1. INTRODUZIONE.
E' ufficiale: il demo che mi sto apprestando a recensire non è stata per me una sorpresona ma di più! Qua sento l'essenza della vecchia scuola, quella puzza pestilenziale ma bellissima degli anni '90 applicato ad un qualcosa che formalmente ha veramente poco di tradizionale dati gli sperimentalismi che i Resumed tirano fuori. E lo sapete fra l'altro chi ha fatto da tramite tra me e 'sti ragazzi? Nientepopodimeno che Federico Falcone, voce dei First Reason, sempre attivo nella scena tant'è vero che possiede persino un'agenzia di promozione nonché “'zine” denominata Mind Over All. E cazzo se ne capisce di musica!
2. PRESENTAZIONE DEMO.
“Human Troubles” non è altro che la primissima testimonianza discografica, autoprodotta negli ultimi giorni del 2009 in versione demo, dei Resumed, giovanissimo quartetto da Sulmona in provincia de L'Aquila, formato nel 2007 inizialmente come Holy Terror e costituito attualmente da Daniele Presutti voce/chitarra, Nikolas De Stephanis chitarra, Carlo Pelino basso (l'uomo da dove tutto è iniziato) e Filippo Tirabassi batteria. Il bello è che a mio parere loro già presentano una maturazione compositiva di notevole gusto. Praticamente nei 5 pezzi dell'opera non c'è nessuna cosa fuori posto, nonostante essi dal punto di vista del minutaggio potrebbero far paura a molti, in quanto spesso e volentieri si superano i 5 minuti non scendendo mai sotto i circa 4 e 15 di “Into the Trip”. Nei solchi del demo si viene torturati da una musica che definirei death metal progressivo mischiato con il jazz e la fusion (anche se forse il primo tra i due è il più presente), facendo assaporare però appunto quella genuina cattiveria che riesce a catapultare maggiormente l'ascoltatore nel limbo del vecchio death, e probabilmente i Resumed sono addirittura più malvagi delle formazioni classiche del genere, per via di una magnifica atmosfera beffarda, da vera e propria presa per il culo verso l'ascoltatore, che negli ultimi tempi mi ha veramente posseduto facendomi prostrarre di fronte al genio creativo degli abruzzesi. Un'atmosfera beffarda determinata da trame sonore di certo spesso non proprio comuni, ed “arzigogolate” seppur non così pesantemente come pensavo prima di mettere nello stereo il disco, ma praticamente tutti gli aspetti dei Resumed conferiscono, almeno personalmente certo, quell'aura dissacrante e malvagia di cui sopra, e tra l'altro senza presentare nessun riferimento satanico oppure splatter nelle proprie liriche, le quali se non sbaglio (purtroppo non ho con me i testi) scandagliano più che altro la psicologia umana in versione probabilmente “anarchica” (si pensi al tema dell'alienazione provocata dalla società moderna, argomento piuttosto classico per quasi ogni gruppo Metal di sinistra).
La stessa struttura dei pezzi segue forse l'onda mentale di un essere umano che, circondato da molte cose, la maggior parte delle quali non può permettersi, sogna sempre, in preda ad una possessione che neanche satana vuole compiere, ma tali desideri vanno ben oltre, diventando veri e propri incubi facendo arrivare la paranoia, ossia la pura alienazione di sé di fronte e contro il mondo (questo inteso anche come trionfo della vita e della libertà), che così viene abbandonato per il soddisfacimento di falsi bisogni che per la verità spesso non mi sembrano immediati perché irraggiungibili = omologazione. Ciò significa che i Resumed in un certo senso seguono lo schema rispettato (alle volte penso un po’ troppo) dai Death di “The Sound of Perseverance” benché in maniera più libera e quindi meno vincolata, ergo maggiormente imprevedibile. Faccio notare comunque che ogni pezzo presenta dalle 2 (“Secret in Mind”) alle 4 (“Dead Inside”, “Alienation”) soluzioni principali (comprese modificazioni delle stesse) le quali costituiscono i temi principali delle canzoni, che credo si possano suddividere a grandi linee in 3 parti, dove l’ultima cerca di ricalcare, quasi mai in maniera pedissequa, la prima, considerando che alle volte viene proposto un passaggio mai suonato prima (“Dead Inside”, “Into the Trip”, “Secret in Mind”), oppure la struttura originaria viene letteralmente privata di pezzi, quindi accorciata (come “Into the Trip” ed “Alienation”). Interessante è però il fatto che da “Predicting the Future” in poi la prima parte di tale ipotetico schema risulta rappresentata da due temi che si ripetono consequenzialmente per due volte, come nella più classica struttura a strofa-ritornello, e praticamente essa si fa viva un’altra volta soltanto nei momenti finali proprio di “Predicting the Future”, offrendo soltanto una piccola variazione, cioè la posizione un po’ più tardiva dell’assolo. Inoltre, tale struttura viene riproposta comunque in salse diverse, magari mettendo nel discorso un assolo (sempre “Predicting the Future” e “Secret in Mind”), oppure in modo più strutturato e non esente da variazioni (“Alienation”), ma in sostanza quella più “normale” riguarda “Into the Trip”, data la presenza maggiormente insistente della voce, con l’unica “anomalia” causata dal 1° tema, che prima di cominciare lo schema a 2 opzioni fa partire lo stesso brano a mio avviso genialmente attraverso 2 note d’apertura, per poi dare il posto per qualche momento al 2, così da iniziare finalmente la sequenza 1 – 1 mod. – 1 – 1 mod.. Un caso a parte è “Secret in Mind”, che infatti tratterò (ed anche per un altro motivo) più diffusamente.
Bellissima è a mio parere pure la produzione, che potrà ricordare quella di moltissimi dischi di death puramente vecchia scuola per quanto è dai toni maledettamente cupi e minacciosi, cosa che considero azzeccatissima per la stessa atmosfera opprimente che si vuol creare, benché impostati più che altro se non sbaglio sulle frequenze medie. Secondo me però è abbastanza discutibile il suono del rullante, non così grezzo come piace a me, bensì forse troppo “plastico” e finto, non molto espressivo, tanto da farmelo sembrare uscito da una vera e propria drum-machine. Il bilanciamento de suoni, piuttosto omogeneo in tutti i pezzi seppur io abbia notato una voce meno presente in “Alienation”, è a mio avviso ottimo, con tutto in buona evidenza com’è giusto che sia per un gruppo che sfrutta le proprie capacità tecniche piuttosto che concentrarsi sull’impatto nudo e crudo, anche se non riesco a sentire sempre a meraviglia la cassa della batteria.
