Saturday, June 25, 2011

Male Misandria - "E.DIN" (2011)

Recensione pubblicata l'11 Maggio 2011 sulla mia pagina FaceBook.

Album autoprodotto (20 Febbraio 2011)
Formazione (2006): Von Pontr, voce e chitarra;
Puja, basso;
Magris, batteria

Provenienza: Pordenone, Friuli – Venezia Giulia

Canzone migliore dell’album:
senz’appello l’incubo de “L’Amore Perso”, che dopo un po’ diventa pura paranoia anche grazie a Von Pontr che urla quasi all’infinito lo stesso titolo del brano.

Punto di forza dell’album:
l’abilità dei Male Misandria di aver saputo estremizzare l’assalto attraverso accorti miglioramenti e talvolta imprevedibili novità così da creare un vero e proprio inferno sonoro.

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Curiosità 1:
quando mi è arrivata qualche mese fa per posta una copia dell’album, vecchi ricordi si sono scatenati nella mia testa. La copertina infatti non è altro che il “Paradiso Perduto” di quel pazzo pittore olandese del ‘500 Hieronymus Bosch, il cui “Inferno Musicale” (presente ai lati del booklet proprio come il “Giardino dell’Eden) all’età di 12 anni mi fece una tale impressione da averne per un po’ di tempo una paura glaciale. Ma quello che più mi ha sorpreso è stata la fedeltà nel riproporre il “Trittico del Giardino delle Delizie”, che si compone dei 3 dipinti sopra accennati, sul booklet stesso il quale infatti si apre a mo’ di finestra proprio come la monumentale opera sopraccitata. Però, invece che la Terra spoglia vi si trovano i seguenti versi, curiosamente in inglese (e spero che la mia traduzione sia il più possibile corretta):

“Quando siamo nati noi abbiamo cominciato a crescere
Quando siamo morti abbiamo cominciato a capire
Quando siamo rinati abbiamo cominciato a vivere”

Curiosità 2:
L'album sembra prendere il nome da un libro pubblicato nel 2002 da un certo Elliott Rudisill, "E.DIN, Land of Righteousness", di cui a quanto pare non esiste un edizione tradotta nella nostra lingua. Ma il significato dello strano termine "E.DIN" mi è ancora sconosciuto.

Nota:
faccio presente che i Male Misandria dopo tanto tempo hanno trovato un’etichetta discografica disponibile a supportarli il più possibile: stiamo parlando della canadese Suffering Jesus Productions, che fra l’altro ha nella propria scuderia altri gruppi italiani, ovvero gli heavy metalloni The Pistons e i blackettoni Sidus Tenebrarum.

I Male Misandria li avevamo lasciati con “Volizione”, un disco estremo e intollerante come solo pochi gruppi riescono a partorire. E soprattutto un esempio di come si possa dire qualcosa di nuovo senza fare un confusionario melting pot di stili tra i più differenti ma cercando “semplicemente” di sputare fuori ciò che noi metallari estremi amiamo di più: la violenza sonora, il puro attacco frontale. Solo che questi 3 ragazzi osano esternare tale comune obiettivo in una maniera completamente folle, avendo persino il coraggio di combinare in modo perfetto l’irruenza selvaggia del grind con la tetra solennità del black metal. Una combinazione che sta riscuotendo ultimamente un successo inaspettato in terra italica, vedasi il solo – progetto purtroppo sciolto Orifice (questo in una modo molto a sé stante e tutto particolare), Deprogrammazione (poi riunitisi negli O), Noia ecc… ecc…. E’ anche vero che con molti di questi gruppi, tutti ben decisamente distinguibili fra di loro, si sta procedendo ad un’operazione volta a “riscoprire” il fascino della madrelingua, residuo proveniente dalla cultura punk – hardcore che alcuni di essi si portano fieramente addosso. Come è un residuo della stessa cultura il carattere serio e intelligente di molti testi scritti dalla succitata gentaglia (ovviamente non sto parlando di tutti), criptico nella migliore delle ipotesi, ma spesso lontano da qualsiasi tipo di ideologia fatta e finita.

