Thursday, August 5, 2010

Hobnailed - "Inhuman Doomsday Scenario" (2010)

Ragazzi, dopo aver finito di trascrivere la rece su Word, ho saputo da Metal-Archives che il cantante Andrea “Babu” Malfatto purtroppo ci ha lasciati il 18 del mese scorso. Ciò che leggerete sarà quindi dedicato a Lui, che ha regalato ai posteri l’ultima sua testimonianza artistica. E non importa se non l’ho mai conosciuto di persona. Merita rispetto lo stesso.

Ciao Babu!

1. INTRODUZIONE.
Il mese di Maggio è stato un periodo veramente molto strano, il periodo delle ricomparse, dei gruppi che addirittura più di un anno dopo il primo contatto si sono rifatti vivi, ricordandomi di me e della mia ancor modestissima rivista. Prima è successo, come si è recentemente visto, ai grandiosi black/deathettoni siciliani Aposthate ed ora tocca al turno dei ferraresi Hobnailed, i quali, precisamente nella persona di Mario Ranieri, chitarrista del quartetto, sono andati anche ben oltre; mi hanno infatti mandato per posta tradizionale la propria nuova opera, figurando quindi tra le formazioni di cui conservo gelosamente, come un guardiano, i dischi originali (e ce ne saranno ancora parecchi!). Veramente molto strano il mese di Maggio. Avrà forse influito l’eccezionalità di quella maledetta pioggia che è caduta fino a molte settimane fa sulle nostre teste ormai battute da un sole incessante e spacca-pietre? Mah, chissà.

2. PRESENTAZIONE EP.
Gli Hobnailed, nati nel lontano 2003 ed attualmente costituiti, oltre che da Mario, da Andrea “Babu” Malfatto voce, Andrea “Sque’” Squerzanti basso, e Nico Malanchini batteria, durante l’inizio di Maggio hanno rilasciato, dopo tante peripezie (vi segnalo a tal proposito che il disco era già pronto nel Gennaio dell’anno scorso, guarda caso nello stesso periodo in cui li ho contattati – pure loro? Eh sì, gli Aposthate insegnano!) e presso la stessa etichetta del cantante, cioè la lovecraftiana Horrors of Yuggoth, l’ep “Inhuman Doomsday Scenario”, pargolo che segue di ben 4 anni il primissimo demo “Smell of Rotting Life”. Ed ammirando la magnifica e spettrale copertina (disegnata proprio da Babu) della nuovissima opera, nel quale rintraccio sia forti richiami a quelle del brutal moderno (e qui ecco in mio aiuto l’allucinante verdastro nella sua parte superiore) che i disegni “spartani” e malati tipici della vecchia scuola del death, si potrebbe già capire (beh, oddio…) con quali pezzi dall’alone terrificante si ha a che fare, e mi dispiace che finora è stato un genere trattato abbastanza poco nelle pagine di “Timpani Allo Spiedo”: il brutal. E così i nostri ci rimbombano sadisticamente i timpani attraverso 4 canzoni condite all’incirca per un quarto d’ora di durata, proponendo a mio parere un brutal nuovo stampo, ossia bello isterico e pieno di cambi di tempo, piuttosto tecnico ed abbastanza vario e fantasioso seppur senza esagerare, ed ovviamente (quasi) povero di melodie. E devo dire fin da subito e senza tanti convenevoli che tutto questo marasma sonico mi è tremendamente piaciuto, cosa a dire il vero quasi scontato da sottolineare dato che finora la maggior parte dei dischi brutal da me recensiti (dai rozzi ma con una buonissima inventiva Engorgement in Veins agli eleganti e “positivisti” Fleshgod Apocalypse, per finire con i più grindsters, diretti e semplici Dr. Gore) mi hanno fatto quest’effetto ed in pratica solo gli assurdi e psicotici Putridity non son riusciti nell’impresa, pur apprezzando la loro originalità. Eppure credo che si potrebbe limare qualcosina per quanto concerne l’ep dei ferraresi, di cui parlerò naturalmente nei paragrafi appositi, seppur non sia nulla di così effettivamente grave.

