Saturday, September 3, 2011

Rotorvator - "Rotorvator EP" (2007)

Ep autoprodotto (2007)
Formazione (2006): il gruppo la vuole sconosciuta

Provenienza: Belluno, Veneto

Canzone migliore del disco:
senz’ombra di dubbio “To Armageddon”, che definire folle è solo un crudele eufemismo.

Punto di forza del disco:
la capacità di terrorizzare l’ascoltatore. “Semplicemente”.

Dei Rotorvator potete leggere anche la rece del secondo disco, "Nahum", attraverso il seguente link:

http://timpaniallospiedo.blogspot.com/2011/02/rotorvator-nahum-2009.html

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I Rotorvator o li si ama o li si odia. E non soltanto perché propongono delle soluzioni stilistiche tremendamente eccentriche e dolorose che cercano di coniugare il black metal con alcuni generi esterni a esso come l’industrial o il trip – hop. Ma anche perché sono uno di quei gruppi che più che emozionare terrorizzano letteralmente l’ascoltatore dato che a quanto si è capito il loro obiettivo è quello di deformare le cosiddette convenzioni per generare qualcosa di incatalogabile, ripugnante, ma allo stesso tempo assolutamente affascinante. Per questo si potrebbe fare un parallelo con l’opera prima di David Lynch”, “Erazerhead” del 1977, anche perché “Rotorvator EP” rappresenta l’opera prima del malato terzetto, che già mostrava nell’A.D. 2007 un’abilità tutta naturale nel dire qualcosa di coraggioso e provocatorio, ergo originale. Eppure sembra praticamente impossibile descrivere un simile disco senza parlare pian piano di tutti i pezzi, “solamente” 3, fortemente caratterizzati l’uno dall’altro. Quindi, nell’ordine:

“Sergio Leone”:
nonostante il titolo che mi lascia immaginare scenari western da me tanto amati, qui non c’è nulla che possa rimandare direttamente alla grandissima opera del regista romano.

Prima di tutto, le danze si aprono con l’episodio più lungo di tutto il lotto (ben 8 minuti) e probabilmente si può definire anche come quello più bizzarro ed astruso.

Infatti, aperte da un sussurrìo quasi percussivo accompagnato successivamente dal zanzarìo delle chitarre, da qui in poi ci si rende partecipi di un procedimento basato in sostanza sulla progressiva sovrabbondanza di suoni e rumori. Fra questi ultimi degni di una speciale menzione sono degli effetti sfuggenti e inafferrabili prodotti probabilmente da una chitarra, mentre fra i secondi una specie di sintetizzatori dal suono acuto ma dall’andamento traballante e “disordinato”. Effettivamente sembra di assistere ad una sorta di rituale nel quale le visioni si fanno sempre più sconcertanti, e prova ne è la voce, fra il posseduto e il mistico. Testimonianza ne è anche la batteria elettronica, ipnotica al massimo proprio perché assolutamente statica nelle sue danze su tom – tom e piatti.

A dirla tutta però, l’unica mancanza della canzone è l’aver cristallizzato per circa un minuto e mezzo (a partire dal 6° minuto insomma) tutta la sua evoluzione noise, fermando così per un po’ troppo quella sensazione di stupore continuo che poi i Rotorvator sapranno gestire meglio;

“Abiura”:
questa è una canzone dalla struttura curiosamente più tradizionale (ci si basa infatti, almeno inizialmente, su una sequenza del tipo 1 – 2 – 3 per poi prendere il largo fino a unire 2 soluzioni diverse in una sola) e dal minutaggio incredibilmente più contenuto (circa 3 minuti e mezzo!).

Eppure, inutile dirlo, il discorso funziona benissimo. Sarà perché nel brano c’è finalmente un riffing vero e proprio e addirittura melodico e disperato, ragion per cui il tutto assume una valenza ancor più inquietante? O “per colpa” di alcuni ritmi irregolari di batteria, la quale per la prima volta dà adito a dei blast – beats (statici) spaventosi? Oppure per un lavoro di sintetizzatori (stavolta sia acuti sia grevi, e questi ultimi ad un certo punto vengono accompagnati persino da una chitarra acustica) perfetto, capace fra l’altro di creare un’angoscia inenarrabile?

Sarà tutto questo, ma forse è specialmente da questa canzone che poi saranno costruiti i pezzi più perversi ed anche atmosferici di “Nahum”, non dimenticando quindi quel senso minimalista e terrificante della melodia che i Rotorvator attualmente si ritrovano, unitamente ad un tipo di struttura più spezzettato ma a suo modo sempre bello fluido.

“To Armageddon”:
con questo pezzo si ritorna al tour de force, stavolta di 7 minuti, e probabilmente è l’episodio più terrorizzante di tutto il lotto, visto che qui i Rotorvator hanno adottato delle soluzioni che definirei assordiste.

Prima di tutto, è meglio partire con la caratteristica meno “scandalosa”, ossia il fatto che i nostri siano riusciti ad infilare nel riffing certo epicismo melodico tanto caro al black metal, mentre funge da accompagnamento una batteria dal tempo oserei dire tonante, quindi molto coerente con il genere suddetto. Solo che (PREPARATEVI!), stanchi di proporre semplicemente la variante personale del black metal, da un certo momento in poi il gruppo comincia a giocare con le due chitarre. E a sputare fuori dei sintetizzatori impazziti e dinamici.

Ma quelle due chitarre non sono normali. Sì, perché a tratti si ha l’impressione concreta che l’una rincorra l’altra, fino a che ogni ordine salta così che una si consuma definitivamente in una specie di assolo, mentre la sua compagna continua ossessivamente con quel lungo riff, come ipnotizzata.

Da notare che nella descrizione delle canzoni non ho quasi mai citato la voce, e ciò perché, pur essendo più eccentrica e malata della media, stupisce di meno rispetto a quanto proposto da “Nahum” nel quale la sorpresa è invece sempre dietro l’angolo.

Inoltre, si noti che, contrariamente a quanto mi riferì Merlo, la produzione è sì sempre mega – sporca (forse lo è di più del disco successivo) ma è decisamente comprensibile pur essendo così assordante che consiglio agli interessati di regolare il volume in maniera (apparentemente) bassa, visto che la prima volta che ho messo su il cd nel lettore dvd di casa il volume era impostato a 1 (poi migliorato a 3!)! E solitamente il volume di sicurezza corrisponde a 10 unità…

Più che altro la cosa mal digeribile ad ascolto iniziato è la struttura – tipo dei primi Rotorvator. In sostanza, colui che si è appassionato ai saliscendi di “Nahum” deve iniziare da zero perché nel primo loro lavoro il discorso è più fluido e statico, anche se il tutto come si è visto viene espresso sempre con molta inventiva, e quindi è veramente molto difficile annoiarsi ascoltandoli. Anche perché è impossibile che il dolore e la follia scadano nella noia…

Voto: 82

Claustrofobia
Scaletta:
1 – Sergio Leone/ 2 – Abiura/ 3 – To Armageddon

MySpace:
www.myspace.com/rotorvatorblack

BlogSpot:
http://www.rotorvatorblack.blogspot.com/