Wednesday, September 21, 2011

Mass Obliteration - "Auschwitz EP" (2011)

Ep autoprodotto (2011)
Formazione (2006): Andrea Lisi, voce, chitarra, basso, batteria, drum – machine, tastiera, campionamenti.

Provenienza: Roma, Lazio

Canzone migliore del disco:
probabilmente “Scrivere”. Angosciante e con certi elementi che contrastano magnificamente con l’atmosfera generale. Ed inoltre e di conseguenza, è totalmente azzeccato lo “sviluppo” dell’intero episodio.

Punto di forza dell’ep:
il fatto che faccia pensare.

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Nota:

faccio presente che nel frattempo il nostro ha postato su YouTube un nuovo pezzo: “Subumani”, nel quale prende di mira fra le altre cose la frase “Il lusso è un diritto” di Vincent Cassel per lanciare la… Lancia (scusate il gioco di parole) Ypsilon. Per ascoltarla, cliccate sul seguente link:

http://www.youtube.com/watch?v=6ztqezqWhWs

Lo ammetto, il seguente è un parallelo un po’ scomodo, ma se la Shoah nazista è stato il definitivo seme della discordia del Terzo Reich, l’ep che mi appresto a recensire lo è per i Mass Obliteration, ormai un vero e proprio solo – progetto nel quale Andrea Lisi regna finalmente indisturbato. Questo disco è infatti il definitivo allontanamento dell’interessato dalle sonorità del metal estremo. Un allontanamento che in sé è sia primitivo sia elegante, ragion per cui più che parlare di un’esperienza musicale è molto meglio definire l’opera come un viaggio nella natura umana. Un viaggio controverso che, rappresentando un po’ la soluzione estrema tanto desiderata da Andrea verso lo sperimentalismo più puro, è l’equivalente civile e razionale della soluzione finale propinata dai nazisti verso l’annientamento più completo degli Ebrei. E’ controverso anche perché tale ep lo si può interpretare attraverso le più disparate chiavi di lettura, che così impediscono di recensirlo in maniera più tradizionale. Ma prima di elencarle e spiegarle una per una, mi pare doveroso illuminare sulla dicotomia citata poco fa, partendo dal primitivismo, ovverosia:

1) il minimalismo delle forme. Questo sia perché a volte tutto si regge su una chitarra (che magari gioca con il feedback) ed una voce quasi sussurrante (“Sul Fondo”), sia perché non vi è un vero e proprio sviluppo dei vari brani, i quali dal punto di vista melodico sono pressoché ridotti ad un ossicino;

2) di conseguenza si “gioca” tutto sul rumore, che si può trasformare in puro caos (“Larve”), con alcuni strumenti che ne seppelliscono altri;

3) la consapevolezza dell’istinto (auto) – distruttivo della natura umana (e quindi punto collegato con gli altri), che viene mostrata nei suoi caratteri ciechi ed anche universali (come si evince facilmente dal testo di “Schiavi e Padroni”).

L’eleganza invece si esplica attraverso:

1) la derivazione letteraria dei testi, trasposti sottoforma di poesia. Infatti, l’ep non è altro che l’interpretazione rumoristica ma poetica del romanzo “Se Questo E’ un Uomo” di Primo Levi;

2) la profonda aritmicità di tutti e 4 i pezzi che anche da questo punto di vista si rivelano particolarmente suggestivi. Infatti, l’assenza DEL ritmo (ergo del tempo) si può facilmente collegare con il popolo ebreo, che prima della Creazione venne prescelto da Dio, un’entità posta assolutamente fuori della Storia (e quindi del tempo). Quando invece un ritmo viene (solo) accennato, pur non essendo ben definito, è come se si ponesse l’accento sul dualismo umano/divino che caratterizza gli Ebrei;

3) l’intuizione del carattere profondamente scientifico e profondamente studiato e preparato dello sterminio nazista, cosa che “compensa” la primordialità rozza dell’istinto omicida citato qualche riga fa.

