Thursday, March 28, 2013

Secretpath - "Wanderer" (2011)

2° Demo autoprodotto (Dicembre 2011)

Formazione (2008):     Paolo Ferrante – voce;
                                      Lisa Bilotti - alcune liriche;
                                      Pierluigi “Aries” Ammirata – chitarre;
                                      Giovanni de Luca – basso;
                                      Francesco “Storm” Borrelli – batteria.

Località:                       Cosenza, Calabria.

Miglior canzone del disco:

“I’m Your Guide” senza nessun’ombra di dubbio.

Punto di forza del demo:

la sua “ignorante” raffinatezza.

Copertina: Fabrizio "Metaphobia" Pavia

Secretpath… ecco quando un nome non viene scelto a cazzo, riflettendo così perfettamente non solo le liriche trattate ma anche, cosa ancor più importante, la musica stessa. E questa musica mi ha così entusiasmato che “Wanderer” è diventato a poco a poco parte della mia top ten di quest’anno (sì, vabbè, il demo è del 2011 ma sinceramente ‘sti gran ciufoli), nonostante il primo approccio con il gruppo non sia stato dei più favorevoli, perché quando ho saputo su Metal – Archives il genere da loro suonato (cioè il black/death melodico) mi aspettavo tutto tranne che un capolavoro. Per non parlare dell’aspetto da bravi ragazzi che inganna totalmente. Perché i Secretpath hanno due caratteristiche a loro favore: 1) sono originali; 2) sono folli. Per questo fa piacere sapere che i Secretpath hanno da poco firmato per la Art Gates Records, giovane etichetta spagnola di cui ho recensito già parecchi dischi. Ma questi, cazzo, già sono da considerare come i migliori della label. Però basta con gli elogi gratuiti e andiamo ad analizzare in lungo e in largo questo strano parto di metallazzo estremo.

Prima di tutto, devo avvisarvi di una cosa: il disco dura quasi mezz’ora, quindi le canzoni sono spesso belle lunghe, raggiungendo volentieri i 6 minuti di durata. E questo è già un pregio, perché non è mai facile gestire dei pezzi con un minutaggio simile.

Adesso che vi sento più sicuri (anche se sicuramente qualcuno di voi se ne sarà scappato a mouse levato), posso dire che sì, effettivamente i nostri suonano black/death metal melodico ma il riffing non è poi così standard. Infatti, le melodie sono enigmatiche e contorte, spesso terribilmente imponenti. Raffinatezza è la parola giusta, tanto che la musica classica sembra aver influenzato pesantemente questi ragazzacci. Il bello è che non viene mai proposto un assolo, se non in modi poco convenzionali (quello della fuga di “I’m Your Guide” potrebbe essere considerato un assolo, seppur sia completamente malato e non appoggiato da una chitarra ritmica). Il lavoro di chitarra è in un certo senso essenziale, visto che quasi mai c’è una seconda chitarra che completa, magari rinforzandola, la melodia principale, cosa che comunque non servirebbe data la complessità di quest’ultima. Insomma, è un’eleganza che non è mai pesante o noiosa, anche perché spesso e volentieri sa essere di una cattiveria veramente notevole.

Fra l’altro, il gruppo dà una bella importanza ai momenti acustici, specialmente dopo “In Praecipiti Esse”, il brano centrale, che è da considerarsi a parte essendo appunto totalmente acustico. E trasmette pure un’inquietudine spaventosa, anche grazie all’uso accorto delle percussioni e soprattutto della voce pulita.

Sì, avete letto proprio bene. Già vi vedo inorridire ma niente paura, come in tutte le cose, i Secrepath sorprendono anche nell’uso della voce pulita, che va dall’imponente al parlato, oppure dall’ammaliante (beh, più o meno) al tenebroso (e qui la suddetta “In Praecipiti Esse” è un esempio come nessun altro). Ma ovviamente i vocalizzi di stampo estremo danno il loro fondamentale apporto. In questo caso, ci si alterna fra un grugnito incredibilmente cupo (che in “I’m Your Guide” diventerà addirittura gutturale come nemmanco in un gruppo brutal) e un urlo spesso bello sofferente che in “The Dark Forest of My Insanity” si fa, come dire?, strozzato. Quindi, è assodato che i nostri non si fossilizzano neanche riguardo l’impianto vocale, meglio così.

Si mostra molto interessante anche la struttura dei pezzi. Inizialmente, questi sono fondati di solito su uno schema sequenziale ripetuto pedissequamente per 2 volte, come in una classica struttura a strofa – ritornello. Poi, si prende il largo, magari proponendo delle pregevoli fughe strumentali, che costituiscono spesso e volentieri il climax del brano, o almeno la base del climax stesso. Inoltre, nella metodologia strutturale dei Secretpath è molto importante il batterista, che dona dinamicità alle canzoni grazie alle differenti variazioni ritmiche anche su un singolo passaggio.

