Nota:
alla fine è capitato anche a me: a parte il caso dei Masturbacion Cristiana, ecuadoregni recensiti nel 2° numero di Timpani allo Spiedo ma ormai trapiantisi da anni in Italia, i Bodhum sono il primo caso di gruppo straniero che mi ha contattato per vedere il proprio lavoro in bella vista sul mio blog. Inutile dire che l'esperimento non sarà l'ultimo.
Ep autoprodotto (4 Maggio 2011)
Formazione (2010): Sanches;
Gomes;
Pellizzetti (ma quali strumenti suonano? Boh!)
Provenienza: Rio de Janeiro (Brasile)
Canzone migliore dell’ep:
direi “Extremo”, soprattutto perché riesce a coniugare il thrashcore con le istanze death/grind atto a creare un muro sonoro violentissimo.
Punto di forza del disco:
l’ottimo utilizzo della voce, sia dal punto di vista prettamente qualitativo sia da quello della produzione.
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Curiosità:
sarà strano, ma Bodhum è anche il nome di una locazione del tredicesimo capitolo (datato 2009) del famoso videogioco Final Fantasy. Interessante constatare come in tale scenario sia presente un gruppo di rivoluzionari dall’impronta anarchica (o giù di lì) chiamato NORA. Sarà stato un caso aver scelto un nome come Bodhum?
In questi ultimi tempi Timpani allo Spiedo sta conoscendo, chissà per quale motivo, una buona richiesta da gente che ama e suona, declinandolo in vari modi, il thrash metal. Bene, stavolta parliamo di un gruppo ultra – “ignorante” che basa tutto sullo scontro frontale tanto da far vedere i famosi “sorci verdi” all’ascoltatore anche attraverso canzoni dalla durata tremendamente esigua e nelle quali la natura più grindcore del terzetto si fa viva in modo ancor più netto. Certo, non sono uno spasimante di pezzi che con notevole frequenza si consumano in 15 secondi visto che così è un “mordi e fuggi” più che mai istintivo, eppure è altrettanto vero che è proprio grazie a questo istinto che la decina scarsa di minuti di questo disco passa come se si fosse stati calpestati da uno schiacciasassi.
Ma è anche ovvio che se l’istinto non fosse accompagnata da una buona dose di accorgimenti di carattere strategico, la violenza musicale sarebbe solo cieca. E questo non è proprio il caso dei Bodhum che per quanto abbastanza elementari nella struttura dei brani (la quale solitamente, salvo minime variazioni, è un normalissimo botta e risposta 1 – 2 – 1 – 2), riescono ad enfatizzare bene tutto l’insieme. Questo è merito di una batteria, quasi continuamente divisa fra tupa – tupa e blast – beats, dagli interventi spesso puntuali e che non poche volte fa sfoggio di un’ottima tecnica magari danzando velocissimamente sui tom – tom. Memorabili però le “lungaggini” (in positivo) della canzone omonima, nella quala il batterista esegue dei “giochi” (concentrati specialmente sui piatti) destinati invariabilmente ad esplodere.
Un altro aspetto sfruttato in maniera notevole, è quello della voce, che generalmente non è altro che un latrato tipico del grind vecchia scuola. La voce è però soffocata, disturbata, insomma la si sente lontana così da essere coerente con l’immaginario rivoluzionario del gruppo. Nonostante ciò, la voce non è solo un latrato e basta ma risulta abbastanza dinamica in modo da sparare in certe occasioni vere e proprie urla, mentre in “Refem dos Juros” vi è un duetto con una voce pulita dal tono quasi beffardo e giocoso.
Prendendo invece nell’insieme tutta la musica dei Bodhum, non è che questa sia poi così fantasiosa – i deja vù non mancano per esempio in alcune parti di batteria -, avendo però l’accortezza di sputare fuori qua e là momenti furiosi più di stampo death metal (“Extremo”), che purtroppo non sono stati sviluppati debitamente, se non addirittura brutal in certi (rarissimi) rallentamenti (“Odio” e “Rotina de Sangue”). Nella scheggia impazzita di “Jamais” vi è fra l’altro un riffing dal sapore severissimo e monumentale un po’ come quello ultimamente sentito nei Rejekts. Ma in linee generali ci troviamo di fronte ad un thrashcore amante del grind praticamente senza nessunissima melodia e che rispetta in toto la natura dal vivo dei nostri, dato che tanto per fare un esempio non vi è traccia di nemmeno una chitarra solista abbozzata.
