Oggigiorno è piuttosto facile imbattersi in libri che parlano di musica punk e dintorni. Di questi, negli ultimi 20 anni, ne sono usciti parecchi, e molti di questi possono essere considerati dei documenti inestimabili in grado di ripercorrere anche per filo e per segno intere scene, interi periodi storici, se non pure l’intera vita di gruppi sia famosi che di nicchia. Da bravo lettore ma pure da bravo scribacchino, tanti ne ho nella mia personale collezione, e tanti altri ancora se ne aggiungeranno di sicuro in futuro, affamato come sono io di saperne sempre di più. Alcuni di questi libri mi hanno segnato profondamente, soprattutto quelli che ho comprato nei miei primi anni da metallaro incuriosito dal punk.
Fra di essi, un posto d’onore se lo merita senza ombra di dubbio il seminale “American Punk Hardcore – Una storia tribale” di Steven Blush, da noi uscito nel 2007 per la Shake Edizioni. Libro che ho letteralmente consumato e che mi piace sfogliare ancora adesso, è stato di fatto il primo in assoluto sull’hardcore punk che ho acquistato, precisamente al Feltrinelli di Barberini nell’ormai lontanissimo 2008, quando avevo 19 anni. Ecco, è stato praticamente grazie alla penna di Steven Blush che ho conosciuto l’accacì, in primis quello statunitense, qui trattato in lungo e in largo dai primordi di fine anni ’70 fino al 1986, anno nel quale l’hardcore, per vari motivi, è morto, secondo la visione dell’autore, un signorotto che è stato parte attiva del circuito sotto varie vesti, da organizzatore di concerti a manager di una band totalmente folle come i No Trend.
Completo, esauriente e ricco di interviste senza peli sulla lingua con moltissimi protagonisti dello USHC, il libro racconta la storia delle scene nazionali più importanti (Los Angeles, Boston, Washington, New York, San Francisco…) ma anche di quelle minori, dedicando fra l’altro interi capitoli a singoli gruppi come Black Flag, Bad Brains e Misfits. Molto interessanti le parti che trattano tematiche più sociali come il razzismo, il ruolo della donna nella scena, Ronald Reagan e il suo impatto sull’hardcore, la droga (e, di conseguenza, lo straight edge), la violenza nell’ambiente determinata anche dai rapporti non proprio idilliaci dei kid sia con la polizia che con la società tutta, e altri argomenti. Non manca all’appello neanche un capitolo incentrato sulle etichette indipendenti e sul circuito DIY in genere o quello per me illuminante sulle fanzine, che proprio nel 2008 mi ispirò a fondare Timpani allo Spiedo. In chiusura si trova una piccola autobiografia di 15 pagine degli aostani Kina, altro tassello fondamentale per la mia educazione musicale perché questo è stato il mio primissimo assaggio della scena hardcore italica degli anni ’80. Dopodiché, ecco ben 37 pagine dedicate alla discografia di tutte le band presenti (e non solo) nel libro, con elencate anche alcune delle compilation più rilevanti del periodo. Insomma, “American Punk Hardcore” è una vera miniera d’informazioni e l’unica lacuna riguarda la totale assenza nel racconto di formazioni innovative come i The Corporate Whores/Useless Pieces of Shit o i misteriosi Power of the Spoken Word mentre altre molto importanti come i Septic Death, i Siege o gli United Mutation (ingiustamente bollati come ininfluenti) vengono solo accennate. Ma questa, in fin dei conti, è una critica da maniaci del completismo come me.
