Album (My Kingdom Music, 5 Febbraio 2010)
Formazione: Alessio Giudice, voce;
Fabiana Colombo, voce occasionale;
Domenico Conte, chitarra;
Jaco Pisciotta, chitarra;
Marcello Fachin, basso;
Sergio Gasparini, batteria.
Provenienza: Busto Arsizio (Varese), Lombardia
Canzone migliore dell’album:
sarà strano, ma ho una predilezione per la prima canzone, soprattutto perché c’è una prestazione solista di chitarra superlativa, ma anche per via di un isterismo estremo che nonostante tutto viene alternato a delicate parti femminili, pulite ed angeliche. In questo senso, è veramente l'unico caso che avviene una cosa simile.
Punto di forza del disco:
senz’ombra di dubbio esso è rappresentato dall’immensa capacità dei nostri di sapersi continuamente reinterpretare pressoché in tutti i pezzi non facendo però un’opera dispersiva, e questo merito va ascritto specialmente alla natura isterica e jazzata di un’impalcatura strutturale originalissima e che dire complicata è solo un eufemismo.
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Curiosità:
“Kenòs” è il sostantivo della parola “Kenosis” (in italiano “kenosi”), che in greco antico significa “vacuità”, “vuoto”, ed è un termine che ha molto a che fare con la religione cristiana nelle sue derive mistiche e teologiche (per esempio nella volontà dell’individuo nell’immolarsi completamente a Dio cercando di eliminare da sé stesso tutti i caratteri negativi dell’esistenza quali possono essere l’egoismo, la paura e così via).
Se c’è un gruppo da mal di testa garantito mi viene in mente soprattutto il nome dei Kenòs. E di certo questi 5 lombardi non potevano scegliere un nome più adatto di questo perché, un po’ come l’antica Grecia, la loro musica è sul serio magnifica, ricercata e dai anche tremendamente esagerata. Niente in “X – Torsion” è scontato, e così forte è l’odio nutrito nei confronti delle convenzioni musicali da aver complicato notevolmente l’ascolto dell’album già a partire dal minutaggio medio dei pezzi che mai e poi mai scendono sotto i 4 minuti e mezzo (“Encounter” – oddio, ci sarebbero i 2 minuti e 20 dell’acustica “I Remember”, dove il cantante fa sfoggio di un’invidiabile prova melodica…). Ma tante sono le caratteristiche di questa formazione coraggiosa che ha fatto letteralmente di tutto per allontanare i potenziali ascoltatori chiusi di mente. Quindi mi sembra più che giusto descriverle una ad una.
LA VOCE:
come insegna la storia dei Kenòs, nella loro musica vi si trovano principalmente urla “scartavetrate” (il cantato dominante) e classici grugniti. Solo che, oltre a queste voci, si può gustare un’infinità di soluzioni diverse come i semi – grugniti narrativi di “2012 Omega Assimilation” oppure le voci melodiche sia di “Room Sexteen” (esternate in maniera rauca) e di “Erocktika (Desert Dancing Raven Queen)” (queste ultime sono incredibilmente smielate!). Di conseguenza non manca neanche il cantato femminile, come nell’ultima canzone citata, che aggiunge un’atmosfera angelica ed innocente utile a far da riuscito contrasto con le parti aggressive. Ma sarebbe un delitto dimenticare i bellissimi cori medievaleggenti di “Erocktika…” e il cantato sciamano ed estatico di “Revolver Revival”, il tour de force del disco, 6 minuti e mezzo a dir la verità molto difficili da digerire.
LA MELODIA:
appannaggio quasi esclusivo delle chitarre, capaci ogni volta di interpretarla in vario modo. E soprattutto sfruttando pienamente ed in maniera saggia la chitarra solista, che non solo con buona frequenza riesce a completare quanto suonato dalla ritmica ma esplica il proprio furore in bellissimi soli di una lunghezza generalmente non comune nel campo del metal estremo, pur non ponendo troppo l’accento su questi viaggi virtuosi come al contrario avviene nel solo – progetto black/thrash Bahal. Certo, alle volte si ha l’impressione che i nostri esagerino un po’ troppo, almeno quando si preoccupano di infilare addirittura ben 4 chitarre (come in “Room Sexteen”), con l’unico risultato di perdere profondità e credibilità dal vivo.