Molto interessante è secondo me la struttura stessa dei pezzi, che se non sbaglio si muovono su coordinate caratteristiche del brutal più moderno, anche se qui non si raggiunge la complessità estrema cara a formazioni quali gli Embryonic Depravity o gli stessi Putridity, che sostanzialmente da questo punto di vista sono quasi imprendibili ed incomprensibili. Infatti, rispetto a loro, gli Hobnailed sono in un certo senso più attenti a proporre uno schema che si avvicina a quello classico del Metal, magari offrendo persino un qualcosa che abbia a che fare da vicino con lo schema strofa-ritornello, che comunque si trova soltanto nella sola “Repugnance Towards Purity”, e precisamente nei momenti iniziali della canzone si sciorina se non sbaglio un 1 – 2 – stacco di batteria – 1 – 2 – 3 – pausa brevissima – 4 – 2. Inoltre, viene data una particolare importanza alle sequenze più o meno fisse di soluzioni, e quel “più o meno” sta a significare che esse vengono spesso e volentieri modificate, e tale discorso riguarda con una buona frequenza le battute che interessano un passaggio, come nello stesso schema strofa-ritornello di cui sopra, oppure nel finale di 3 – pausa – 4 – 2, dove in entrambi i casi l’ultima soluzione è sottoposta, nella propria ultima apparizione, ad una sola mezza battuta in luogo se non erro della precedente una intera. Non poche volte invece dentro una sequenza viene aggiunto un altro passaggio, di solito una variazione di quella del tema successivo, proprio come succede sia in “Paroxysm of Virulent Intercourse” che, ma in misura leggermente diversa, in “Mocking the Wretched”. Nella lunga sequenza rappresentata a grandi linee dall’1 – 1 mod. – 1 anc. mod. – 1 anc. mod.2 della prima canzone sopraddetta, e precisamente nella sua seconda ed ultima apparizione, non solo vengono eliminati i due stacchi iniziali (il primo tra l’ 1 e l’1 mod., mentre l’altro tra quest’ultimo passaggio ed il successivo) ma viene variato enormemente lo stesso 1 mod., già molto imprevedibile e dinamicissimo in precedenza. E tale “sballamento” viene secondo me previsto ottimamente dalla stessa improvvisa e nuova variazione della stessa 1 mod., la quale è in sostanza un suo repentino e breve rallentamento. In “Mocking the Wretched” il discorso è un po’ diverso perché, in luogo del precedente 2 – 3 – 3 mod., viene completamente eliminata la soluzione che sta al centro di tale mini-schema, così da sostituirla con il 3 anc. mod.. Insomma, la musica qui è piuttosto isterica, cosa che forse aumenta ulteriormente se si pensa che da queste parti le battute, quasi perennemente modificate, non superano mai e poi mai il massimo di 4, e che, e ciò è ancor peggio, i differenti passaggi vengono sottoposti in poche occasioni ad una sola battuta oppure a delle vere e proprie “malformazioni” durante il loro discorso, nel senso che questo viene bruscamente bloccato in modo da offrire in sostanza delle mezze battute, come avviene con una particolare enfasi per l’1 di “Ode to Gangrening”, il quale, povero lui, viene storpiato sempre e comunque. E bisogna dire inoltre, come ultima cosa, che gli Hobnailed sono uno di quei gruppi che non esagera poi così tanto con gli stacchi, tant’è che sia in “Repugnance Towards Purity” che in “Mocking the Wretched” se non sbaglio essi non superano le 2 apparizioni, e tra l’altro a mio parere vengono usati pure abbastanza bene, visto che sono spesso brevissimi, delle vere mazzate in solitario, oltre che persino non poco fantasiosi, dato che in pratica ogni strumento ha un suo perché durante questi saettanti momenti, il che aumenta probabilmente l’interesse nell’ascoltatore.