3. ANALISI STRUMENTI.
Aaaaah, è l’ora della voce! Credo che piacerà sicuramente a chi si ciba della robba (citazione verghiana praticamente inutile e fuori luogo!) più marcia possibile, perché nonostante tutto i vocalizzi toccano tremendamente il massimo della malvagità, principalmente rappresentati da un grugnito minaccioso e, come dire, strascicato e non molto classico da sentire, che non poche volte si alza di tono fino a raggiungere una specie di urlo che sembra divertito, e che talvolta secondo me riesce a donare a tutto l’insieme un’aura di impronta black, la quale pare essere il demone del consumismo che ha preso completamente le redini della tua mente, scompisciandosi dalle risate nel contemplare il tuo lento logoramento. I grugniti di cui sopra invece li interpreto come autentici avvisi di pericolo, striscianti come serpenti da cacciare nel proprio io, falsa fortezza di un’umanità che si crede dominatrice mentre per la verità sono i suoi stessi strumenti che l’hanno resa passiva e sottomessa. Ma vi è di più! La voce può dare il senso del vuoto, visto e considerato che non è per niente una parte così insistita e resa protagonista. Infatti, risulta poco presente, in pratica si fa viva principalmente soltanto durante i primi due temi principali, dopodiché erutta solo qualche rara comparsata, ma sempre inerente un unico passaggio. Così, i Resumed diventano quasi un puro gruppo strumentale, rendendo forse in tal modo più difficoltoso l’ascolto, dato che la voce per molti rappresenta un appiglio su cui reggersi perché credo trasmetta non solo un’espressione, rispetto agli altri strumenti, autenticamente umana, ma anche una marcia maggiore determinata dalla qualità delle linee vocali. Bene, tolto questo raro appiglio, l’atmosfera diviene quasi asfittica e vuota, essendo stati completamente debellati i cosiddetti avvisi di pericolo, ma si è costretti a sguazzare in una gigantesca e monotona melma dove l’uomo è schiavo del sistema che lui stesso ha creato e dove gli stessi potenti sono stati resi ciechi da materia ghiotta difficile da rifiutare (“le cose che possiedi alla fine ti possiedono” – citazione da Tyler Durden, “Fight Club”). Altresì, sentendo le linee vocali, sempre a mio avviso spaventosamente ottime, è come assistere ad un rituale dove oscuri esseri sconosciuti stanno celebrano la morte dell’umanità compiendo in pubblico il definitivo olocausto, e per me ciò avviene specialmente per quelle groovy di “Secret in Mind”. Inzumma, la voce del nostro Daniele non è esattamente raccomandabile ai deboli di cuori, e tra l’altro al sottoscritto non stanca veramente mai, pur non essendo versatile ma viste le considerazioni di cui sopra credo che tale descrizione possa bastare.
Ma le chitarre non mi sembrano per niente da meno. Prima di tutto però devo segnalare che dal punto di vista strettamente strutturale spesso i vari riffs che compongono l’universo dei Resumed seguono una logica piuttosto lineare e non esattamente imprevedibile, dato che infatti in tal caso si eseguono diverse note praticamente nella stessa maniera ed in più occasioni anche con identica durata di espressione (spero di essermi fatto capire) fra di loro. Ergo, non aspettatevi motivi particolarmente “arzigogolati” e difficili da digerire. D’altro canto, ciò che riescono a concepire le chitarre secondo me è qualcosa di spaventoso, dato che nella maggior parte delle volte esse sputano fuori riffs non proprio tipicamente death metal e basati principalmente se non erro su note più alte rispetto al normale. Il taglio è beffardo e poco melodico, come se stesse suonando il demone mentale del demo, il suo abisso psicologico che lo tormenta, alle volte esprimendosi in modo più contorto del solito (“Alienation”). Gli spunti melodici sono piuttosto pochi, proprio loro che potevano forse dare a tutto l’insieme un po’ più di sicurezza, disperazione (emozione che in un certo senso si può considerare positiva in quanto legata anche ad un malumore sociale da parte di un essere umano), ma per gli amanti della melodia nella nostra cara musica consiglio di sentire in particolar modo “Into the Trip” ed “Alienation”, in cui addirittura il riff mi pare persino compassionevole, aspetto deliberatamente trascurato dai Resumed. Non mancano però schitarrate, non proprio frequenti, più tipiche del death metal tradizionale, dove fanno capolino in misura maggiore alcuni dei momenti più esplicitamente malvagi dell’ep, e specialmente per “Secret in Mind”, dove secondo me viene raggiunto il massimo in tutto, e non a caso qua si possono gustare pure riffs tra i più isterici e furiosi dell’opera, nonché cervellotici (beh, più o meno), e stavolta andando veloce. In tale sede però, non si è esenti nemmeno da effetti innestati sulle chitarre, come nel caso di “Into the Trip” e “Secret in Mind”. Effetti che descriverei come psichedelici, come per rappresentare l’annebbiamento visionario della mente che si scontra con l’oggetto irraggiungibile dei suoi desideri, seppur in entrambi i casi si suonino le note praticamente nello stesso modo, insieme comunque ad un’altra ascia, questa non manipolata, e resa più semplificata in maniera quindi ritmica eseguendo in tal modo delle pennellate, ma in “Secret in Mind” dopo un po’ arricchisse di particolari il riff psichedelico. C’è una cosa simile anche in “Alienation” che riesce secondo me ad aumentare notevolmente il senso di irraggiungibilità di cui sopra dato che il suono se ne va e si avvicina gradualmente. Nonostante il gruppo sia decisamente tecnico, non credo proprio comunque che sia così interessato a proporre un arricchimento del discorso chitarristico, in parole povere della sovrapposizione di riffs per niente frequente, anche se non ne mancano, benché solitamente quando succede entrambe le chitarre eseguono le medesime note ma attraverso tonalità diverse. Gli interventi di questo tipo sono, come già osservato, pochi ma c’è soltanto un’unica eccezione, rappresentata da “Predicting the Future”. Come d’incanto però c’è un aspetto che renderà secondo me la musica dei Resumed piuttosto difficile da comprendere, oltre alla voce poco presente: gli assoli. Essi ricoprono una bella fetta nei vari pezzi del quartetto abruzzese, per rendere l’idea infatti ce ne sono ben 12 (tra cui 2 quasi attaccati di “Secret in Mind”), ossia poco più di 2 solismi (di chitarra beninteso) a brano. Ma sorge un altro problema: gli assoli sono spesso estenuanti tanto da dominare pure nell’arco di 2 soluzioni (da questo punto di vista sono esemplificative specialmente “Alienation” e “Secret in Mind”), e tra l’altro sono tremendamente dinamici e virtuosi fino a scoppiare. A tal proposito l’influenza data dal jazz (sentitevi per esempio Into the Trip”) e dal suono caldo della fusion mi sembra preminente, per non scordare inoltre la loro notevole varietà, la quale spesso distrugge i timpani con la più tipica malvagità del death. Sentendo gli assoli di Daniele e di Nikolas mi vengono in mente le pubblicità della televisione: isteriche, veloci e senza pietà, in modo che ti entrino così pesantemente nelle carni e così insistentemente data la loro continuità praticamente infinita anche in un sol giorno da scombussolarti le cervella, rendendotele passive e senza sostanza, mentre la lunghezza degli assoli può stare con la spesso estenuante “pausa” pubblicitaria. E’ un processo nato per entrare in te stesso, per possederti completamente facendoti rendere schiavo. Quel che è ancora peggio, è che i solismi delle due asce, talvolta quasi sonnacchiosi (“Predicting the Future”), oppure puramente death metal (come in “Alienation”), non sono soltanto imprevedibili per quanto concerne il loro discorso, ma anche riguardo la loro posizione nei vari brani. Infatti, non si può praticamente prevedere in quale punto essi si possano sentire, tranne a mio parere curiosamente nei momenti iniziali di un pezzo, come se gli assoli in tal caso rappresentassero l’estremizzazione della follia e del dolore umani, offrendoli quindi dopo. Questa imprevedibilità della propria posizione me li fa comunque associare ancora una volta alle pubblicità, le quali purtroppo si fanno vive in qualsiasi momento, anche spezzettando l’intensità di film alti ed intellettuali come “Seven” e “Fight Club”, che necessitano secondo me di un’attenzione a dir poco continua.