I Male Misandria rappresentano con molta probabilità il lato più violento di questa giovane corrente nostrana. Ma forse anche il lato più tecnicamente valido, questo considerato pure in rapporto alle velocità assassine a cui solitamente i nostri vanno (per esempio ascoltatevi il riffing thrasheggiante e isterico di “So I’m Cook”) e nella loro capacità di cambiare tempo senza nessunissimo problema (infatti, questi ragazzi non hanno perso l’accortezza di dosare in maniera perfetta e saggia il nudo e crudo impatto con strategici tempi meno sostenuti che qui e là fanno capolino) e soprattutto in maniera fluida e con poche pause. E, se non possono essere classificati come i più completi, sicuramente da questo punto di vista hanno fatto passi da gigante, anche affinando le parti più vicine al death metal (come in “Somni Specus” – che contiene un’introduzione lenta e a dir poco minacciosa su cui si staglia una voce parlata stranamente in inglese – o “Nella Culla della Speranza”) se non richiamando addirittura il brutal da stadio terminale come in “Certezze”. Influenze che si posano magnificamente con le sonorità di base del gruppo (che in ogni caso dominano) e che si dimostrano utili a renderlo più indomabile possibile.

D’altro canto bisogna dire che con quest’album non si è voluto soltanto rendere più dura e violenta la formula precedente ma sono state introdotte parecchie novità, alcune delle quali potrebbero essere delle ottime basi di partenza su cui costruire le future produzioni:

1) prima di tutto, ci sono incredibilmente non una ma ben due canzoni che poggiano per la maggiore su ritmi meno indiavolati del solito, ossia la già citata “Somni Specus” (che fra l’altro è collegata direttamente con la successiva “Convinzioni” visto che la voce parlata è presente anche in quest’ultima) e la contraddittoria e crassiana “In Stagione di Guerra”, indubbiamente l’episodio più curioso del lotto che guardacaso funge da coda dell’album;

2) in “Homo Homini Homo” si sperimentano invece nell’introduzione delle tastiere “angeliche” che non soltanto collidono stupendamente con l’assalto subito successivo ma anche con i campioni di lupi che abbaiano in maniera veramente poco simpatica;

3) ha assunto finalmente un ruolo melodico pure il basso, seppur solo in “Coscienza”, dove per un po’ si stacca dal ruolo di seconda chitarra caratteristico del metal costruendo in tal modo un’ottima linea nei primi momenti del brano, che fra l’altro è uno dei più lunghi (dura poco più di 3 minuti);

4) questa è una novità in parte visto che rientra perfettamente nei canoni black ma è da menzionare il fatto che si è notevolmente allargato lo spettro d’azione del riffing riguardante tale genere. Infatti, nei Male Misandria mancavano le melodie più disperate e gelide, lacuna che è stata riempita in pezzi come “Alba”, la pazzesca “Daltonico” e soprattutto “Amore Perso”, le cui melodie alla fine diventano spaventosamente cupe e frastornanti nella loro terrificante dissonanza;

5) anche questa è una novità in parte visto che fino a “Volizione” le liriche sono state divise fra l’italiano e l’inglese. Ma finalmente l’italiano è diventata la lingua base dei Male Misandria, anche se qualche titolo potrebbe trarre in inganno.


La finale “In Stagione di Guerra” merita una trattazione a sé essendo non solo come già scritto la più coraggiosa del lotto ma purtroppo anche quella in un certo senso meno convincente, più che altro per due trovate un po’ incomprensibili per le mie orecchie (un effetto voluto? Ho paura di sì!).

“In Stagione di Guerra” non è soltanto il secondo e ultimo brano nel quale le velocità assassine prevalgono per pochissimo. Sì, perché in esso vi si trova per la prima ed unica volta una voce femminile recitativa molto in sintonia con il tema dell’amore che finalmente viene trattato con assoluta nonchalance. Di conseguenza i toni si fanno delicati e compassionevoli. Solo che l’episodio possiede due finali comunque non troppo dissimili né dal punto di vista emotivo né da quello musicale (beh, più o meno). Due finali? Forse è ora di spiegarsi meglio: il primo avviene in corrispondenza dei primi 3 minuti. In seguito il tempo passa a dismisura manco si stesse emulando John Cage. In parole povere si ascolta solo il crudo silenzio (oddio, se non abitassi in una zona importante di Roma forse me lo gusterei meglio ‘sto silenzio…). Per 6 – 7 minuti. Dopodichè, ariecco la musica che distrugge debitamente i timpani (grazie al….?) nonostante si tratti di un punk poppeggiato e strumentale tutto sorretto dalle semplici variazioni della batteria tutta concentrata sui tempi medi. Passato circa un minuto, è finito tutto.