Infatti, la produzione rende giustizia non solo del carattere da terzetto dei Bodhum ma anche del suo impatto dal vivo. Ciò significa che il disco suona sporco senza essere per nulla cacofonico essendo invece molto coinvolgente. Fra l’altro, i nostri hanno voluto introdurre alcune canzoni con dei brevi spezzoni, spesso parlati, ovviamente in lingua madre (anche se è memorabile specialmente quello di “Extremo”, in cui, in linea con le tematiche sociali e guerrafondaie del disco, si sente una persona che russa senza farsi tanti scrupoli. Geniale!).
Resto in attesa per un disco magari più consistente anche perché il piacere di ascoltare una siffatta opera si consuma praticamente in quattro e quattrotto.
Voto: 73
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Extremo/ 2 – Igreja Nuclear/ 3 – Lembrancas do Holocausto/ 4 – Odio/ 5 – S.C.C./ 6 – Cego/ 7 – Ordem do Caos/ 8 – Rotina de Sangue/ 9 – Jamais/ 10 – Coco/ 11 – Refem dos Juros
MySpace:
http://www.myspace.com/bodhum
Tuesday, August 9, 2011
Monday, August 8, 2011
Warocracy - "Promo 2010" (2010)
Demo autoprodotto (2010)
Formazione (2010): Glen Brutaldeathster, voce;
Mathias Rat, chitarra;
Lorenzo, chitarra;
Valerio, basso;
Attilio (sostituito poi da Francesco “Storm” Borrelli), batteria.
Provenienza: Cosenza, Calabria.
Canzone migliore del demo:
in teoria “War of the Mortals” ma essendo questa stilisticamente molto diversa dalle altre, allora la mia preferenza va ad “Unexpected End”, che fra l’altro consta di un lavoro di basso eccezionale lungo la parte finale dal sapore maledettamente doom. E non dimentichiamoci l’estrema violenza di quest’episodio la quale viene aperta da un’introduzione orchestrale che lascia presagire ottimamente la venuta strisciante della Morte.
Punto di forza del disco:
scelta abbastanza difficile. Paradossalmente, viste le precedenti parole, direi la capacità del gruppo di non fossilizzarsi sulla ferocia e la cupezza (anche se non fine a sé stessa) così da offrire più di quanto il nome farebbe pensare (discorso che implicitamente riprenderò nel corso della rece parlando proprio di “War of the Mortals”).
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Ragazzi, era veramente da tempo che i miei timpani non venivano piacevolmente defenestrati dalla sana cattiveria del death metal classico. Sì, perché a forza di melodie, di folli sperimentazioni, di suoni democratici e progressivi ma anche di tematiche spesso non propriamente caratteristiche del metal estremo, un gruppo finalmente mi ha riportato in tutta un’altra realtà dove la violenza, più che cerebrale, è diretta e tangibile, e dove il nome scelto è veramente un programma.
I Warocracy infatti sono belli violenti e cupi (certo, non cupi come gli statunitensi Vasaeleth…), poco avvezzi nel proporre melodie, e allo stesso tempo sono come già scritto classici senza però risultare banali. Vuoi perché presentano una tecnica di indubbio valore, vuoi perché offrono più influenze di quel che si potrebbe pensare riuscendo così a passare dai fulminanti momenti black di “Unexpected End” al thrash (solo ritmicamente in “Black Waves of Styx” mentre in “War of the Mortals” ne viene contagiato pure il riffing), vuoi perché nonostante tutto sembrano essere molto attenti ad equilibrare i tempi più veloci con quelli più lenti tanto da aver costruito quasi senza i primi un pezzo come “War of the Mortals”, vuoi infine perché, contrariamente a quanto ho letto da qualche parte, i brani sono sì solamente 3 ma sono spalmati in un qualcosa come 16 minuti di ottima musica, e quindi stiamo parlando di canzoni dalla durata difficile da gestire.