Altra caratteristica decisiva proviene dalla varietà dei pezzi, ognuno dei quali ha una forte personalità. Per esempio, “The Dark Forest of My Insanity” ha una lunga incursione in un doom malato; “… and So I Return to the River” presenta una melodia disperata (e quindi più standard del solito), oltre che un’alternanza continua fra i momenti estremi e quelli puramente acustici, segnando una predominanza della voce pulita (completamente assente in “Essence of Chaos”); infine, in “I’m Your Guide” vi è praticamente di tutto, fra cui alcuni dei vocalizzi più disturbanti dell’ep, momenti groovy dal forte accento epico, una prestazione solista del batterista quasi alla fine del pezzo che risolve sostanzialmente tutto… e un finale dominato da un semplice arpeggio acustico da brividi come pochi. Insomma, l’ultimo è un brano immenso, porca puttana!
   Secretpath - Photo
Ho detto così tante cose sui Secretpath che sto sudando alla grande (a parte che adesso ho pure un leggero mal di testa… ieri a forza di giocare a tennis inglese – il cosiddetto badminton - sotto un fottuto cielo nuvoloso con un’amica ho rischiato l’autodistruzione… fortuna che ho vinto io). Anzi no, mi sono scordato della buona prova del basso (sentite i suoi inventivi giri in “Essence of Chaos”), e della pulitissima produzione , l’unica cosa che non mi piace del tutto essendo un po’ troppo moderna, e per certi versi plasticosa, per i miei gusti. Ma questo, come avrete già intuito, è un’inezia, quindi oh, comprate ‘sto disco e basta! Anzi no, aspettate che esca l’album di debutto del gruppo, in lavorazione in questi giorni, e compratelo senza riserve. E adesso basta sul serio, e che tubo!

Voto: 85

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Essence of Chaos/ 2 – The Dark Forest of My Insanity/ 3 – In Praecipiti Esse/ 4 - … and So I Return to the River/ 5 – I’m Your Guide

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Tuesday, March 26, 2013

Galera - "Roma Isterica" (2012)

EP autoprodotto (2012)

Formazione (2012):         Teg – voce;
                                          Roberto – chitarre;
                                          Francesco – basso;
                                          Demian – batteria.

Località:                           Roma, Lazio.

Migliore canzone del disco:

“Notturno Mannaro”.

Punto di forza dell’EP:

la sua follia. E ho già detto tutto.
 

Ecco arrivare dalla cosiddetta Città Eterna un gruppo veramente inusuale e con un sacco di personalità da sputare in faccia senza nessuna pietà, nato nientepopodimeno che dalle ceneri degli Ebola, mentre Teg si è fatto le ossa nei Payback… e scusate se è poco. “Roma Isterica” rappresenta il primo lavoro in assoluto dei Galera ma, nonostante ciò, questi ragazzi hanno già le idee molto chiare, anche perché se ne sono usciti con il bel video semplice semplice di “Serena La Fan”, una delle canzoni che compongono questo disco di circa 12 minuti.

Ma perché i Galera suonano roba inusuale, Flaviè?, mi chiederete voi. Eh, quanta curiosità! Perché stavolta abbiamo a che fare con una specie di punk/hc metallico non dico sperimentale, ma totalmente folle sì, rispettando di conseguenza il titolo dell’ep. La loro è una musicalità cupa e schizofrenica, che si nutre spesso e volentieri del black metal (specialmente in “Notturno Mannaro”) e in misura minore del mathcore, producendo così suoni sferzanti. Altre volte si danno a momenti più intimisti e per così dire rilassati, vomitando arpeggi fatalisti che non promettono nulla di rassicurante. Insomma, oltre a essere cupi, i Galera sanno essere anche belli dinamici, pur essendo un po’ particolari pure nell’impianto strutturale dei pezzi.

Oddio, a dir la verità, la loro è una struttura senza tante pretese, quindi è abbastanza facile da seguire. Il fatto è che non poche volte i Galera si incantano su un determinato passaggio, diventando così paranoici e malati, completamente in linea con il resto della musica. Un esempio di questo è sicuramente il “finale” in dissolvenza di “Notturno Mannaro”, che fra l’altro è la canzone non solo più lunga del disco ma anche quella dai passaggi più veloci.

Però attenzione, i Galera saranno belli estremi, ma non vanno mai e poi mai in blast – beats, preferendo più che altro un tipico tupa – tupa hardcore, e soltanto nel pezzo summenzionato ci si scatena alla velocità della luce. Però hanno una buona importanza i tempi medio – lenti, ergo i Galera sanno come dosare i momenti più violenti con quelli di maggior respiro, anche perché i pezzi sono spesso abbastanza lunghi, almeno per un gruppo del genere, andando così dai quasi 2 minuti di “Serena La Fan” ai 4 di “Notturno Mannaro” (una curiosità: ho notato che a mano a mano i brani si allungano sempre di più, pur essendoci un’interruzione in “Roma Isterica”, con cui si ritorna a un minutaggio simile a “Serena La Fan”).

