Finalmente, dopo quasi un mese di (apparente) inattività torno da queste parti per parlare dell’album di debutto dei Preti Pedofili. Qualcuno di voi li dovrebbe già conoscere perché poco tempo fa recensii sempre su queste “patinate” pagine il loro split con i Nastenka Aspetta un Altro. Entrambi i gruppi mi sorpresero alla grande, e adesso, per confermare almeno i Preti Pedofili, abbiamo un intero disco di 10 canzoni per circa 48 minuti di una musica sciroccata e piena di riferimenti letterari.
Allora, come potrebbero essere incasellati i Preti Pedofili? Booh, so solo che non sono nè metal nè punk. Diciamo che sono una via di mezzo fra il noise, il free jazz e il post-punk. Il risultato è un suono veramente alieno e ostile, fatto di una batteria tentacolare e metronomica che non ne vuole sapere di essere groovy, di una chitarra rumorista e isterica completamente dedita a una funzione ritmica, di un basso che talvolta guida (ma anche no) la melodia del pezzo (e ovviamente il termine “melodia” va qui preso con delle pinze belle corazzate) e di un comparto vocale camaleontico.
Quest’ultimo si muove infatti da un cantato parlato (che può sconfinare in toni da professore universitario) a un sussurro malato e agonizzante, da urla stridule e sgraziate a un cantato pulito quasi mistico. In parole povere, in ogni canzone c’è sempre qualche sorpresa da questo punto di vista (e non solo). Fra l’altro, sono molto interessanti e intelligenti i testi, come quello di “Iride” (nel quale alla fine si afferma “se la libertà non è in me non la troverò da nessuna parte”) e quello di “Primo Sangue” (nella cui seconda metà si racconta praticamente la trama di “Aguirre, Furore di Dio” del grande regista tedesco Werner Herzog; un film con Klaus Kinski incentrato sul conquistador, realmente esistito, Lope de Aguirre, che si ribellò alla corona spagnola alla ricerca della leggendaria Eldorado lungo il Rio delle Amazzoni… facendo poi ovviamente una brutta fine). Altri testi invece fanno rabbrividire per come vengono pronunciati, e a tal proposito sono più che esemplificativi i versi “Il polso è molle/Lo sguardo è nevrotico/La testa è incancrenita dal sangue alieno” di “Cancro” (contenuta, come “C’Est Femme l’Autre Nom de Dieu”, nello split sopraccitato, e curiosamente in entrambe le canzoni è stato aggiunto un finale ambientale, chissà perché?).
Ma non si finisce di certo qui: dovete tenere anche in conto che la musica dei Preti Pedofili sa essere un sacco ossessiva, quasi ipnotizzante. Fortuna però che i nostri riescono a differenziare per bene le varie canzoni fra loro, magari sputando un assolo deviato di chitarra (“Begotten”) o addirittura delle tastiere (come nella disperata “Vio-lento”, che fra l’altro a un certo punto ha pure un riffing semi-black metal – e sottolineo “semi”, beninteso). La cosa particolare è che si riesce a mantenere in ogni caso una pesantezza veramente estrema e difficile da dimenticare.
In sintesi, “L’Age d’Or” è un album che, oltre a far riflettere, fa anche parecchio paura. Perché è così metodico e annichilente da essere certe volte forse bello freddino. Ecco, consiglierei a questi 3 ragazzi foggiani di offrire talvolta un po’ di groove tanto per mitigare almeno un minimo la natura estremamente ostile della loro musica. Dico questo anche perché sorbirsi 10 pezzi praticamente tutti così è un’impresa non indifferente (sarà che non sono abituato ad ascoltare qualcosa del genere?). Ma intanto ‘sto disco coraggiosissimo (e che si può ascoltare totalmente “a gratise” dal BandCamp del gruppo) si becca un bel voto, quindi compratelo e fatevi stuprare per bene i vostri timpani!
Voto: 78
Flavio "Claustrofobia" Adducci
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