La loro classicità è da rintracciare anche nel comparto vocale che, per quanto in giro sia stato già sentito mille volte (ma l’originalità, come ben si sa, non è fondamentale per Timpani allo Spiedo), funziona a meraviglia, anche perché per costruzione delle linee vocali siamo a livelli più che interessanti. Fra l’altro, vengono utilizzate ottimamente le due voci, l’una (ovviamente la principale) un grugnito fiero, l’altra un urlo spesso inquietante per certi interventi (in prima linea quelli di “Unexpected End”), anche se comunque non viene usata così frequentemente come si potrebbe pensare.
Però non solo vi è un coordinamento fantastico delle due voci ma anche delle due chitarre. Quella solista viene utilizzata veramente molto bene, sia per assoli ben congegnati sia per quelli che chiamo i sovra – riff, i quali si esprimono spesso in maniera diversa l’una dall’altra. Come non citare a tal proposito quelli di “Unexpected End” (nella quale le due chitarre in certi punti coprono il silenzio di ognuna) oppure quelli un pochino più melodici di “Black Waves of Styx”, canzone che a tratti mostra un groove contagioso? Ma non dimentichiamo per nessuna ragione al mondo gli assoli (uno per pezzo), sempre di brillante fattura e sempre esprimenti delle melodie minacciose, da pelle d’oca, e per questi motivi è veramente un peccato che sia completamente assente nel gran finale di “War of the Mortals”, solo che questa “mancanza” viene compensata da vari aspetti che lasciano ben sperare per il futuro.
“War of the Mortals” effettivamente è LA canzone particolare del gruppo, visto che, a parte la cupezza e l’uso della chitarra solista, in essa vi si trovano caratteristiche più o meno nuove per i Warocracy. Vediamone quali, tralasciando come ovvio il già citato utilizzo semi – esclusivo dei tempi medi e l’assenza del solo:
1) la struttura del brano, che rispetto agli altri, da questo punto di vista risulta decisamente più libero e meno vincolato, così da riuscire a coprire meglio il “buco” lasciato dall’assolo giocando sul collettivo;
2) questo punto è direttamente collegato al precedente, e consiste nel rendere giustizia ad un tipo di costruzione stupenda, nonostante le novità. E’ da sottolineare soprattutto il finale dell’episodio, nel quale ad un certo punto si legano indirettamente (ossia per il tramite di un altro passaggio) due soluzioni dal ritmo molto ma molto simile;
3) inoltre il brano mostra finalmente la melodia nel riffing, un tipo di melodia fra l’altro stranamente disperata per gli standard del gruppo.
Infine, è da segnalare come “War of the Mortals”, così strano e non propriamente d’impatto, sia stato messo per chiudere il disco, visto che tradizionalmente nel metal estremo più puro e incontaminato l’ultimo pezzo è sempre violentissimo così da concludere in bellezza. Insomma, ammirevole sia l’intento che ancor di più il risultato.
Adesso c’è da parlare della struttura – tipo utilizzata dai Warocracy, che da questo punto di vista si avvicinano molto a quanto offerto dagli emiliani Psycho Scream. Ossia (almeno i primi due episodi) si muovono lungo binari più o meno fortemente sequenziali rappresentati sempre e comunque da 4 soluzioni, introdotte anche da pause (“Black Waves of Styx”) o stacchi più o meno solitari di chitarra (“Unexpected End”). Solo che, rispetto al gruppo succitato, appena conclusa per la seconda volta la sequenza, ecco farsi vivo subito l’assolo, dopodiché i Warocracy prendono il largo “dimenticandosi” di qualsiasi vincolo, magari concludendo il tutto con dei maledetti tempi doom, come avviene in “Unexpected End”.
Per quanto riguarda invece la produzione, bisogna dire che si allontana molto da quelle che solitamente vengono ospitate su Timpani, dato che è pulito e a volte forse fin troppo professionale (infatti, avrei preferito un suono di batteria più “ignorante” invece di quello attuale, abbastanza “plastico”, così da essere più coerenti con i quintali di cattiveria sparati nel disco). Ho usato il termine “stranamente” anche perché stiamo parlando dell’opera prima del quartetto calabrese, e scusate se è poco….
ONLY DEATH IS REAL!
Voto: 84
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Unexpected End/ 2 – Black Waves of Styx/ 3 – War of the Mortals
FaceBook:
http://www.facebook.com/pages/Warocracy/169261033105670
MySpace:
http://www.myspace.com/warocracy
Formazione (2010): Glen Brutaldeathster, voce;
Mathias Rat, chitarra;
Lorenzo, chitarra;
Valerio, basso;
Attilio (sostituito poi da Francesco “Storm” Borrelli), batteria.
