Thursday, September 5, 2013

Fosch - "Ghèra Ona Oltà" (2013)

Album (Natura Morta Edizioni, Aprile 2013)

Formazione (2004):  Buri – voce;
                                   Pagà – chitarra;
                                   Gott – chitarra;
                                   Mustus – basso;
                                   Piccinel – batteria.

Località:                    Bergamo, Lombardia.

Pezzo migliore dell’album:

“Stöf”.

Punto di forza del gruppo:

la sua semplice varietà.

C’era una volta un redattore che recensì una bella ristampa black metal, cioè “Darkness My Eternal Bride” dei Mortifier, pur essendo questa uscita immediatamente dopo il secondo album dei Fosch, confermando così ancora una volta il caos inenarrabile che si aggirava minaccioso nella sua mente. Quindi, il nostro cercò di giustificare un tale casino dicendo che la ristampa ce l’aveva originale, mentre l’album no, un modo per dire che gli originali avevano (solitamente ma anche no) la precedenza. Ma nella sua mente aleggiava ora un altro pensiero, o meglio, stava osservando che in quel periodo – Estate 2013 – la sua ‘zine fu letteralmente invasa dai gruppi black metal, l’uno meglio dell’altro, nonostante la stagione tutt’altro che invernale. Tra Black Faith, Macabre Enslaver, Infamous e gli stessi Mortifier c’era di che scegliere. E ora, toh, c’era da scrivere qualcosa su “Ghèra Öna Öltà” dei Fosch, che aggiungevano ancor più eccentricità a questa serie di gruppi… e al black metal in generale.

Infatti, i Fosch (che erano formati da 3/5 dei Veratrum, già recensiti dal redattore di cui sopra parecchi mesi addietro) cantavano nientepopodimeno che in bergamasco (un dialetto italiano dell’epoca), ispirando di conseguenza il loro stesso nome (o moniker che dir si voglia), che significava all’incirca “oscuro”. Eppure, musicalmente erano tutto fuorchè eccentrici essendo molto radicati nella tradizione, come andava in voga negli anni ’10 del 21° secolo. In pratica, vomitavano un black metal semplice semplice, con nessun assolo di chitarra (anzi, la chitarra “solista” veniva sì utilizzata - e raramente - ma suonava quasi sempre le stesse cose della ritmica solo su tonalità più alte) ma con una buona alternanza fra i tempi veloci (fra cui tupa – tupa inferociti) e quelli medio – lenti, offrendo così una buona varietà ritmica. In più, il gruppo sapeva come rendere più cattiva e “ignorante” la propria musica sconfinando a tratti in certe soluzioni più tipiche persino del black/death bestiale (come in “Ol Rossàl” o in un tempo medio molto a là Blasphemy presente nell’introduzione di “Ol Serpent dèla Còrna Rósa”).

Ma le influenze death si facevano vive più che altro nel comparto vocale. Questo risultava caratterizzato da un ottimo bilanciamento fra grugniti cupi e urla folli a là Belketre, ed entrambi i vocalizzi si presentavano un po’ “affossati” a causa della produzione, sporca ma comunque chiara e “vera”. Inoltre, in “I Sàcoi del Diàol” compariva addirittura una bella voce pulita e melodica.

Ma l’assalto dei Fosch era spesso così semplice da essere un filino difficile da digerire, almeno per quanto riguardava la struttura dei pezzi. I quali erano basati di solito su classici (almeno al tempo…) botta e risposta 1 – 2 che potevano essere ripetuti anche per 3 volte di fila (come nelle primissime due canzoni). Come se non bastasse, il gruppo era solito dilatare una stessa soluzione anche per 2 minuti, pur sapendo bene come variarla, sia attraverso cambi di tempo che quasi a livello subliminale (come nel finale di “Al Parlàa Cói Mórcc”, risolta splendidamente dalla sola batteria, con i suoi inizialmente elaborati e poi sempre più minimalisti uno – due). Per fortuna, a offrire un po’ più di dinamicità ci pensavano gli stacchi, che erano particolarmente importanti per il gruppo, anche perché alcuni di essi erano belli “ignoranti” e violenti. Però certo, non sempre i Fosch riuscivano a concludere bene una canzone, magari sviluppando poco bene la parte centrale (come in “L’Òm di Sèt Capèi”, da menzionare anche per una sua pausa con tanto di sintetizzatori imitanti il flauto) e/o proponendo cambi di tempo e di atmosfera troppo forzati che finivano sempre nel ritorno alle due soluzioni principali (come in “Ol Serpent dèla Còrna Rósa”).

Ritornando ai pregi, i Fosch sapevano dare sufficiente personalità alle varie canzoni, destreggiandosi così dalle parti doom di “La Cà Spérecc” a quelle acustiche di “I Sàcoi del Diàol”, per finire con la finale “Stöf”, sicuramente il pezzo più violento, vario e convincente del lotto, e che il redattore vide come brano di riferimento per le produzione future di questi bergamaschi.

C’era una volta (che, detto per inciso, è la traduzione letterale del titolo dell'album) un misterioso gruppo chiamato Fosch che, evocando le leggende della propria terra, fece una buona figura su una webzine brutta e pestilenziale conosciuta come Timpani allo Spiedo, anche perché “Ghèra Öna Öltà” era un disco che durava poco più di mezz’ora per soli 7 pezzi, facendosi quindi ascoltare con buona fluidità. E così, il redattore che si trovò a recensirlo concluse l’articolo con le seguenti lusinghiere parole:

“Adesso, cari miei, non rompetemi più le palle chiedendomi altre delucidazioni circa la musica dei Fosch che ora passo il processo di martellamento genitale a loro e alla Natura Morta Edizioni, che saranno ben lieti di ricompensarvi con la giusta moneta”.

Morale della favola:

un fottìo di squilibrati metallari dispersi nel lontano pianeta Terra, ormai caduto in rovina, comprarono con fervido entusiasmo mistico “Ghèra Öna Öltà”…

Voto: 79

Flavio “Claustrofobia” Adducci (da un reperto archeologico di millenni fa miracolosamente trovato da esperti musicologi appassionati di quella musica strana chiamata “heavy metal”)

Scaletta:

1 – Ol Rossàl/ 2 – La Cà di Spérecc/ 3 – Al Parlàa Cói Mórcc/ 4 – I Sàcoi del Diàaol/ 5 – L’Òm di Set Capèi/ 6 – Ol Serpènt Dèla Còrna Rósa”/ 7 – Stöf

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