Album autoprodotto (2012)
Formazione (2010): Mark – voce/chitarre;
Jamie – basso/voce;
Pauly – batteria.
Provenienza: Flagstaff, Arizona (Stati Uniti)
Canzone migliore dell’album:
“4th Wave”.
Punto di forza del disco:
la disperazione più totale.
Appartenenti al relativamente giovane filone dell’anarco – black metal, i Let the World Die sono costituiti curiosamente da veri Indiani d’America, e guardacaso combattono per difendere il proprio territorio da ogni tipo di dominio tanto da aver aperto un interessante sito nel quale spiegano le ragioni della lotta e che funge anche da finestra per il proprio infoshop, vero e proprio laboratorio creativo di nuove e sempre diverse situazioni antagoniste (http://www.taalahooghan.org). Inoltre, altra fondamentale caratteristica proviene dalla particolare tipologia di tematiche trattate: i nostri infatti sono degli ambientalisti sfegatati, cosa che dovrebbe essere già compresa a partire dal nome significativo del gruppo. Nome che presumo sta per “lasciate che il mondo muoia di morte naturale”, esortando quindi fin da subito a non infettarlo con le peggio schifezze possibili, a non consumare come dei forsennati le sue risorse, insomma rispettarlo in quanto essere vivente anche perché, parafrasando il gruppo punk anni ’80 Anarka and Poppy, “If It Dies, We Die”.
Però, a dir la verità, i Let the World Die sono particolari veramente in tutto. La loro musicalità è complessa, sempre in divenire e ricca di influenze magari completamente inaspettate. Il loro black metal melodico e disperato si colora di aperture acustiche, di assalti crust e di… momenti ska. Sì, lo ska, signori, avete letto proprio bene! Certo, non sono assolutamente i primi blackettoni a fare simili scelte stilistiche visto che per esempio in giro ci sono i canadesi – da poco sciolti - Leper (formati da ex – membri degli Iskra), ma questa capacità di variare la proposta permette a questi baldi Indiani di caratterizzare ottimamente i diversi pezzi, anche dal punto di vista atmosferico. Così, si passa dall’uragano semi – strumentale di “LED”, uno dei momenti più intensi di tutto l’album, alla ferocia di “BMIS II”, oppure dalla drammaticità quasi da black depressivo di “4th Wave” alla stranissima “MI 884”, una vera e propria canzone nella canzone dove la prima è un black/crust epicheggiante mentre l’altra è una giocosa strumentale ska con tanto di breve assolo.
Come se non bastasse, i nostri prediligono approcciare la materia musicale in modo democratico, cioè dando particolare importanza alle doti dei vari strumentisti, così da rendere ancor più profondo tutto l’insieme. Ciò significa per esempio che il basso è a dir poco fondamentale sia per quanto riguarda gli stacchi, sia per integrare o completare il lavoro delle chitarre creando così linee perfette (specialmente nei passaggi ska). Ma anche le asce, seppur non raggiungendo livelli di certosina raffinatezza come quelli presentati ultimamente dagli Hell United, non scherzano affatto, anche perché si sfogano attraverso degli emozionanti (ma occasionali) assoli, che magari vengono suonati in concerto da entrambe le chitarre (“LED”).
Ma come ho già detto prima, il black metal dei Let the World Die è disperato, e quindi è fondato moltissimo sull’emozionalità. Questo lo dimostra soprattutto la voce, un urlo esasperato all’eccesso, talvolta doppiato, alternato nei momenti più ska e pacati da un urlo più rauco. Oddio, da un certo punto di vista la voce è un punto debole, più che altro perché i nostri hanno così tanto da dire (i testi infatti sono chilometrici manco fossero quelli dei Cradle of Filth) che il cantante quasi non si ferma mai, non facendo quindi respirare né l’ascoltatore né la musica stessa, e quindi bisogna lavorare un po’ sulle dinamiche strategiche delle linee vocali.
Inoltre, in certi pezzi (come la pur bellissima “LED”), lo ska è purtroppo completamente assente (a parte qualche momento un po’ impercettibile senza l’ausilio delle cuffie), e fra l’altro in “MI 884” la parte ska è data un po’ troppo per le lunghe oltre a contare un assolo che poteva essere sviluppato sicuramente meglio.
Insomma, come tutti gli esperimenti ci vuole un po’ di tempo per metterlo a frutto, ma per ora questo disco, oltre a essere interessantissimo, è uno dei più intensi e fantasiosi che abbia sentito ultimamente, capace di toccare corde dell’animo difficilmente raggiungibili anche da un gruppo di black malinconico. E poi oh, finalmente dei testi intelligenti abili a far riflettere l’ascoltatore, dopo tutte quelle storielle horror, omaggi a Satana e quisquilie simili che infestano il panorama estremo!
Voto: 77
Claustrofobia
Scaletta:
1 – BMIS/ 2 – LED/ 3 – 4th Wave/ 4 – MI 884/ 5 – BMIS II/ 6 – IM Power/ 7 – Outro
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