Provenienza: Cosenza, Calabria.
Canzone migliore del demo:
in teoria “War of the Mortals” ma essendo questa stilisticamente molto diversa dalle altre, allora la mia preferenza va ad “Unexpected End”, che fra l’altro consta di un lavoro di basso eccezionale lungo la parte finale dal sapore maledettamente doom. E non dimentichiamoci l’estrema violenza di quest’episodio la quale viene aperta da un’introduzione orchestrale che lascia presagire ottimamente la venuta strisciante della Morte.
Punto di forza del disco:
scelta abbastanza difficile. Paradossalmente, viste le precedenti parole, direi la capacità del gruppo di non fossilizzarsi sulla ferocia e la cupezza (anche se non fine a sé stessa) così da offrire più di quanto il nome farebbe pensare (discorso che implicitamente riprenderò nel corso della rece parlando proprio di “War of the Mortals”).
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Ragazzi, era veramente da tempo che i miei timpani non venivano piacevolmente defenestrati dalla sana cattiveria del death metal classico. Sì, perché a forza di melodie, di folli sperimentazioni, di suoni democratici e progressivi ma anche di tematiche spesso non propriamente caratteristiche del metal estremo, un gruppo finalmente mi ha riportato in tutta un’altra realtà dove la violenza, più che cerebrale, è diretta e tangibile, e dove il nome scelto è veramente un programma.
I Warocracy infatti sono belli violenti e cupi (certo, non cupi come gli statunitensi Vasaeleth…), poco avvezzi nel proporre melodie, e allo stesso tempo sono come già scritto classici senza però risultare banali. Vuoi perché presentano una tecnica di indubbio valore, vuoi perché offrono più influenze di quel che si potrebbe pensare riuscendo così a passare dai fulminanti momenti black di “Unexpected End” al thrash (solo ritmicamente in “Black Waves of Styx” mentre in “War of the Mortals” ne viene contagiato pure il riffing), vuoi perché nonostante tutto sembrano essere molto attenti ad equilibrare i tempi più veloci con quelli più lenti tanto da aver costruito quasi senza i primi un pezzo come “War of the Mortals”, vuoi infine perché, contrariamente a quanto ho letto da qualche parte, i brani sono sì solamente 3 ma sono spalmati in un qualcosa come 16 minuti di ottima musica, e quindi stiamo parlando di canzoni dalla durata difficile da gestire.
La loro classicità è da rintracciare anche nel comparto vocale che, per quanto in giro sia stato già sentito mille volte (ma l’originalità, come ben si sa, non è fondamentale per Timpani allo Spiedo), funziona a meraviglia, anche perché per costruzione delle linee vocali siamo a livelli più che interessanti. Fra l’altro, vengono utilizzate ottimamente le due voci, l’una (ovviamente la principale) un grugnito fiero, l’altra un urlo spesso inquietante per certi interventi (in prima linea quelli di “Unexpected End”), anche se comunque non viene usata così frequentemente come si potrebbe pensare.
Però non solo vi è un coordinamento fantastico delle due voci ma anche delle due chitarre. Quella solista viene utilizzata veramente molto bene, sia per assoli ben congegnati sia per quelli che chiamo i sovra – riff, i quali si esprimono spesso in maniera diversa l’una dall’altra. Come non citare a tal proposito quelli di “Unexpected End” (nella quale le due chitarre in certi punti coprono il silenzio di ognuna) oppure quelli un pochino più melodici di “Black Waves of Styx”, canzone che a tratti mostra un groove contagioso? Ma non dimentichiamo per nessuna ragione al mondo gli assoli (uno per pezzo), sempre di brillante fattura e sempre esprimenti delle melodie minacciose, da pelle d’oca, e per questi motivi è veramente un peccato che sia completamente assente nel gran finale di “War of the Mortals”, solo che questa “mancanza” viene compensata da vari aspetti che lasciano ben sperare per il futuro.
