Album (M.A. Production, 2011)
Formazione (2005): Stefano Montagna, voce/chitarre;
Francesco Andrei, basso;
Maurizio Montagna, batteria.
Provenienza: Ostia/Roma, Lazio.
Canzone migliore dell’opera:
“Terror from the Space”.
Punto di forza del disco:
la riuscita implementazione di un sacco di novità che non snaturano lo stile del gruppo.
-------------------------------------------------------------------------------------------------
Cover Art: Cristian Picariello
Ultimamente non si capisce cosa stia succedendo ai gruppi romani, fatto sta che finalmente da queste parti se ne sta parlando con notevole frequenza. E questo non può che essere un onore per me, vista la mia romanità risaputa. E poi oh, mi ricordo ancora il deserto della Roma Metal nei primi numeri di Timpani allo Spiedo, cosa inaccettabile anche in rapporto alla mole grandiosa di gruppi provenienti dalla Capitale (e grazie al….?). Devo dire inoltre che la qualità delle proposte capitoline è sempre molto alta, ma chi mi vuol tacciare di favoritismi si legga per esempio la rece riguardanti i thrashettoni Satanika. Ma con i Whiskey & Funeral non c’è assolutamente niente che mi possa fermare perché l’ultimo presente album spacca i culi che è un piacere.
Non che il primo fosse da meno. Oddio, col tempo ho ridimensionato un po’ “The Arrive of Chaos”, comunque esempio brillante di come si possa creare un black/death/thrash metal dinamico e tecnico come pochi. E’ anche vero però che i nostri hanno riformulato un po’ la propria proposta, cosa dovuta in parte alla defezione del vecchio cantante Fulvio Icb, sostituito (ottimamente) per l’occasione da Stefano Montagna. Ragion per cui le novità che si profilano sono tantine e neanche di poco conto. E quali sono?
Ovviamente la voce. Rispetto al predecessore (che utilizzava un urlo molto hardcore) Stefano risulta essere paradossalmente più versatile nonostante l’uso di un grugnito bello rauco e “ignorante”, alternato (anche con cambi tonali improvvisi) a un urlo molto scartavetrato e terrificante. In “Cannibal Mass” sperimenta un poco, dando praticamente una voce strozzata e particolarissima a una donna peccaminosa ma religiosa al confessionale. Il nostro così riesce ad enfatizzare meglio il tutto, adattandosi alle varie situazioni, contrariamente a Fulvio che era invece più essenziale. Inoltre, Stefano talvolta si concede lunghi silenzi (come nella fuga da un minuto di “Out of the Graveyard”, ma i nostri, per le loro caratteristiche, se lo possono permettere ‘sto lusso).
In secondo luogo, i nostri hanno implementato delle inedite parti black metal così glaciali da far impallidire anche i Darkthrone dei tempi andati (oddio, che cosa ho scritto?), parti che curiosamente si trovano spesso e volentieri lungo la parte finale dei brani. Notare che esse risultano praticamente basilari perché possiedono non poche volte un effetto – climax da ammirare (a tal proposito, “Terror from the Space” è senza dubbio il massimo), seppur in canzoni come “Zombie Priest” diano l’impressione di non esser state approfondite debitamente.
La terza novità è la struttura dei pezzi, che si rivela meglio giostrata anche per quanto riguarda la capacità di colpire l’ascoltatore dal punto di vista psicologico. La struttura fra l’altro è stata razionalizzata rispetto al passato, visto che adesso i nostri tendono ad essere meno “anarchici” offrendo di conseguenza uno schema leggermente più sequenziale ed accessibile, anche se il concetto di “invenzione pura” è rimasto.
Come quarto punto, bisogna assolutamente citare anche il lavoro di basso, che ora si rivela più importante, magari per introdurre un brano o per duettare con la batteria, seppur dal punto di vista meramente melodico non aggiunga nulla (ma da quello atmosferico sì!).
E, come ciliegina sulla torta, in questo disco c’è un pezzo completamente in italiano, ovvero “Santa Claus” (ma che c’entra il titolo?). Stranamente tale brano sembra essere piuttosto serio visto che il testo se la prende con i preti pedofili arrivando a definire (non a torto) la scelta di esser prete come qualcosa di contro natura. E guardacaso “Santa Claus” presenta un tiro hardcore mica da ridere. Insomma, un bell’esperimento che consiglio di prendere in considerazione per le future produzioni.
A dir la verità, le novità non sono neanche finite! Infatti, come non menzionare la dose assassina di brutal che si percepisce qua e là? E il riffing più psicotico del previsto fino a partorire un brano come “Holy Whiskey” che ha una parte rumoristica da infarto (anche se forse la si poteva sviluppare meglio) introdotta da una parte mosh spaccaossa? Ma non scordiamoci neanche la produzione, ora più piena, compatta e dalla batteria più viva e bastarda di quella di “The Arrive of Chaos”!
Foto: Cristian Picariello
In parole povere, tante cose sono cambiate, pur nel rispetto di uno stile riconoscibilissimo che stavolta ha rifiutato (quasi) del tutto ogni traccia di chitarra solista (quindi, zero assoli pure in questo disco). Ed il bello è che la strumentale (ormai le strumentali sono una tradizione per ‘sto gruppo) “Blood Heroin” si regge benissimo!
Beh, cosa dire?
CHE I WHISKEY & FUNERAL VI CALPESTINO A MORTE AHAHAHAHAHAHAAAAAAAAAH (sboink!)!!!!
Voto: 86
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Zombie Priest/ 2 – Out of the Graveyard/ 3 – Holy Whiskey/ 4 – Cannibal Mass/ 5 – Blood Heroin/ 6 – Whiskey & Funeral II/ 7 – Santa Claus/ 8 – Terror from the Space/ 9 – The Last Sigh
MySpace:
http://www.myspace.com/whiskeyandfuneral