Certo che ultimamente le varie etichette discografiche mi stanno viziando proprio bene. Mi sta arrivando infatti materiale di culto totale come l’ultimo EP dei Morbosidad, il tanto atteso album d’esordio dei Necroholocaust, e adesso, fra gli altri, la ristampa via Nuclear War Now! Prod del primissimo EP dei canadesi Revenge, quell’”Attack. Blood. Revenge” (Dark Horizon Rec, 2001), che ha segnato il ritorno sulle scene di James Read. Pochi sanno chi lui sia, praticamente soltanto i fanatici del black/death bestiale: a voi ignoranti vi basti sapere che James è un uomo iper-impegnato in vari progetti (attualmente suona anche negli strani Blood Revolt – dove collabora insieme ad Alan Nemtheanga dei Primordial – e nei marcissimi Black Witchery) ma è così convinto delle sue idee musicali, sempre orbitanti nel black/death bestiale, che ha fondato i Revenge nel 2000 soltanto per continuare il sentiero tracciato dai suoi Conqueror, autori del leggendario e unico album “War Cult Supremacy” nel 1999, ma scioltisi poco dopo. In pratica, si può quasi dire che i Revenge siano i Conqueror sotto mentite spoglie, anche perché il logo “borchiato” è praticamente lo stesso, solo che i primi esistono ancora oggi avendo pubblicato finora la bellezza di 4 album così simili fra di loro che i titoli, sempre contrassegnati da 3 parole d’ordine, sono sostanzialmente gli stessi.
sabato 4 aprile 2015
sabato 14 giugno 2014
The Nutries - "The Nutries EP" (15 Novembre 2013)
Ragazzi, ho deciso che è molto meglio riprendere l’attività di Timpani allo Spiedo per recensire senza problemi la roba che mi arriva piuttosto che attendere pazientemente il mio turno per pubblicare nell’altro sito dove scrivo.
Ecco quindi a voi i 5 scalmanati da Vicenza dei The Nutries che, nati nel 2008, se ne sono usciti di recente con questo bell’EP da 7 pezzi per 13 minuti di distruzione totale, una produzione condivisa dalla Sputo Records, Makadam Circus e Sirona Records. I nostri suonano un punk/HC metallico e cupissimo, talmente cupo da sconfinare alle volte in una specie di black metal. Fra l’altro, spesso emergono prepotentemente delle influenze crust (come in “Mr.S”, che è poi uno dei pezzi più monolitici del lotto), cosa che si avverte anche nell’ottimo lavoro del basso, tipico di questo particolare genere. Il bello è che la musica de ‘sti ragazzi è anche dinamica, e quindi ci sono dei buoni cambi di tempo, pensate che qui e là c’è pure qualche blast-beat ignorante come dei tempi pieni di groove, magari più concentrati sui tom-tom (come è il caso di “Tre Parole”). Invece, il comparto vocale risulta costituito principalmente da delle urla disperate alternate con occasionalissimi grugniti oltre tombali. Liriche totalmente in italiano che meritano di essere approfondite in un’eventuale intervista. Ah, dimenticavo: notare che la canzone d’apertura, “Asfissia”, è una semi-strumentale, quindi alla fine è una specie di intro.
Per farla breve, ci troviamo di fronte a un gruppo che sa il fatto suo. L’unico difetto (ma neanche tanto) che ho trovato nell’EP riguarda la produzione, visto che in canzoni come “Mr.S” la voce risulta stranamente più bassa rispetto ai pezzi precedenti. Fra l’altro, a quanto ho capito, i The Nutries sono amici dei Rejekts, il che spiega perché siano così “neri” e disperati.
sabato 15 marzo 2014
Dementia Senex - "Heartworm" (2013)
Pensate che ero così rincojonito prima di rispondere ai Dementia Senex che ci ho messo la bellezza di 2 mesi per farlo. Meglio tardi che mai. Anche perché, quando ho infilato nel mio stereo il disco dei Dementia Senex, sono stato travolto dagli 8 minuti circa dell’opener “Unscented Walls”. 8 minuti di un death metal strambo, tecnico e convulso, pieno di dissonanze e di melodie disperate molto a là Cult of Luna e gruppi simili. Il tutto viene accompagnato più che altro da tempi medi, se non addirittura doom, mentre i blast-beats ci sono solo quando servono. E’ ben presente pure un’interessante chitarra solista mentre la voce è costituita da un grugnito bello potente e a volte urlato ma che comunque sa adattarsi alle varie situazioni.
La seguente “Kairos” dura solo 2 minuti e mezzo ed è più, diciamo, “tradizionalmente” death metal della canzone precedente.
Invece, l’ultima “Heartworm (da 6 minuti) riprende ottimamente i temi di “Unscented Walls”, aggiungendo fra l’altro una voce pulita che riesce a trasmettere molta più disperazione a tutta la musica. Bella l’introduzione parecchio d’ambiente con tanto di chitarra pulita.
