Tuesday, April 24, 2012

Sedition - "Melt Down the Idols" (2012)

Ep autoprodotto (20 Febbraio 2012)

Formazione (2008): Leonardo Romanello, voce;
                                 Fabio Flumiani, chitarra;
                                 Martino Minen, chitarra;
                                  Gianluca Somma, basso;
                                  Stefano Venturuzzo, batteria.

Provenienza: Udine, Friuli – Venezia Giulia

Canzone migliore dell’opera:

“Painted Face of a Savage”.

Punto di forza del disco:

l’atmosfera estraniante e malata
                                    
Nota:

"Il Krakatoa [titolo del secondo pezzo del disco] (in indonesiano: Krakatau) è un vulcano dell'isola indonesiana di Rakata. Conosciuto per le sue eruzioni molto violente, soprattutto per quella che si verificò il 27 agosto 1883 con energia equivalente a 500 megatoni, provocando il suono più forte mai udito sul pianeta, un boato che arrivò a quasi 5000 km di distanza. L'esplosione ridusse in cenere l'isola sulla quale sorgeva il vulcano e scatenò un'onda di maremoto alta 40 metri che correva alla velocità di 1120 km/h." (Wikipedia)

I Sedition si sono presentati come amici dei Male Misandria, e quindi con una premessa di questo tipo essere strani è praticamente una regola. L’altra regola, a quanto pare, è il look per così dire “normale”, visto per esempio l’aspetto da bravo ragazzo del batterista del quintetto friulano. Bene, i Sedition le rispettano più o meno entrambe (e c’era bisogno di specificarlo apertamente?), pur suonando una musica completamente diversa da quella di Von Pontr e soci… ma purtroppo, e lo faccio presente fin da subito, anche i livelli qualitativi sono molto differenti fra di loro. Ma, beninteso, ciò non significa che i Sedition non abbiano potenzialità parecchio interessanti.

Infatti, sono molte le caratteristiche che rendono il loro brutal per niente banale e semplicistico, come:

1)      il settore chitarre, le quali si prodigano in un riffing tecnicamente dotato e spesso non poco disturbante concedendo così rari spazi alla melodie. Queste si fanno vive più che altro grazie all’utilizzo ponderato di scale esotiche, abili a trasmettere un’atmosfera misteriosa e antica, la quale viene enfatizzata soprattutto con la chitarra solista (autrice di prestazioni veramente inquietanti come nei miagolii di “Fucking Retox”), come in “Stoned Sun”. Non manca così qualche (occasionale) assolo, magari rapidissimo e comunque di matrice occidentale (“Painted Face of a Savage”);

2)      il comparto vocale, dominato da un grugnito piuttosto forte che infatti non disdegna urlate in pieno stile metalcore (“Fucking Retox”). L’aspetto però curioso del cantato è a dir la verità una voce gutturale (leggasi “voce”, quindi non è un grugnito vero e proprio) pesantemente effettata da indurre alienazione, quasi ci si trovasse dentro abissi pregni di terrore;

3)      l’alternanza ritmica fra i tempi più veloci e quelli più lenti, con questi ultimi che a volte sono così ossessivi da essere preponderanti nell’ultima canzone, ossia “Eye of the Desert”, la quale è in sostanza un inno al funeral doom più malato e strisciante;

4)      la tendenza ad offrire brani parecchio lunghi, anche da 6 – 7 minuti;

5)      la struttura – tipo dei pezzi, abile a rendere ancor di più difficoltoso l’ascolto attraverso uno schema profondamente sequenziale e rigidissimo, che ama fra l’altro i continui botta e risposta anche fra due sole soluzioni.

Alla fine, però, il risultato è così interessante e particolare da avere qualche buco di troppo, come la batteria, il cui suono è fin troppo plastico e quindi martellante, caratteristica purtroppo comune a molte produzioni brutal degli ultimi tempi; qui e là, specialmente nella prima parte del disco, ci sono dei deja – vù fastidiosi, ravvisabili soprattutto nell’abuso di rullate + riffing massiccio di meshugghiana memoria; e purtroppo anche la metodologia strutturale scelta è un po’ discutibile, visto che durante il discorso viene lasciato poco spazio all’inventiva, sguazzando così spesso nella ripetizione meccanica degli stessi passaggi, cosa che non permette di far emozionare sufficientemente l’ascoltatore.
                                     
In ogni caso, qualche brano, nel suo complesso, si salva, ossia “Painted Face of a Savage” e “Eye of the Desert”. Queste sono infatti canzoni dallo schema più libero e pregne di trovate talvolta geniali, come i monologhi del cantante con tanto di feedback desolante della seconda canzone. Di conseguenza, consiglio esplicitamente ai nostri di raffinare nelle future produzioni una tale libertà d’azione.

Si aggiunga a tutto questo un’autentica sorpresa, ovvero “The Man Forever Big”, pezzo folk (o come diavolo lo si voglia chiamare) americanissimo, sviluppato benissimo nonostante la sua totale estraneità. E guardacaso figura come traccia bonus.

Voto: 67

Claustrofobia

Scaletta:

1 – Painted Face of a Savage/ 2 – Krakatoa/ 3 – Fucking Retox/ 4 – The Stoned Sun/ 5 – Eye of the Desert/ 6 – The Man Forever Big

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