LA CARATTERIZZAZIONE DEI PEZZI:
i quali, sempre rispettando il carattere profondamente melodico di cui sopra, hanno tutti una propria forte personalità, e non soltanto dal punto di vista atmosferico ma anche da quello più strettamente musicale. Tanto per fare qualche esempio, “2012 Omega Assimilation” ha marcate e inquietanti influenze black metal mentre “Bitchswitch” rilegge la lezione del thrash metal contando in conclusione persino un lungo siparietto filo – dance (!). E ancora “Room Sexteen” si ciba di un romanticismo gotico con tanto di tastiere, ed “Erocktika…” è nientepopodimeno che una ballata, mentre “Eyes of Hurricane part. 2” (che in pratica sarebbe la continuazione del pezzo omonimo contenuto nel primo album datato 2004 “Intersection”) potrebbe essere studiata benissimo al conservatorio essendo basata molto su chitarre acustiche per nessuna ragione al mondo banali.
A dir la verità tale brillante e spaventosa caratterizzazione non è stata aiutata molto dalla valenza strategica dei pezzi. O meglio di fatto solo “Revolver Revival” ne esce un po’ male. Sì, perché trattasi di un brano dal riffing principalmente roccioso e compatto (alle volte dal gusto persino new metal) che si regge per tutta la durata su tempi medio – lenti, facendo quindi quasi il verso al pezzo precedente, che essendo una ballata è rigorosamente lento. Ne consegue allora che “Revolver Revival” alza tremendamente di qualche tacca in più la difficoltà d’assimilazione in maniera controproducente, dato che si somma ancora una volta la lentezza ed il metodo strutturale tipico del gruppo. Insomma, in parole povere credo che, per far respirare paradossalmente l’ascoltatore, si doveva come minimo spostare la canzone in un’altra posizione della scaletta per sostituirla con una più veloce, di certo tradizionalmente più assimilabile e “acchiappa – intensità”.
Notevole comunque l’intenzione.
LA STRUTTURA:
visto che prima ho citato il metodo strutturale dei Kenòs, ne approfitto per parlarne.
Prima di tutto, più o meno c’è solo un gruppo italiano che adotta un tipo di struttura simile a quello del quintetto lombardo: gli Eloa Vadaath. Entrambi hanno infatti quest’urgenza di scavare nel profondo di una singola soluzione musicale da rendere isterico e totalmente imprevedibile il discorso in modo da rasentare apparentemente l’improvvisazione jazz. Ma se gli Eloa Vadaath sviluppano il proprio discorso attraverso lo schema strofa – ritornello per poi sbizzarrirsi follemente, i Kenòs fanno uso di vere e proprie sequenze quasi alla maniera degli ultimi Death, quindi belle complesse e di difficile assimilazione, anche se non sono esattamente rigide (può capitare infatti, per fare un esempio, che un passaggio espressosi precedentemente dopo venga abbandonato senza tanti complimenti). Ne consegue una musica dall’assalto molto indiretto e ragionato che “impone” ovviamente una libertà di manovra più limitata rispetto a quella degli Eloa Vadaath, in un certo senso più istintivi e dalle soluzioni musicali più brevi.
Alla luce di tutte queste considerazioni, risulta incredibile constatare come la batteria, pesantemente triggerata (non poteva essere altrimenti data la produzione, artificiosa e imbottita di sovraincisioni vocali) e molto attenta ad offrire un seppur fragile (come si è già visto) equilibrio fra i tempi più veloci e quelli più lenti, sia concentrata più su ritmi in fin dei conti classici e lineari che su partiture più bizzarre ed astruse. E’ forse un modo come un altro per rendere concreta e totale la tradizionale superiorità della chitarra sugli altri strumenti?
Resta il fatto che i Kenòs sono un gruppo unico adattissimo per chi ha voglia di ascoltare qualcosa di tremendamente sperimentale quasi ai limiti dell’astruso, e soprattutto lontano da ogni categorizzazione facile perché al massimo li azzarderei “semplicemente” come un gruppo di metal estremo tecnico.
Voto: 83
Claustrofobia Scaletta:
1 – Room Sexteen/ 2 – 2012 Omega Assimilation/ 3 – Encounter/ 4 – I Remember/ 5 – X – Torsion/ 6 – Bitchswitch/ 7 – Erocktika (Desert Dancing Raven Queen)/ 8 – Revolver Revival/ 9 – AddictionXtinction/ 10 – Eyes of Hurricane part. 2