Ma in tutto l’arco di tempo del disco non c’è mai nemmeno un assolino, ragion per cui le ringhianti urla beffarde del cantante sono quasi onnipresenti (e grazie al cazzo, aggiungerei io, visto il genere trattato), ripetendo spesso in maniera compulsiva/ossessiva le stesse parole, come nella titletrack.

Per il resto, sono buone certe notazioni del basso (più facili da beccare se si ascolta il disco in cuffia) e la produzione è eccellente, con un suono della batteria bello naturale come piace a me. La cosa “triste” (triste… se non becco almeno una cosa che non va non mi diverto, sono veramente un sadico!) è che non ho nulla di negativo da segnalare, quello che posso dire è che “Notturno Mannaro” potrebbe essere un buon punto di partenza per le future produzioni.

Voto: 80

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Serena La Fan/ 2 – Ronette Pulaski/ 3 – Sanguine/ 4 – Roma Isterica/ 5 – Notturno Mannaro

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Video di “Serena La Fan”:

Saturday, March 23, 2013

Intervista ai Krashing!

Ragazzuoli, ecco a voi la semplice intervista a Diego Bolis, voce/basso dei Krashing, orgoglio tricolore del nostro primo metal estremo.

BUONA FOTTUTA LETTURA!
                                             
1)      Ciao Diego, come va? Parto subito con una domanda cruciale: perché vi siete sciolti? E fra l’altro è successo proprio poco dopo il vostro secondo grandioso demo!

Ci siamo sciolti per incomprensioni musicali all'interno del gruppo, non tutti volevano proseguire con il death metal estremo.

2)      Spero però che siate ancora in contatto fra di voi. Cosa siete diventati nel frattempo?

Sì, siamo ancora in contatto e ci troviamo spesso per qualche birra insieme, io ho proseguito a suonare in altri progetti metal mentre il chitarrista continua ancora a suonare ma non in una band.

3)      Adesso andiamo indietro nel tempo. Che cosa vi ha indotto a formare i Krashing?

Eravamo tre amici appassionati di musica metal, fin da ragazzini sognavamo di formare un band e con i primi soldi guadagnati abbiamo acquistato gli strumenti, così è iniziato tutto.

4)      Se non erro, potete essere considerati come uno dei primi gruppi estremi della Penisola. Quindi, agli inizi com’eravate accolti? Riuscivate a trovare con relativa facilità date in cui suonare?

Abbiamo sempre suonato in Lombardia dove avevamo un discreto seguito, essendo appunto una delle poche band estreme qualche richiesta di live anche in altre zone (Roma, Firenze, Torino) c'è stata ma per impegni di lavoro non ci siamo mai andati. 

5)      In generale, com’era l’ambiente a quel tempo? Immagino tremendamente diverso da quello attuale. E la gente cosiddetta comune come si comportava con voi?

Rispetto ad ora c'erano meno persone che ascoltavano il genere ma erano più "convinte" ed affiatate tra di loro, durante i concerti c'era grande partecipazione.

6)      Perché il vostro primo demo è uscito soltanto 4 anni dopo la nascita del gruppo?

I nostri primi passi li abbiamo mossi facendo cover di bands come Sodom, Kreator, Slayer e dopo alcuni live di abbiamo deciso che sarebbe stato una buona cosa provare a far pezzi nostri.

7)      Una curiosità particolare: nei primi due pezzi di “Cycle of Decomposition” si sente un altro oltre al cantante. Chi è e perché sembra non cantare affatto?

Non è un altro cantante ma è un effetto che abbiamo provato a mettere in sottofondo, vent'anni fa non c'era la tecnologia che c'è adesso.

8)      Passati due anni vi siete dati a un purissimo e brutale ma abbastanza complesso death metal. A cosa è dovuto questo cambio di rotta così radicale? Esso si riflette anche nelle liriche, ora molto lovecraftiane.

Il secondo demo è più brutale perchè  ascoltavamo death metal americano e questo ci ha influenzato molto anche nella nostra musica.

9)      Che riscontri hanno ottenuto i due demo?

Grazie alle recensioni positive di magazine tipo HM e altri siamo riusciti a distribuire diverse copie in tutta Italia.

10)  Sandro Besana era una sorta di 4° membro dei Krashing? Fa ancora il produttore?

Dire 4° membro è esagerato, però ci conosceva e quando andavamo a registrare sapeva che tipo di suoni volevamo. Ma che io sappia non produce più, si diverte a suonare la chitarra.

11)  Siete riusciti a suonare anche all’estero? E com’è stata l’esperienza?

Purtroppo non abbiamo mai suonato all'estero, sarebbe stata una bella esperienza.

