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martedì 27 novembre 2012

Maelstrom - "Change of Season" (2012)

EP autoprodotto (2012)

Formazione:    Ferdinando Valsecchi – voce/chitarre/basso/batteria elettronica
                        M. Simonelli – testi.

Provenienza:    Firenze, Toscana.

Canzone migliore del disco:

“Waiting for the Spring”, assolutamente da pelle d’oca.

Punto di forza dell’opera:

la sua poesia.

Curiosità:

“Change of Season” è stato concepito come una continuazione di “The Passage”. Ne consegue, come scritto nel booklet, che i due EP trattano altrettanti aspetti della vita di un uomo. Inoltre, tutte le canzoni sono da intendersi come un pezzo intero.

          “Dicono che suicidarsi sia da vigliacchi.” In effetti, se ci si pensa, da un certo punto di vista il suicidio è un atto veramente coraggioso, se non addirittura l’atto per eccellenza. Sì, perché da una parte abbandoni tutto, mentre dall’altro confidi forse nel fatto che la morte sia una liberazione, per poi magari ritrovarti sul serio a essere un albero agonizzante come immaginato dal divin Dante. Eppure, “Change of Season" si conclude con la Primavera, con la rinascita della Vita quindi, dopo il gelo inesorabile dell’Inverno, e quindi con i fringuelli che cantano le loro lodi alla Natura (oggi mi sento poetico!).

Ritorna così, e sempre provocando delle riflessioni molto profonde, questa strana creatura chiamata Maelstrom. Ma lo fa in un modo del tutto diverso rispetto all’opera precedente, visto che "The Passage" era vitalistico, la musicalità era sia melodica sia rumorista, e i pezzi contenevano degli assoli niente male. “Change of Season” invece cambia letteralmente le carte in tavola, seppur lo stile sia sempre molto riconoscibile e personale, però ora è decisamente malinconico. E lo è in una maniera molto strana, asettica e tremendamente energica allo stesso tempo.

Asettica perché le sonorità si sono fatte generalmente rilassate e tristi, gi assoli di chitarra sono stati del tutto banditi per un approccio più collettivo (che però non manca di sorprese), mentre le parti acustiche hanno assunto un’importanza maggiore che in passato tanto da far partire tutte le canzoni, che comunque, a dir la verità, vengono sempre introdotte (tranne "Waiting for the Spring") e concluse da suoni naturalistici, come le onde del mare con tanto di gabbiani di "Summer Breeze" o il gelo temporalesco di "Winter Snow". Ma i passaggi acustici possono ora essere pure belli lunghi e ossessivi, magari senza batteria, come in "Waiting for the Spring". Inoltre, la struttura delle canzoni è decisamente particolare, visto che è più o meno ciclica, quindi sequenziale, e tutto gira su una singola e spesso “infinita” melodia che viene variata in diversi modi.

Energica perché, prima di tutto, la batteria risulta pressoché fondamentale nell’enfatizzare tutto l’insieme tanto da sembrare quasi suonata veramente. Da tal punto di vista, "Waiting for the Spring" è l’esempio massimo che si può fare, anche perché  a un certo punto la batteria va più veloce del solito. Anche il basso offre delle prestazioni maiuscole, soprattutto nella seconda parte del disco, dove riesce a dare una mano al riffing completando splendidamente la melodia. E le canzoni riescono comunque a esplodere anche grazie all’accumulazione di suoni/strumenti/effetti, quindi lo stesso impianto strutturale è molto partecipato e vivo, seppur in maniera minimalista.

E’ cambiato qualcosa anche per quanto concerne la voce. Sì, va bene, è sempre parlata, ma il nostro Ferdinando risulta molto più sicuro nei propri mezzi, sia perché in certi e brevi momenti di "Autumn Leaves" prova perfino a cantare (e bene), sia perché si diverte a manipolare la sua voce, come in "Winter Snow" (peccato però che l’eco offuschi un po’ le parole), e "Waiting for the Spring", dove essa è attutita per poi schiarirsi sempre di più, pur ripetendo ossessivamente le stesse cose. E i testi continuano a essere in madrelingua, nonostante i titoli delle canzoni siano in inglese.

Per il resto, bisogna menzionare la fredda produzione, perfetta per i temi affrontati; e la durata progressivamente più lunga dei pezzi, partendo dai quasi 5 minuti di "Summer Breeze" ai 10 di "Waiting for the Spring".

Insomma, stavolta l’obiettivo è stato realmente centrato. Se prima c’era qualche indecisione, adesso il progetto è veramente maturo per il grande salto dell’album. Già, l’album… chissà come sarà? Per ora, gustiamoci questo pezzo di assoluta poesia in musica.