Per quanto concerne invece la buonissima produzione del disco, prima di tutto è da segnalare che essa è indicata molto per chi adora a più non posso i suoni puliti, ormai caratteristici del brutal. Tutto si sente piuttosto bene, anche se non è stata secondo me data una particolare enfasi alla traballante cassa, il cui suono, almeno in certi momenti, mi è apparso alle volte debole e quindi non esattamente comprensibile, e ciò specialmente quando il suo discorso non è continuo e fissato sul doppio pedale (attenzione, ascoltando l’opera direttamente con le cuffie, sarà quasi scontato farvelo osservare, ma la cassa la si becca con più facilità). Rispetto ad alcune produzioni tipiche del genere, le frequenze di “Inhuman Doomsday Scenario” mi paiono basate sui medi, mossa a mio parere molto azzeccata in quanto così facendo si tende a non nascondere su volumi assordanti l’impatto della musica, in modo anche di non arroventare in poco tempo i “malcapitati” timpani (che spiegazioni pseudo-tecniche che do’!) di chi ascolta.

3. ANALISI STRUMENTI.
La voce del nostro Babu è terrificante. Sì, perché, durante tutto l’arco dell’ep, scorrazza “allegro e felice” con dei vocalizzi che sono dei perenni grugniti abbastanza bassi, seppur non esattamente gutturali ed estremi. Riescono a dare secondo me un ulteriore atmosfera a tutto l’insieme, e tra l’altro sono piacevolmente a mono tono, come a voler dare l’impressione di un uomo agonizzante in una gabbia minuscola e senza nessuna via di fuga, “vivendo” ogni giorno come se fosse il primo in cui ha messo il piede per la prima (ed ultima) volta in quel manicomio su scala nana. Il tormento è sempre lo stesso. E quindi, direte voi, è tutto qui? Eh no, perché il nostro, ma solo in (poche) occasioni, riesce a dare un tocco maggiore di depravazione eruttando dalla propria gola dei veri e propri gutturalismi acuti in pieno stile vecchi Prostitute Disfigurement, però espressi in maniera meno lancinante ed estrema. Ciò è dovuto a mio parere molto al fatto che tali vocalizzi si fanno vivi sempre e comunque insieme a quelli principali, questi quasi onnipresenti, così che alla fine, pur dando l’impressione di una mente continuamente e brutalmente sgozzata e violentata anche perché l’uomo di cui sopra non ha nessuna concreta possibilità di suicidarsi, le linee vocali, e di conseguenza la potenza della voce, non risultano sfruttate totalmente a dovere. Credo infatti che ai vocalizzi maialeschi dovessero essere attribuiti anche degli interventi più in solitario, in modo da usare la loro carica rivoltante per dare ulteriore fastidio (ed effetto) verso i timpani dell’ascoltatore. Buona comunque l’idea di relegare in secondo piano tale tipo di voce, e ciò perché a lungo andare, se utilizzata con notevole frequenza come faceva appunto qualche tempo fa la sopraccitata formazione olandese, l’effetto da poco descritto perde secondo me il proprio fascino immensamente perverso, considerando pure la sua poco espressività. Da notare inoltre che Babu non fa un grande uso degli effetti, tant’è vero che se non sbaglio ce n’è uno soltanto nel finale di “Paroxysm of Virulent Intercourse” in cui si conclude il brano con uno spaventoso e cavernoso eco tempestivamente innestato sulla voce.