12)  Eravate anche voi dei tape trader? Chissà che pezzi da collezione possedete!

No, non avevamo questa passione, ci divertivamo solo a suonare.

13)  Qualcuno di voi portava avanti anche una fanza?

No.

14)  C’è una qualche possibilità di veder riuniti i Krashing, anche solo per un concerto?

Non credo perchè ognuno di noi si è dedicato a musiche diverse.

15)  Che ricordi hai di quel periodo?

Bellissimi ricordi perchè la gente aveva veramente la passione per la musica e questo lo riscontravi ad ogni concerto.
                                           Krashing - Photo

Friday, March 22, 2013

Interview to Wulfshon!

Hi guys! Soon after the review of their debut album, here you are the interview to Wulfshon!

ENJOY THE FUCKIN' READ!
                                 
1)      Hi guys! Is it all okay? Let’s start the interview with this curiosity: the band exists since 2004 but the debut album has been published only after 7 years, that is a long lapse of time. Are there particular reasons behind this fact?

     Since 2004 until 2008, Wulfshon was a solo project. In this period Matias was devoted to finding a personal sound, which was manifested in the first and only solo EP titled "Awaiting the Ragnarök". After this stage of the search, in 2009, Wulfshon is formed as a band and released a second EP "UUulfsson".

2)      As you said, Wulfshon was originally a solo – project of Matias Taubas Oyola. Hence, what were the original intentions? And how was the Wulfshon’s music in its early days?

The original intention was to create a unique project, where you can capture sounds and ideas yet unexplored in Latin America.
The “old” sound of  Wulfshon was deeply rooted to symphonic black metal and death metal from Gothenburg, thematically inspired by the Scandinavian viking metal.

3)      Your music is a melodic black/death metal with acoustic parts and some clean vocals. The solos are few and there is a good balance between the fast and slower tempos. Are you agreed? What are your influences? For you, what are the better features of your sound?

What Wulfshon is looking for is to lead music into the fields where the lyric proposal moves. In this case we believe that we give to our songs what they need to be a realization of our creativity. The music flows, no matter if there is one guitar solo, many or none.

4)      “Son ov Wolves” is an unique song, considering its combination between epic melodies and very wicked riffs. Besides, it is both the faster and shorter song of the album. So, do you want to talk about this track?

In “Son ov Wolves”  we try to capture an idea particularly, and it is precisely why the song is short and straight. That’s all it takes to be what it is.

5)      I observed that the album has been divided in two parts. As I said in the review, the differences between them are few, included for example the songs’ length. Why is it so?

In “Prinnit Mittilagart” songs are happening according to the stories as they come. There is a musical and lyrical relationship between a song and another, this is what makes the album flow from beginning to end like a single story.

6)      What are your lyrical themes? I would like to know the meaning of the album title… is it in German?

Our lyrics are our  holistic view on the social and cultural aspects of mankind. Here we use the symbols of  Nordic/German mythology to capture certain concepts. Prinnit Mittilagart” is written in Old High German and means “Midgard Burns”, which alludes to Ragnarök in a symbolic way. For us this means basically the eternal cycle of the spirit.

7)      It’s strange that a South – American band uses Nordic/German symbolism for its lyrics. Do you want to explain this particular choice? Aren’t you interested to the American culture?

We are very interested in world culture in general, but in this case we used the Nordic/Germanic symbols because we were drawn to its origin, which are the source of much of the European civilization. Without neglecting the great influence on musical issues of part of their culture.

8)      The cover artwork is very curious, don’t you think? What is the connection between that… alien face and the lyrics?

The album cover represents the transcendence of the spirit, the awakening of consciousness of being. The culmination of a long journey, the end of an era and the beginning of another.
The eternal transformation of everything. The junction between the inner consciousness and the cosmic consciousness.

9)      Do you want to tell me about the recordings of your second album? Is it at a good point? How will be it?

We are designing this new work. It promises to be something unique in style. Will give much to talk about.

10)  I don’t know very much the Argentinian metal scene, except few bands like Sublevels or Infernal Curse. How is it? Is it well – supported by the media, the critics etc…? Do you want to spread some names of good local bands?

The scene in Argentina began in the early 80's, from that time until today, always remained  underground. Today we highlight the extreme metal scene with bands like Mortuorial Eclipse, Amoklauf, Prion, Bloodfiend and  Eternal Grave, among others.
With respect to the local media, they have always supported us since our inception.

11)  Okay, the review is finishing. Now you’re free to say anything you want.

 We thank you for  the interview. We’d like to invite all your readers to follow us on our official Facebook site:
 https://www.facebook.com/Wulfshon.
They can also buy our album at the official store of Art Gates Records: http://www.artgatesrecords.com

Cheers!
                          Wulfshon - Photo

Thursday, March 21, 2013

The KuntautCult - "From the Pits..." (2000)

Album (Displeased Records, 2000)

Line – up (1994, as Bodybag):   San Ypeij – vocals/guitars;
                                                    Bas Van Splunder – vocals/bass;
                                                    Thijs Velthuizen - vocals ("My Beds are Made of Turds");
                                                    Pepijn Ypeij – drums.