“War of the Mortals” effettivamente è LA canzone particolare del gruppo, visto che, a parte la cupezza e l’uso della chitarra solista, in essa vi si trovano caratteristiche più o meno nuove per i Warocracy. Vediamone quali, tralasciando come ovvio il già citato utilizzo semi – esclusivo dei tempi medi e l’assenza del solo:
1) la struttura del brano, che rispetto agli altri, da questo punto di vista risulta decisamente più libero e meno vincolato, così da riuscire a coprire meglio il “buco” lasciato dall’assolo giocando sul collettivo;
2) questo punto è direttamente collegato al precedente, e consiste nel rendere giustizia ad un tipo di costruzione stupenda, nonostante le novità. E’ da sottolineare soprattutto il finale dell’episodio, nel quale ad un certo punto si legano indirettamente (ossia per il tramite di un altro passaggio) due soluzioni dal ritmo molto ma molto simile;
3) inoltre il brano mostra finalmente la melodia nel riffing, un tipo di melodia fra l’altro stranamente disperata per gli standard del gruppo.
Infine, è da segnalare come “War of the Mortals”, così strano e non propriamente d’impatto, sia stato messo per chiudere il disco, visto che tradizionalmente nel metal estremo più puro e incontaminato l’ultimo pezzo è sempre violentissimo così da concludere in bellezza. Insomma, ammirevole sia l’intento che ancor di più il risultato.
Adesso c’è da parlare della struttura – tipo utilizzata dai Warocracy, che da questo punto di vista si avvicinano molto a quanto offerto dagli emiliani Psycho Scream. Ossia (almeno i primi due episodi) si muovono lungo binari più o meno fortemente sequenziali rappresentati sempre e comunque da 4 soluzioni, introdotte anche da pause (“Black Waves of Styx”) o stacchi più o meno solitari di chitarra (“Unexpected End”). Solo che, rispetto al gruppo succitato, appena conclusa per la seconda volta la sequenza, ecco farsi vivo subito l’assolo, dopodiché i Warocracy prendono il largo “dimenticandosi” di qualsiasi vincolo, magari concludendo il tutto con dei maledetti tempi doom, come avviene in “Unexpected End”.
Per quanto riguarda invece la produzione, bisogna dire che si allontana molto da quelle che solitamente vengono ospitate su Timpani, dato che è pulito e a volte forse fin troppo professionale (infatti, avrei preferito un suono di batteria più “ignorante” invece di quello attuale, abbastanza “plastico”, così da essere più coerenti con i quintali di cattiveria sparati nel disco). Ho usato il termine “stranamente” anche perché stiamo parlando dell’opera prima del quartetto calabrese, e scusate se è poco….
ONLY DEATH IS REAL!
Voto: 84
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Unexpected End/ 2 – Black Waves of Styx/ 3 – War of the Mortals
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Sunday, August 7, 2011
Psycho Scream - "Psycho Scream" (2011)
Questa recensione è un'altra collaborazione (dopo quella dei Legacy) con l'ottima webzine di Chiodo Metallico chiamata Suoni Distorti. Solo che lì dev'essere ancora pubblicata, visto che il suo blog riaprirà i battenti il 30 Agosto causa ferie.
Demo autoprodotto (13 Febbraio 2011)
Formazione (2010): Ivan, voce;
Pato, chitarra ritmica;
Claudio, chitarra solista;
Pato, basso;
Bob, batteria.
Provenienza: Reggio Emilia, Emilia Romagna
Canzone migliore del demo:
senz’ombra di dubbio la bellissima “Skyfire”, brano che lascia presagire delle strade piuttosto interessanti per il gruppo.
Punto di forza del disco:
la capacità del quintetto di coniugare la fredda e soffocata struttura con delle melodie che toccano le giuste corde dell’animo senza forzare assolutamente niente. Insomma, i nostri sono già maturi per il grande salto dell’album.
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La voce. Quella voce. Difficile definire tale un suono effettato in maniera così estraniante da risultare inumano. Per non dire monotono e inespressivo, soprattutto se lo si rapporta con la musica, emotiva ma allo stesso tempo quasi fredda (a parte che mi chiedo come si possa riprodurre dal vivo un effetto simile…). Fra l’altro, la scelta del tipo di voce utilizzato, una specie di grugnito, si pone controcorrente rispetto alle tipiche urla del death metal melodico svedese.