Ora vorrei sapere dai diretti interessati l’utilità di fatto senza sbocchi e senza un reale sviluppo emotivo del secondo finale, e quindi qual è il senso del silenzio? Inoltre, sarà pura speculazione ma il canto del cigno dell’album ribadisce gli stessi concetti del primo finale aggiungendo poco o niente. Ossia si rallenta gradualmente il ritmo (anche se nel secondo ciò è quasi impercettibile dato che è tutto merito della sola batteria) e in entrambi i casi non c’è un vero e proprio climax emotivo, almeno non in senso classico visto che si gioca tutto al contrario. Sottolineo ad ogni modo (giustamente per non essere frainteso) che la prima conclusione funziona a meraviglia, eliminando lentamente l’aggressività e la violenza per poi proporre poco dopo il tipico finale impazzito caro a metal e al rock in generale.

Se si deve però ritornare ai netti miglioramenti, allora non posso che applaudire il lavoro vocale di Von Pontr (a.k.a. Darius a.k.a. MM oppure come cazzo volete), il cui massimo esempio di pazzia imbottita anche da urla stridulissime si può rintracciare in “Daltonico” dove si ha quasi la sensazione che lui stia per abbandonare questo mondo senza speranza. Il nostro stavolta ha fatto un buon uso frequente delle sovraincisioni (comprese quelle tra urla e grugniti belli rozzi) nonché dell’effettistica, visto e considerato che per esempio non sono pochi i momenti in cui lo si sente sbraitare ora da un’uscita adesso dall’altra dello stereo (o delle cuffie, s’intende).

La produzione guardacaso è molto diversa da quella di “Volizione”. E’ decisamente più pulita, i vari strumenti sono stati ben equilibrati fra di loro (ascoltare il basso è sempre un gran piacere!), e le frequenze sono costantemente e spaventosamente alte. Oddio, non è che quest’ultima caratteristica mi piaccia particolarmente in quanto così facendo si alza la potenza della propria musica in maniera quasi artificiale. D’altro canto, risulta molto adatta ad esemplificare la carica profondamente nichilista e provocatoria del terzetto. Che ha già dimostrato di essere potente ed incisivo con la produzione sporca di “Volizione”….

Voto: 90*
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Sangue del Mio Sangue/ 2 – So I’m Cook/ 3 – Amorfe/ 4 – Earth Reset/ 5 – Somni Specus/ 6 – Convinzioni/ 7 – Non Siete/ 8 – Homo Homini Homo/ 9 – Scriba/ 10 – Alba/ 11 – Vomitsoapbubbles/ 12 – Nella Culla della Speranza/ 13 – Come Creta/ 14 – Cometa/ 15 – Certezze/ 16 – Daltonico/ 17 – Money Turns Into Paper/ 18 – L’Amore Perso/ 19 – Coscienza/ 20 – Coerenza/ 21 – Idolima/ 22 – Noi/ 23 – Incendio/ 24 – Jizo/ 25 – In Stagione di Guerra

MySpace:
http://www.myspace.com/malemisandria

*Il voto è stato una decisione piuttosto difficile. Perché, se confrontato con il 95 al tempo dato a “Volizione”, il presente album dovrebbe essere considerato un seppur minuscolo passo indietro, nonostante nella recensione si parli di una sfilza infinita di miglioramenti e novità. Di fatto non lo è, anzi, ma comunque rimane importante la conclusione poco convincente di “E.DIN”. Mentre nella precedente opera simili dubbi non mi attanagliarono per niente la capoccia. Quando si dice la pignoleria….