Location:                                    Riddekerk (Holland).

Better song of the album:

Maybe “Pop Goes the Weasel”.

Better feature of the production:

The drums.
                       8712666005924
The KuntautCult… the band name is fuckin’ odd, but when you open the booklet of the album, the vision that awaits you is something absurd. The pages are very colourful and without lyrics (as well there are some writings here and there, included even a quotation from John Milton’s “Paradise Lost”), while you can find the stranger subjects on them, like a psychedelic John Travolta ("Saturday Night Fever" - era, obviously) with a submachine gun (“Pop Goes the Weasel”) or a spaceship ready to leave the Earth with the portraits of each band member as in a movie poster (“Galaxy Legends”). It’s curious but there isn’t the page about “120 Bar of Pressure Up Your Appendix”, I wonder why. Anyway, the nice thing is that the band keep its faith to this ironic attitude for all the album, also if initially it couldn’t seems so.

But, attention please, the music of these cinema fanatics isn’t experimental, in fact they play a ferocious brutal death metal full of hysterical tempo shifts and without a melody shadow (except the last song called “Excavated Wrapping”). The riffing is surgical as in the best tradition of the genre, some riffs are very remarkable in terms of madness and wickedness, while the solos are a rare stuff. Besides all this, the breath moments are counted on the fingers of a hand, also if there are excellent groovy passages here and there in the album (like in “Use Your Dagger”).

A particular feature comes from the vocals. I mean “particular” only for the way they are used. First of all, I must say that the main vocals are guttural and tenebrous growls, while the other ones are croaking screams. Now, the important thing to know is the following: the vocals occupy often a little role in the songs, hence these seems to be instrumentals. This is a great risk, also because some tracks don’t takes – off completely (like the opening track, that is “Xavier”). Then, the songs’ nature don’t justify that feature, because they aren’t so technical or weird.

In return, there is a good variety between the (metal) tracks. For example, “Axe Rectal Trunk Pisser” has creative rhythmic intuitions and also a solo that is not bad, while “Use Your Dagger” is the tour de force of the album, 6 minutes of madness that contains also a long threatening deceleration, and still I must mention the sudden shifts of the drummer in “Pop Goes the Weasel”.

But there is a surprising track called “Venus”, where the band try to integrate the classical blues turn in a brutal song. And, wow, the experiment is succeeded perfectly! The song structure is very simple, the screams have the main role with the addition of some raptured clean vocals, while the soloist guitar is finally very important, playing two excellent solos. And we mustn’t forget the acoustic moments of the song.

However, the band is sometimes so various to exaggerate a bit during the second part of “From the Pits…”, that is less compact than the first one. Besides “Venus”, the second half contains in quick succession two ultra – fast brutal/grind songs (“Galaxy Legends” - an instrumental - and “120 Bar of Pressure Up Your Appendix”) and another (brilliant) experiment, that this time is acoustic plus fat clean vocals and two electrical solos (“My Beds are Made of Turds”). Now, the quality is always good (the last aforementioned song is a little masterpiece) but there are two objections to raise:

1)      I prefer the longer tracks, where the band shows all its potential without any limits, so even two very short episodes are useless;

2)      After 4 unconventional songs, the listeners almost forget the typical band style. Fortunately, with the long “Excavated Wrapping” (5 minutes circa of length), the purest brutal death comes back to slaughter the ears.

Finally, I must mention the good and clean enough production, that gives to all the musicians the right visibility, also if I advise to listen the album through the headphones, since some drumming variations are imperceptible without them; and the movie sketches contained in the platter, ranging from “The Great Race” to “From Dusk ‘til Dawn”.

Now we are arrived at the end of this review. My conclusion is that the band deserved a lot, I wonder why they haven’t continued their musical path after this debut album. Then, its recording sessions were very hard, because it was recorded even in 4 different periods from August 1998 to February 1999. At this point I would like to interview these 3 guys about those adventurous and mad years… hoping to find them. So, come on, cross the fingers for me!

Rating: 75

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Tracklist:

1 – Xavier/ 2 – Axe Rectal Trunk Pisser/ 3 – From the Pits… (acoustic)/ 4 – Use Your Dagger (Cosmic Orange Cult)/ 5 – Pop Goes the Weasel/ 6 – Venus/ 7 – Galaxy Legends/ 8 – 120 Bar of Pressure Up Your Appendix/ 9 – My Beds are Made of Turds/ 10 – Excavated Wrapping

Sunday, March 17, 2013

Into Darkness - "Into Darkness" (2012)

Demo (Settembre 2012, ma ristampato su cassetta, 12’’ e MCD da, rispettivamente, la Unholy Domain Records – Ottobre -, la Iron Bonehead Productions – Dicembre -, e la Hellthrasher Records nel mese di Marzo).