Analizzata la dicotomia, è ora di fare la stessa cosa prendendo in considerazione le varie e possibili chiavi lettura dell’ep, dalla più superficiale alla più seria.

L’INTERPRETAZIONE DEL FAN:
per me i veri Mass Obliteration erano, sono e rimangono quel gruppo di death metal tecnico con tocchi black che da “Abrahamitic Curse” a “Fratricide” (disco a dire il vero più tradizionale ed omogeneo) furoreggiò nella periferia romana. Ma fra il 2009 ed il 2011, il gruppo cominciò regolarmente a esistere e scomparire fino all’annuncio della lavorazione del primo album, che Andrea definiva come una botta per il cosiddetto “fashion – death metal” (definizione discutibilissima perché è come un dire ma non dire allo stesso tempo). Ma rimanevano soltanto lui e Luca Zambelli, batterista eccezionale. Solo che poi qualcosa non filò liscio, così da far rimanere al suo posto Andrea, uno dei fondamentali ingranaggi che componeva un gruppo il cui album era atteso con un certo interesse ma la cui stesura fallì miseramente.

Ecco perché sarebbe stato meglio scegliere un altro nome per questa nuova esperienza.

LA FREDDA INTERPRETAZIONE MUSICALE:
se dovessimo guardare “Auschwitz” solo come un prodotto musicale, ne verrebbe praticamente fuori un quadro desolante e quasi senza stimoli.

La cosa incredibile è che nei 4 pezzi si trovano quasi esclusivamente gli strumenti tradizionali della musica rock, dando però particolare importanza alla chitarra, visto che per esempio la batteria è completamente assente in “Sul Fondo” (di cui si è già scritto) e in “Scrivere”. In pratica ne è venuto fuori un ribaltamento concettuale delle caratteristiche metal, che fra le altre cose conta l’utilizzo di una voce pulita quasi parlata, anche se in “Larve” e molto leggermente in “Schiavi e Padroni” vi sono concessioni al caro vecchio death metal per il tramite di grugniti dannatamente efficaci.

Nel dettaglio:

- “Larve” è l’unico pezzo che abbia una qualche forma di ritmo (merito di una drum – machine inquietante) e melodia, solo che entrambi vengono poi “distrutti” da una cacofonia inenarrabile di rumori nei quali fa capolino anche un assolo rumorista di chitarra, altra concessione al passato.

Per impostazione e capacità di trasmettere follia, questa canzone può rimandare ai Rotorvator più distruttivi, anche se concettualmente è un brano un po’ troppo permissivo nei confronti della musica propriamente detta dato che si allontana di parecchio dagli altri episodi dell’ep, certamente più suggestivi e provocatori;

- “Scrivere” ‘è sostanzialmente un monologo fra Primo Levi ed un giornalista intento a intervistarlo durante un viaggio in treno verso Auschwitz fatto nella prima metà degli anni ’80 (http://www.youtube.com/watch?v=72ElOxRd228&feature=related). Sullo sfondo una chitarra ossessiva e disturbante (il cui discorso viene sottoposto, producendo un effetto interessante, ad una dissolvenza graduale lungo la parte centrale), ed occasionalmente un campionamento dalla natura quasi ritmica e più raramente qualche tocco di tastiera.

Inoltre, dà veramente i brividi il fatto che in certi momenti i due uomini scherzino (parlando ovviamente non di cose inerenti l’Olocausto), nonostante l’atmosfera generale piena di tensione totalmente statica;

- In “Schiavi e Padroni” invece si fa per la prima volta sentire una batteria vera e propria, spaventosa nel suo incedere. E’ il brano nel quale l’apporto vocale è più pressante (ci sono infatti varie sovraincisioni fra cui dei sussurrii da incubo) ma è anche quello forse meno riuscito. Sì, perché, a parte delle variazioni quasi impercettibili, da un certo momento in poi si ripetono sempre le stesse cose, anche dal punto di vista lirico. E fate conto che il pezzo dura la bellezza di 9 minuti e 10 secondi (notare il legame con il minutaggio del video linkato), che poi curiosamente è la stessa durata dell’episodio precedente.