Peccato però per “Kairos”, che quasi non c’entra niente con il death metal sperimentale e “prolisso” di questi ragazzi. Un lavoro comunque coraggioso, non c’è che dire, anche perché il gruppo romagnolo, quintetto nato a Cesena nel 2008 e con all’attivo anche un demo pubblicato l’anno dopo, propone pezzi lunghissimi e quindi non facili da gestire.
Da notare che quest’EP è stato rilasciato dalla statunitense The Path Less Traveled Records, sempre molto attenta a scovare qualche strano gruppo estremo.
Voto: 73
Real Chaos - "Incredulo Mi Guardo Attorno" (2013)
Ultimamente mi sto così fermando con Timpani allo Spiedo che quasi me ne dimentico. Fortuna poi che arrivano gruppi come il trio foggiano Real Chaos a svegliarmi da questo (apparente) torpore tanto è ultra-violento il loro death metal. Che è spesso così brutale e semplice da andare a braccetto spesso e volentieri con il grind, anche perché le canzoni sono incredibilmente brevi e d’impatto, e infatti molte di esse non raggiungono neanche i 2 minuti di durata.
Ma attenzione, ‘sti ragazzi sanno anche sputare dei cambi di tempo notevoli (fra cui qualche parte piena di groove), ma al contempo rifiutano il concetto stesso dell’assolo di chitarra, praticamente presente in una sola canzone (ed è pure figo!).
Fra l’altro, amo all’impazzire il timbro di voce del cantante, di base un grugnito ignorantissimo molto simile a quello usato dai tedeschi Beyond che triplica il livello di violenza vomitato dai Real Chaos. E’ da notare che i nostri cantano in italiano, un pregio da tenere in massima considerazione.
Certo, la loro è una musica non molto varia, alle volte c’è bisogno effettivamente di un assolo o di un qualche rallentamento doom così da poter intensificare ancor di più tutto l’assalto (e mi piacerebbe che si rendesse più cattivo e distorto il suono del basso), ma queste sono solo quisquilie. Perché i Real Chaos, nati nel 2010, promettono molto bene con quest'album autoprodotto, e solo questo è l’importante, cazzarola! Ah, i pezzi sono 12 per 23 minuti di caos sonoro.
Voto: 76
Flavio "Claustrofobia" Adducci
giovedì 23 gennaio 2014
Preti Pedofili "L'Age d'Or" (2013)
Finalmente, dopo quasi un mese di (apparente) inattività torno da queste parti per parlare dell’album di debutto dei Preti Pedofili. Qualcuno di voi li dovrebbe già conoscere perché poco tempo fa recensii sempre su queste “patinate” pagine il loro split con i Nastenka Aspetta un Altro. Entrambi i gruppi mi sorpresero alla grande, e adesso, per confermare almeno i Preti Pedofili, abbiamo un intero disco di 10 canzoni per circa 48 minuti di una musica sciroccata e piena di riferimenti letterari.
Allora, come potrebbero essere incasellati i Preti Pedofili? Booh, so solo che non sono nè metal nè punk. Diciamo che sono una via di mezzo fra il noise, il free jazz e il post-punk. Il risultato è un suono veramente alieno e ostile, fatto di una batteria tentacolare e metronomica che non ne vuole sapere di essere groovy, di una chitarra rumorista e isterica completamente dedita a una funzione ritmica, di un basso che talvolta guida (ma anche no) la melodia del pezzo (e ovviamente il termine “melodia” va qui preso con delle pinze belle corazzate) e di un comparto vocale camaleontico.
Quest’ultimo si muove infatti da un cantato parlato (che può sconfinare in toni da professore universitario) a un sussurro malato e agonizzante, da urla stridule e sgraziate a un cantato pulito quasi mistico. In parole povere, in ogni canzone c’è sempre qualche sorpresa da questo punto di vista (e non solo). Fra l’altro, sono molto interessanti e intelligenti i testi, come quello di “Iride” (nel quale alla fine si afferma “se la libertà non è in me non la troverò da nessuna parte”) e quello di “Primo Sangue” (nella cui seconda metà si racconta praticamente la trama di “Aguirre, Furore di Dio” del grande regista tedesco Werner Herzog; un film con Klaus Kinski incentrato sul conquistador, realmente esistito, Lope de Aguirre, che si ribellò alla corona spagnola alla ricerca della leggendaria Eldorado lungo il Rio delle Amazzoni… facendo poi ovviamente una brutta fine). Altri testi invece fanno rabbrividire per come vengono pronunciati, e a tal proposito sono più che esemplificativi i versi “Il polso è molle/Lo sguardo è nevrotico/La testa è incancrenita dal sangue alieno” di “Cancro” (contenuta, come “C’Est Femme l’Autre Nom de Dieu”, nello split sopraccitato, e curiosamente in entrambe le canzoni è stato aggiunto un finale ambientale, chissà perché?).
