che, nonostante questo tipo di ispirazione, The Providence (che più precisamente ha preso il nome ispirandosi al film “Danza Macabra” di Antonio Margheriti, film girato nel 1964) ha veramente poco a che fare con il metal, pur ben sapendo che Bloody Hansen è un nome non nuovo nel nostro ambiente dato che, per dirne una, ha curato l’outro del validissimo “Etrom” dei calabresi Carnal Gore. Sì, perché la musica quivi presentata è un altro di quegli esperimenti che ormai stanno dominando le pagine di Timpani allo Spiedo, e devo fin da subito dire che presenta delle caratteristiche indubbiamente molto interessanti.

Infatti, prima di tutto, vi è un così profondo amore per la cinematografia horror che praticamente in ogni pezzo (da notare che in tutto sono 13, numero porta(s)fortuna nei paesi anglosassoni) vi sono degli spezzoni tratti da vari film del genere, fortunatamente anche in italiano nonostante i titoli sempre e solo anglofoni delle canzoni, riuscendo così a rendere sicuramente più atmosferico tutto l’insieme.

Questo aspetto si lega coerentemente con la natura spesso melodica eppur non poche volte lugubre della musica, anche quando diventa più tradizionalmente rock, dato che così facendo si entra in pratica nel punto di vista delle vittime dei film horror, rendendo di conseguenza palpabile la loro disperazione. Ed in questi casi, la melodia diventa veramente avvolgente non soltanto per la mole degli strumenti presenti ma anche perché è stato fatto un lavoro certosino sulle due chitarre, seppur l’assolo vero e proprio non sia una parte importante del progetto (l’unico si fa vivo in “Don’t Go to Town”).

Altra caratteristica importante di The Providence è l’ossessività a volte paranoica che anima la musica. E’ quel tipo di ossessività che rende del tutto inconcludenti le varie canzoni, e attenzione che questa non è una critica negativa bensì positiva. Ciò perché è come se l’album fosse stato concepito come un film, nel quale la ripetizione morbosa degli omicidi, dei dettagli raccapriccianti, rimanda sempre al finale, pregno di tutti i significati precedenti solo intensificati per l’occasione. Ed in questo film, il Bene è sempre destinato a morire, perché incapace di risolvere, di comprendere il Male, storicamente quasi sempre vincitore (ragion per cui è il Male che è banale, non il Bene, come si dice spesso).

Certo, quest’ossessività (che comunque spesso implica incredibilmente pezzi da 2 – 3 minuti) ha anche i suoi risvolti negativi. Infatti, il lavoro della batteria elettronica, pur essendo in certi punti molto interessante, risulta a volte un po’ troppo statica, incapace di enfatizzare per quel poco di più tutta l’atmosfera. Solo in pezzi come “Slasher” si mostra più dinamica del solito, e peccato perché così facendo avrebbe reso tutto più imprevedibile proprio com’è il Male.

L’ossessività si riflette inoltre anche nel cantato, spesso molto vicino alle urla black metal. Sì perché, in quelle poche canzoni in cui si presenta (la semi – blackeggiante “Tall Man” e “Slasher”), esso risulta praticamente ancorato a quelle 2 parolette, preferendo quindi un lavoro essenziale nel quale l’essere umano è strozzato dal Male che lo circonda. Però sarebbe stato interessante usarla di più, dato che gli esperimenti funzionano e non poco. (ricordo che The Providence è un progetto quasi esclusivamente strumentale).

La musica del nostro però si avvale anche di passaggi più ambientali nei quali le tastiere assumono un ruolo primario, seppur non manchino soluzioni ancora più anomale e d’effetto, come la voce di un bimbo piccolo piccolo la cui gioia diventa pressoché inquietante (“Coming You”). Curioso constatare inoltre come alcuni momenti ambient, magari apparentemente più sereni, mi abbiano ricordato le colonne sonore di alcuni videogiochi, anche in formato flash (i primi che mi vengono in mente sono il complicatissimo The Umbrella Adventure e il nostalgico Symon). Da ciò si può intuire il lavoro di fino di Bloody Hansen per rendere mai ripetitiva la propria creatura.

E’ stato inoltre abbastanza intelligente la scelta di dare una parvenza più epica e pericolosa all’ultimo pezzo, “Rosemary”, che infatti è l’episodio più lungo di tutto il lotto, visto che dura la bellezza di 10 minuti. Certo, la canzone a volte pecca di prolissità gravando quindi sull’emotività, ma è anche vero che non si può avere tutto dalla vita (a dire il vero quasi niente ma questo è un altro conto...) e soprattutto gestire canzoni di una durata simile non è mai e poi mai semplice.

Voto: 74

Claustrofobia
Scaletta:
1 – Coming You/ 2 – Tarot for the People Train/ 3 – Interlude for the Dead/ 4 – Take a Look Through the Hills/ 5 – Never Sleep Again/ 6 – Tall Man/ 7 – Everything Comes the Blind/ 8 – Slasher/ 9 – We Eat You At Midnight/ 10 – Cursed/ 11 – Death Bag/ 12 – Don’t Go to Town/ 13 – Rosemary

MySpace:
http://www.myspace.com/horrorprovidence