Ottimo il lavoro di Mario che, pur non essendo così vario e fantasioso ma neanche così monolitico, riesce a regalare una buona dose di riffs il cui tasso di complessità, sia tecnica che strutturale, non mi sembra abbia a che fare con quelli che spesso tirano fuori gruppi tecnicissimi come gli Psycroptic, rientrando perlopiù nell’area più classica del brutal moderno. Tra l’altro, nonostante ci sia solo uno dietro le asce, la loro potenza, dal suono pieno e compatto, è tremendamente notevole. L’andamento del riffing è solitamente piuttosto dinamico, e ad esempio si passa da schitarrate belle malvagie ed un pochino più minimaliste del previsto, le quali possono essere anche sporcate da seppur vaghe influenze thrasheggianti, come succede in “Repugnance Towards Purity”, mentre nell’ultima “Mocking the Wretched” fanno capolino delle melodie intrise di una cattiveria assurda, come beffarde e senza pietà. La melodia, però, in un modo completamente diverso, molto più movimentato e, sempre se si possa usare tale termine, più “solare”, è presente pure in “Paroxysm of Virulent Intercourse”. Curiosamente da queste parti si è abbastanza restii a vomitare soluzioni dal piglio schizofrenico, quelle cioè che in maniera brusca e dolorosa, vengono “abbellite” tramite delle note più acute, e da questo punto di vista si possono prendere come esempio-principe “Repugnance Towards Purity” e, in misura più tipica ma con meno frequenza, nella stessa “Ode to Gangrening”. Per quanto riguarda le partiture più lente mi è piaciuta molto la (quasi) assenza di quei minacciosi riffs “grattati” e da pelle d’oca tendenti a certo doom, i quali ultimamente nel genere stanno sempre più andando di moda – brutta parola se usata per il Metal estremo. Ed infatti, Mario ha avuto la buona idea di reinterpretarli rendendoli più freschi e quindi non banali e/o scontati (a tal proposito si sentano gli incubi strazianti di “Repugnance Towards Purity”) ma, come ormai è classico del genere, anche negli Hobnailed la chitarra solista quasi non esiste, preferendo quindi un approccio più diretto e meno cervellotico, e se per voi quest’osservazione, riferita ad un disco di tal fatta, è superflua, allora vi consiglio di ascoltare l’apocalisse perpetrata dai Fleshgod Apocalypse. In sostanza, l’unica sovraincisione di chitarra che ho beccato in tutti e 4 i pezzi è stata nella sola “Ode to Gangrening”. In tale occasione, la solista è secondo me completamente azzeccata, dato che, con interventi brevissimi anche se non proprio violenti e comunque basati sulle note più acute che paiono urla assurde, riesce a chiudere brillantemente il discorso della compagna. Il nostro però non si ferma soltanto a questo “piccolo” dettaglio, ma va oltre, anche se comunque pure qui si rimane nella più pura classicità. Infatti, ecco che in “Ode to Gangrening” viene vomitato un assolo isterico e semi-rumorista, e tra l’altro di una brevità saettante, ma comunque il capolavoro a mio parere lo si raggiunge nella seguente “Mocking the Wretched”, dove il solismo assume forse un’impronta più personale, visto che non è altro che una melodia terribilmente malvagia ed amara, creando così un’atmosfera veramente da brividi. Inoltre, tale assolo, rispetto al precedente, possiede un’importanza maggiore anche perché è stranamente lungo tanto da occupare qualcosa come 7 battute e mezzo, cosa che lo rende ulteriormente azzeccato per il brano stesso, in modo da trasmettere ancora di più il beffardo odio verso i tormenti del miserabile. Avrei preferito a dir la verità un uso maggiore dei solismi, dato che finora non ho mai sentito un gruppo brutal dare loro un’importanza fondamentale (a parte i leggendari – per la posizione che occupano nella storia della nostra cara musica – Excoriate, che però puri brutallari non erano) e soprattutto visto l’effetto ottimamente atmosferico presentato, anche perché nel genere se non erro si tende ad eruttare note caotiche come in “Ode to Gangrening” e quindi consiglio a Mario di procedere sulla strada di “Mocking the Wretched”. Interessante poi il rigore strategico con cui è stata utilizzata la chitarra solista, una strategia (semi)-progressiva che nelle ultime due canzoni fa esplodere il tutto con immane ferocia, ma stranamente non ho trovato poi così malato ed efficace il primissimo assolo, più che altro nella sua parte conclusiva, forse fin troppo sbrigativa e nella stessa scelta delle note finali, che non raggiungono l’effetto probabilmente desiderato. L’ultima considerazione riguarda la quasi totale assenza della chitarra durante gli isterici e funambolici stacchi, caratteristica abbastanza rara in campo estremo, tant’è vero che sia in “Paroxysm of Virulent Intercourse” che in “Ode to Gangrening” essi non sono mai e poi mai attribuiti all’ascia di Mario, anche se assume un’importanza un poco maggiore nelle introduzioni dei vari pezzi, come succede sia in “Repugnance Towards Purity” (qui però è preceduto da una batteria solitaria) che specialmente in “Mocking the Wretched”.
Ed ora parliamo del basso, il cui lavoro a grandi linee non si discosta poi così tanto da quello classico di questo strumento, ergo non aspettatevi cose a là Ghouls oppure a là Sacradis, eppure ciò che Sque riesce a sputare in quest’opera secondo me è veramente da apprezzare, ed a tal proposito si prendano soprattutto gli stacchi di “Paroxysm of Virulent Intercourse” (ben 2, ed il secondo insieme alla voce) e l’unico in solitario di “Ode to Gangrening”. Stacchi fulminei eppur “ingentiliti” (bel paradosso) dal suono per niente “ignorante” ma per nulla raccomandabile del basso, il quale addirittura introduce, in coro con Nico, l’ultima canzone sopraccitata, dimostrando ancora una volta di essere sfruttato veramente bene, in modo da dare un tocco in più di fantasia a tutto l’insieme.
Se è per questo non ha niente da invidiare neanche la batteria. Prima di tutto, devo fare i complimenti per il suono scelto, decisamente molto lontano dalle triggerate (anche se belle potenti) un poco “plastiche” di molti produzioni brutal, preferendo invece qui sì per un approccio pulito ma dal taglio più genuino rispetto ad altre formazioni. Ma per chi vuole uno stile molto vario e fantasioso, come potrebbe essere quello di Rasez degli appena recensiti Aposthate, allora mi sembra giusto segnalare che Nico, da perfetto brutallaro, ama da morire i ricami continui e lineari di una doppia cassa impazzita ed incontrollabile, ed infatti solo pochissime volte questa viene sostituita da discorsi diversi del solito, come nel breve momento doomeggiante di “Paroxysm of Virulent Intercourse”, mentre se non erro nella precedente “Repugnance Towards Purity” ci sono anche dei lontani richiami al thrash, visto che viene eruttato un tupa-tupa non molto veloce accompagnato da una cassa seghettata e quasi nervosa. Ma nonostante i tempi veloci la fanno assolutamente da padroni, le ritmiche più groovy, anche se spesso e volentieri inframmezzate da dei continui cambi di tempo, hanno un proprio bello spazio, sia nella forma più classica dei rallentamenti tipici del genere, sia in quella più personale, come in “Ode to Gangrening”, in cui tra l’altro nei momenti interessati si può far vivo pure un pericoloso e squillante ride. Mi sono reso conto inoltre che probabilmente è proprio nei tempi meno sostenuti che Nico riesce a dare un’impronta più riconoscibile, come nelle trame disturbanti ed a-lineari dello stesso pezzo sopraccitato, oppure nei tom-tom + piatti di “Mocking the Wretched”, e quindi il nostro si dimostra talvolta capace di regalare forse più interesse anche agli ascoltatori più esigenti. L’andamento del discorso è molto movimentato ed imprevedibile, seppur Nico non paia molto interessato a variare uno stesso pattern in diversi modi, come invece farebbe benissimo Stefano Franceschini dei romani Ghouls, eppure non mancano delle vere e proprie genialate in tal senso, come in “Repugnance Towards Purity”, dove nell’ultima apparizione della primissima soluzione del pezzo il lavoro del ride viene completamente capovolto, e tra l’altro tale variazione non l’ho percepita subito ai primissimi ascolti, dunque l’ho trovata ulteriormente da ammirare. Da notare infine che la batteria agisce non poche volte da propulsore, in quanto, come nello stesso brano sopraccitato, ed insieme al basso in “Ode to Gangrening”, fa partire il discorso attraverso agili interventi, pur avendo un’importanza minore per quanto concerne gli stacchi.
4. IL PEZZO MIGLIORE.

