Album (SBRT Records, Settembre 2013)
Formazione (2009): Asghath – voce/chitarre/basso/drum – machine.
Provenienza: Pesaro, Marche.
Oh, non posso farci niente! Quando ascolto un gruppo che fa uso della drum – machine mi riesce molto difficile apprezzarlo veramente. Se non sbaglio, infatti, su Timpani allo Spiedo gruppi del genere non hanno mai ottenuto voti eccellenti, a parte forse il solo – progetto Dark Paranoia, ma per il resto c’è il buio più totale. Quindi, è riuscito Asghath a bloccare per un po’ questa tendenza? Boh, ma intanto continuate a leggere.
“Hopes Choked Under a Blackened Sky” è l’album di debutto di Asghath, comprendente 10 pezzi (incluse intro e la bella e lunghissima outro tastierosa intitolata "One Roamed Through A Boundless Forest") per circa 30 minuti di un black metal semplice e grezzo come la vecchia scuola insegna e alle volte contaminato con il thrash (come si può notare nei primissimi brani). Alcune delle canzoni sono più gelide o melodiche di altre, ma (quasi) tutte sono ultra – veloci, piene quindi di blast – beats distruttivi, anche se non mancano dei buoni cambi di tempo, ergo non aspettatevi roba tipo i Marduk et similia. Ovviamente, da queste parti sono completamente banditi gli assoli, mentre qui e là si possono trovare delle tastiere melodiose, come nella titletrack (non con buoni risultati, purtroppo). Invece, la voce è un urlo effettatissimo e profondo.
Le canzoni che più mi sono piaciute sono “Spiritvs Lvpi” e la seguente “Non V’E’ Alcuna Prossima Alba”. La prima è quella più orientata sui tempi medio – lenti, ed è strutturata praticamente in crescendo. “Non V’E’ Alcuna Prossima Alba”, invece, è malatissima perché ha un intreccio di voci veramente folle e avvolgente, e da questo punto di vista si distingue benissimo dagli altri brani, anche per un’atmosfera più disperata del solito.
Ma questi due sono gli unici frammenti di luce (nera) dell’intero album. Il problema è che il resto delle canzoni manca spesso di inventiva, vuoi perché esse riprendono sempre le stesse cose per tutta la loro durata seguendo un rigoroso schema sequenziale (un esempio lampante è “Great Eagle Army”), vuoi perché alle volte si ripete ossessivamente lo stesso passaggio musicale in maniera un po’ fine a sé stessa, come nel finale tastieroso e strumentale della titletrack. Per di più, la voce ha la tendenza a scomparire per parecchio tempo, cosa che non aiuta di certo a rendere più intensa tutta la musica.
In parole povere, si poteva creare qualcosa di meglio con questo black metal darkthroniano e dalla produzione zanzarosa. La cosa assurda è che, di tutti i gruppi della SBRT Records finora recensiti, mi sono piaciuti soltanto gli Acheronte, che pure non sono dei geni nel comporre i vari brani. Vabbè dai, sarà per la prossima volta.
Voto: 58
Flavio “Claustrofobia” Adducci
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