Sunday, August 19, 2012

Handful of Hate - "Hierarchy 1999" (1999)

Album (Northern Darkness Records, 1999)
Formazione (1993): Nicola B. – voce/chitarra;
Paola Bonini - gemiti in "Master's Pleasure";
Marco M. – chitarra;
Enrico S. – basso;
Gionata P. – batteria.

Provenienza: Lucca, Toscana.

Canzone migliore del disco:
“The Slaughter of the Slave Gods”.

Punto di forza dell’opera:l'abilità dei singoli di enfatizzare, anche attraverso stacchi con annesse ripartenze paurose, i momenti salienti dei vari brani.




Nota:



Nicola dedica quest'album alla memoria di Ugo Pandolfini (1977 - 1994) e a Max Usseglio "le mode passano ma noi siamo sempre qui".

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Disco dalla cattiveria pressoché impossibile, “Hierarchy 1999” rappresenta il secondo album degli Handful of Hate, gruppo storico della Penisola che nel 2008, anche a causa di numerosi avvicendamenti in formazione succedutisi negli anni, si è sciolto, riformandosi per fortuna l’anno dopo. Ragion per cui mi sembra un obbligo parlare di quest’opera che, partendo dal black metal svedese più spietato, dimostra come si possa essere in un certo senso raffinati e “ignoranti” allo stesso tempo. E fra l’altro, bisogna assolutamente osservare come tale disco, elogio del sesso più perverso e luciferino e della guerra, sia uno dei tanti comprati (in offerta a 9 e 90) nel mio negozietto di fiducia, Star Music. Ancora mi chiedo come ‘sto negozio, per niente metal ma sufficientemente fornito di uscite underground, possieda delle chicche del genere…

L’album comincia nel “peggiore” dei modi, lasciando già pregustare un terrore senza fine: c’è una chitarra ultra – rumorista in sottofondo e una specie di assurda voce (o che dir si voglia) sgorgante forse direttamente dal fiume infernale Lete. Una decina di secondi e via, il massacro ha inizio!

E così, ecco le chitarre. Solenni e fiere, non disdegnano melodie maledette, beffarde e anche particolarmente curate, come in “The Slaughter of the Slave - Gods”. Ma gli assoli sono completamente banditi, seppur le due asce sappiano darsi (occasionalmente) manforte a vicenda magari completando il riff della compagna.

La batteria, a primo acchito, sembra letteralmente ossessionata da terremotanti blast – beats molto lineari, forse troppo limitati nelle variazioni, utili a enfatizzare la prestazione degli altri strumentisti, ma comunque sono efficaci. Ma a poco a poco, il lavoro si rivela inventivo, visto che il nostro ha per esempio avuto l’accortezza di rendere più intenso tutto l’insieme spesso per il tramite di tempi medi abbastanza dinamici.

La voce è invece un urlo soffocato accompagnato talvolta da grugniti bestiali e puntuali negli interventi, pur essendo questi stati ridotti al lumicino rispetto al disco precedente. C’è una buona creatività nella costruzione delle linee vocali, ma il bello è che Nicola canta con così tanta foga da perdere il fiato (“The XI Wings of Death”)!

Ma un’altra caratteristica interessante del disco è la sua divisione più o meno in 2 parti. La seconda è più coraggiosa della prima, e inizia idealmente con “The Slaughter of the Slave - Gods”, la quale ha una parte centrale lenta e folle con tanto di voce che vomita (anche) in italiano. Poi c’è la sferzante “Master’s Pleasure”, l’unica a essere totalmente priva di tempi veloci e con tanto di scena sadomasochistica ricca di frustate e gemiti femminili, mentre nella lunghetta introduzione vi è una chitarra praticamente “echizzata” che ricalca molto quella di “The XI Wings of Death”. Infine, le ultime due canzoni sono curiosamente quelle che durano di più, visto che le altre spesso durano 2 minuti, con il climax di “Submission”, che parte praticamente doom per poi esplodere cambiando pure improvvisamente e gradualmente tipologia di riffing, prima melodica e poi bella cattiva.

Notevole è anche il senso strategico con il quale sono stati posizionati i vari pezzi. Tanto per fare un esempio, “Scars of Damnation”, pura distruzione che dura poco meno di 2 minuti, segue saggiamente la precedente “The Slaughter of the Slave – Gods”, che è invece abbastanza elaborata dal punto di vista ritmico e melodico.

Insomma, “Hierarchy 1999” è semplicemente un capolavoro ai limiti della perfezione. Certo, i nostri riescono forse a dare il meglio nei pezzi più brevi, ma comunque gli Handful of Hate avevano già al tempo un sacco di personalità. E fra l’altro il disco si allontana molto dall’album precedente datato 1997, cioè “Qliphotic Supremacy”, decisamente più melodico e dalla produzione sporchissima, e quindi, per un assertore dell’evoluzionismo musicale quale sono io, questo non può altro che farmi piacere.

Voto: 95

Claustrofobia
Scaletta:
1 – The XI Wings of Death/ 2 – Disparity/ 3 – Fleshcrawling Blasphemy/ 4 – Stifled into Extremism/ 5 – The Slaughter of the Slave – Gods/ 6 – Scars of Damnation/ 7 – Master’s Pleasure/ 8 – The Bleeding Lips of Grace/ 9 Submission (The Fine Art of Sodomy)/ 10 – The Rise of Abomination.

Sito ufficiale:
http://www.handfulofhate.com/

MySpace:
http://www.myspace.com/handfulofhate