Per quanto riguarda invece la canzone che più mi ha entusiasmato del lotto, la scelta mi è stata piuttosto facile dato che l’attenzione è caduta immediatamente su “Mocking the Wretched”, cioè l’episodio conclusivo, e tale considerazione non riguarda soltanto il particolarmente lungo e melodico assolo di chitarra perché comunque ho intravisto in questa canzone vari spunti d’interesse, e tutti secondo me si mostrano coerentissimi con il concetto stesso di fine disco.
Infatti, prima di tutto, è l’unico pezzo che presenta uno spezzone (lungo circa 24 secondi) totalmente in italiano e che sembra sia stato preso da un film con Charlton Heston, vista la voce del suo doppiatore storico. E la scelta della scena a mio parere è completamente azzeccata, in linea anche con il titolo del brano, che in pratica è una specie di monito rivolto ai cosiddetti uomini “soddisfatti e ben pasciuti come porci” ed a quelli con “occhi di bue”, e l’ultima frase è tremendamente esplicita: “Vi rendete conto che questa può essere la vostra ultima ora?”. In quest’ep tale spezzone viene forse usato per denunciare gli individui ciechi e che si accontentano semplicemente di soddisfare soltanto i propri bisogni materiali, come se la realtà circostante fosse fatta di cartapesta, sciupando di fatto il proprio tempo così da utilizzarlo soltanto per l’appropriazione senza fine e ghiotta di materia?