Lo strumento del basso penso rientri anch’esso nell’opera di distruzione psicologica voluta dai Resumed, dato che pure Carlo non si priva di siparietti virtuosi, specialmente in “Predicting the Future” ed in misura minore in “Alienation”. Il basso è non poco importante per la musica del gruppo, anche perché riempie il discorso attraverso degli stacchi, come in “Dead Inside” (in tale sede esprimendosi tramite un vero e proprio breve assolo) ed in “Predicting the Future”, mentre in “Alienation” partecipa ad un altro stacco, per me geniale, insieme alla chitarra. Spesso Carlo, se non erro, usa la tecnica del pizzicato, e tra l’altro qui l’influenza del jazz, in particolar modo nei frequenti assoli (almeno rispetto ai gruppi Metal), mi sembra decisamente palese. A dispetto comunque di formazioni da me recensite come i Sacradis ed i Ghouls, i Resumed più che usare il basso per creare delle linee indipendenti dalle chitarre, mi paiono maggiormente interessati a partorire altresì degli assoli puri e crudi, colpendo il cuore dell’ascoltatore attraverso un “caos”, dove gli strumenti agiscono collettivamente esprimendosi frequentemente singolarmente (e la madonna che frase! Chissà se qualcuno l’ha capita!).
Ed in questo “caos”, manco a dirlo, infierisce anche la batteria, portatrice a mio avviso di un ulteriore verbo di matrice jazz, che riesce nell’intento, con i suoi ricami vertiginosi piuttosto complessi e non esattamente convenzionali, ad “annebbiare” ancora di più i timpani. Talvolta però il grado di complessità si intestardisce maggiormente tramite in pratica l’uso di molte percussioni e piatti, e da questo punto di vista sentitevi specialmente l’inizio funambolico di “Alienation” (che se non sbaglio è l’unica canzone che parte senza tanti convenevoli), mentre alle volte il disegno ritmico mi pare tremendamente influenzato da Thomas Haake (o simili) dei Meshuggah, come nelle variazioni continue ed a-lineari della parte centrale di “Into the Trip”. Fortuna per i più integralisti che Filippo non si rifiuta per niente di dettare le danze attraverso partiture più semplici e classiche, sia impartendo tempi groovy (eccovi quindi gli incubi di “Into the Trip” e “Secret in Mind”) che doomeggianti (il finale di “Secret in Mind”), e tra l’altro, “strano” a dirsi, non mancano neanche frequenti tempi veloci, che comunque non dominano mai il discorso. Però qui non si raggiungono assolutamente velocità propriamente angoscianti e quindi neanche blasteggianti, seppur comunque quei fendenti hanno secondo me un qualcosa di bestiale e tremendamente aggressivo, anche perché, in simili occasioni, triturano i padiglioni auricolari andando spesso molto sull’essenziale ed il monotono dato che raramente quelle rullate presentano delle variazioni (caso contrario invece per “Secret in Mind” ed in misura minore per “Alienation”), cosa che se non erro succede poco pure durante gli altri tipi di ritmi, benché stavolta in modo meno insistente. Forse si potrebbe fare qualcosa in tal senso, almeno riguardo i tempi veloci, d’altro canto credo che il loro bombardamento, e tra l’altro con un suono del rullante a mio parere così pesante e quasi finto, abbia un qualcosa di positivo: penso infatti che dia ancora di più il senso di dolore dovuto all’alienazione, al proprio sé in questa società marcia ed indifferente, oltre a quel fastidiosissimo senso di apparenza che la permea in maniera perenne. Ma non scordiamoci neppure di un altro aspetto che considero importantissimo per tutto l’insieme: persino la batteria vomita “allegramente” degli assoli! Non li sentivo in un gruppo Metal dal tempo in cui io recensii i minimali e favolosi varesini Inlansis, nella cui musica semplicissima (almeno nel demo “Three Scary Tales”) si possono sentire dei solismi percussivi, abbastanza istintivi e quindi poco tecnici. Bene, Filippo a mio avviso ne fa di largamente più complessi e di impronta jazzistica (“Predicting the Future” e “Secret in Mind”, ma in un certo senso pure nell’intro solitaria di “Dead Inside”). Virtuosismi che mi sembrano rappresentare al meglio lo smarrimento a cui portano gli oggetti tanto desiderati, e a cui portano tutti gli impegni gravosi che la società impone continuamente all’individuo, provocando in tal modo la rabbia e l’odio, la sete di giustizia da parte di quest’ultimo. Dimenticavo: in “Secret in Mind” avverto ad un certo punto persino un blues malato e distortissimo, un po’ come se si volesse trasmettere appunto la distorsione della realtà da parte dei potenti di turno, ed inoltre è ancora la batteria che introduce, stavolta partendo già con un ritmo vero e proprio, “Predicting the Future”.
4. IL PEZZO MIGLIORE DEL LOTTO.
Che ci crediate o no, per me la scelta del miglior pezzo del lotto mi è stata tremendamente facile, optando per “Secret in Mind”, immenso capolavoro di rara potenza e perfezione, epitaffio lucente per una carriera musicale assurdamente promettente, Arte nella sua suprema e nuda essenza. Secondo me è proprio in tale brano che si fondono più o meno tutte le caratteristiche del gruppo abruzzese, riuscendo inoltre a raggiungere una violenza ed una furia che le formazioni di brutal moderno si sognerebbero soltanto. Ma mi prostro pure di fronte alla struttura stessa del brano, di cui credo quest’ultimo rappresenti effettivamente l’apice della complessità di “Human Troubles”. Infatti, prima di tutto, l’intro, iniziata da una chitarra solitaria apparentemente per me quasi sabbathiana e poi contorta, è praticamente infinita, dura addirittura circa un minuto, facendo impazzire l’ascoltatore attraverso una girandola di suoni sempre diversi, per poi offrire finalmente le uniche due soluzioni (sequenza 4 – 5) che verranno successivamente riprese, se non sbaglio persino in maniera modificata, poco prima insomma di farsi vive come in origine. Tale ripresa è però solo momentanea, in quanto non vengono ripescati altri passaggi, altresì viene seguita da un assolo di batteria, per poi dare la Luce, un riff epico che sa di lotta, un tempo doom (beh, più o meno dato che è concentrato anche sulla doppia cassa) quasi a voler rappresentare tutti gli anni in cui sono state sopportate lentamente le peggio angherie, utili proprio per accumulare la rabbia necessaria per la vittoria, ed un assolo di chitarra mirabile e virtuoso perché raffinata e giusta sarà la ribellione, mentre la musica che si abbassa gradualmente è per me l’”ora basta” all’oltranza, l’inizio di un percorso spirituale che non tenderà a finire, il “segreto nella mente” finalmente di là da esplodere e svelarsi in tutta la sua monumentale bellezza. Però avverto nel riff finale un certo disagio, un qualcosa di contorto che stride un po’ con l’epicismo eroico di cui sopra, come se fosse un monito a tutta le cause sì giuste ma che alla fine si sono quasi sempre infrante nel Peccato originale, nel sangue e nella brutalità, nella violenza e nello sterminio, simboleggiando forse in un certo senso il dualismo Bene/Male a mio avviso tipico dell’uomo. Insomma, dal punto di vista strategico, “Secret in Mind”, che si “conclude” in un modo che mi ha fatto ricordare, eccetto l’assolo dell’ascia, “Bloodshed”, canzone finale del demo “Gener(H)ate” dei Land of Hate, secondo me è stata saggiamente messo come ultimo brano, dato che, essendo quello più complesso e cervellotico dell’opera denudando così l’esplosione del ribelle, il suo segreto nascosto per tanti anni nei propri abissi mentali, ha il compito letterale di “inculare” completamente l’ascoltatore, facendolo confondere in un mare di “irrazionalità ordinata” di rara bellezza e senso compiuto.
5. “INTO THE TRIP”: UN TITOLO, UN PROGRAMMA.
Gli elogi però non sono finiti affatto qui (a parte che potrei scrivere un libro su “Human Troubles” per quanto mi ha preso nel profondo). Quindi, eccovi parlare un pochetto di “Into the Trip”, unica canzone presente nello Space del gruppo e per questo motivo è stata la primissima testimonianza musicale sentita da me di tale demo. Il brano si apre in un modo semplice ma a mio avviso efficacissimo attraverso due note delle chitarre, 2 note energiche benché non violente, che mi sembrano quasi l’entrata un po’ morbida (beh, più o meno) ma forzata dentro un viaggio onirico che trascina l’individuo in paesaggi contagiosi per quanto magnifici…ed allo stesso tempo velatamente inquietanti. Ed il contagio personalmente viene soprattutto tramite quelle soluzioni grooveggianti e lineari (guarda caso) che posano secondo me l’ascoltatore su un mare semi-tranquillo. Per non parlare del finale, preceduto prima da un lungo assolo accompagnato da un lavoro ritmico pauroso e sempre in divenire. E’ forse il momento in cui il viaggio finalmente si scopre diventando un autentico incubo? Finito l’assolo, il gruppo non vuole per niente allentare la tensione, proponendo così un brevissimo stacco di batteria concentrato sui piatti, facendo in tal modo ritornare il discorso nell’apertura di chitarre (ah, dimenticavo: esse, come nell’inizio, suonano anche insieme al basso ed ai piatti) di cui ho già parlato, come se la vittima non volesse risvegliarsi dall’incubo ed infatti la struttura è quella iniziale, rappresentata dall’1 – 2 – 1 – 1 mod., solo che nella fine tutto “svalvola”, l’uomo probabilmente sta concretizzando i suoi dubbi in modo che invece della ripetizione del secondo e finale 1 – 1 mod. venga alla luce, se non erro, il 6 – 6 mod. (quest’ultimo con assolo di chitarra) e tutto finisce bruscamente. La consapevolezza probabilmente è arrivata e l’incubo è stato (temporaneamente) strozzato?
6. “ALIENATION”.
“Alienation” (unico pezzo del demo che inizia senza tanti convenevoli, ossia con tutti gli strumenti già collettivamente incazzati) invece la considero come il perfetto brano successivo per “Into the Trip”, e da questo punto di vista segnalo soprattutto la struttura che inizialmente poggia tramite l’ 1 – 1 mod. – 2 – 3 – 2 – 3, ma nei momenti finali tale schema viene quasi stuprato, preceduto fra l’altro da uno stacco chitarra/basso che mi colpisce nel segno grazie alla sua velocità ed all’abbandono perentorio e pazzescamente incisivo, finalizzato da una rullata potentissima, della batteria, divenendo così un più semplice 1 – 2 – 3 – 4. Se ci si fa caso, è praticamente in “Alienation” che inizia una radicale modificazione della struttura originaria, ed è proprio in questa stessa canzone che essa diventa più complessa ed a mio avviso intrigante, offrendo tra l’altro circa 10 soluzioni, esplodendo al limite della redenzione definitivamente in “Secret in Mind”. Per me, è perfetto tutto ciò!
7. CONCLUSIONI.
Come già osservato, mi sono innamorato dei Resumed fin dal primo momento, e sentendo tutto il demo interamente sono diventato praticamente un loro adepto, sempre sperando di aver capito il loro messaggio, se non totalmente, almeno in buona parte (in caso contrario la potenza, l’intensità e la genialità pressoché continue del disco comunque a mio avviso rimangono). “Human Troubles” ha a mio parere una caratteristica affascinante, la quale è in grado di rendere pezzo per pezzo una complessità sempre crescente, alle volte in maniera impercettibile (come tra “Dead Inside” e “Predicting the Future”. La prima, più classica e strutturalmente vincolata in senso deathiano, rappresenta forse un po’ l’inizio dell’incubo moderno attraverso anche la ripetizione in misura minore paranoica di certi passaggi, trovando in un certo senso il legame con la seconda canzone citata tramite una nuova soluzione abbastanza contorta e dal finale brusco, il quale mi pare dire che il peggio debba ancora arrivare; “Predicting the Future” risulta invece basata maggiormente su uno schema a strofa-ritornello, nonché sulla ripresa, nella virtuale seconda parte del brano, di 2 soluzioni, tra cui una non appartenente allo schema-principe. Ergo, l’insieme mi sembra veramente più paranoico, anche per la presenza di un numero terrificante di assoli di chitarre, basso, e pure uno di batteria), dimostrando in tal modo un senso strategico della canzone che considero magnifico. E quindi secondo me il principale punto di forza del gruppo è rappresentato proprio da tale aspetto, fra l’altro piuttosto raro da sentire in circolazione, e si pensi inoltre alla giovanissima età del quartetto abruzzese, a dir poco spaventosa vista la complessità mostrata. D’altro canto, ho rintracciato (ma ciò è quasi inevitabile) un po’ di difetti, come una piccola ripetitività di soluzioni, come in certo riffing tremendamente simile tra “Dead Inside” ed “Alienation”, un paradosso se si considera la natura tecnica e fantasiosa del gruppo, ed inoltre non mi è piaciuta completamente la prevedibilità in ogni brano del ruolo della voce, seppur a mio avviso essa non è mai invasiva e tirando fuori interventi sempre puntuali, oltre al suono del rullante, eppure pure questa secondo me è un’arma a doppio taglio, come già scritto moltissime righe fa. Ed ora credo di aver detto tutto, anche perché ho perso le parole per descrivere un’opera strepitosa come questo “Human Troubles”. Come sarà la prossima testimonianza di ‘sti ragazzacci dall’estetica che oserei definirla tipica dei gruppi di death progressivo?
Voto: 96 (faccio notare che i Resumed hanno appena superato il massimo voto di “Timpani Allo Spiedo” che prima apparteneva ad “Oracles” dei Fleshgod Apocalypse: 95!)
Claustrofobia
Tracklist:
1 – Dead Inside/ 2 – Predicting the Future/ 3 – Into the Trip/ 4 – Alienation/ 5 – Secret in Mind
MySpace:
http://www.myspace.com/resumed
E' ufficiale: il demo che mi sto apprestando a recensire non è stata per me una sorpresona ma di più! Qua sento l'essenza della vecchia scuola, quella puzza pestilenziale ma bellissima degli anni '90 applicato ad un qualcosa che formalmente ha veramente poco di tradizionale dati gli sperimentalismi che i Resumed tirano fuori. E lo sapete fra l'altro chi ha fatto da tramite tra me e 'sti ragazzi? Nientepopodimeno che Federico Falcone, voce dei First Reason, sempre attivo nella scena tant'è vero che possiede persino un'agenzia di promozione nonché “'zine” denominata Mind Over All. E cazzo se ne capisce di musica!
2. PRESENTAZIONE DEMO.
“Human Troubles” non è altro che la primissima testimonianza discografica, autoprodotta negli ultimi giorni del 2009 in versione demo, dei Resumed, giovanissimo quartetto da Sulmona in provincia de L'Aquila, formato nel 2007 inizialmente come Holy Terror e costituito attualmente da Daniele Presutti voce/chitarra, Nikolas De Stephanis chitarra, Carlo Pelino basso (l'uomo da dove tutto è iniziato) e Filippo Tirabassi batteria. Il bello è che a mio parere loro già presentano una maturazione compositiva di notevole gusto. Praticamente nei 5 pezzi dell'opera non c'è nessuna cosa fuori posto, nonostante essi dal punto di vista del minutaggio potrebbero far paura a molti, in quanto spesso e volentieri si superano i 5 minuti non scendendo mai sotto i circa 4 e 15 di “Into the Trip”. Nei solchi del demo si viene torturati da una musica che definirei death metal progressivo mischiato con il jazz e la fusion (anche se forse il primo tra i due è il più presente), facendo assaporare però appunto quella genuina cattiveria che riesce a catapultare maggiormente l'ascoltatore nel limbo del vecchio death, e probabilmente i Resumed sono addirittura più malvagi delle formazioni classiche del genere, per via di una magnifica atmosfera beffarda, da vera e propria presa per il culo verso l'ascoltatore, che negli ultimi tempi mi ha veramente posseduto facendomi prostrarre di fronte al genio creativo degli abruzzesi. Un'atmosfera beffarda determinata da trame sonore di certo spesso non proprio comuni, ed “arzigogolate” seppur non così pesantemente come pensavo prima di mettere nello stereo il disco, ma praticamente tutti gli aspetti dei Resumed conferiscono, almeno personalmente certo, quell'aura dissacrante e malvagia di cui sopra, e tra l'altro senza presentare nessun riferimento satanico oppure splatter nelle proprie liriche, le quali se non sbaglio (purtroppo non ho con me i testi) scandagliano più che altro la psicologia umana in versione probabilmente “anarchica” (si pensi al tema dell'alienazione provocata dalla società moderna, argomento piuttosto classico per quasi ogni gruppo Metal di sinistra).
La stessa struttura dei pezzi segue forse l'onda mentale di un essere umano che, circondato da molte cose, la maggior parte delle quali non può permettersi, sogna sempre, in preda ad una possessione che neanche satana vuole compiere, ma tali desideri vanno ben oltre, diventando veri e propri incubi facendo arrivare la paranoia, ossia la pura alienazione di sé di fronte e contro il mondo (questo inteso anche come trionfo della vita e della libertà), che così viene abbandonato per il soddisfacimento di falsi bisogni che per la verità spesso non mi sembrano immediati perché irraggiungibili = omologazione. Ciò significa che i Resumed in un certo senso seguono lo schema rispettato (alle volte penso un po’ troppo) dai Death di “The Sound of Perseverance” benché in maniera più libera e quindi meno vincolata, ergo maggiormente imprevedibile. Faccio notare comunque che ogni pezzo presenta dalle 2 (“Secret in Mind”) alle 4 (“Dead Inside”, “Alienation”) soluzioni principali (comprese modificazioni delle stesse) le quali costituiscono i temi principali delle canzoni, che credo si possano suddividere a grandi linee in 3 parti, dove l’ultima cerca di ricalcare, quasi mai in maniera pedissequa, la prima, considerando che alle volte viene proposto un passaggio mai suonato prima (“Dead Inside”, “Into the Trip”, “Secret in Mind”), oppure la struttura originaria viene letteralmente privata di pezzi, quindi accorciata (come “Into the Trip” ed “Alienation”). Interessante è però il fatto che da “Predicting the Future” in poi la prima parte di tale ipotetico schema risulta rappresentata da due temi che si ripetono consequenzialmente per due volte, come nella più classica struttura a strofa-ritornello, e praticamente essa si fa viva un’altra volta soltanto nei momenti finali proprio di “Predicting the Future”, offrendo soltanto una piccola variazione, cioè la posizione un po’ più tardiva dell’assolo. Inoltre, tale struttura viene riproposta comunque in salse diverse, magari mettendo nel discorso un assolo (sempre “Predicting the Future” e “Secret in Mind”), oppure in modo più strutturato e non esente da variazioni (“Alienation”), ma in sostanza quella più “normale” riguarda “Into the Trip”, data la presenza maggiormente insistente della voce, con l’unica “anomalia” causata dal 1° tema, che prima di cominciare lo schema a 2 opzioni fa partire lo stesso brano a mio avviso genialmente attraverso 2 note d’apertura, per poi dare il posto per qualche momento al 2, così da iniziare finalmente la sequenza 1 – 1 mod. – 1 – 1 mod.. Un caso a parte è “Secret in Mind”, che infatti tratterò (ed anche per un altro motivo) più diffusamente.
Bellissima è a mio parere pure la produzione, che potrà ricordare quella di moltissimi dischi di death puramente vecchia scuola per quanto è dai toni maledettamente cupi e minacciosi, cosa che considero azzeccatissima per la stessa atmosfera opprimente che si vuol creare, benché impostati più che altro se non sbaglio sulle frequenze medie. Secondo me però è abbastanza discutibile il suono del rullante, non così grezzo come piace a me, bensì forse troppo “plastico” e finto, non molto espressivo, tanto da farmelo sembrare uscito da una vera e propria drum-machine. Il bilanciamento de suoni, piuttosto omogeneo in tutti i pezzi seppur io abbia notato una voce meno presente in “Alienation”, è a mio avviso ottimo, con tutto in buona evidenza com’è giusto che sia per un gruppo che sfrutta le proprie capacità tecniche piuttosto che concentrarsi sull’impatto nudo e crudo, anche se non riesco a sentire sempre a meraviglia la cassa della batteria.
3. ANALISI STRUMENTI.
Aaaaah, è l’ora della voce! Credo che piacerà sicuramente a chi si ciba della robba (citazione verghiana praticamente inutile e fuori luogo!) più marcia possibile, perché nonostante tutto i vocalizzi toccano tremendamente il massimo della malvagità, principalmente rappresentati da un grugnito minaccioso e, come dire, strascicato e non molto classico da sentire, che non poche volte si alza di tono fino a raggiungere una specie di urlo che sembra divertito, e che talvolta secondo me riesce a donare a tutto l’insieme un’aura di impronta black, la quale pare essere il demone del consumismo che ha preso completamente le redini della tua mente, scompisciandosi dalle risate nel contemplare il tuo lento logoramento. I grugniti di cui sopra invece li interpreto come autentici avvisi di pericolo, striscianti come serpenti da cacciare nel proprio io, falsa fortezza di un’umanità che si crede dominatrice mentre per la verità sono i suoi stessi strumenti che l’hanno resa passiva e sottomessa. Ma vi è di più! La voce può dare il senso del vuoto, visto e considerato che non è per niente una parte così insistita e resa protagonista. Infatti, risulta poco presente, in pratica si fa viva principalmente soltanto durante i primi due temi principali, dopodiché erutta solo qualche rara comparsata, ma sempre inerente un unico passaggio. Così, i Resumed diventano quasi un puro gruppo strumentale, rendendo forse in tal modo più difficoltoso l’ascolto, dato che la voce per molti rappresenta un appiglio su cui reggersi perché credo trasmetta non solo un’espressione, rispetto agli altri strumenti, autenticamente umana, ma anche una marcia maggiore determinata dalla qualità delle linee vocali. Bene, tolto questo raro appiglio, l’atmosfera diviene quasi asfittica e vuota, essendo stati completamente debellati i cosiddetti avvisi di pericolo, ma si è costretti a sguazzare in una gigantesca e monotona melma dove l’uomo è schiavo del sistema che lui stesso ha creato e dove gli stessi potenti sono stati resi ciechi da materia ghiotta difficile da rifiutare (“le cose che possiedi alla fine ti possiedono” – citazione da Tyler Durden, “Fight Club”). Altresì, sentendo le linee vocali, sempre a mio avviso spaventosamente ottime, è come assistere ad un rituale dove oscuri esseri sconosciuti stanno celebrano la morte dell’umanità compiendo in pubblico il definitivo olocausto, e per me ciò avviene specialmente per quelle groovy di “Secret in Mind”. Inzumma, la voce del nostro Daniele non è esattamente raccomandabile ai deboli di cuori, e tra l’altro al sottoscritto non stanca veramente mai, pur non essendo versatile ma viste le considerazioni di cui sopra credo che tale descrizione possa bastare.
Ma le chitarre non mi sembrano per niente da meno. Prima di tutto però devo segnalare che dal punto di vista strettamente strutturale spesso i vari riffs che compongono l’universo dei Resumed seguono una logica piuttosto lineare e non esattamente imprevedibile, dato che infatti in tal caso si eseguono diverse note praticamente nella stessa maniera ed in più occasioni anche con identica durata di espressione (spero di essermi fatto capire) fra di loro. Ergo, non aspettatevi motivi particolarmente “arzigogolati” e difficili da digerire. D’altro canto, ciò che riescono a concepire le chitarre secondo me è qualcosa di spaventoso, dato che nella maggior parte delle volte esse sputano fuori riffs non proprio tipicamente death metal e basati principalmente se non erro su note più alte rispetto al normale. Il taglio è beffardo e poco melodico, come se stesse suonando il demone mentale del demo, il suo abisso psicologico che lo tormenta, alle volte esprimendosi in modo più contorto del solito (“Alienation”). Gli spunti melodici sono piuttosto pochi, proprio loro che potevano forse dare a tutto l’insieme un po’ più di sicurezza, disperazione (emozione che in un certo senso si può considerare positiva in quanto legata anche ad un malumore sociale da parte di un essere umano), ma per gli amanti della melodia nella nostra cara musica consiglio di sentire in particolar modo “Into the Trip” ed “Alienation”, in cui addirittura il riff mi pare persino compassionevole, aspetto deliberatamente trascurato dai Resumed. Non mancano però schitarrate, non proprio frequenti, più tipiche del death metal tradizionale, dove fanno capolino in misura maggiore alcuni dei momenti più esplicitamente malvagi dell’ep, e specialmente per “Secret in Mind”, dove secondo me viene raggiunto il massimo in tutto, e non a caso qua si possono gustare pure riffs tra i più isterici e furiosi dell’opera, nonché cervellotici (beh, più o meno), e stavolta andando veloce. In tale sede però, non si è esenti nemmeno da effetti innestati sulle chitarre, come nel caso di “Into the Trip” e “Secret in Mind”. Effetti che descriverei come psichedelici, come per rappresentare l’annebbiamento visionario della mente che si scontra con l’oggetto irraggiungibile dei suoi desideri, seppur in entrambi i casi si suonino le note praticamente nello stesso modo, insieme comunque ad un’altra ascia, questa non manipolata, e resa più semplificata in maniera quindi ritmica eseguendo in tal modo delle pennellate, ma in “Secret in Mind” dopo un po’ arricchisse di particolari il riff psichedelico. C’è una cosa simile anche in “Alienation” che riesce secondo me ad aumentare notevolmente il senso di irraggiungibilità di cui sopra dato che il suono se ne va e si avvicina gradualmente. Nonostante il gruppo sia decisamente tecnico, non credo proprio comunque che sia così interessato a proporre un arricchimento del discorso chitarristico, in parole povere della sovrapposizione di riffs per niente frequente, anche se non ne mancano, benché solitamente quando succede entrambe le chitarre eseguono le medesime note ma attraverso tonalità diverse. Gli interventi di questo tipo sono, come già osservato, pochi ma c’è soltanto un’unica eccezione, rappresentata da “Predicting the Future”. Come d’incanto però c’è un aspetto che renderà secondo me la musica dei Resumed piuttosto difficile da comprendere, oltre alla voce poco presente: gli assoli. Essi ricoprono una bella fetta nei vari pezzi del quartetto abruzzese, per rendere l’idea infatti ce ne sono ben 12 (tra cui 2 quasi attaccati di “Secret in Mind”), ossia poco più di 2 solismi (di chitarra beninteso) a brano. Ma sorge un altro problema: gli assoli sono spesso estenuanti tanto da dominare pure nell’arco di 2 soluzioni (da questo punto di vista sono esemplificative specialmente “Alienation” e “Secret in Mind”), e tra l’altro sono tremendamente dinamici e virtuosi fino a scoppiare. A tal proposito l’influenza data dal jazz (sentitevi per esempio Into the Trip”) e dal suono caldo della fusion mi sembra preminente, per non scordare inoltre la loro notevole varietà, la quale spesso distrugge i timpani con la più tipica malvagità del death. Sentendo gli assoli di Daniele e di Nikolas mi vengono in mente le pubblicità della televisione: isteriche, veloci e senza pietà, in modo che ti entrino così pesantemente nelle carni e così insistentemente data la loro continuità praticamente infinita anche in un sol giorno da scombussolarti le cervella, rendendotele passive e senza sostanza, mentre la lunghezza degli assoli può stare con la spesso estenuante “pausa” pubblicitaria. E’ un processo nato per entrare in te stesso, per possederti completamente facendoti rendere schiavo. Quel che è ancora peggio, è che i solismi delle due asce, talvolta quasi sonnacchiosi (“Predicting the Future”), oppure puramente death metal (come in “Alienation”), non sono soltanto imprevedibili per quanto concerne il loro discorso, ma anche riguardo la loro posizione nei vari brani. Infatti, non si può praticamente prevedere in quale punto essi si possano sentire, tranne a mio parere curiosamente nei momenti iniziali di un pezzo, come se gli assoli in tal caso rappresentassero l’estremizzazione della follia e del dolore umani, offrendoli quindi dopo. Questa imprevedibilità della propria posizione me li fa comunque associare ancora una volta alle pubblicità, le quali purtroppo si fanno vive in qualsiasi momento, anche spezzettando l’intensità di film alti ed intellettuali come “Seven” e “Fight Club”, che necessitano secondo me di un’attenzione a dir poco continua.