Sì, gli Psycho Scream (checché ne dica il gruppo, il thrash o non c’è o si sente in maniera decisamente marginale) suonano all’incirca questo genere, ma lo fanno sia proponendo un sacco di caratteristica disperazione, sia picchiando spesso in maniera addirittura esagerata, magari con dei blast – beats assurdamente veloci da rasentare le capacità di una batteria elettronica (ed invece… si senta a tal proposito il pezzo omonimo). Eppure, contrariamente ai Cold Aenima e nonostante quel buon pacco di sana cattiveria, i nostri non si scordano quella raffinatezza ed eleganza tanto care al loro genere di appartenenza, anche se ciò si riflette per la maggiore nelle chitarre, vuoi con assoli quasi classicheggianti ma alla velocità della luce (“Song of Madness”), vuoi con partiture dalle melodie toccanti e dalla rara efficacia. (“Skyfire”).
L’utilizzo della chitarra solista fra l’altro non è nemmeno infrequente, e l’assolo effettivamente ha una certa importanza per gli Psycho Scream. Infatti, se in “Song of Madness” a dir la verità non si può parlare esattamente di assolo visto che dopo un po’ entrambe la solista viene doppiata dalla compagna, nel resto delle canzoni si assiste in maniera tradizionale al trionfo di simili momenti, in particolar modo per quanto riguarda “Skyfire” dove non vi è soltanto un assolo bello lungo e ben congegnato ma le due asce ad un certo punto si scambiano persino l’altare della scena, quasi come se si stesse trattando di un gruppo heavy metal.
Il lato però sicuramente più interessante della proposta è rappresentato dalla struttura – tipo dei pezzi. Infatti, come scritto all’inizio della rece, il gruppo sa essere freddo grazie alla struttura fortemente sequenziale, e quindi estremamente vincolata, che presenta in ogni canzone, con il batterista che contribuisce a quest’atmosfera tramite uno stile per così dire essenziale e statico, senza reali variazioni ad una stessa battuta (insomma, un po’ come nei calabresi Land of Hate). Le sequenze non sono nemmeno così corte (vanno dalle 3 alle 4 soluzioni per brano) e presentano più libertà di manovra solo in “Psycho Scream” e in “Song of Madness”, rispettivamente aggiungendo e togliendo un passaggio. Poi c’è la parte centrale, che spiana la strada all’assolo, ed infine il ciclo ritorna, o meglio viene spogliato, spesso in maniera piacevolmente imprevedibile.
E’ incredibile infatti constatare come ogni pezzo finisca con una soluzione sempre differente di quell’unica sequenza. Nell’ordine, “Psycho Scream” si conclude con la quarta, “Song of Madness” (impreziosita lungo la parte centrale da una chitarra acustica suggestiva) con la prima, “Ten Thousand Nightmares” (che si avvale di qualche riff incredibilmente delicato) con la seconda e “Skyfire”, anche se con un po’ di fantasia, con la terza soluzione modificata (che poi sarebbe la quarta parte dello schema). Peccato quindi che il cerchio non si sia concluso in maniera veramente completa, anche se comunque questo è un aspetto abbastanza speculativo del demo.
Decisamente meno speculativo è il discorso inerente la parte centrale, abbastanza meccanica e prevedibile, che porta immancabilmente al trionfo della chitarra solista. Certo, questa viene espressa in maniere differenti ma il concetto rimane sostanzialmente lo stesso.
Infine, c’è da parlare della produzione la quale, a parte l’effetto discutibile innestato sulla voce, risulta molto buona, dalle frequenze medio – alte, con la sporcizia che regna sovrana in modo molto similare all’album “The Gates of Pleasure” degli In thy Dreams”. Peccato però che il basso sia stato messo in secondo piano, ma è altrettanto vero che questa è una caratteristica a dir poco fisiologica in questo tipo di death metal.
Voto: 77
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Psycho Scream/ 2 – Song of Madness/ 3 – Ten Thousand Nightmares/ 4 – Skyfire
FaceBook:
http://www.facebook.com/psychoscreammetal
MySpace:
http://www.myspace.com/pscream
Demo autoprodotto (13 Febbraio 2011)
Formazione (2010): Ivan, voce;
Pato, chitarra ritmica;
Claudio, chitarra solista;
Pato, basso;
Bob, batteria.
Provenienza: Reggio Emilia, Emilia Romagna
Canzone migliore del demo:
senz’ombra di dubbio la bellissima “Skyfire”, brano che lascia presagire delle strade piuttosto interessanti per il gruppo.