Il secondo spunto d’interesse è rappresentato ottimamente dal finale infinito, che in sostanza è l’unico momento dell’intero disco ad essere ripetuto per molte (e molte) battute, dissolvendosi nell’eternità, come se quella famosa ora si fosse fermata all’improvviso senza che l’infelice abbia avuto l’opportunità di vedere cosa sarebbe successo dopo. Ma il tormento continua, completando in maniera veramente esemplare l’introduzione parlata, il suo monito, in modo da rappresentare l’infinito errore egoistico (anche verso la propria persona) la cui importanza e stupidità verranno ricordati sempre nei secoli, fungendo così lo stesso finale da monito;

il seguente aspetto fondamentalmente è legato al finale eterno (che si protrae dal momento della sua apparizione, su un angoscioso tempo medio abbastanza lineare e su doppia cassa, alla fine circa per un minuto), e riguarda per l’appunto il minutaggio della canzone. A tal proposito, grazie ad esso qui si riesce a superare “Repugnance Towards Purity” attraverso qualcosa come 14 secondi in più che fanno in totale 4 minuti e 20.

Ma a mio parere “Mocking the Wretched” possiede un legame con “Ode to Gangrening” molto profondo e di certo non percepibile all’istante, e che risulta determinato dalla struttura dei due episodi, per certi versi decisamente similare.
Prima di tutto, lo schema della prima canzone è approssimativamente il seguente: introduzione di chitarra – 1- stacco collettivo – 2 – stacco di chitarra + voce – 2 – 3 – 3 mod. – stacco di chitarra – 4 – 4 + 3 – 4 + 3 (assolo) – 2 – 3 anc. mod. – 3 mod. – 5 – 3 anc. mod. – ennesima modificazione del 3, però all’infinito. Nei momenti iniziali dei pezzi interessati si fanno vive rapidamente le prime 3 soluzioni, di cui una viene ripresa subito dopo uno stacco (in “Ode to Gangrening” è il primissimo passaggio), mentre un’altra, ossia la terza, viene sottoposta ad una modificazione, che negli Hobnailed concerne quasi sempre sia il riffing che le ritmiche, solo che in “Mocking the Wretched” tale variazione non aggiunge l’esistenza di una sequenza più o meno fissa di soluzioni che si ripetono consequenzialmente nel tempo, contrariamente all’altra canzone, che grazie al 3 mod. fa partire una specie di strofa-ritornello con la sua origine. Poi, in entrambe si presenta uno stacco che in “Mocking the Wretched” evolve il discorso attraverso il 4, cosa che non succede per niente in “Ode to Gangrening”, in cui invece si riprende l’1 – 2 precedente. Nel mio brano prediletto comunque dopo lo stacco viene eruttato la prima ed unica combinazione di passaggi dell’intero disco, in modo da formare la melodia sui cui si costruirà l’assolo, il quale curiosamente anche in “Ode to Gangrening” interessa la quarta soluzione e tra l’altro in entrambe ha una posizione molto simile che quasi tocca i momenti finali del brano, come se si trattasse in effetti dello schema che più classico non si può. Ma da questo punto di vista vi è persino di più, dato che, non so se sia un caso o meno, dal passaggio successivo in poi sono sempre 6 i cambiamenti di soluzioni che si susseguono sequenzialmente. Successivamente, si conclude la canzone con 2 ulteriori modificazioni (in “Ode to Gangrening” sono le stesse di prima) dopo aver ampliato ancora di più il discorso con la quinta soluzione (ennesimo legame). Diverse sono invece la costruzione delle battute e la quantità di stacchi presenti, considerando che le prime in “Ode to Gangrening” sono brevi e saettanti, mentre i secondi sono una parte oserei vitale di quest’ultima canzone visto che ce ne sono se non sbaglio ben 5.