LA “CONSOLANTE” INTERPRETAZIONE EMPATICA:
i nazisti, attraverso i lager, non volevano soltanto annientare del tutto gli Ebrei, ma il loro “compito” consisteva anche nel separarli fra di loro così da renderli l’uno ostile all’altro. Si spiegano in questo modo i Kapò, gli aguzzini ebrei al soldo di Hitler, sui quali il regista Gillo Pontecorvo ne fece nel 1960 un film illuminante.

Avviene un po’ la stessa cosa con il disco, con gli ascoltatori che si ritrovano quasi ad auto – distruggersi fino a odiare il creatore di questo male “musicale”, pur ben sapendo che lui è come loro (da cui la massima dell’ultimo brano: “Schiavi e Padroni tutti uguali”). Eppure a questi viene eliminata ogni certezza, così che ci si scontri inevitabilmente con il dilemma nietzscheano del “Dio è morto”, rendendosi di conseguenza consapevoli del modo assolutamente brutale con cui vengono utilizzati gli strumenti, dei quali solo la chitarra (di fatto l’unico reale appiglio per l’appassionato di musica rock) non è “usa e getta”.

Ma ricordiamoci che l’empatia, per quanto faccia soffrire con la sola immaginazione, è un valore più che positivo.

L’INTEPRETAZIONE DEL DOLORE:
c’è un passaggio dell’intervista a Levi che è un po’ il succo di tutta l’operazione, ossia l’impossibilità da parte del detenuto di “toccare il fondo” attraverso un percorso graduale. In parole povere, ogni violenza non era assolutamente peggio delle altre, anche perché il futuro in ogni caso si prospettava come inesistente, ragion per cui niente era meglio della morte, unica possibilità per risalire dal “fondo eterno” di una prigionia senza limiti. E’ forse per questo che molti sopravvissuti, fra cui lo stesso Primo Levi, si suicidarono dopo aver sopportato per tanti anni un peso del genere nella coscienza.

Questa perenne ed assoluta condizione di non – vita veniva fra l’altro enfatizzata dagli stessi Kapò e dai detenuti che magari si uccidevano a vicenda per una misera fetta di pane sporco.

Questo è un punto che collega “Scrivere” con “Schiavi e Padroni”, la cui massima forse spiega anche la condivisione dello stesso minutaggio fra i due brani, artificio sicuramente premeditato. Un po’ meno giustificabile è l’implicita vitalità dell’ultimo pezzo, forse un po’ troppo imbottito di strumenti e sovraincisioni , cosa che non riesce a concretizzare totalmente il vuoto che si vorrebbe tanto trasmettere.

Insomma, dopo questa rece sui generis anche per me, un consiglio che vi dò è quello di riflettere bene prima di ascoltare e quindi acquistare questo disco, che nulla basa sul divertimento che invece è una componente fondamentale della musica tutta. Anche perché quasi 30 minuti di un tale delirio passano veramente molto lenti. E’ un opera controversa appunto anche per questo, di conseguenza è difficile trarne un giudizio preciso e sicuro. Ma il fatto che mi abbia fatto riflettere così tanto significa che mi ha tremendamente colpito. Solo così si spiega il senza voto, pur non dimenticando che la nuova avventura di Andrea non è stata comunque retta da un discorso sempre infallibile, anche perché è la prima volta che si districa in simili territori. In ogni caso, vale la pena dare una possibilità ad un artista orgoglioso di essere finalmente e dichiaramente… improduttivo (in fin dei conti, bisogna essere sadomasochisti per fare una roba del genere!).

Voto: s.v.

Claustrofobia
Scaletta:
1 – Sul Fondo/ 2 – Larve/ 3 – Scrivere/ 4 – Schiavi e Padroni

Sito ufficiale:
http://massobliteration.wordpress.com/