Punto di forza del disco:
la capacità del quintetto di coniugare la fredda e soffocata struttura con delle melodie che toccano le giuste corde dell’animo senza forzare assolutamente niente. Insomma, i nostri sono già maturi per il grande salto dell’album.
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La voce. Quella voce. Difficile definire tale un suono effettato in maniera così estraniante da risultare inumano. Per non dire monotono e inespressivo, soprattutto se lo si rapporta con la musica, emotiva ma allo stesso tempo quasi fredda (a parte che mi chiedo come si possa riprodurre dal vivo un effetto simile…). Fra l’altro, la scelta del tipo di voce utilizzato, una specie di grugnito, si pone controcorrente rispetto alle tipiche urla del death metal melodico svedese.
Sì, gli Psycho Scream (checché ne dica il gruppo, il thrash o non c’è o si sente in maniera decisamente marginale) suonano all’incirca questo genere, ma lo fanno sia proponendo un sacco di caratteristica disperazione, sia picchiando spesso in maniera addirittura esagerata, magari con dei blast – beats assurdamente veloci da rasentare le capacità di una batteria elettronica (ed invece… si senta a tal proposito il pezzo omonimo). Eppure, contrariamente ai Cold Aenima e nonostante quel buon pacco di sana cattiveria, i nostri non si scordano quella raffinatezza ed eleganza tanto care al loro genere di appartenenza, anche se ciò si riflette per la maggiore nelle chitarre, vuoi con assoli quasi classicheggianti ma alla velocità della luce (“Song of Madness”), vuoi con partiture dalle melodie toccanti e dalla rara efficacia. (“Skyfire”).
L’utilizzo della chitarra solista fra l’altro non è nemmeno infrequente, e l’assolo effettivamente ha una certa importanza per gli Psycho Scream. Infatti, se in “Song of Madness” a dir la verità non si può parlare esattamente di assolo visto che dopo un po’ entrambe la solista viene doppiata dalla compagna, nel resto delle canzoni si assiste in maniera tradizionale al trionfo di simili momenti, in particolar modo per quanto riguarda “Skyfire” dove non vi è soltanto un assolo bello lungo e ben congegnato ma le due asce ad un certo punto si scambiano persino l’altare della scena, quasi come se si stesse trattando di un gruppo heavy metal.
Il lato però sicuramente più interessante della proposta è rappresentato dalla struttura – tipo dei pezzi. Infatti, come scritto all’inizio della rece, il gruppo sa essere freddo grazie alla struttura fortemente sequenziale, e quindi estremamente vincolata, che presenta in ogni canzone, con il batterista che contribuisce a quest’atmosfera tramite uno stile per così dire essenziale e statico, senza reali variazioni ad una stessa battuta (insomma, un po’ come nei calabresi Land of Hate). Le sequenze non sono nemmeno così corte (vanno dalle 3 alle 4 soluzioni per brano) e presentano più libertà di manovra solo in “Psycho Scream” e in “Song of Madness”, rispettivamente aggiungendo e togliendo un passaggio. Poi c’è la parte centrale, che spiana la strada all’assolo, ed infine il ciclo ritorna, o meglio viene spogliato, spesso in maniera piacevolmente imprevedibile.
E’ incredibile infatti constatare come ogni pezzo finisca con una soluzione sempre differente di quell’unica sequenza. Nell’ordine, “Psycho Scream” si conclude con la quarta, “Song of Madness” (impreziosita lungo la parte centrale da una chitarra acustica suggestiva) con la prima, “Ten Thousand Nightmares” (che si avvale di qualche riff incredibilmente delicato) con la seconda e “Skyfire”, anche se con un po’ di fantasia, con la terza soluzione modificata (che poi sarebbe la quarta parte dello schema). Peccato quindi che il cerchio non si sia concluso in maniera veramente completa, anche se comunque questo è un aspetto abbastanza speculativo del demo.
Decisamente meno speculativo è il discorso inerente la parte centrale, abbastanza meccanica e prevedibile, che porta immancabilmente al trionfo della chitarra solista. Certo, questa viene espressa in maniere differenti ma il concetto rimane sostanzialmente lo stesso.