Però, a dirla tutta, la storica scena hardcore nostrana ho cominciato a conoscerla per bene poco dopo, con “Costretti a sanguinare” di Marco Philopat, originariamente pubblicato nel 1997 ma di cui posseggo in realtà l’edizione Einaudi del 2006. Scritto dal cantante dei leggendari Hcn nonché noto agitatore del Virus, “Costretti a sanguinare”, titolo ispirato a “We Must Bleed” dei Germs, è “il romanzo del punk italiano 1977-1984”, come recita il sottotitolo. In effetti, più che un saggio musicale è un romanzo, caratterizzato fra l’altro da uno stile di scrittura particolarissimo perché veloce, frenetico, convulso e, soprattutto, privo di punteggiatura. Però più che del punk italiano, l’autore racconta in prima persona specialmente le vicende del punk milanese. Si pone così l’enfasi sulla rivoluzionaria esperienza del Virus e sul suo giro fortemente militante e politicizzato, tracciandone a mano a mano le varie tappe. Si passa allora dal concerto contro l’eroina del dicembre 1981 alla mitica Offensiva di Primavera dell’aprile 1982, oppure dal tour italiano autorganizzato dei Disorder del 1983 che toccò anche Milano alla famosa conferenza sulle sottoculture giovanili dell’anno dopo interrotta in modo oltraggioso dai punk, e così via fino allo sgombero del primo Virus datato 15 maggio 1984, un evento funesto a cui i grandi Wretched dedicarono un pezzo condito da versi gonfi di rabbia come “Ma è solo la fine della loro pace/Ed è solo l’inizio della nostra vendetta”. A corredo di tutto ciò un’interessantissima “microstoria fotografica”, posta nelle pagine centrali del volume, atta a riassumere visivamente le vicende raccontate ma anche altro.Gli stessi Wretched erano influenzati moltissimo sia dai Discharge che dall’anarcopunk inglese, e su entrambi ci ha speso pagine e pagine d’inchiostro uno studioso come Ian Glasper, bassista dei Decadence Within e fervido appassionato di qualunque cosa puzzi di punk britannico, sul quale ha pubblicato una serie fondamentale di libri. E quindi è arrivato ora il turno, appunto, di “Anarcopunk – Il punk politico inglese” (Shake Edizioni, 2008), il quale mi iniziò non soltanto a gruppi come Crass, Rudimentary Peni, Amebix, Conflict, Subhumans o Icons of Filth ma anche ai diritti degli animali e al vegetarianesimo, seppur io sia diventato effettivamente vegetariano solo nel 2019.
Però passati 2 anni, sempre la Shake stampò “Quando Bruciammo l’Inghilterra! – Storia del punk 1980-1984”, in realtà uscito nel Regno Unito nel 2004, e quindi prima di “Anarcopunk”. Da quest’ultimo si distacca per l’argomento principale, orientato stavolta sulla branca meno politicizzata, ma anche più caotica e violenta, del movimento punk inglese dei primi anni ’80, facendomi quindi innamorare di band chaospunk come Chaotic Dischord, Disorder, Chaos UK, e pure di GBH, Exploited, Discharge e dei più darkettoni Screaming Dead, con qualche infarinatura sull’oi! dei Cockney Rejekts, 4-Skins, Business e compagnia pelata.
Diversi gli argomenti ma molto simile la struttura dei 2 libri. L’autore ha infatti preferito parlare a mano a mano di ogni gruppo, tracciandone una più o meno lunga biografia anche con l’aiuto dei diretti interessati, (quasi) tutti intervistati e tutti sistemati in base alla propria area geografica. Fra l’altro, “Quando Bruciammo l’Inghilterra!” contiene pure degli approfondimenti sulle etichette indipendenti attive nell’ambiente (Riot City Records, No Future Records...) nonché su festival come il moderno Holidays in the Sun e su una rivista molto importante del periodo, venduta addirittura in edicola, come Punk Lives. Insomma, un lavoro a dir poco mastodontico che merita di essere apprezzato senza se e senza ma.
La stessa logica ha mosso Ian a scrivere l’ultimo capitolo della trilogia dedicata al punk britannico degli anni ’80 come “Trapped in a Scene – UK Hardcore 1985-1989”, mai edito in Italia e che ho comprato in realtà 4 anni fa sotto forma di ebook tramite Kobo. Uscito nel 2009 sotto l'egida della Cherry Red Books, esso si sofferma, come suggerisce il sottotitolo, sull’ultimo scorcio del decennio, raccontando quindi le gesta di Napalm Death, Extreme Noise Terror, Doom, Axegrinder, The Stupids, Heresy, Hellbastard, perciò qui ce n’è per tutti i gusti, anche per i patiti del grind e del crust.Raccomandatissimo inoltre “A Country Fit for Heroes – DIY Punk in Eighties Britain”, pubblicato agli inizi del 2024 dalla Earth Island Books, il quale rappresenta probabilmente l’opera più monumentale di Glasper. Perché? Facile dirlo: poco più di 650 pagine, circa 150 gruppi interpellati. Un’enormità, anche pensando al fatto che stavolta il nostro ha voluto scavare nell’underground britannico più torbido esplorando le “carriere” dei gruppi meno fortunati del movimento, quelli cioè che sono riusciti a fare più che altro solo che demo o apparizioni su varie compilation oppure, al massimo, qualche EP. E fra queste band ci sono i famigerati Asylum e perfino i Plasmid, dai quali poi sono nati i sopraccitati Heresy, ergo anche qui c’è della roba sfiziosa da scoprire. Ma attenzione che questo è un libro d’importazione che è possibile trovare soltanto in inglese attraverso negozi specializzati come Radiation Records, da dove l’ho acquistato nel mese di giugno 2024.Parlando però di opere ciclopiche, non posso non citare il bellissimo “Post Punk 1978-1984” di Simon Reynolds, un mattone di 716 pagine licenziato nel 2010 dalla ormai defunta Isbn Edizioni. Ecco, questo è un altro mio libro della vita, il quale mi ha fatto conoscere l’ala più sperimentale e, diciamo, più intellettuale, più artistoide del punk, ben rappresentata dai vari Gang of Four, Pop Group, The Slits, James Chance and the Contortions, Throbbing Gristle, Einstürzende Neubaten, Joy Division, Siouxsie and the Banshees, Devo e molti altri. Presente inoltre un capitolo sul cosiddetto “punk progressivo”, come ama definirlo Reynolds, promosso dalla SST Records attraverso gruppi quali Black Flag, Minutemen o Hüsker Dü, già a me noti grazie al libro di Steven Blush. Sola nota dolente i caratteri minutissimi del testo ma non si poteva fare altrimenti viste delle pagine fittissime d’informazioni, d’interviste e anche di approfondimenti per esempio sulla piccola ma feconda scena post punk islandese.