Formazione (2011):  Doomed Warrior – voce/chitarra solista;
                                   Nor – basso/chitarra (poi sostituita da Sickened Dweller);
                                   AnguiciouS – batteria (poi sostituito da Dave).

Provenienza:             Milano, Lombardia.

Canzone migliore del disco:

“Levy 9’s Death”.

Punto di forza dell’opera:

Il suo ripugnante alone caotico.
Dopo un po’ di recensioni in inglese, si ritorna finalmente a scrivere in italiano. E lo si fa in grande stile, perché oggi si parla degli Into Darkness, gruppo che, insieme ad altre bestiacce come Eroded e Sepulcral (il cui album di debutto è stato recensito mesi e mesi fa proprio su queste pagine, vi ricordate?) fa parte della giovane legione del death/doom italiano. Ergo, roba putrescente. E anche bella sostanziosa, visto che il demo che mi appresto a recensire dura la bellezza di circa 25 minuti mentre le canzoni sono solo 4, quindi fatevi un po’ i conti.

Si comincia subito con il tour de force del disco, cioè l’autocelebrativa “Into Darkness”, 9 minuti di delirio sonico che in pratica contengono tutto. Quindi, si va da catacombali passaggi doom (che qua sono quasi al limite del funeral) a blast – beats bastardi e tempi thrashy alla maniera svedese (avete presente i primi Dismember?), da sprazzi di epicismo a un po’ di black primordiale, per non parlare dei grugniti profondi e ignoranti di Doomed Warrior, che si avvicinano molto a quelli di Rosy dei livornesi Profanal.

Ma una delle caratteristiche più interessanti degli Into Darkness è la grande collaborazione fra gli strumentisti. Ciò permette alle canzoni di non far mai stancare l’ascoltatore, nonostante la loro lunghezza e i lunghi silenzi vocali, ragion per cui i pezzi a tratti sembrano delle strumentali. Ma i buchi vengono sempre colmati sia grazie alla dinamicità del batterista, sia soprattutto al lavoro delle chitarre, veramente incredibili. Esse regalano a tutta la musica un alone caotico raro da beccare in circolazione, dato che viene usata in maniera molto strategica la chitarra solista che completa, spesso in modo imprevedibile, il lavoro della compagna. Inoltre, hanno una buona importanza gli assoli, non poche volte belli lunghi e talvolta vengono pure doppiati da una terza chitarra, creando così ancor più “casino”.

Ma oltre a trasmettere quintali di caos organizzato, gli Into Darkness sparano anche dei pezzi molto vari fra di loro. Detto del brano autointitolato, gli altri sono:

-          “Shadows”, la più death metal di tutte contenente un finale in blast dall’assolo impazzito e urlante;

-          “Nemesis: Star of Catastrophe”, con cui si ritorna al doom più asfissiante, e dove l’ascoltatore, dopo una pausa centrale (dopo lo schema principale, c’è quasi sempre una pausa nelle canzoni del gruppo), entra nei più neri abissi “grazie” a una infinita fase arpeggiata di una paranoia unica, facendo sì che tale pezzo sia il più ossessivo di tutto il lotto;

-          Infine, c’è “Levy 9’s Death”, sicuramente l’episodio più bilanciato del demo fra parti death e doom, e di cui è da menzionare assolutamente il lavoro ritualistico sui tom – tom della batteria nei momenti finali, che è qualcosa da brividi.

Si aggiunga a tutto ciò una produzione perfetta, bella puzzolente come la vecchia scuola comanda ma in grado di dare la giusta visibilità a tutti i musicisti.
In pratica, l’unica cosa che non mi convince del demo è l’uso talvolta smodato delle chitarre visto che, come già scritto, in certi punti (ossia soltanto durante certi assoli) se ne trovano addirittura 3, cosa decisamente poco fattibile quando c’è da suonare dal vivo, pure adesso che è entrata in formazione una seconda chitarrista, cioè Jex. Ma questa è solo un’inezia perché gli Into Darkness mi hanno sbalordito alla grande, la Hellthrasher ha fatto bene a non lasciarseli sfuggire. Se questo è solo un demo, chissà come sarà l’album, in questo caso sì che ci sarebbe il finimondo!

Voto: 84

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Into Darkness/ 2 – Shadows/ 3 – Nemesis: Star of Catastrophe/ 4 – Levy 9’s Death

BandCamp:


FaceBook:

Wednesday, March 13, 2013

Wulfshon - "Prinnit Mittilagart" (2011)

Self – released full length (June 21st 2011)

Line – up (2004):     Paulo Bianchi – vocals (harsh)/guitar;
                                 Matias Taubas Oyola – vocals (clean)/guitar;
                                 Sköll – bass;
                                 Ares – drums.