Voto: 82

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Summer Breeze/ 2 – Autumn Leaves/ 3 – Winter Snow/ 4 – Waiting for the Spring

SoundCloud:

martedì 24 luglio 2012

Maelstrom - "The Passage" (2012)

Ep autoprodotto (2012)
Formazione (2011): Ferdinando Valsecchi – voce/chitarre/basso/batteria elettronica.

Provenienza: Firenze, Toscana.

Canzone migliore del disco:
“…untile the Rest of My Life”.

Punto di forza dell’opera:
la sua delicatezza.
Qual è il senso della vita? Perché è bello vivere (e brutto il semplice esistere)? Vorreste essere sempre giovani e forti, distruggendo così “la volontà del tempo”? Cos’è l’Arte? Queste e altre domande vengono poste in questo disco coraggioso sia dal punto di vista musicale che da quello lirico, anche perché, rispetto a tutti i gruppi ospitati su Timpani allo Spiedo (e non solo) qui si celebra (finalmente) la Vita, dopo gente ossessionata dalla morte, dalla politica, e robe affini. Però, è anche vero che tale opera non è che abbia tanto a che fare con il metal propriamente detto, men che meno con quello estremo, seppur ci possa essere qualche paradossale parentela con il black depressivo.

Ma allora perché non è metal “propriamente detto”? Prima di tutto, bisogna parlare della voce. La quale parla, esprime pensieri, più che cantare veramente, solo che, espressiva e supportata da un delicato effetto d’eco, è sì importante ma interviene comunque poco, quel tanto che basta per far pensare l’ascoltatore.

Le chitarre sono spesso pulite ma ciò non impedisce loro di partorire talvolta passaggi rumoristi. Però, le melodie hanno il sopravvento, ma sono melodie dolci, fragili, crepuscolari che comunque esplodono puntualmente in assoli movimentati e belli frequenti. Effettivamente, il lavoro delle due chitarre è sopraffino e avvolgente, quindi molto collaborativo, e avviene un po’ la stessa cosa per il basso, pur partecipando di meno nella costruzione delle varie linee melodiche.

La batteria elettronica ha un incedere rigorosamente medio – lento, e spesso il suo approccio è molto crerativo e da punk sperimentale (altrimenti detto post – punk) anche se, a differenza di gruppi come i Gang of Four, essa (oltre a non avere neanche per sogno derivazioni funk) sa essere, durante lo sviluppo di una stessa canzone, sia dinamica, così da enfatizzare attraverso delle brevi variazioni il lavoro degli altri strumenti, sia ossessiva a forza di ripetere, pur in modo irregolare, uno stesso ritmo.

La cosa più interessante del progetto proviene dalla curiosa struttura dei pezzi, che ha lati sia positivi sia, purtroppo, negativi. Infatti, la metodologia strutturale consiste:

1) spesso e volentieri, in un saliscendi composto da pause e “rumore”, in una maniera poi non così dissimile dai Rotorvator (che, per inciso, qualche mese fa hanno pubblicato l’ep “Heaven”);

2) di conseguenza, lo sviluppo procede sempre in modo lento e ponderato tanto che solitamente non vi è un vero e proprio climax che faccia saltare i timpani dall’esaltazione (quest’osservazione non è da ritenersi necessariamente un difetto, beninteso). Ciò viene amplificato dal fatto che pezzi come "In a Painted Black World" e "...and I Wanted to Live" “finiscano” praticamente all’improvviso ma in compenso "...until the Rest of My Life" abbandona tale tendenza grazie a un gran finale ben giostrato;

3) ogni brano si “conclude” puntualmente (aaah, ecco perché prima hai usato questa parola!) in un assolo. Solo che tale procedimento, dopo un po’, diventa prevedibile nonché limitativo, e fra l’altro a volte ci si affoga nell’auto - compiacenza a causa di troppi soli che si rivelano ripetitivi in rapporto al loro numero.

In conclusione, “The Passage” (ah, dimenticavo: le liriche – scritte interamente da un certo M. Simonelli - sono completamente in italiano!) è un disco molto interessante, ma il nostro ha dei margini di miglioramento molto ampi, direi anche logici vista la bizzarria della proposta. La quale si può riassumere, seppur con una definizione molto di comodo, come metal intimista.

Voto: 70

Claustrofobia
Scaletta:
1 – In a Painted Black World/ 2 – I Dreamt for a Brighter Sky/ 3 - ...and I Wanted to Live…/ 4 - …until the Rest of My Life

Soundcloud:
http://www.soundcloud.com/maelstrompost