lunedì 24 marzo 2025

Un breve viaggio nell'ultrafast black metal: i Dark Funeral e gli Unlord!

Ormai lo sapete, io sono ossessionato dalla velocità più assassina. La roba veloce infatti mi piace un sacco da tempo ormai immemore. Ma non solo nell'hardcore punk, anche nel metal. Uno dei miei generi metal preferiti è infatti il bestial black/death metal o war metal o che dir si voglia, e quindi la roba alla Blasphemy, per intenderci. Però sono anche un grande fan del black metal ultraviolento nella sua accezione più pura e oltranzista. E infatti in questo articolo ho voluto sviscerare 2 album del passato proprio di questo genere, il primo realizzato da un gruppo svedese famosissimo, l'altro da un gruppo olandese invece non tanto considerato dalla massa metallica: ecco a voi allora "Attera Totus Sanctus" dei Dark Funeral e "Schwarzwald" degli Unlord.

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DARK FUNERAL – “ATTERA TOTUS SANCTUS” (Regain Records, 2005)

Bistrattato a destra e a manca all’epoca della sua uscita perfino da una rivista che veneravo come Grind Zone, “Attera Totus Sanctus” (ovvero “Distruggi tutto ciò che è sacro” in un latino un po’ maccheronico) è l’album più veloce e brutale mai concepito dai Dark Funeral in tutta la loro ormai lunga carriera iniziata nel 1993. Eppure questo dettaglio non fu sufficiente alla critica di mezzo mondo né a tanti fan della band, delusi fondamentalmente da una produzione troppo focalizzata sulla voce e la batteria a discapito delle chitarre, e anche dalla durata insolitamente eccessiva per un album dei Dark Funeral perché composto da 8 pezzi mediamente inchiodati sui 5 minuti e poco più. A dire il vero, queste critiche ci stanno, come d’altronde una certa ripetitività di fondo nel songwriting ma, di contro, parecchi sono gli aspetti positivi del disco, il primo pubblicato per la svedese Regain Records dopo anni passati con la leggendaria No Fashion Records. In primis, le urla raggelanti di Emperor Magus Caligula, cantante esperto ed estremamente espressivo attivo in quel periodo pure nei God Among Insects in una sua parentesi death metal. In secundis, il riffing maestoso e severo, soprattutto nella monumentale titletrack e a tratti dagli influssi death metal (“666 Voices Inside”), con la solista occupata a volte a creare un alone atmosferico ma rarissimamente a suonare assoli (“Feed on the Mortals”). Come terza cosa, il lavoro del basso, suonato da un sessionman di prestigio come Gustaf Hielm dei Meshuggah, che in verità non si fa notare per chissà che ma, com’è inevitabile, con un tipo così la qualità sale vertiginosamente. Infine, il drumming assurdamente inumano di Matte Modin, pescato qualche anno prima dai furiosissimi Defleshed proprio per le sue doti di mostruoso velocista che si avvertono particolarmente in pezzi come l’inarrestabile “King Antichrist”. Unica variazione dal massacro ordito dai Dark Funeral la stranamente lenta e romantica “Atrum Regina”, diabolica ballata d’amore forse un pelo troppo prolissa ma comunque lanciata come singolo promozionale, la quale rappresenta inoltre una pausa anche dai tipici testi sanguinari e anticristiani dei nostri, che qui e là seppero sfornare chicche di saggezza satanica di un certo spessore. In questo senso sono da segnalare di nuovo sia “King Antichrist”, forte di versi a loro modo profondi come “Il peccato significa bellezza, il peccato significa vita”, che la titletrack, manifesto di libertà senzadio condito dalla classica e ormai abusatissima massima crowleyana del “Fa’ ciò che vuoi sarà tutta la legge”. E quindi, alla fine, “Attera Totus Sanctus” non sarà di certo un capolavoro del black metal ma non è nemmeno da buttare via. Nonostante quanto dicano ancora oggi alcuni rompiballe… (xPositivityxEaterx)

UNLORD – “SCHWARZWALD” (Displeased Records, 1997)

Gruppo olandese criminalmente sottovalutato, gli Unlord pubblicarono 3 dischi a dir poco incendiari fra il 1997 e il 2002, tutti votati al black metal più brutale e tutti ristampati pochi anni fa in cd e in vinile dalla sempre attenta Hells Headbangers Records, diventata ormai da parecchio una delle etichette più in vista nel sottobosco metallico. Si dice però non solo che gli Unlord fossero nati addirittura nel 1989 ma che una delle loro primissime incarnazioni fossero stati nient’altro che i famigerati Black Metal, nome comicamente banalissimo per un gruppo durato lo spazio di un demo. Ma per fortuna, gli Unlord non avevano niente di comico, anzi, erano serissimi, cosa che si nota già nel debutto, “Schwarzwald” (“Foresta nera” in tedesco), il loro disco forse più vario e sicuramente quello più lungo, un 43 minuti per 13 brani pubblicato dalla connazionale Displeased Records, altra label dal passato glorioso che ha chiuso i battenti ormai da un pezzo proprio come la No Fashion. Tuttavia il sound degli Unlord era già improntato a un violentissimo ultrafast black metal esemplificato alla perfezione nei folli 80 secondi di “Monarchy Dies”, quasi un pezzo grind nella sua furia nervosa ed estrema. Eppure sono tante le particolarità, come l’utilizzo del doppio cantato e pure delle tastiere che, suonate dal misterioso ospite Guurth nonché dal cantante/chitarrista Gor Gho Phon, uno dei membri storici della band all’epoca attivissimo pure in formazioni death/grind come i Nembrionic, danno un tocco alquanto tenebroso alla musica, anche in canzoni iperviolente come “Outburst of Hate” o l’enigmatica “E Caha di Bela”, un impressionante assalto mega-thrash cantato in una curiosa forma di spagnolo (o quello che diavolo è). Tante però pure le influenze, da quelle thrash più tradizionali e anche death di “Blackbird” a quelle perfino in salsa speed classicheggiante della seguente “Thunderbuilder”, che puzza di sano e vecchio heavy metal fin dal titolo, col testo praticamente dedicato non a Satana, bensì addirittura a Thor. In mezzo a tanta brutalità c’è comunque qualche pezzo in grado di far respirare un po’ l’ascoltatore, e qui vengono in aiuto la decadente “Summoned Be Thy Flesh”, che ha il compito di chiudere l’album, e soprattutto la titletrack, di cui i nostri girarono un frenetico video, bell’esempio di black metal in un mid-tempo quasi tribale per via di un drumming quantomai fantasioso. Ma “fantasioso” era proprio l’intero gruppo, ai tempi un quintetto, che con “Schwarzwald” diede vita a una lezione di ferocia messa al servizio della creatività e di brani costruiti benissimo, con un senso perfetto del climax. Si compensò così una produzione non esattamente cristallina che però, naturalmente visto che si parla di black metal, e per di più di black metal fatto negli anni cosiddetti d’oro del genere, ha indubbiamente il suo fascino. (xPositivityxEaterx) 

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