Location:                 Buenos Aires (Argentina).

Better song of the album:

“Son ov Wolves”.

Better feature of the production:

The vocals.

                                        Wulfshon - Prinnit Mittilagart
Cover Artwork: Matias Taubas Oyola/Betiana Pìa Kryczuk

Once upon a time there was a good stereo in my room. Okay, it didn’t (and doesn’t) provide the headphones use but this was its only problem. Now, that stereo doesn’t work anymore, or at least, it’s so for the CD – player, hence I can listen only tapes from it. Wow, in these last days I listened the excellent soundtrack of “Dirty Dancing”, I resumed its tape after a very long time. But, wait a moment, is this the review about the Wulfshon’s debut album? Be quiet, my ways to listen a CD are endless, this time I used even the DVD – player. But it’s time to buy a new stereo…

Before the release of “Prinnit Mittilagart”, Wulfshon recorder one demo and two EPs, while now they belong to the Art Gates Records stable. Moreover, they are recording their second album… and I hope they will adjust the drumsound. I know that I shouldn’t start in this way, but I observed already the plasticity of the drums, that seems to be play by a computer, despite the presence of a human drummer.

Fortunately, the band has some good qualities, playing a melodic black/death metal with acoustic passages and with a remarkable balance between the fast and the mid – tempos. The mood is often dramatic, thanks especially to a refined riffing and to the clean vocals, ranging from the spoken parts to the evocative and melodic moments, in a way similar to the Italians Sideris Penumbra. Unlike the bands of this genre, the main vocals are dynamic growls, the real screams are very rare. Besides, the soloist guitar is used with a good frequency, but it often completes the main riff, hence the solos are few.

As “Slow Death” of Exodia, also this album is divided in two parts. But this time there aren’t very remarkable differences between them. Simply, the second part has longer tracks than the first one. Another little difference is the clean vocals use, prevailing the spoken way in the first half and the melodic way in the second one.

The songs have a good personality, in particular:

1)      “To the Battlefield” is based on a mid – tempo, then it accelerates through a riffing full of death metal wickedness. But the acceleration is totally instrumental, it neither contains a solo shadow, so it isn’t very much effective, also because this part is a little long;

2)      After two songs, there is “Son ov Wolves”, that combines epic melodies with a devastating black metal madness, for the first and last time in the album. Hence, “Son ov Wolves” is unique, considering also not only its simple structure with a good solo in the middle, but even its length, being the shorter (and faster) track of “Prinnit Mittilagart”;

3)      But the greater effort of the band is represented by the 6 minutes circa of “Frozen Throne”, the following episode. It has a very long introduction (a constant for other songs), all the more so because that Paulo Bianchi starts to sing after 3 minutes of instrumental waiting. Also this track has an interesting tempestuous feeling, only the solo isn’t coherent with despairing riffing, since its follow a particular melody at the end;

4)      Then, there is “Pride and Death”, the slow song of the platter full of crepuscular melodies, the only one to haven’t fast tempos. Here, there are good variations by the drummer, while the conclusion track is instrumental but it’s very persuasive in this case, because the band is able to gives to the listeners a claustrophobic sense of ineluctability.
                                     Wulfshon - Photo
In brief, “Prinnit Mittilagart” is an album that keeps nice hopes for the future, these guys have clear ideas about their sound but, at the same time, they must improve it. I say this also because the more wicked intuitions aren’t been overworked well, preferring largely the melodic approach. In fact, “Son ov Wolves” is almost a fish out of the water, hence I advise to increase the outbursts made of pure rage. For the rest, good luck for the new album!

Rating: 71

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Tracklist:

1 – Intro: Prinnit Mittilagart/ 2 – Death in the Light/ 3 – To the Battlefield/ 4 – The Calling of the Ancestral Blood/ 5 – Son ov Wolves/ 6 – Frozen Throne/ 7 – Pride and Death/ 8 – Cosmos Generallis/ 9 – Natura Obscura/ 10 – Outro: Ewigring

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Sunday, March 10, 2013

"Skin Deep - Il piacere è tutto mio" (Settore Cinema)

                                    

Fai lavorare un attore istrionico come il compianto John Ritter (famoso per aver impersonato Jack Tripper nel bellissimo telefilm “3 Cuori in Affitto”) con uno dei registi più pazzi di tutti i tempi come Blake Edwards (“La Pantera Rosa”) e ne viene fuori una commedia scatenata e geniale, garantito al 100%. Ma “Skin Deep” è una commedia molto più intelligente di quel che sembra inizialmente, ragion per cui è diversissimo rispetto alla precedente pellicola del regista, cioè il pur ottimo “Appuntamento al Buio” (1987), che vedeva una storia d’amore semplice semplice fra Bruce Willis e Kim Basinger. Però non corriamo che già mi vedo fare salti chilometrici per l’entusiasmo, quindi passiamo tranquillamente alla trama.