Ma non si finisce di certo qui: dovete tenere anche in conto che la musica dei Preti Pedofili sa essere un sacco ossessiva, quasi ipnotizzante. Fortuna però che i nostri riescono a differenziare per bene le varie canzoni fra loro, magari sputando un assolo deviato di chitarra (“Begotten”) o addirittura delle tastiere (come nella disperata “Vio-lento”, che fra l’altro a un certo punto ha pure un riffing semi-black metal – e sottolineo “semi”, beninteso). La cosa particolare è che si riesce a mantenere in ogni caso una pesantezza veramente estrema e difficile da dimenticare.
In sintesi, “L’Age d’Or” è un album che, oltre a far riflettere, fa anche parecchio paura. Perché è così metodico e annichilente da essere certe volte forse bello freddino. Ecco, consiglierei a questi 3 ragazzi foggiani di offrire talvolta un po’ di groove tanto per mitigare almeno un minimo la natura estremamente ostile della loro musica. Dico questo anche perché sorbirsi 10 pezzi praticamente tutti così è un’impresa non indifferente (sarà che non sono abituato ad ascoltare qualcosa del genere?). Ma intanto ‘sto disco coraggiosissimo (e che si può ascoltare totalmente “a gratise” dal BandCamp del gruppo) si becca un bel voto, quindi compratelo e fatevi stuprare per bene i vostri timpani!
Voto: 78
Flavio "Claustrofobia" Adducci
venerdì 27 dicembre 2013
Asghath - "Hopes Choked Under a Blackened Sky" (2013)
Album (SBRT Records, Settembre 2013)
Formazione (2009): Asghath – voce/chitarre/basso/drum – machine.
Provenienza: Pesaro, Marche.
Oh, non posso farci niente! Quando ascolto un gruppo che fa uso della drum – machine mi riesce molto difficile apprezzarlo veramente. Se non sbaglio, infatti, su Timpani allo Spiedo gruppi del genere non hanno mai ottenuto voti eccellenti, a parte forse il solo – progetto Dark Paranoia, ma per il resto c’è il buio più totale. Quindi, è riuscito Asghath a bloccare per un po’ questa tendenza? Boh, ma intanto continuate a leggere.
“Hopes Choked Under a Blackened Sky” è l’album di debutto di Asghath, comprendente 10 pezzi (incluse intro e la bella e lunghissima outro tastierosa intitolata "One Roamed Through A Boundless Forest") per circa 30 minuti di un black metal semplice e grezzo come la vecchia scuola insegna e alle volte contaminato con il thrash (come si può notare nei primissimi brani). Alcune delle canzoni sono più gelide o melodiche di altre, ma (quasi) tutte sono ultra – veloci, piene quindi di blast – beats distruttivi, anche se non mancano dei buoni cambi di tempo, ergo non aspettatevi roba tipo i Marduk et similia. Ovviamente, da queste parti sono completamente banditi gli assoli, mentre qui e là si possono trovare delle tastiere melodiose, come nella titletrack (non con buoni risultati, purtroppo). Invece, la voce è un urlo effettatissimo e profondo.
Le canzoni che più mi sono piaciute sono “Spiritvs Lvpi” e la seguente “Non V’E’ Alcuna Prossima Alba”. La prima è quella più orientata sui tempi medio – lenti, ed è strutturata praticamente in crescendo. “Non V’E’ Alcuna Prossima Alba”, invece, è malatissima perché ha un intreccio di voci veramente folle e avvolgente, e da questo punto di vista si distingue benissimo dagli altri brani, anche per un’atmosfera più disperata del solito.
Ma questi due sono gli unici frammenti di luce (nera) dell’intero album. Il problema è che il resto delle canzoni manca spesso di inventiva, vuoi perché esse riprendono sempre le stesse cose per tutta la loro durata seguendo un rigoroso schema sequenziale (un esempio lampante è “Great Eagle Army”), vuoi perché alle volte si ripete ossessivamente lo stesso passaggio musicale in maniera un po’ fine a sé stessa, come nel finale tastieroso e strumentale della titletrack. Per di più, la voce ha la tendenza a scomparire per parecchio tempo, cosa che non aiuta di certo a rendere più intensa tutta la musica.
In parole povere, si poteva creare qualcosa di meglio con questo black metal darkthroniano e dalla produzione zanzarosa. La cosa assurda è che, di tutti i gruppi della SBRT Records finora recensiti, mi sono piaciuti soltanto gli Acheronte, che pure non sono dei geni nel comporre i vari brani. Vabbè dai, sarà per la prossima volta.
Voto: 58
Flavio “Claustrofobia” Adducci
Iscriviti a:
Post (Atom)