Album autoprodotto (Agosto 2011)
Formazione (2005): Marcello, voce;
Dave, chitarra/voce aggiuntiva;
Alexios Ciancio, chitarra/sintetizzatori/voce aggiuntiva;
Adres, basso/rumori;
Marco, batteria.
Provenienza: Rimini, Emila Romagna.
Canzone migliore del disco:
indubbiamente “Growth and New Gods”, la quale ha un finale da capogiro che si avvale di lungo e caldo assolo, tanto semplice quanto fantasioso nella costruzione della melodia.
Punto di forza dell’opera:
la struttura dei pezzi, spesso molto difficile da gestire oltreché varia all’ennesima potenza.
Oggi, 7 Dicembre, è successo un miracolo, anzi 2:
1) era da qualche settimana che non mi svegliavo alle 8;
2) punto estremamente legato con il precedente, il sonno è stato interrotto dalla manifestazione dell’IDI proprio davanti casa, in una piazza dove non c’era qualcosa del genere (fra l’altro di serio) da non si sa quanto tempo, svegliando finalmente un quartiere solitamente invaso dalla divinità dell’automobile con annessi (e inutili) vigili.
Il bello è che dovrei studiare, ma un’ondata di altruismo nonché la musica che mettono in piazza (finora gli ultimi sono stati i grandi Ska – P) mi hanno contagiato, per cui Artaud, Locke e cazzi e mazzi aspetteranno.
Così, vi presento i Deadly Carnage ed il loro secondo album, disco interessante soprattutto per la notevole contraddizione che intercorre fra il riffing spesso adottato, inquietante e ipnotico come la tradizione del black metal più oltranzista comanda, e la chitarra solista, la quale si prodiga in assoli non solo tremendamente atmosferici ma anche paradossalmente romantici e spesso lunghissimi, senza però mai scadere nella noia. Inoltre, su di essi, fatto rarissimo nella maggior parte dei gruppi, il cantante con una certa frequenza prende voce in capitolo. In altre occasioni però, le intuizioni solistiche si fanno addirittura arabeggianti (“Epitaph Part II”, di cui si riparlerà), dimostrando per l’ennesima volta una capacità di osare di certo non comune.
E’ anche vero che in quanto a romanticismo le chitarre acustiche ci mettono il loro zampino, fino a esplodere nell’assurdo pezzo (assurdo per una formazione black metal, beninteso), gestito benissimo, dal titolo di “Ceneri”, che alla fine si rivela come una specie di (infinita… tanto da essere l’episodio più lungo dell’opera…)) outro quasi slegata dal resto del lotto, e nel quale il cantante dà addirittura adito a tutta la sua verve melodica sciorinando una voce pulita precedentemente solo accennata. Insomma, una vera sorpresa che ha soltanto il peccato, estremamente relativo, di essere l’unico episodio ad utilizzare la madrelingua, nonostante in passato i Deadly Carnage l’avessero usata decisamente di più.
La voce, d’altro canto, è un altro aspetto ottimamente curato dal gruppo. Sì, perché, anche se inizialmente appare come un tipico urlo black metal, dopo un po’ lascia trasparire una personalità più marcata [intanto hanno rimesso il pezzo con cui mi sono svegliato!] sfoggiando ora urla più, per così dire, “umane” e disperate, mentre adesso, ma in misura minore, urla più soffocate. Insomma, il lavoro non è statico, anche se un po’ di dubbi riguardano “Growth and New Gods”, che inizia con una serie di “oi” che sanno tanto di roba vichinga che però non sono stati contestualizzati per bene, soprattutto perché vengono quasi subito dimenticati non trovando più riscontro nel resto del pezzo.
In ogni caso, la dinamicità è un tratto caratteristico del quintetto, e da questo punto di vista la batteria è capace di estremizzarla per bene, presentando quindi un discorso nervoso ed abilissimo ad enfatizzare notevolmente tutto l’insieme, a volte stupendo nella maniera più devastante. Ciò osando dare una bella preminenza ai tempi medi, ma vi assicuro che il nostro quando mena con i blast – beats (o i tupa – tupa – “Guilt of Discipline” e “Growth and New Gods”) non scherza affatto, a dispetto di un rullante dal suono quasi finto e plastico.
E pure molto coraggiosa [adesso purtroppo la manifestazione vera e propria è finita] si dimostra la struttura dei pezzi, e a tal proposito non si può far a meno di notare che i nostri danno il meglio in quelli strutturalmente più isterici e selvaggi (“Guilt of Discipline”, “Parallels” e “Growth and New Gods”), i quali, avendo fra l’altro in comune una durata non indifferente che vai dai 7 ai quasi 9 minuti, non rispettano uno schema preciso. Nello specifico:
1) “Guilt of Discipline” poggia, anche se in maniera labile, sul tema principale, che più volte ritorna pure variandolo;
2) “Parallels” parte lenta, disperata e melodica per poi prendere definitivamente il largo sfoggiando, in modo da estremizzare una schizofrenia già bella presente, qualche influsso thrash e death (quest’ultima è un’influenza che si fa viva anche nel precedente episodio). Da notare il suo finale angosciosamente aperto;
3) Infine, “Growth and New Gods” ripropone, fino ad un certo punto, con sonorità più cattive, praticamente i primi momenti del brano, proposti inizialmente in versione melodica.
Ma come ho fatto notare più o meno implicitamente prima, “Epitaph Part I” e la sua seconda parte sono pezzi oserei dire interlocutori dato che sono decisamente più semplici e immediati rispetto agli altri. Dei due il migliore è il primo, che non soltanto consta di quel tipo di assolo citato qualche riga fa ma anche di un gioco ritmico dal sapore tribale utilizzato purtroppo solo nell’introduzione, anche se sarebbe stato funzionale con gli arabeschi della chitarra solista. “Epitaph Part II” invece è degno di nota specialmente per il finale, dove c’è una pausa da brividi con tanto di urlo inquietante seguito da una bella esplosione sonora.
Altri appunti da fare riguardano i rumori, che nei crediti sembravano così importanti ma che alla fine si riducono a qualche (ottimo, del resto) brandello di feedback (“Parallels”), caratteristica che poteva essere sicuramente giostrata meglio; e quel rumore greve, molto atmosferico, con cui si conclude quasi ogni pezzo, il quale poteva invece essere approfondito e ampliato, casomai nell’ultimo episodio così da non ridursi sempre ad un qualcosa di sempre uguale a sé stesso.
Ma se è vero che gli esperimenti implicano sempre la gradualità, che poco a poco rende sicuri dei propri mezzi, allora tutte queste ultime critiche sono (almeno per ora) relative. Anche perché, ad ogni modo, il gruppo sa essere non solo personale ma tremendamente raffinato. Quindi, il secondo album dei Deadly Carnage è un acquisto consigliatissimo.
Voto: 77
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Guilt of Discipline/ 2 – Parallels/ 3 – Epitaph Part II/ 4 – Epitaph Part II/ Growth and New Gods/ 6 - Ceneri