Lo strumento del basso penso rientri anch’esso nell’opera di distruzione psicologica voluta dai Resumed, dato che pure Carlo non si priva di siparietti virtuosi, specialmente in “Predicting the Future” ed in misura minore in “Alienation”. Il basso è non poco importante per la musica del gruppo, anche perché riempie il discorso attraverso degli stacchi, come in “Dead Inside” (in tale sede esprimendosi tramite un vero e proprio breve assolo) ed in “Predicting the Future”, mentre in “Alienation” partecipa ad un altro stacco, per me geniale, insieme alla chitarra. Spesso Carlo, se non erro, usa la tecnica del pizzicato, e tra l’altro qui l’influenza del jazz, in particolar modo nei frequenti assoli (almeno rispetto ai gruppi Metal), mi sembra decisamente palese. A dispetto comunque di formazioni da me recensite come i Sacradis ed i Ghouls, i Resumed più che usare il basso per creare delle linee indipendenti dalle chitarre, mi paiono maggiormente interessati a partorire altresì degli assoli puri e crudi, colpendo il cuore dell’ascoltatore attraverso un “caos”, dove gli strumenti agiscono collettivamente esprimendosi frequentemente singolarmente (e la madonna che frase! Chissà se qualcuno l’ha capita!).
Ed in questo “caos”, manco a dirlo, infierisce anche la batteria, portatrice a mio avviso di un ulteriore verbo di matrice jazz, che riesce nell’intento, con i suoi ricami vertiginosi piuttosto complessi e non esattamente convenzionali, ad “annebbiare” ancora di più i timpani. Talvolta però il grado di complessità si intestardisce maggiormente tramite in pratica l’uso di molte percussioni e piatti, e da questo punto di vista sentitevi specialmente l’inizio funambolico di “Alienation” (che se non sbaglio è l’unica canzone che parte senza tanti convenevoli), mentre alle volte il disegno ritmico mi pare tremendamente influenzato da Thomas Haake (o simili) dei Meshuggah, come nelle variazioni continue ed a-lineari della parte centrale di “Into the Trip”. Fortuna per i più integralisti che Filippo non si rifiuta per niente di dettare le danze attraverso partiture più semplici e classiche, sia impartendo tempi groovy (eccovi quindi gli incubi di “Into the Trip” e “Secret in Mind”) che doomeggianti (il finale di “Secret in Mind”), e tra l’altro, “strano” a dirsi, non mancano neanche frequenti tempi veloci, che comunque non dominano mai il discorso. Però qui non si raggiungono assolutamente velocità propriamente angoscianti e quindi neanche blasteggianti, seppur comunque quei fendenti hanno secondo me un qualcosa di bestiale e tremendamente aggressivo, anche perché, in simili occasioni, triturano i padiglioni auricolari andando spesso molto sull’essenziale ed il monotono dato che raramente quelle rullate presentano delle variazioni (caso contrario invece per “Secret in Mind” ed in misura minore per “Alienation”), cosa che se non erro succede poco pure durante gli altri tipi di ritmi, benché stavolta in modo meno insistente. Forse si potrebbe fare qualcosa in tal senso, almeno riguardo i tempi veloci, d’altro canto credo che il loro bombardamento, e tra l’altro con un suono del rullante a mio parere così pesante e quasi finto, abbia un qualcosa di positivo: penso infatti che dia ancora di più il senso di dolore dovuto all’alienazione, al proprio sé in questa società marcia ed indifferente, oltre a quel fastidiosissimo senso di apparenza che la permea in maniera perenne. Ma non scordiamoci neppure di un altro aspetto che considero importantissimo per tutto l’insieme: persino la batteria vomita “allegramente” degli assoli! Non li sentivo in un gruppo Metal dal tempo in cui io recensii i minimali e favolosi varesini Inlansis, nella cui musica semplicissima (almeno nel demo “Three Scary Tales”) si possono sentire dei solismi percussivi, abbastanza istintivi e quindi poco tecnici. Bene, Filippo a mio avviso ne fa di largamente più complessi e di impronta jazzistica (“Predicting the Future” e “Secret in Mind”, ma in un certo senso pure nell’intro solitaria di “Dead Inside”). Virtuosismi che mi sembrano rappresentare al meglio lo smarrimento a cui portano gli oggetti tanto desiderati, e a cui portano tutti gli impegni gravosi che la società impone continuamente all’individuo, provocando in tal modo la rabbia e l’odio, la sete di giustizia da parte di quest’ultimo. Dimenticavo: in “Secret in Mind” avverto ad un certo punto persino un blues malato e distortissimo, un po’ come se si volesse trasmettere appunto la distorsione della realtà da parte dei potenti di turno, ed inoltre è ancora la batteria che introduce, stavolta partendo già con un ritmo vero e proprio, “Predicting the Future”.
4. IL PEZZO MIGLIORE DEL LOTTO.
Che ci crediate o no, per me la scelta del miglior pezzo del lotto mi è stata tremendamente facile, optando per “Secret in Mind”, immenso capolavoro di rara potenza e perfezione, epitaffio lucente per una carriera musicale assurdamente promettente, Arte nella sua suprema e nuda essenza. Secondo me è proprio in tale brano che si fondono più o meno tutte le caratteristiche del gruppo abruzzese, riuscendo inoltre a raggiungere una violenza ed una furia che le formazioni di brutal moderno si sognerebbero soltanto. Ma mi prostro pure di fronte alla struttura stessa del brano, di cui credo quest’ultimo rappresenti effettivamente l’apice della complessità di “Human Troubles”. Infatti, prima di tutto, l’intro, iniziata da una chitarra solitaria apparentemente per me quasi sabbathiana e poi contorta, è praticamente infinita, dura addirittura circa un minuto, facendo impazzire l’ascoltatore attraverso una girandola di suoni sempre diversi, per poi offrire finalmente le uniche due soluzioni (sequenza 4 – 5) che verranno successivamente riprese, se non sbaglio persino in maniera modificata, poco prima insomma di farsi vive come in origine. Tale ripresa è però solo momentanea, in quanto non vengono ripescati altri passaggi, altresì viene seguita da un assolo di batteria, per poi dare la Luce, un riff epico che sa di lotta, un tempo doom (beh, più o meno dato che è concentrato anche sulla doppia cassa) quasi a voler rappresentare tutti gli anni in cui sono state sopportate lentamente le peggio angherie, utili proprio per accumulare la rabbia necessaria per la vittoria, ed un assolo di chitarra mirabile e virtuoso perché raffinata e giusta sarà la ribellione, mentre la musica che si abbassa gradualmente è per me l’”ora basta” all’oltranza, l’inizio di un percorso spirituale che non tenderà a finire, il “segreto nella mente” finalmente di là da esplodere e svelarsi in tutta la sua monumentale bellezza. Però avverto nel riff finale un certo disagio, un qualcosa di contorto che stride un po’ con l’epicismo eroico di cui sopra, come se fosse un monito a tutta le cause sì giuste ma che alla fine si sono quasi sempre infrante nel Peccato originale, nel sangue e nella brutalità, nella violenza e nello sterminio, simboleggiando forse in un certo senso il dualismo Bene/Male a mio avviso tipico dell’uomo. Insomma, dal punto di vista strategico, “Secret in Mind”, che si “conclude” in un modo che mi ha fatto ricordare, eccetto l’assolo dell’ascia, “Bloodshed”, canzone finale del demo “Gener(H)ate” dei Land of Hate, secondo me è stata saggiamente messo come ultimo brano, dato che, essendo quello più complesso e cervellotico dell’opera denudando così l’esplosione del ribelle, il suo segreto nascosto per tanti anni nei propri abissi mentali, ha il compito letterale di “inculare” completamente l’ascoltatore, facendolo confondere in un mare di “irrazionalità ordinata” di rara bellezza e senso compiuto.
5. “INTO THE TRIP”: UN TITOLO, UN PROGRAMMA.
Gli elogi però non sono finiti affatto qui (a parte che potrei scrivere un libro su “Human Troubles” per quanto mi ha preso nel profondo). Quindi, eccovi parlare un pochetto di “Into the Trip”, unica canzone presente nello Space del gruppo e per questo motivo è stata la primissima testimonianza musicale sentita da me di tale demo. Il brano si apre in un modo semplice ma a mio avviso efficacissimo attraverso due note delle chitarre, 2 note energiche benché non violente, che mi sembrano quasi l’entrata un po’ morbida (beh, più o meno) ma forzata dentro un viaggio onirico che trascina l’individuo in paesaggi contagiosi per quanto magnifici…ed allo stesso tempo velatamente inquietanti. Ed il contagio personalmente viene soprattutto tramite quelle soluzioni grooveggianti e lineari (guarda caso) che posano secondo me l’ascoltatore su un mare semi-tranquillo. Per non parlare del finale, preceduto prima da un lungo assolo accompagnato da un lavoro ritmico pauroso e sempre in divenire. E’ forse il momento in cui il viaggio finalmente si scopre diventando un autentico incubo? Finito l’assolo, il gruppo non vuole per niente allentare la tensione, proponendo così un brevissimo stacco di batteria concentrato sui piatti, facendo in tal modo ritornare il discorso nell’apertura di chitarre (ah, dimenticavo: esse, come nell’inizio, suonano anche insieme al basso ed ai piatti) di cui ho già parlato, come se la vittima non volesse risvegliarsi dall’incubo ed infatti la struttura è quella iniziale, rappresentata dall’1 – 2 – 1 – 1 mod., solo che nella fine tutto “svalvola”, l’uomo probabilmente sta concretizzando i suoi dubbi in modo che invece della ripetizione del secondo e finale 1 – 1 mod. venga alla luce, se non erro, il 6 – 6 mod. (quest’ultimo con assolo di chitarra) e tutto finisce bruscamente. La consapevolezza probabilmente è arrivata e l’incubo è stato (temporaneamente) strozzato?
6. “ALIENATION”.
“Alienation” (unico pezzo del demo che inizia senza tanti convenevoli, ossia con tutti gli strumenti già collettivamente incazzati) invece la considero come il perfetto brano successivo per “Into the Trip”, e da questo punto di vista segnalo soprattutto la struttura che inizialmente poggia tramite l’ 1 – 1 mod. – 2 – 3 – 2 – 3, ma nei momenti finali tale schema viene quasi stuprato, preceduto fra l’altro da uno stacco chitarra/basso che mi colpisce nel segno grazie alla sua velocità ed all’abbandono perentorio e pazzescamente incisivo, finalizzato da una rullata potentissima, della batteria, divenendo così un più semplice 1 – 2 – 3 – 4. Se ci si fa caso, è praticamente in “Alienation” che inizia una radicale modificazione della struttura originaria, ed è proprio in questa stessa canzone che essa diventa più complessa ed a mio avviso intrigante, offrendo tra l’altro circa 10 soluzioni, esplodendo al limite della redenzione definitivamente in “Secret in Mind”. Per me, è perfetto tutto ciò!
7. CONCLUSIONI.
Come già osservato, mi sono innamorato dei Resumed fin dal primo momento, e sentendo tutto il demo interamente sono diventato praticamente un loro adepto, sempre sperando di aver capito il loro messaggio, se non totalmente, almeno in buona parte (in caso contrario la potenza, l’intensità e la genialità pressoché continue del disco comunque a mio avviso rimangono). “Human Troubles” ha a mio parere una caratteristica affascinante, la quale è in grado di rendere pezzo per pezzo una complessità sempre crescente, alle volte in maniera impercettibile (come tra “Dead Inside” e “Predicting the Future”. La prima, più classica e strutturalmente vincolata in senso deathiano, rappresenta forse un po’ l’inizio dell’incubo moderno attraverso anche la ripetizione in misura minore paranoica di certi passaggi, trovando in un certo senso il legame con la seconda canzone citata tramite una nuova soluzione abbastanza contorta e dal finale brusco, il quale mi pare dire che il peggio debba ancora arrivare; “Predicting the Future” risulta invece basata maggiormente su uno schema a strofa-ritornello, nonché sulla ripresa, nella virtuale seconda parte del brano, di 2 soluzioni, tra cui una non appartenente allo schema-principe. Ergo, l’insieme mi sembra veramente più paranoico, anche per la presenza di un numero terrificante di assoli di chitarre, basso, e pure uno di batteria), dimostrando in tal modo un senso strategico della canzone che considero magnifico. E quindi secondo me il principale punto di forza del gruppo è rappresentato proprio da tale aspetto, fra l’altro piuttosto raro da sentire in circolazione, e si pensi inoltre alla giovanissima età del quartetto abruzzese, a dir poco spaventosa vista la complessità mostrata. D’altro canto, ho rintracciato (ma ciò è quasi inevitabile) un po’ di difetti, come una piccola ripetitività di soluzioni, come in certo riffing tremendamente simile tra “Dead Inside” ed “Alienation”, un paradosso se si considera la natura tecnica e fantasiosa del gruppo, ed inoltre non mi è piaciuta completamente la prevedibilità in ogni brano del ruolo della voce, seppur a mio avviso essa non è mai invasiva e tirando fuori interventi sempre puntuali, oltre al suono del rullante, eppure pure questa secondo me è un’arma a doppio taglio, come già scritto moltissime righe fa. Ed ora credo di aver detto tutto, anche perché ho perso le parole per descrivere un’opera strepitosa come questo “Human Troubles”. Come sarà la prossima testimonianza di ‘sti ragazzacci dall’estetica che oserei definirla tipica dei gruppi di death progressivo?
Voto: 96 (faccio notare che i Resumed hanno appena superato il massimo voto di “Timpani Allo Spiedo” che prima apparteneva ad “Oracles” dei Fleshgod Apocalypse: 95!)
Claustrofobia
Tracklist:
1 – Dead Inside/ 2 – Predicting the Future/ 3 – Into the Trip/ 4 – Alienation/ 5 – Secret in Mind
MySpace:
http://www.myspace.com/resumed