Ormai lo sapete, io sono ossessionato dalla velocità più assassina. La roba veloce infatti mi piace un sacco da tempo ormai immemore. Ma non solo nell'hardcore punk, anche nel metal. Uno dei miei generi metal preferiti è infatti il bestial black/death metal o war metal o che dir si voglia, e quindi la roba alla
Blasphemy, per intenderci. Però sono anche un grande fan del black metal ultraviolento nella sua accezione più pura e oltranzista. E infatti in questo articolo ho voluto sviscerare 2 album del passato proprio di questo genere, il primo realizzato da un gruppo svedese famosissimo, l'altro da un gruppo olandese invece non tanto considerato dalla massa metallica: ecco a voi allora "Attera Totus Sanctus" dei Dark Funeral e "Schwarzwald" degli Unlord.
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DARK FUNERAL – “ATTERA TOTUS SANCTUS” (Regain Records, 2005) Bistrattato
a destra e a manca all’epoca della sua uscita perfino da una rivista
che veneravo come
Grind Zone, “Attera Totus Sanctus” (ovvero “Distruggi
tutto ciò che è sacro” in un latino un po’ maccheronico) è l’album più
veloce e brutale mai concepito dai Dark Funeral in tutta la loro ormai
lunga carriera iniziata nel 1993. Eppure questo dettaglio non fu
sufficiente alla critica di mezzo mondo né a tanti fan della band,
delusi fondamentalmente da una produzione troppo focalizzata sulla voce e
la batteria a discapito delle chitarre, e anche dalla durata
insolitamente eccessiva per un album dei Dark Funeral perché composto da
8 pezzi mediamente inchiodati sui 5 minuti e poco più. A dire il vero,
queste critiche ci stanno, come d’altronde una certa ripetitività di
fondo nel songwriting ma, di contro, parecchi sono gli aspetti positivi
del disco, il primo pubblicato per la svedese
Regain Records dopo anni
passati con la leggendaria No Fashion Records. In primis, le urla
raggelanti di Emperor Magus Caligula, cantante esperto ed estremamente
espressivo attivo in quel periodo pure nei God Among Insects in una sua
parentesi death metal. In secundis, il riffing maestoso e severo,
soprattutto nella monumentale titletrack e a tratti dagli influssi death
metal (“666 Voices Inside”), con la solista occupata a volte a creare un alone atmosferico ma rarissimamente a suonare assoli (“Feed on the Mortals”).
Come terza cosa, il lavoro del basso, suonato da un sessionman di
prestigio come Gustaf Hielm dei Meshuggah, che in verità non si fa
notare per chissà che ma, com’è inevitabile, con un tipo così la qualità
sale vertiginosamente. Infine, il drumming assurdamente inumano di
Matte Modin, pescato qualche anno prima dai furiosissimi Defleshed
proprio per le sue doti di mostruoso velocista che si avvertono
particolarmente in pezzi come l’inarrestabile “King Antichrist”. Unica
variazione dal massacro ordito dai Dark Funeral la stranamente lenta e
romantica “Atrum Regina”, diabolica ballata d’amore forse un pelo troppo
prolissa ma comunque lanciata come
singolo promozionale, la quale
rappresenta inoltre una pausa anche dai tipici testi sanguinari e
anticristiani dei nostri, che qui e là seppero sfornare chicche di
saggezza satanica di un certo spessore. In questo senso sono da
segnalare di nuovo sia “King Antichrist”, forte di versi a loro modo
profondi come “
Il peccato significa bellezza, il peccato significa
vita”, che la titletrack, manifesto di libertà senzadio condito dalla
classica e ormai abusatissima massima crowleyana del “Fa’ ciò che vuoi
sarà tutta la legge”. E quindi, alla fine, “Attera Totus Sanctus” non
sarà di certo un capolavoro del black metal ma non è nemmeno da buttare via.
Nonostante quanto dicano ancora oggi alcuni rompiballe…
(xPositivityxEaterx)
UNLORD – “SCHWARZWALD” (Displeased Records, 1997) Gruppo
olandese criminalmente sottovalutato, gli Unlord pubblicarono 3 dischi a
dir poco incendiari fra il 1997 e il 2002, tutti votati al black metal
più brutale e tutti ristampati pochi anni fa in cd e in vinile dalla
sempre attenta Hells Headbangers Records, diventata ormai da parecchio
una delle etichette più in vista nel sottobosco metallico. Si dice però
non solo che gli Unlord fossero nati addirittura nel 1989 ma che una
delle loro primissime incarnazioni fossero stati nient’altro che i famigerati
Black Metal, nome comicamente banalissimo per un gruppo durato lo spazio
di un demo. Ma per fortuna, gli Unlord non avevano niente di comico,
anzi, erano serissimi, cosa che si nota già nel debutto, “Schwarzwald”
(“Foresta nera” in tedesco), il loro disco forse più vario e sicuramente
quello più lungo, un 43 minuti per 13 brani pubblicato dalla
connazionale Displeased Records, altra label dal passato glorioso che ha
chiuso i battenti ormai da un pezzo proprio come la No Fashion.
Tuttavia il sound degli Unlord era già improntato a un violentissimo
ultrafast black metal esemplificato alla perfezione nei folli 80 secondi
di “Monarchy Dies”, quasi un pezzo grind nella sua furia nervosa ed
estrema. Eppure sono tante le particolarità, come l’utilizzo del doppio
cantato e pure delle tastiere che, suonate dal misterioso ospite Guurth
nonché dal cantante/chitarrista Gor Gho Phon, uno dei membri storici
della band all’epoca attivissimo pure in formazioni death/grind come i
Nembrionic, danno un tocco alquanto tenebroso alla musica, anche in
canzoni iperviolente come “Outburst of Hate” o l’enigmatica “E Caha di
Bela”, un impressionante assalto mega-thrash cantato in una curiosa
forma di spagnolo (o quello che diavolo è). Tante però pure le influenze, da quelle thrash più
tradizionali e anche death di “Blackbird” a quelle perfino in salsa
speed classicheggiante della seguente “Thunderbuilder”, che puzza di
sano e vecchio heavy metal fin dal titolo, col testo praticamente
dedicato non a Satana, bensì addirittura a Thor. In mezzo a tanta
brutalità c’è comunque qualche pezzo in grado di far respirare un po’
l’ascoltatore, e qui vengono in aiuto la decadente “Summoned Be Thy
Flesh”, che ha il compito di chiudere l’album, e soprattutto la
titletrack, di cui i nostri girarono un frenetico video, bell’esempio di
black metal in un mid-tempo quasi tribale per via di un drumming
quantomai fantasioso. Ma “fantasioso” era proprio l’intero gruppo, ai
tempi un quintetto, che con “Schwarzwald” diede vita a una lezione di
ferocia messa al servizio della creatività e di brani costruiti
benissimo, con un senso perfetto del climax. Si compensò così una
produzione non esattamente cristallina che però, naturalmente visto che
si parla di black metal, e per di più di black metal fatto negli anni
cosiddetti d’oro del genere, ha indubbiamente il suo fascino.
(xPositivityxEaterx)
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