Si può quindi dire alla luce di tutte queste considerazioni che “Mocking the Wretched” estremizzi praticamente quasi in toto il discorso di “Ode to Gangrening”, proponendo fra gli altri una maggiore libertà strutturale costituita da una presenza largamente minore di sequenze più o meno fisse di soluzioni, le quali esistono pure qui, ma in maniera un poco nascosta (avete presente il 2 – 3 – 3 mod. dei momenti iniziali del pezzo? In quelli di poco finali il 3 di mezzo viene ulteriormente modificato e comunque l’unica sequenza che c’è è costruita su un numero di battute decisamente variabile ed imprevedibile, togliendo così ancora più appigli a chi ascolta), e notevole importanza possiedono anche proprio i pochissimi stacchi presenti, che dimostrano non soltanto ancora una volta la capacità del gruppo di variare da brano a brano, ma pure l’interessante abilità di creare un insieme fluido ed incontrollabile che viene potenziato solo con le proprie armi, “pesando” quindi sull’ascoltatore, che in caso contrario avrebbe avuto un qualche “riposo” sonico in più. Insomma, credo che tale promettente caratteristica in futuro dovrebbe essere maggiormente sfruttata a dovere, anche perché in campo estremo mi sembra che degli stacchi si abusa fin troppo.

5. CONCLUSIONI.
Beh, ragazzi, la rece sta volgendo al termine (“finalmente!”, dirà qualcheduno) e quindi, riassumendo, il brutal puramente moderno degli Hobnailed sa essere tecnico ma senza esagerare risultando forse (paradosso benvoluto) abbastanza accessibile, anche perché hanno avuto la buona pensata di arricchire il discorso con delle trovate melodiche di varia natura che strutturalmente non sono poi così difficili da digerire, e che talvolta riescono a dare un’atmosfera nera a tutto l’insieme (attenzione però, che è veramente arduo superare in tal senso le vette immani e spaventose degli Shredded Corpse), eppure, nonostante ciò, le chitarre non sono state secondo me completamente sfruttate (leggasi l’assolo sbrigativo di “Ode to Gangrening” e l’uso probabilmente fin troppo ponderato dei solismi, i quali sono in grado di dare quell’onta di pece e di intensità che alle volte mi paiono mancare nei pezzi, cosa che comunque si può anche spiegare grazie al paragrafo precedente, ergo quest’ultimo è un difetto per certi versi secondario), né i gutturalismi acuti riescono a regalare alla musica quel senso totale di depravazione che a mio parere giustamente dovrebbero dare, e per ultima c’è una cassa che in certe occasioni può sembrare deboluccia e senza forza. E per quanto riguarda quello che considero come il principale punto di forza del gruppo in quest’ep, devo dire che la scelta è stata particolarmente difficile, ma alla fine ce l’ho fatta, facendo cadere la mia attenzione sulla struttura stessa delle canzoni, che tiene sempre sul filo del rasoio attraverso un andamento molto dinamico e nervoso e che fra l’altro sa dimostrarsi pure abbastanza varia e fantasiosa, magari rendendo visibili dei buoni spunti futuri, come può essere benissimo la già citata capacità del quartetto di non dare tregua a nessuno offrendo anche una miseria di stacchi. Da applaudire anche i bruschi e lancinanti finali, delle vere e proprie coltellate che spesso concludono improvvisamente un brano. Però, comunque si vedano le cose, “Inhuman Doomsday Scenario” è a mio avviso un disco che mostra ulteriormente come se la passa il rivoltante brutal nel nostro paese, che lentamente si sta sempre più infettando tramite questa folle e malata evoluzione del death metal.

Voto: 82

Claustrofobia

Scaletta:

1 – Repugnance Towards Purity/ 2 – Paroxysm of Virulent Intercourse/ 3 – Ode to Gangrening/ 4 – Mocking the Wretched

MySpace:
http://www.myspace.com/hobnailed