Anche questo film verte su una storia d’amore, con la fondamentale differenza che non è fra due perfetti sconosciuti ma fra marito e moglie. Zachary Hutton (John Ritter), famoso scrittore 42enne in declino con il pallino delle donne (e provetto pianista), viene lasciato da sua moglie, Alex, che prontamente chiede il divorzio, lo ottiene e lo rovina completamente. Casa, fattoria, e bla bla bla + la bellezza di 100000 dollari per 5 anni (evidentemente non le basta lo stipendio da giornalista…). Ma questa prima lezione non gli servirà a un tubo, perché Zach non riesce lo stesso a resistere al fascino delle donne, e nel frattempo si sente così depresso (“La mia non è una depressione da serie B, la mia è una depressione da Campionato del mondo!”) da rifugiarsi nell’alcol. In compenso, chiede aiuto a un saggio psicologo (o come dico io, “pizzicologo”), che gli risponde sempre per suggerimenti, mai dando vere e proprie risposte. E i suoi soli amici in questa rocambolesca battaglia contro sé stesso (e per sé stesso) sono il vecchio gestore di un pub, Barney (Vincent Gardenia, eterna spalla del cinema americano), con cui si confida sempre, e il proprio avvocato, Jake (Joel Brooks, vecchia conoscenza – per inciso, sempre spassosa - di “3 Cuori in Affitto”), che lo tira sempre fuori dalla galera… oltre a tirargli (involontariamente) uno scherzo a dir poco tremendo…

Moltissime le scene da antologia. Come per esempio:

1)      quella d’amore con una biondona tutta muscoli conosciuta nel pub, che conta alcune delle battute più cazzute di tutto il film. Tipo: “Ti piacciono le donne che fanno culturismo?”, e lui: “Non lo so, non frequento donne di molta cultura.”, e poco dopo: “Allora, come ti senti?”, “Come la moglie di Schwarzenegger.” Da menzionare obbligatoriamente l’attimo in cui il pelosissimo Zach (o John, che fa lo stesso) si specchia (al tempo aveva una barba da invidia);

2)      lo storico “cazzo di ferro”, al buio e con i preservativi fluorescenti, fra Zach e un rockettaro, fidanzato di una ragazza adescata dal primo (ovviamente) nell’albergo dove tutti loro alloggiano;

3)      la scena più bella in assoluto di “Skin Deep”, fra l’altro anche bella lunga. Zach esce da un centro di benessere dopo un trattamento un po’ troppo elettrico subìto da Molly, una sua vecchia fiamma che lavora guardacaso proprio lì, peccato che sia “leggermente” incazzata con lui. Così, Zach, dopo quest’esperienza, è provatissimo, sembra uno schizzato. Si scontra senza volerlo con una donna, dopodichè cerca di aiutarla a riprendere i fogli che le sono caduti ma combina un disastro; subito dopo fa una battaglia con un povero cieco che si ritrova a dover difendere addirittura il suo bastone; poi incontra il suo psicologo, perplesso una cifra, a cui viene rivolto uno scattoso “vaffanculo”; infine, esce dal parcheggio regalando un intero portafoglio durante il pagamento ma guida in una maniera così assurda (e distratta) da finire addosso a un autobus, facendosi di conseguenza arrestare per l’ennesima volta. Pazzesco!

E’ pazzesco anche il montaggio, che si dipana fra flashback, brevi scene totalmente folli, conferendo così al film un ritmo molto alto, isterico e inventivo per tutta la sua durata.

Ma, come già scritto, “Skin Deep” ha un sottotesto serio, si ciba di analisi psicologiche che però non vanno mai sul pesante (e grazie a Graziella). In pratica, più che una storia d’amore, la pellicola sembra trattare la voglia di cambiare, la necessità di un cambiamento radicale, che spesso viene ostacolato dal carattere stesso della persona perché, come spiega bene un ubriaco Zach, quello che manca veramente è un’alternativa, così la gente preferisce fossilizzarsi su sé stessa piuttosto che rischiare. E l’alternativa di Zach è sempre stata sotto i suoi occhi, semplice e geniale.

Insomma, un film grandioso, imprevedibile e intenso in tutti i suoi 96 minuti. Se proprio bisogna trovare una pecca, forse questa è da individuare nella canzone di “Skin Deep”, la pur bella “Falling Out of Love”, classico pezzo pop anni ’80 dalle sonorità calde come piace a me ma che ritmicamente è un filino statica, con la batteria incantata sullo stesso pattern e che non si adegua benissimo al climax del pezzo, contrassegnato dalla voce roca eppure melodiosa di Ivan Neville. Ma questo, in fin dei conti, non conta un’assoluta sega, anche perché alla fine del film può scappare la lacrimuccia per John Ritter, che la morte l’ha preso all’età di 54 anni. Thanks for laughing, John!

Voto: 93

Trailer italiano: