Faccio notare che la recensione seguente doveva essere a dir la verità pubblicata negli ultimi giorni di Febbraio, ma per un casino e l'altro è slittata a tempo praticamente indeterminato. Mi scuso quindi con il gruppo per una mancanza simile.
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1. INTRODUZIONE.
Era veramente da tempo che su “Timpani Allo Spiedo” non si faceva vivo un gruppo della capitale, nonostante io venga dalla stessa identica tossica città, ma in questi ultimi giorni mi va di contattare formazioni conterranee ed infatti tra qualche giorno aspettatevi anche un giovanissimo quartetto brutal, di cui per adesso non vi dirò niente così da farvi gustare nel migliore dei modi la sorpresa. Il ritorno capitolino non poteva comunque riuscire meglio, dato che questi Ghouls, pure loro 4 ragazzacci, negli ultimissimi tempi mi hanno così divorato bellamente i timpani da farmi provare un piacere immenso, e fra l’altro con una proposta di difficile ascolto che farà secondo me impazzire sicuramente i palati più fini e raffinati che leggono con cotanta impazienza tale giornale dei poveri. Insomma, un altro orgoglio romano che si affaccia nella scena con tanta intensità e violenza a mio avviso per niente banali o scontate.
2. PRESENTAZIONE ALBUM.
“Until It Bleeds” è esattamente il primo album, dopo una serie piuttosto modesta di demo, datato, dopo non aver più pubblicato qualcosa da 5 anni, 2008 dei Ghouls, un quartetto formato addirittura nel lontano 1995 ed attualmente costituito da Massimiliano Franceschini voce, Antonio Poletti chitarre (ex-Novembre tra il 1993 ed il ’97), Stefano Franceschini basso, e Claudio Testini batteria. L’opera si compone di 8 pezzi per un totale di circa 35 minuti di musica, e devo segnalare che la durata delle canzoni non mi sembra elasticissima, dato che si passa dai 3 e 40 secondi di “Messiah of Torture and Perversions” ai poco più di 5 minuti di “Menstrual Vaginal Cry”, e quindi a primo acchito l’album non mi ha poi così spaventato. Mi sono però dovuto ricredere appena ho messo il disco nel lettore, dove sono stato travolto da una sfilza di note imprevedibili e complesse, e da dei ritmi pazzeschi ed in continuo divenire che mi hanno fatto ingoiare 3000 volte la saliva per paura di essere ammazzato da un suono simile! Esso si può descrivere secondo il mio punto di vista come un death metal venato spesso e volentieri di black, forse anche vocalmente parlando, avendo di questo probabilmente pure un certo isterismo, oltre a avvertire qui e là delle influenze un po’ velate derivanti dal thrash metal che, però in maniera più frequente e diretta, di tocchi provenienti dal doom più catacombale e selvaggio, utili a mio parere per far “riposare” l’ascoltatore dai tempi di solito sparati, ma con tanti cambi, che permeano tutti gli episodi dell’album. E’ presente anche un pochino il brutal se non sbaglio, avendo di questo forse anche un certo isterismo. E quindi eccovi già spiattellata in faccia una musica vertiginosa di solito orientata entro velocità che dire distruttive è poco, decisamente varia e fantasiosa e terribilmente tecnica, aspetto che può allontanare chi cerca nel nostro amato genere qualcosa che non faccia arrovellare di troppo il cervello, e comunque se non erro il massacro è concepito secondo un’ottica moderna, che potrebbe avvicinarli secondo me ad un gruppo tanto apprezzato quanto bistrattato come gli Psycroptic, seppur qui si raggiunga una complessità che mi sembra non solo quantitativamente ma anche qualitativamente diversa. Ricordatevi però che pure da queste parti c’è molta melodia ma isterica e contorta. Come mi pare sia in fin dei conti la stessa struttura dei pezzi, per niente incline ad essere compresa fin dai primissimi ascolti, e da tal punto di vista si consideri per esempio che alcune soluzioni, per “fortuna” rare, vengano sì modificate però non nel più tipico dei modi, quale può essere la seconda modificazione consecutiva di “Menstrual Vaginal Cry”, la quale viene poi ripresa anche nei momenti finali del brano. Una modificazione simile consta in pratica di 4 battute che riprendono, in forma accorciata od integrale, una soluzione di “Until It Bleeds” la quale, dopo essersi ripetuta per 5 volte, durante la sesta viene aggiunta una nota finale, la quale è presente anche nell’ottava battuta. Un’altra tecnica usata dai Ghouls è quella di spezzare letteralmente uno specifico passaggio, nel senso che non si permette ad esso di ripetersi per un numero completo di 2, 4 e così via volte complete, ed in tal modo il tutto diventa molto più imprevedibile ed a mio avviso angosciante, in linea con le tematiche di certo non proprio gioiose che il gruppo vomita all’ascoltatore. A questo proposito credo che possa valere come esempio la seconda apparizione della prima soluzione nella già citata “The Messiah of Torture and Perversions”, che in tal caso non riesce neanche a trovare il tempo di completarsi in una singola battuta. Quest’ultima risulta particolarmente importante per il prosieguo di molti pezzi, quasi per voler rappresentare ulteriormente un nervosismo, una follia omicida e di natura spesso sessuale che imperversa “allegramente” nei testi dell’album. La sensazione del tormento mi si aumenta se penso invece al fatto che non pochi passaggi sono di una lunghezza asfissiante, al limite del sadismo (non a caso…) più estremo, e credo che la seconda soluzione dell’assurda “Until It Bleeds” possa valere come esempio principale, e bisogna dire che esso è sottoposto a 2 battute con cui ci si dovrebbe battere con resistenza eroica! Oppure si pensi all’ingannevole terza soluzione di “To Bitch or not to Bitch”, la quale consiste principalmente di 2 parti che vengono ripetute insieme nell’arco di una volta, ma l’unico “problema” è che tale momento è rappresentato sì da 2 parti diverse, come già osservato, ma la prima è quasi impercettibilmente (almeno lo può essere all’inizio) più breve della seconda, che risulta riempita da identiche note ma ripresa in misura di poco maggiore. Tutti questi aspetti strutturali decisamente complessi e poco convenzionali fanno aggiungere a mio avviso alla musica dei Ghouls l’appellativo di “tecnico”, unitamente alla quantità di cambi di tempo, spesso continui e qualche volta apparentemente fuoriluogo, che si sentono pure durante una stessa soluzione, tra l’altro con una notevole frequenza. Nonostante i tanti e complessi giri di parole che il gruppo erutta in continuazione, che ci crediate o no ‘sti ragazzi romani sono fedeli a 2 caratteristiche tradizionali della forma-canzone: la struttura dei pezzi infatti si può in un certo senso definire circolare, nel senso che in qualche modo la prima soluzione veramente tale di ogni pezzo (scrivo “veramente tale” perché qualcheduno parte con dei passaggi che definirei d’apertura) viene spesso inquadrata anche nei momenti finali, oltre che essere ripresa, in una maniera o l’altra, in quelli iniziali, magari dopo un secondo passaggio oppure nella successione di uno stacco (come per esempio in “Endless Pleasure”), anche se mi sono reso conto inoltre che soprattutto nelle prime due canzoni (ossia “Vaginal Menstrual Cry” ed “Endless Pleasure”) il primissimo passaggio viene subito modificato quasi nella partenza in un modo apparentemente impercettibile. Ed il secondo aspetto tipico di una forma-canzone (ed è ciò che differisce a mio avviso i Ghouls dai conterranei Mass Obliteration, che strutturalmente mi sembrano entrambi molto simili) che il quartetto romano ha secondo me brillantemente adottato è rappresentato dalle sequenze di passaggi più o meno presenti in tutti gli episodi dell’album, alle volte in maniera molto marcata e fissa (come l’1 – 2 – 2 mod. – 1 – 2 – 2 mod. di “To Bitch or not to Bitch”), oppure sì consequenziale ma non esente di cambiamenti (come può essere il 4 – 5 – stacco di batteria – 4 – 5 – stacco di basso – 4 sempre della canzone appena citata), od ancora non strettamente basata su 2-3 soluzioni quale per esempio stacco di basso – 2 di “Endless Pleasure”. Per quanto riguarda le sequenze consequenziali di determinate soluzioni comunque i brani a mio parere esemplificativi a tal proposito sono “Until It Bleeds” e “Chained to My Orgasm”, i quali risultano vincolati da più di due passaggi, benché nell’ultima canzone soprammenzionata le sequenze siano più fisse, ossia durante il discorso si ripresentano nuovamente anche dopo un po’ di tempo. In tutto l’arco dell’album, si passa inoltre e se non sbaglio dalle 4 (come in “Menstrual Vaginal Cry”, “Endless Pleasure” ed “Until It Bleeds”) ad un massimo di 8 soluzioni (ad esempio “Tears of Pain”), e di queste ne vengono riprese come minimo 2 (“Menstrual Vaginal Cry”) alle 4, caso più frequente, e di solito a tale ripresa ne sono sottoposte quasi tutte, e da questo punto di vista i Ghouls mi paiono ancora una volta simili ai Mass Obliteration, seppur questi ultimi io li consideri maggiormente cervellotici rispetto ai colleghi. Ma dopo questa manfrina che per molti di voi sarà stata pallosa, ma per me stesso una figata colossale (sì, lo ammetto, sono triste…), passiamo ora a parlare della produzione, e quindi non posso far altro che proferire devozione ai 4 ragazzacci, perché sono riusciti a trovare un equilibrio tra gli strumenti a dir poco pazzesco, così da permettere a noi comuni mortali di sentire passo dopo passo ogni nota tirata fuori, e tra l’altro con un suono pulito che penso ben si amalgami con le raffinatezze della musica quivi proposta. Anche le frequenze mi sembrano particolarmente equilibrate, ossia sono state impostare sui medi, e per ascoltatori come me che regolano lo stereo sempre più o meno allo stesso volume è una favola. Bravi ragazzi!!! Inoltre, credo che pure in questo caso si noti una certa finezza, evitando così alla produzione di aumentare ulteriormente e con fare brutale l’impatto dell’insieme se altresì fosse stata regolata su toni maggiormente alti.
3. ANALISI STRUMENTI.
Tocca adesso finalmente all’analisi strumento per strumento, ma prima di partire con la voce, devo far notare che “Until It Bleeds” inizia con un richiamo femminile, leggasi gemito, che poi sarà presente in maniera pressante e sovraincisa anche nella parte centrale del primo brano, ossia “Menstrual Vaginal Cry”. Però quello che vocalmente seguirà dopo quel vagito del sesso “debole” sarà un qualcosa di poco raccomandabile.
Il lavoro fatto dal nostro cantante mi pare molto buono, oscillante tra un grugnito basso ma non troppo, che alle volte diventa un pochino più alto, e dei picchi di violenza che potrebbero piacere agli ascoltatori di Black Witchery et similia, dato che soprattutto nei momenti più cattivi e di stampo black si fanno vive delle urla che mi ricordano terribilmente, seppur in versione meno “ignorante”, quelle di Impurath, voce/basso del gruppo sopraccitato, che riescono a donare secondo il mio punto di vista un alone marcio e di una violenza ed intensità decisamente devastanti. I grugniti più bassi li considero comunque quasi ridondanti, poco incisivi e personalmente non sembrano adatti alla musica dei Ghouls tanto da farmi ricordare quelli, però maggiormente gutturali, di Soso degli Impaled Bitch. Massimiliano, se non erro, non ha fatto nessuna sovraincisione né ha infilato qualche effetto, se non per chiudere qualche pezzo (come in “Snuff Movies”) usando un bel effetto d’eco, forse per sottolineare meglio il tormento della povera vittima (nota: faccio notare che i cosiddetti “snuff movies” sono dei film che ritraggono scene di tortura, spesso pornografica, quasi sempre apparentemente reali anche grazie a degli effetti cinematografici amatoriali. L’esistenza di cotanta arte l’ho saputa tra l’altro attraverso il primo episodio del videogioco Manhunt – e non con “Cannibal Holocaust” ed affini! – prendendo inizialmente questo tipo di film per vere testimonianze mortali!). Per quanto mi riguarda pure le linee vocali hanno questi fastidiosi alti (specialmente “To Bitch or not to Bitch”) e bassi (“Snuff Movies”, benché non completamente), ma per fortuna sono più i primi che i secondi. Per quanto concerne le chitarre non posso far altro che complimentarmi con Antonio che, nonostante sia solo lui ad occuparsi delle asce, riesce a conferire secondo me alla musica una potenza encomiabile, oltre a mostrare una fantasia non proprio comune ed una tecnica sì molto presente però non esattamente pesante, come può esserlo benissimo il riffing di gruppi quali Animosity o i già citati Psycroptic. Si consideri inoltre che spesso e volentieri i riffs sono piuttosto melodici, pur essendo a mio avviso lontani dal death metal di tale matrice, eppure qualche volta ne sembrano influenzati (esemplificativi a tal proposito “Menstrual Vaginal Cry” e “Snuff Movies”), prendendo di esso anche forse una certa disperazione, quasi a voler rappresentare idealmente i dolori di chi soffre nei testi del gruppo. Le melodie qui vengono espresse in modi sempre diversi, che siano quelli più furiosi di “Endless Pleasure”, oppure in maniera sì brutale ma che paradossalmente definirei persino quasi….dolce (come nella stessa “Menstrual Vaginal Cry”), che in modi assolutamente contorti, i quali probabilmente certuni considererebbero praticamente prolissi (da questo punto di vista consiglio sicuramente di sentire soprattutto “Until It Bleeds”), e per non parlare invece di alcuni tocchi thrasheggianti che qui e là avverto (“To Bitch or not to Bitch” ed “Until It Bleeds” credo siano esemplari), ma a mio parere sono degni di menzione particolarmente i momenti black, piuttosto frequenti nella musica del quartetto capitolino, e che penso la impreziosiscano immettendo nell’atmosfera una monumentalità notevole, che quasi può rivaleggiare con il black di matrice svedese, soprattutto quando i toni si fanno più malvagi del solito (come in “Menstrual Vaginal Cry”, “The Messiah of Torture and Perversions” e “Chained to My Orgasm”. Gli ultimi due pezzi citati sono non a caso gli episodi che riescono a tirare fuori una cattiveria spropositata, presentando quindi pochi ritagli melodici). Tali momenti mi sembrano rappresentare al meglio i picchi di sofferenza a cui sono sottoposti continuamente i torturati, ma devo segnalare che a volte i riffs black vengono uniti secondo me con delle schitarrate di impronta brutal (“Tears of Pain”), questi ultimi se non sbaglio piuttosto rari, eruttando comunque quella schizofrenia tipica di tale genere, oppure con elucubrazioni più di stampo death (“Chained to My Orgasm”). Non felici di tutto ciò, le asce riescono nell’intento di farmi tremare ancora di più anche vomitando dei passaggi degni del doom più asfittico e minimale, e credo che il massimo esempio di marciume e malvagità sia dato nella stessa “Chained to My Orgasm”, e tra l’altro con una masturbazione strutturale che considero abbastanza complessa e nervosa, mentre per esempio in “Menstrual Vaginal Cry” il riffing mi fa avvertire un’urgenza evocativa, come se delle forze soprannaturali poco raccomandabili stessero per essere chiamate da questo mondo materiale, seppur sempre esprimendosi con il doom. Insomma, Antonio Poletti non scherza affatto, e secondo me con il suo lavoro vomita emozioni diverse, se non pezzo dopo pezzo, anche nello stesso episodio, ma probabilmente le chitarre credo si induriscano in misura maggiore partendo principalmente da “Until It Bleeds”, e completando questa seconda parte, benché virtuale, dell’album con “Chained to My Orgasm”. Però mi sono reso conto che certi riffs si assomigliano forse un po’ troppo (si prendano ad esempio “Snuff Movies” e “Tears of Pain”) ma sono pecche che non definirei proprio rilevanti, considerando la varietà qui espressa. Nonostante il suono abbastanza tecnico ma senza esagerare, gli assoli non mi paiono occupare un ruolo importantissimo, non solo perché sono spesso piuttosto brevi e concisi (infatti la maggiorparte dura l’arco di 2 battute, eccetto per “Until It Bleeds” e “Chained to My Orgasm”), però si segnali inoltre che ben 3 canzoni ne sono prive (“To Bitch or not to Bitch”, “Snuff Movies” e “Tears of Pain”). Attenzione però a considerarli totalmente poco importanti ai fini della musica, dato che, almeno a mio avviso, i solismi sono sempre di ottima qualità, abbastanza dinamici e virtuosi, e pure molto melodici (il che accade sempre), quasi come se fossero la coscienza del torturatore di turno, e questa sensazione mi fa ancora più impressione se si pensa che sono presenti anche in “Chained to My Orgasm”, il quale, come già osservato, penso sia uno dei brani più malvagi del lotto. Proprio in tale episodio credo si raggiunga il massimo, dato che in esso gli assoli sono per la prima ed ultima volta più di uno, addirittura 4, quasi attaccati fra di loro (la coscienza si fa forse maggiormente più insistente? Se l’interpretazione fosse questa, allora in”Tears of Pain” è come se la compassione sia stata completamente debellata?), mentre in “The Messiah of Torture and Perversions” due chitarre si danno vicendevolmente il posto per altrettante volte consecutive. Per quanto riguarda invece la sovrapposizione di riffs, bisogna dire che Antonio non solo non esagera, ma forse neanche gliene importa poi così molto, scegliendo invece pochissimi ed efficaci interventi per la solista, così da dare manforte alla ritmica. Da questo punto di vista, le fughe di “To Bitch or not to Bitch”, con la prima che esegue anche note alte con fare nervoso eppur melodico, oppure in “Chained to My Orgasm”, con la ritmica concentrata sulle pennellate, penso che siano esemplificativi a questo proposito. Ciò significa a mio parere che i Ghouls non pensino principalmente a stordire l’ascoltatore con arrangiamenti che potrebbero intensificare, in tal caso comprimere quasi al limite del rumore (rumore perché non si sa a quanti strumenti altrimenti bisogna star dietro) la propria musica, un po’ come fanno i Fleshgod Apocalypse che tengono effettivamente molto in evidenza la chitarra solista, ma puntando più che altro l’obiettivo su una sorta di eleganza sonica che cerca di accarezzare, magari con fare “semplicemente” beffardo, i timpani attraverso ricami musicali sì piuttosto difficili ma non assurdi. Ed è anche questa considerazione che mi fa definire i Ghouls un gruppo più death che altresì brutal. Tra l’altro, credo che il fattore melodico di cui ho già parlato si amalgami benissimo con i temi spesso sessuali, in quanto così facendo è come se si facesse una serenata d’amore…perversa e bestiale verso la donna. E che dire invece del basso? Ultimamente mi stanno capitando con una buona frequenza formazioni che non riducono il basso ad una semplice comparsa, ma regalandogli invece un posto importante, se non fondamentale, nel proprio suono. Se i genovesi Sacradis mi hanno appunto impressionato per una tensione imprevedibile e ricca d’improvvisazione a cui fa riferimento il basso, i Ghouls lo usano, se non similmente, almeno in modo molto esperto e libero, proponendo persino un piccolo assolo nella parte centrale di “Menstrual Vaginal Cry”. A tale strumento sono demandati frequenti giri abbastanza indipendenti dalle chitarre, e si noti inoltre la sua importanza negli stessi stacchi, che sono piuttosto molti, e praticamente ad ogni livello, capaci secondo me di potenziare maggiormente l’intensità proposta oltre che dinamicizzare i pezzi, tanto che per quanto riguarda il lavoro di Stefano è attribuito addirittura a lui la fine della ripresa, quasi nei momenti finali, della prima soluzione di “Until It Bleeds”, dato che qui ad un certo punto tutto si ferma, compreso il riffing delle chitarre, per poi farla finire allo stesso basso! Insomma, pure Stefano fa veramente una bella figura. Stessa considerazione per lo stile percussivo di Claudio, il quale è se non sbaglio basato su delle variazioni praticamente continue, tanto che non solo si cerca di variare un determinato ritmo attraverso i tom-tom e/o i piatti, ma spesso e volentieri ad una stessa soluzione possono venire indirizzati vari tempi, così che il tutto risulti decisamente imprevedibile oltre che tecnicamente piuttosto complesso, in modo tra l’altro pure di valorizzare appieno delle proprie possibilità tutto l’insieme. Infatti, a titolo di esempio, non mancano episodi in cui il nostro prima raggiunge dolorosi blast-beats, per poi vomitare improvvisi ed abissali tempi lenti di chiara matrice doom (vi consiglio quindi di sentirvi specialmente “Chained to My Orgasm”). Penso che il suo stile nervoso ed isterico sia molto adatto secondo il mio punto di vista per la musica della formazione capitolina, rappresentante cioè la follia omicida del boia sessuale, che pazzi squartano minuziosamente e lentamente nudi una vagina, contenti della propria sadica ed assurda erezione sanguinolenta. Alle volte invece mi pare augurare delle minacce attraverso delle rullate che in certi punti si fanno più insistenti, seppur seguendo sempre un tempo medio, come nella stessa canzone sopraccitata. Se qualcuno di voi si ricorda il lavoro di Bastian Herzog dei Fleshcrawl nella loro canzone “From the Dead to the Living” che apre l’album “Impurity” (una cosa simile si può sentire inoltre in “Sadistic Eroticism” contenuta nell’unica testimonianza discografica degli Excoriate, il demo “Dead Molestation” del 1992) allora non dovrebbe esservi difficile immaginare il momento sopradescritto. In non poche occasioni invece il taglio percussivo si fa forse maggiormente black, anche grazie a delle atmosfere che mi sanno di tempestoso, come se i diavoli stessero tormentando un’anima dannata. Per non parlare invece dell’uso quasi ritualistico dei tom-tom su “Snuff Movies”, come se una strana tribù stesse celebrano la tortura pubblica di una donna non ligia al dovere. Ma non aspettatevi comunque da Claudio qualcosa che possa rivaleggiare per varietà e fantasia con Luca Zamberti dei Mass Obliteration, visto e considerato che qui il lavoro non sembra al sottoscritto così anti-convenzionale oppure a-lineare, seppur momenti di quest’ultimo non manchino, come proprio in “Snuff Movies”, e bisogna segnalare che probabilmente c’è anche una certa ripetizione di soluzioni un po’ meno classiche, come tra il brano appena citato e “Tears of Pain”. Ma come per le chitarre non fa niente lo stesso, data l’inventiva dimostrata. Faccio notare infine che più o meno nella parte centrale di “Menstrual Vaginal Cry” si fanno vive delle evocative e minimaliste tastiere, che mi sembrano donare al tutto una pesante onta blackeggiante. Sarebbe interessante usarle più frequentemente in futuro.
Tra l’altro “Snuff Movies” finisce con un inquietante battito di cuore, mentre quasi nei momenti finali di “Chained to My Orgasm” vengono proposti dei suoni non ben identificati, quasi delle fruste attutite.
4. IL PEZZO MIGLIORE.
Ed è ora il momento di sapere quale sia per me il miglior brano del lotto, e la scelta mi è stata veramente molto difficile, considerando l’alto tasso qualitativo dell’album. Ma forse “Chained to My Orgasm” merita un posto a parte, dato che è una delle canzoni che mi dà più carica, però tale considerazione non sarebbe niente, visto e considerato che potrei dire le stesse cose anche verso altre canzoni dell’album. E quindi sappiate che in “Chained to My Orgasm”, ad un certo punto, c’è un gioco che definisco magnifico: la musica diventa come disperata, alla ricerca della pietà in un mare di cattiveria malvagio e senza pietà, e così si fanno vivi, quasi attaccati, ben 4 assoli che riescono a mio avviso a potenziare la determinata atmosfera di cui sopra, la coscienza che a singhiozzi perché piangente si chiede il senso di tutta questa inutile violenza, di tutte queste torture, per poi essere massacrata selvaggiamente come se fosse un giocattolo. Per non parlare invece del lato prettamente strutturale del brano, e da questo punto di vista mi interessano particolarmente i suoi primi momenti. Infatti, inizialmente si fanno vive 2 soluzioni molto black, solo che entrambe mi paiono decisamente curiose: la prima è interessata inizialmente da 4 battute (nelle successive occasioni saranno soltanto 2), contrassegnate 2 a 2 da un lavoro diverso proposto dalla batteria, considerando che inizialmente viene offerto un tempo veloce, però senza sfociare entro i blast-beats e presentando dei tom-tom finali, mentre nelle ultime 2 battute c’è un tempo medio piuttosto groovy completato altresì da delle rullate in blast. Nella seconda soluzione dapprima si esprime per 2 volte uno specifico riffing ma l’unico “problema” è che il discorso del basso è costituito altresì da una sola battuta in quanto se non sbaglio lo strumento alza tonalmente parlando le ultime note della prima botta delle chitarre. Subito successivamente la musica si trasforma vertiginosamente, ossia da black su tempi veloci (ma non in blast-beats) ad un lentissimo e brevissimo funeral doom che dire angosciante è un eufemismo, e guardacaso è soltanto un momento. Il gruppo improvvisamente accelera con quel tempo minaccioso che ho citato ormai molte righe fa, però mentre questo è sottoposto ad una battuta e mezzo con la parte finale rappresentata da delle variazioni sul tom-tom, il riffing, stavolta se non erro death metal, ne è interessato da una sola, nel senso che non ripete lo stesso riff per più volte. Poi si ripete tutto questo, come in una normalissima sequenza strofa-ritornello, con la differenza che vengono cambiati letteralmente i ritmi, dato che per quanto riguarda la prima soluzione la batteria dapprima tira fuori brevissimamente dei tempi veloci non blasteggianti (quelli suonati insomma in precedenza), per poi vomitare dei veri e propri blast-beats con tempo medio mosso finale (cosa che avverrà pure nella terza ed ultima apparizione del primo passaggio). Invece, nella seconda soluzione viene completamente eliminato il momento ultra-doom, ma l’ultima parte è sottoposta ad un’importante modificazione: quel riff da una sola battuta si rifà anche in un secondo tempo, presentando però un’altra chitarra (su note più alte) che esegue le stesse note della compagna, non variando comunque il discorso ritmico. Nella terza occasione di tale soluzione questa viene per l’ennesima volta modificata, dato che il riffing finale è direttamente ripreso da quello black della prima parte, ed anche qui la batteria denota lo stesso tempo minaccioso già trattato.
5. CONCLUSIONI.
Ed eccoci quindi alla fine di questa lunghissima (e probabilmente anche moooolto pallosa) recensione, e sinceramente non mi vengono altro che parole entusiastiche parlando di “Until It Bleeds”, un album che personalmente trova il suo maggior punto di forza a mio parere nella complessità del proprio suono, in quanto non solo riesce a rendere certamente più fantasioso ed imprevedibile tutto l’insieme, avendo però il pregio quasi paradossale di non appesantirlo ulteriormente (a tal proposito mi vengono in mente soprattutto le melodie, oltre ad un aspetto strutturale che spesso tende a dare un ordine piuttosto preciso attraverso delle soluzioni principali, e pure ad un discorso ritmico non molto difficile da digerire, seppur solito a variazioni improvvise), ma cerca anche di costruire uno schema delle canzoni a volte decisamente originale e geniale, poco incline ad essere compreso negli ascolti iniziali. L’unico problema sostanziale che sento è, come già osservato, alcuni vocalizzi e linee vocali, le quali non mi paiono sempre così incisive, ma forse è da rivedere il sistema degli stacchi, che in certi casi penso siano un po’ troppo abusati, ed in tal modo il gruppo si fa dipendere spesso da loro per potenziare la musica. Credo comunque che il fatto che i Ghouls abbiano aspettato per ben 15 anni dalla loro nascita di pubblicare il primissimo album, e tra l’altro dopo persino 5 anni senza tirar fuori niente, probabilmente è servito al gruppo, in quanto in tal modo è riuscito a partorire un’opera con una buona personalità ed inventiva, frutti di un’esperienza notevolissima. Penso che una volta o l’altra ‘sti 4 ragazzi, miei conterranei, me li vedrò dal vivo, nonostante io non sia un amante dei concerti!
Voto: 88
Claustrofobia
Tracklist:
1 – Menstrual Vaginal Cry/ 2 – Endless Pleasure/ 3 – To Bitch or not to Bitch/ 4 – Until It Bleeds/ 5 – The Messiah of Torture and Perversions/ 6 – Snuff Movie/ 7 – Chained to My Orgasm/ 8 – Tears of Pain
MySpace:
http://www.myspace.com/demonghouls
Sito ufficiale:
http://www.ghouls.it (che tra l’altro neanche esiste)
Era veramente da tempo che su “Timpani Allo Spiedo” non si faceva vivo un gruppo della capitale, nonostante io venga dalla stessa identica tossica città, ma in questi ultimi giorni mi va di contattare formazioni conterranee ed infatti tra qualche giorno aspettatevi anche un giovanissimo quartetto brutal, di cui per adesso non vi dirò niente così da farvi gustare nel migliore dei modi la sorpresa. Il ritorno capitolino non poteva comunque riuscire meglio, dato che questi Ghouls, pure loro 4 ragazzacci, negli ultimissimi tempi mi hanno così divorato bellamente i timpani da farmi provare un piacere immenso, e fra l’altro con una proposta di difficile ascolto che farà secondo me impazzire sicuramente i palati più fini e raffinati che leggono con cotanta impazienza tale giornale dei poveri. Insomma, un altro orgoglio romano che si affaccia nella scena con tanta intensità e violenza a mio avviso per niente banali o scontate.
2. PRESENTAZIONE ALBUM.
“Until It Bleeds” è esattamente il primo album, dopo una serie piuttosto modesta di demo, datato, dopo non aver più pubblicato qualcosa da 5 anni, 2008 dei Ghouls, un quartetto formato addirittura nel lontano 1995 ed attualmente costituito da Massimiliano Franceschini voce, Antonio Poletti chitarre (ex-Novembre tra il 1993 ed il ’97), Stefano Franceschini basso, e Claudio Testini batteria. L’opera si compone di 8 pezzi per un totale di circa 35 minuti di musica, e devo segnalare che la durata delle canzoni non mi sembra elasticissima, dato che si passa dai 3 e 40 secondi di “Messiah of Torture and Perversions” ai poco più di 5 minuti di “Menstrual Vaginal Cry”, e quindi a primo acchito l’album non mi ha poi così spaventato. Mi sono però dovuto ricredere appena ho messo il disco nel lettore, dove sono stato travolto da una sfilza di note imprevedibili e complesse, e da dei ritmi pazzeschi ed in continuo divenire che mi hanno fatto ingoiare 3000 volte la saliva per paura di essere ammazzato da un suono simile! Esso si può descrivere secondo il mio punto di vista come un death metal venato spesso e volentieri di black, forse anche vocalmente parlando, avendo di questo probabilmente pure un certo isterismo, oltre a avvertire qui e là delle influenze un po’ velate derivanti dal thrash metal che, però in maniera più frequente e diretta, di tocchi provenienti dal doom più catacombale e selvaggio, utili a mio parere per far “riposare” l’ascoltatore dai tempi di solito sparati, ma con tanti cambi, che permeano tutti gli episodi dell’album. E’ presente anche un pochino il brutal se non sbaglio, avendo di questo forse anche un certo isterismo. E quindi eccovi già spiattellata in faccia una musica vertiginosa di solito orientata entro velocità che dire distruttive è poco, decisamente varia e fantasiosa e terribilmente tecnica, aspetto che può allontanare chi cerca nel nostro amato genere qualcosa che non faccia arrovellare di troppo il cervello, e comunque se non erro il massacro è concepito secondo un’ottica moderna, che potrebbe avvicinarli secondo me ad un gruppo tanto apprezzato quanto bistrattato come gli Psycroptic, seppur qui si raggiunga una complessità che mi sembra non solo quantitativamente ma anche qualitativamente diversa. Ricordatevi però che pure da queste parti c’è molta melodia ma isterica e contorta. Come mi pare sia in fin dei conti la stessa struttura dei pezzi, per niente incline ad essere compresa fin dai primissimi ascolti, e da tal punto di vista si consideri per esempio che alcune soluzioni, per “fortuna” rare, vengano sì modificate però non nel più tipico dei modi, quale può essere la seconda modificazione consecutiva di “Menstrual Vaginal Cry”, la quale viene poi ripresa anche nei momenti finali del brano. Una modificazione simile consta in pratica di 4 battute che riprendono, in forma accorciata od integrale, una soluzione di “Until It Bleeds” la quale, dopo essersi ripetuta per 5 volte, durante la sesta viene aggiunta una nota finale, la quale è presente anche nell’ottava battuta. Un’altra tecnica usata dai Ghouls è quella di spezzare letteralmente uno specifico passaggio, nel senso che non si permette ad esso di ripetersi per un numero completo di 2, 4 e così via volte complete, ed in tal modo il tutto diventa molto più imprevedibile ed a mio avviso angosciante, in linea con le tematiche di certo non proprio gioiose che il gruppo vomita all’ascoltatore. A questo proposito credo che possa valere come esempio la seconda apparizione della prima soluzione nella già citata “The Messiah of Torture and Perversions”, che in tal caso non riesce neanche a trovare il tempo di completarsi in una singola battuta. Quest’ultima risulta particolarmente importante per il prosieguo di molti pezzi, quasi per voler rappresentare ulteriormente un nervosismo, una follia omicida e di natura spesso sessuale che imperversa “allegramente” nei testi dell’album. La sensazione del tormento mi si aumenta se penso invece al fatto che non pochi passaggi sono di una lunghezza asfissiante, al limite del sadismo (non a caso…) più estremo, e credo che la seconda soluzione dell’assurda “Until It Bleeds” possa valere come esempio principale, e bisogna dire che esso è sottoposto a 2 battute con cui ci si dovrebbe battere con resistenza eroica! Oppure si pensi all’ingannevole terza soluzione di “To Bitch or not to Bitch”, la quale consiste principalmente di 2 parti che vengono ripetute insieme nell’arco di una volta, ma l’unico “problema” è che tale momento è rappresentato sì da 2 parti diverse, come già osservato, ma la prima è quasi impercettibilmente (almeno lo può essere all’inizio) più breve della seconda, che risulta riempita da identiche note ma ripresa in misura di poco maggiore. Tutti questi aspetti strutturali decisamente complessi e poco convenzionali fanno aggiungere a mio avviso alla musica dei Ghouls l’appellativo di “tecnico”, unitamente alla quantità di cambi di tempo, spesso continui e qualche volta apparentemente fuoriluogo, che si sentono pure durante una stessa soluzione, tra l’altro con una notevole frequenza. Nonostante i tanti e complessi giri di parole che il gruppo erutta in continuazione, che ci crediate o no ‘sti ragazzi romani sono fedeli a 2 caratteristiche tradizionali della forma-canzone: la struttura dei pezzi infatti si può in un certo senso definire circolare, nel senso che in qualche modo la prima soluzione veramente tale di ogni pezzo (scrivo “veramente tale” perché qualcheduno parte con dei passaggi che definirei d’apertura) viene spesso inquadrata anche nei momenti finali, oltre che essere ripresa, in una maniera o l’altra, in quelli iniziali, magari dopo un secondo passaggio oppure nella successione di uno stacco (come per esempio in “Endless Pleasure”), anche se mi sono reso conto inoltre che soprattutto nelle prime due canzoni (ossia “Vaginal Menstrual Cry” ed “Endless Pleasure”) il primissimo passaggio viene subito modificato quasi nella partenza in un modo apparentemente impercettibile. Ed il secondo aspetto tipico di una forma-canzone (ed è ciò che differisce a mio avviso i Ghouls dai conterranei Mass Obliteration, che strutturalmente mi sembrano entrambi molto simili) che il quartetto romano ha secondo me brillantemente adottato è rappresentato dalle sequenze di passaggi più o meno presenti in tutti gli episodi dell’album, alle volte in maniera molto marcata e fissa (come l’1 – 2 – 2 mod. – 1 – 2 – 2 mod. di “To Bitch or not to Bitch”), oppure sì consequenziale ma non esente di cambiamenti (come può essere il 4 – 5 – stacco di batteria – 4 – 5 – stacco di basso – 4 sempre della canzone appena citata), od ancora non strettamente basata su 2-3 soluzioni quale per esempio stacco di basso – 2 di “Endless Pleasure”. Per quanto riguarda le sequenze consequenziali di determinate soluzioni comunque i brani a mio parere esemplificativi a tal proposito sono “Until It Bleeds” e “Chained to My Orgasm”, i quali risultano vincolati da più di due passaggi, benché nell’ultima canzone soprammenzionata le sequenze siano più fisse, ossia durante il discorso si ripresentano nuovamente anche dopo un po’ di tempo. In tutto l’arco dell’album, si passa inoltre e se non sbaglio dalle 4 (come in “Menstrual Vaginal Cry”, “Endless Pleasure” ed “Until It Bleeds”) ad un massimo di 8 soluzioni (ad esempio “Tears of Pain”), e di queste ne vengono riprese come minimo 2 (“Menstrual Vaginal Cry”) alle 4, caso più frequente, e di solito a tale ripresa ne sono sottoposte quasi tutte, e da questo punto di vista i Ghouls mi paiono ancora una volta simili ai Mass Obliteration, seppur questi ultimi io li consideri maggiormente cervellotici rispetto ai colleghi. Ma dopo questa manfrina che per molti di voi sarà stata pallosa, ma per me stesso una figata colossale (sì, lo ammetto, sono triste…), passiamo ora a parlare della produzione, e quindi non posso far altro che proferire devozione ai 4 ragazzacci, perché sono riusciti a trovare un equilibrio tra gli strumenti a dir poco pazzesco, così da permettere a noi comuni mortali di sentire passo dopo passo ogni nota tirata fuori, e tra l’altro con un suono pulito che penso ben si amalgami con le raffinatezze della musica quivi proposta. Anche le frequenze mi sembrano particolarmente equilibrate, ossia sono state impostare sui medi, e per ascoltatori come me che regolano lo stereo sempre più o meno allo stesso volume è una favola. Bravi ragazzi!!! Inoltre, credo che pure in questo caso si noti una certa finezza, evitando così alla produzione di aumentare ulteriormente e con fare brutale l’impatto dell’insieme se altresì fosse stata regolata su toni maggiormente alti.
3. ANALISI STRUMENTI.
Tocca adesso finalmente all’analisi strumento per strumento, ma prima di partire con la voce, devo far notare che “Until It Bleeds” inizia con un richiamo femminile, leggasi gemito, che poi sarà presente in maniera pressante e sovraincisa anche nella parte centrale del primo brano, ossia “Menstrual Vaginal Cry”. Però quello che vocalmente seguirà dopo quel vagito del sesso “debole” sarà un qualcosa di poco raccomandabile.
Il lavoro fatto dal nostro cantante mi pare molto buono, oscillante tra un grugnito basso ma non troppo, che alle volte diventa un pochino più alto, e dei picchi di violenza che potrebbero piacere agli ascoltatori di Black Witchery et similia, dato che soprattutto nei momenti più cattivi e di stampo black si fanno vive delle urla che mi ricordano terribilmente, seppur in versione meno “ignorante”, quelle di Impurath, voce/basso del gruppo sopraccitato, che riescono a donare secondo il mio punto di vista un alone marcio e di una violenza ed intensità decisamente devastanti. I grugniti più bassi li considero comunque quasi ridondanti, poco incisivi e personalmente non sembrano adatti alla musica dei Ghouls tanto da farmi ricordare quelli, però maggiormente gutturali, di Soso degli Impaled Bitch. Massimiliano, se non erro, non ha fatto nessuna sovraincisione né ha infilato qualche effetto, se non per chiudere qualche pezzo (come in “Snuff Movies”) usando un bel effetto d’eco, forse per sottolineare meglio il tormento della povera vittima (nota: faccio notare che i cosiddetti “snuff movies” sono dei film che ritraggono scene di tortura, spesso pornografica, quasi sempre apparentemente reali anche grazie a degli effetti cinematografici amatoriali. L’esistenza di cotanta arte l’ho saputa tra l’altro attraverso il primo episodio del videogioco Manhunt – e non con “Cannibal Holocaust” ed affini! – prendendo inizialmente questo tipo di film per vere testimonianze mortali!). Per quanto mi riguarda pure le linee vocali hanno questi fastidiosi alti (specialmente “To Bitch or not to Bitch”) e bassi (“Snuff Movies”, benché non completamente), ma per fortuna sono più i primi che i secondi. Per quanto concerne le chitarre non posso far altro che complimentarmi con Antonio che, nonostante sia solo lui ad occuparsi delle asce, riesce a conferire secondo me alla musica una potenza encomiabile, oltre a mostrare una fantasia non proprio comune ed una tecnica sì molto presente però non esattamente pesante, come può esserlo benissimo il riffing di gruppi quali Animosity o i già citati Psycroptic. Si consideri inoltre che spesso e volentieri i riffs sono piuttosto melodici, pur essendo a mio avviso lontani dal death metal di tale matrice, eppure qualche volta ne sembrano influenzati (esemplificativi a tal proposito “Menstrual Vaginal Cry” e “Snuff Movies”), prendendo di esso anche forse una certa disperazione, quasi a voler rappresentare idealmente i dolori di chi soffre nei testi del gruppo. Le melodie qui vengono espresse in modi sempre diversi, che siano quelli più furiosi di “Endless Pleasure”, oppure in maniera sì brutale ma che paradossalmente definirei persino quasi….dolce (come nella stessa “Menstrual Vaginal Cry”), che in modi assolutamente contorti, i quali probabilmente certuni considererebbero praticamente prolissi (da questo punto di vista consiglio sicuramente di sentire soprattutto “Until It Bleeds”), e per non parlare invece di alcuni tocchi thrasheggianti che qui e là avverto (“To Bitch or not to Bitch” ed “Until It Bleeds” credo siano esemplari), ma a mio parere sono degni di menzione particolarmente i momenti black, piuttosto frequenti nella musica del quartetto capitolino, e che penso la impreziosiscano immettendo nell’atmosfera una monumentalità notevole, che quasi può rivaleggiare con il black di matrice svedese, soprattutto quando i toni si fanno più malvagi del solito (come in “Menstrual Vaginal Cry”, “The Messiah of Torture and Perversions” e “Chained to My Orgasm”. Gli ultimi due pezzi citati sono non a caso gli episodi che riescono a tirare fuori una cattiveria spropositata, presentando quindi pochi ritagli melodici). Tali momenti mi sembrano rappresentare al meglio i picchi di sofferenza a cui sono sottoposti continuamente i torturati, ma devo segnalare che a volte i riffs black vengono uniti secondo me con delle schitarrate di impronta brutal (“Tears of Pain”), questi ultimi se non sbaglio piuttosto rari, eruttando comunque quella schizofrenia tipica di tale genere, oppure con elucubrazioni più di stampo death (“Chained to My Orgasm”). Non felici di tutto ciò, le asce riescono nell’intento di farmi tremare ancora di più anche vomitando dei passaggi degni del doom più asfittico e minimale, e credo che il massimo esempio di marciume e malvagità sia dato nella stessa “Chained to My Orgasm”, e tra l’altro con una masturbazione strutturale che considero abbastanza complessa e nervosa, mentre per esempio in “Menstrual Vaginal Cry” il riffing mi fa avvertire un’urgenza evocativa, come se delle forze soprannaturali poco raccomandabili stessero per essere chiamate da questo mondo materiale, seppur sempre esprimendosi con il doom. Insomma, Antonio Poletti non scherza affatto, e secondo me con il suo lavoro vomita emozioni diverse, se non pezzo dopo pezzo, anche nello stesso episodio, ma probabilmente le chitarre credo si induriscano in misura maggiore partendo principalmente da “Until It Bleeds”, e completando questa seconda parte, benché virtuale, dell’album con “Chained to My Orgasm”. Però mi sono reso conto che certi riffs si assomigliano forse un po’ troppo (si prendano ad esempio “Snuff Movies” e “Tears of Pain”) ma sono pecche che non definirei proprio rilevanti, considerando la varietà qui espressa. Nonostante il suono abbastanza tecnico ma senza esagerare, gli assoli non mi paiono occupare un ruolo importantissimo, non solo perché sono spesso piuttosto brevi e concisi (infatti la maggiorparte dura l’arco di 2 battute, eccetto per “Until It Bleeds” e “Chained to My Orgasm”), però si segnali inoltre che ben 3 canzoni ne sono prive (“To Bitch or not to Bitch”, “Snuff Movies” e “Tears of Pain”). Attenzione però a considerarli totalmente poco importanti ai fini della musica, dato che, almeno a mio avviso, i solismi sono sempre di ottima qualità, abbastanza dinamici e virtuosi, e pure molto melodici (il che accade sempre), quasi come se fossero la coscienza del torturatore di turno, e questa sensazione mi fa ancora più impressione se si pensa che sono presenti anche in “Chained to My Orgasm”, il quale, come già osservato, penso sia uno dei brani più malvagi del lotto. Proprio in tale episodio credo si raggiunga il massimo, dato che in esso gli assoli sono per la prima ed ultima volta più di uno, addirittura 4, quasi attaccati fra di loro (la coscienza si fa forse maggiormente più insistente? Se l’interpretazione fosse questa, allora in”Tears of Pain” è come se la compassione sia stata completamente debellata?), mentre in “The Messiah of Torture and Perversions” due chitarre si danno vicendevolmente il posto per altrettante volte consecutive. Per quanto riguarda invece la sovrapposizione di riffs, bisogna dire che Antonio non solo non esagera, ma forse neanche gliene importa poi così molto, scegliendo invece pochissimi ed efficaci interventi per la solista, così da dare manforte alla ritmica. Da questo punto di vista, le fughe di “To Bitch or not to Bitch”, con la prima che esegue anche note alte con fare nervoso eppur melodico, oppure in “Chained to My Orgasm”, con la ritmica concentrata sulle pennellate, penso che siano esemplificativi a questo proposito. Ciò significa a mio parere che i Ghouls non pensino principalmente a stordire l’ascoltatore con arrangiamenti che potrebbero intensificare, in tal caso comprimere quasi al limite del rumore (rumore perché non si sa a quanti strumenti altrimenti bisogna star dietro) la propria musica, un po’ come fanno i Fleshgod Apocalypse che tengono effettivamente molto in evidenza la chitarra solista, ma puntando più che altro l’obiettivo su una sorta di eleganza sonica che cerca di accarezzare, magari con fare “semplicemente” beffardo, i timpani attraverso ricami musicali sì piuttosto difficili ma non assurdi. Ed è anche questa considerazione che mi fa definire i Ghouls un gruppo più death che altresì brutal. Tra l’altro, credo che il fattore melodico di cui ho già parlato si amalgami benissimo con i temi spesso sessuali, in quanto così facendo è come se si facesse una serenata d’amore…perversa e bestiale verso la donna. E che dire invece del basso? Ultimamente mi stanno capitando con una buona frequenza formazioni che non riducono il basso ad una semplice comparsa, ma regalandogli invece un posto importante, se non fondamentale, nel proprio suono. Se i genovesi Sacradis mi hanno appunto impressionato per una tensione imprevedibile e ricca d’improvvisazione a cui fa riferimento il basso, i Ghouls lo usano, se non similmente, almeno in modo molto esperto e libero, proponendo persino un piccolo assolo nella parte centrale di “Menstrual Vaginal Cry”. A tale strumento sono demandati frequenti giri abbastanza indipendenti dalle chitarre, e si noti inoltre la sua importanza negli stessi stacchi, che sono piuttosto molti, e praticamente ad ogni livello, capaci secondo me di potenziare maggiormente l’intensità proposta oltre che dinamicizzare i pezzi, tanto che per quanto riguarda il lavoro di Stefano è attribuito addirittura a lui la fine della ripresa, quasi nei momenti finali, della prima soluzione di “Until It Bleeds”, dato che qui ad un certo punto tutto si ferma, compreso il riffing delle chitarre, per poi farla finire allo stesso basso! Insomma, pure Stefano fa veramente una bella figura. Stessa considerazione per lo stile percussivo di Claudio, il quale è se non sbaglio basato su delle variazioni praticamente continue, tanto che non solo si cerca di variare un determinato ritmo attraverso i tom-tom e/o i piatti, ma spesso e volentieri ad una stessa soluzione possono venire indirizzati vari tempi, così che il tutto risulti decisamente imprevedibile oltre che tecnicamente piuttosto complesso, in modo tra l’altro pure di valorizzare appieno delle proprie possibilità tutto l’insieme. Infatti, a titolo di esempio, non mancano episodi in cui il nostro prima raggiunge dolorosi blast-beats, per poi vomitare improvvisi ed abissali tempi lenti di chiara matrice doom (vi consiglio quindi di sentirvi specialmente “Chained to My Orgasm”). Penso che il suo stile nervoso ed isterico sia molto adatto secondo il mio punto di vista per la musica della formazione capitolina, rappresentante cioè la follia omicida del boia sessuale, che pazzi squartano minuziosamente e lentamente nudi una vagina, contenti della propria sadica ed assurda erezione sanguinolenta. Alle volte invece mi pare augurare delle minacce attraverso delle rullate che in certi punti si fanno più insistenti, seppur seguendo sempre un tempo medio, come nella stessa canzone sopraccitata. Se qualcuno di voi si ricorda il lavoro di Bastian Herzog dei Fleshcrawl nella loro canzone “From the Dead to the Living” che apre l’album “Impurity” (una cosa simile si può sentire inoltre in “Sadistic Eroticism” contenuta nell’unica testimonianza discografica degli Excoriate, il demo “Dead Molestation” del 1992) allora non dovrebbe esservi difficile immaginare il momento sopradescritto. In non poche occasioni invece il taglio percussivo si fa forse maggiormente black, anche grazie a delle atmosfere che mi sanno di tempestoso, come se i diavoli stessero tormentando un’anima dannata. Per non parlare invece dell’uso quasi ritualistico dei tom-tom su “Snuff Movies”, come se una strana tribù stesse celebrano la tortura pubblica di una donna non ligia al dovere. Ma non aspettatevi comunque da Claudio qualcosa che possa rivaleggiare per varietà e fantasia con Luca Zamberti dei Mass Obliteration, visto e considerato che qui il lavoro non sembra al sottoscritto così anti-convenzionale oppure a-lineare, seppur momenti di quest’ultimo non manchino, come proprio in “Snuff Movies”, e bisogna segnalare che probabilmente c’è anche una certa ripetizione di soluzioni un po’ meno classiche, come tra il brano appena citato e “Tears of Pain”. Ma come per le chitarre non fa niente lo stesso, data l’inventiva dimostrata. Faccio notare infine che più o meno nella parte centrale di “Menstrual Vaginal Cry” si fanno vive delle evocative e minimaliste tastiere, che mi sembrano donare al tutto una pesante onta blackeggiante. Sarebbe interessante usarle più frequentemente in futuro.
Tra l’altro “Snuff Movies” finisce con un inquietante battito di cuore, mentre quasi nei momenti finali di “Chained to My Orgasm” vengono proposti dei suoni non ben identificati, quasi delle fruste attutite.
4. IL PEZZO MIGLIORE.
Ed è ora il momento di sapere quale sia per me il miglior brano del lotto, e la scelta mi è stata veramente molto difficile, considerando l’alto tasso qualitativo dell’album. Ma forse “Chained to My Orgasm” merita un posto a parte, dato che è una delle canzoni che mi dà più carica, però tale considerazione non sarebbe niente, visto e considerato che potrei dire le stesse cose anche verso altre canzoni dell’album. E quindi sappiate che in “Chained to My Orgasm”, ad un certo punto, c’è un gioco che definisco magnifico: la musica diventa come disperata, alla ricerca della pietà in un mare di cattiveria malvagio e senza pietà, e così si fanno vivi, quasi attaccati, ben 4 assoli che riescono a mio avviso a potenziare la determinata atmosfera di cui sopra, la coscienza che a singhiozzi perché piangente si chiede il senso di tutta questa inutile violenza, di tutte queste torture, per poi essere massacrata selvaggiamente come se fosse un giocattolo. Per non parlare invece del lato prettamente strutturale del brano, e da questo punto di vista mi interessano particolarmente i suoi primi momenti. Infatti, inizialmente si fanno vive 2 soluzioni molto black, solo che entrambe mi paiono decisamente curiose: la prima è interessata inizialmente da 4 battute (nelle successive occasioni saranno soltanto 2), contrassegnate 2 a 2 da un lavoro diverso proposto dalla batteria, considerando che inizialmente viene offerto un tempo veloce, però senza sfociare entro i blast-beats e presentando dei tom-tom finali, mentre nelle ultime 2 battute c’è un tempo medio piuttosto groovy completato altresì da delle rullate in blast. Nella seconda soluzione dapprima si esprime per 2 volte uno specifico riffing ma l’unico “problema” è che il discorso del basso è costituito altresì da una sola battuta in quanto se non sbaglio lo strumento alza tonalmente parlando le ultime note della prima botta delle chitarre. Subito successivamente la musica si trasforma vertiginosamente, ossia da black su tempi veloci (ma non in blast-beats) ad un lentissimo e brevissimo funeral doom che dire angosciante è un eufemismo, e guardacaso è soltanto un momento. Il gruppo improvvisamente accelera con quel tempo minaccioso che ho citato ormai molte righe fa, però mentre questo è sottoposto ad una battuta e mezzo con la parte finale rappresentata da delle variazioni sul tom-tom, il riffing, stavolta se non erro death metal, ne è interessato da una sola, nel senso che non ripete lo stesso riff per più volte. Poi si ripete tutto questo, come in una normalissima sequenza strofa-ritornello, con la differenza che vengono cambiati letteralmente i ritmi, dato che per quanto riguarda la prima soluzione la batteria dapprima tira fuori brevissimamente dei tempi veloci non blasteggianti (quelli suonati insomma in precedenza), per poi vomitare dei veri e propri blast-beats con tempo medio mosso finale (cosa che avverrà pure nella terza ed ultima apparizione del primo passaggio). Invece, nella seconda soluzione viene completamente eliminato il momento ultra-doom, ma l’ultima parte è sottoposta ad un’importante modificazione: quel riff da una sola battuta si rifà anche in un secondo tempo, presentando però un’altra chitarra (su note più alte) che esegue le stesse note della compagna, non variando comunque il discorso ritmico. Nella terza occasione di tale soluzione questa viene per l’ennesima volta modificata, dato che il riffing finale è direttamente ripreso da quello black della prima parte, ed anche qui la batteria denota lo stesso tempo minaccioso già trattato.
5. CONCLUSIONI.
Ed eccoci quindi alla fine di questa lunghissima (e probabilmente anche moooolto pallosa) recensione, e sinceramente non mi vengono altro che parole entusiastiche parlando di “Until It Bleeds”, un album che personalmente trova il suo maggior punto di forza a mio parere nella complessità del proprio suono, in quanto non solo riesce a rendere certamente più fantasioso ed imprevedibile tutto l’insieme, avendo però il pregio quasi paradossale di non appesantirlo ulteriormente (a tal proposito mi vengono in mente soprattutto le melodie, oltre ad un aspetto strutturale che spesso tende a dare un ordine piuttosto preciso attraverso delle soluzioni principali, e pure ad un discorso ritmico non molto difficile da digerire, seppur solito a variazioni improvvise), ma cerca anche di costruire uno schema delle canzoni a volte decisamente originale e geniale, poco incline ad essere compreso negli ascolti iniziali. L’unico problema sostanziale che sento è, come già osservato, alcuni vocalizzi e linee vocali, le quali non mi paiono sempre così incisive, ma forse è da rivedere il sistema degli stacchi, che in certi casi penso siano un po’ troppo abusati, ed in tal modo il gruppo si fa dipendere spesso da loro per potenziare la musica. Credo comunque che il fatto che i Ghouls abbiano aspettato per ben 15 anni dalla loro nascita di pubblicare il primissimo album, e tra l’altro dopo persino 5 anni senza tirar fuori niente, probabilmente è servito al gruppo, in quanto in tal modo è riuscito a partorire un’opera con una buona personalità ed inventiva, frutti di un’esperienza notevolissima. Penso che una volta o l’altra ‘sti 4 ragazzi, miei conterranei, me li vedrò dal vivo, nonostante io non sia un amante dei concerti!
Voto: 88
Claustrofobia
Tracklist:
1 – Menstrual Vaginal Cry/ 2 – Endless Pleasure/ 3 – To Bitch or not to Bitch/ 4 – Until It Bleeds/ 5 – The Messiah of Torture and Perversions/ 6 – Snuff Movie/ 7 – Chained to My Orgasm/ 8 – Tears of Pain
MySpace:
http://www.myspace.com/demonghouls
Sito ufficiale:
http://www.ghouls.it (che tra l’altro neanche esiste)