Dirottandoci ora ancor di più su libri non proprio focalizzati su sonorità puramente punk ma che comunque un po’ le sfiorano, sono da menzionare “Choosing Death – L’improbabile storia del death metal e del grindcore” di Albert Mudrian, e “Swedish Death Metal” di Daniel Ekeroth, entrambi rilasciati dalla Tsunami Edizioni, il primo nel 2009, il secondo nel 2012.
Abbastanza deludente però “Choosing Death”, e per varie ragioni. Per dire, vengono dimenticati moltissimi pionieri anche seminali, poi a un certo punto il libro diventa quasi una biografia dei Napalm Death e dei Morbid Angel, e infine è stata dispersiva la scelta di mettere nello stesso calderone sia il death metal che il grindcore, con quest’ultimo che è troppo uno stile crossover per essere affiancato tranquillamente al death, viste anche le origini molto diverse di ambedue i generi. D’altro canto, “Choosing Death” ha comunque il merito di aver sdoganato per la prima volta a un pubblico mainstream, a livello editoriale, il grindcore, anche se trattato secondo un punto di vista metallaro, ma non dimentichiamo che fra le sue pagine si è dato voce a gruppi come Siege, Deep Wound e tanti altri di un certo culto, con i Repulsion fra tutti.
Decisamente convincente su tutti i punti di vista invece “Swedish Death Metal”, assemblato da un personaggio attivo anche in combo crust punk come i Martyrdöd. Non a caso, uno dei primissimi capitoli dell’opera riguarda per l’appunto la floridissima scena hardcore punk svedese degli anni ’80, parlando così di band che hanno poi influenzato in profondità il locale death metal come gli Anti-Cimex, i Mob 47 (visti all'ultimo Marci su Roma, dove hanno scatenato il putiferio) e i tostissimi Asocial, fra le formazioni hc più estreme di quel tempo. Molto interessante però un altro libro metallaro come "I Testament e la Second Wave of Bay Area Thrash Metal", pubblicato nel 2022 sempre dalla Tsunami che, per questo volume, ha lanciato la sua collana "Hardware", che in realtà deve avere ancora un seguito. Fra tanto thrash metal, fra le sue pagine si trova però un capitolo dedicato al grandissimo Brian Schroeder, in arte Pushead, personaggio infaticabile e imprescindibile della scena hardcore americana degli anni '80, per la quale ha fatto letteralmente di tutto: dal cantante allo skater, dal giornalista all'organizzatore di concerti, dall'artista al proprietario di un'influente etichetta chiamata Pusmort. E proprio con questa label pubblicò gli album dei suoi Septic Death, violentissimo e morbosissimo gruppo proto-grindviolence che personalmente adoro e di cui posseggo anche la maglietta comprata dall'Agipunk Records.
Si conclude qui la prima parte di questo articolo riguardante la letteratura punk. La seconda (e ultima) parte sarà maggiormente focalizzata sui libri intenti a raccontare non solo i decenni successivi agli ormai mitici anni '80 ma anche scene esotiche come quella giapponese o quella della Germania dell'Est. Non mancheranno poi biografie, talvolta solo fotografiche come quella sui Nabat. E quindi, sì, non mancherà neanche qualche bell'excursus nell'oi! e nella cultura skinhead in genere. Ma non vi anticipo oltre, e quindi ci vediamo alla prossima puntata!
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