Infine, c’è da parlare della produzione la quale, a parte l’effetto discutibile innestato sulla voce, risulta molto buona, dalle frequenze medio – alte, con la sporcizia che regna sovrana in modo molto similare all’album “The Gates of Pleasure” degli In thy Dreams”. Peccato però che il basso sia stato messo in secondo piano, ma è altrettanto vero che questa è una caratteristica a dir poco fisiologica in questo tipo di death metal.
Voto: 77
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Psycho Scream/ 2 – Song of Madness/ 3 – Ten Thousand Nightmares/ 4 – Skyfire
FaceBook:
http://www.facebook.com/psychoscreammetal
MySpace:
http://www.myspace.com/pscream
Friday, August 5, 2011
Satanika - "Atomic Curse", "Brain Damage", "Mutilator" (tutti del 2010)
Ep.
ATOMIC CURSE (Funeral Records, 10 Luglio 2010)
BRAIN DAMAGE (Funeral Records, 1 Ottobre 2010)
MUTILATOR (Funeral Records, 2 Ottobre 2010)
Formazione (2009): tra breve
Provenienza: Roma, Lazio
Canzone migliore:
“Mother of the Sepulchres”, e presto saprete perchè.
Punto di forza:
Non è che ci sia molta scelta, ragion per cui avrei la preferenza per la voce, l’unico aspetto realmente convincente di tutto il lavoro anche perché è autrice di linee vocali a volte persino malate.
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Nota:
oggi faccio una cosa diversa dal solito. Ossia cercherò di accorpare 3 lavori in una sola recensione come se stessi parlando effettivamente di un album, visto e considerato che comunque stilisticamente lo stile da ep a ep non è che cambi poi così molto. E poi anche perchè non vorrei rischiare di dire le stesse cose in tante recensioni quanti sono i dischi.
Quante volte abbiamo letto di un gruppo bollato come un clone? Ma che colpa ha se esso risulta incapace a sparare qualche trovata più inedita del solito? E come la mettiamo se vuole semplicemente tributare omaggio alle formazioni di un passato che ama? “Che almeno non pubblichi musica trita e ritrita!”, risponderebbero i noiosi fondamentalisti dell’innovazione a oltranza. In fin dei conti ci sono mille creature eccentriche che li aspettano là fuori, quindi perché lamentarsi? Eppure siamo realmente sicuri che i cloni esistano veramente? Poniamo infatti il caso di due formazioni apparentemente identiche. Ma appena ci si “distrae” dall’aspetto superficiale della faccenda, l’orecchio attento comincia a notare qualcosa di diverso fra le due. Nella costruzione dei pezzi. Oppure (e di conseguenza) in specialmodo nello stesso impatto e quindi nella capacità di emozionare. Non scordiamoci infatti che il “clone” di cui ci apprestiamo a parlare adesso è un gruppo vecchia scuola venuto “fuori tempo massimo”, ergo con una propria sensibilità comunque ben differente dalla fonte ispiratrice, oltre ovviamente al fatto che i due gruppi sono formati sempre ovviamente da persone diverse. Inoltre, per quanto ci si ostini a ripetere della genuinità del metal “antico”, non sempre questa genuinità risulta efficace.
E’ questo il caso (scusate la mia relativa brutalità) dei Satanika, e dico peccato anche perché vengono dalla mia città, e Timpani allo Spiedo era veramente da tanto che non ospitava sulle sue stesse pagine una formazione romana. E mi dispiace per un altro motivo, ossia per l’incrollabile convinzione che i nostri mettono su quello che fanno tanto da aver pubblicato nello stesso anno ben 3 ep ed un disco di cover (quest’anno fra l’altro hanno fatto il grande salto dell’album!). Però se un gruppo passa il proprio materiale a un critico, questo deve avere il dovere di dire la sua nel modo più sincero possibile, soprattutto per il bene dei diretti interessati. Adesso vediamo perché a Sua Pallosità non garbano i Satanika.
Prima di tutto, bisogna dire che, come facilmente intuibile dalle copertine, stiamo parlando di una creatura musicale che informa il suo credo su un thrash metal semplice, spesso veloce senza però essere violentissimo (considerazione questa che viene “aiutata” anche da certe caratteristiche “involontarie”) e che possiede al suo interno una certa cupezza quasi esclusivamente portata dalla voce (un bell’urlo rauco pesantemente riverberato), la quale si dimostra fin da subito come l’unico elemento costantemente black metal cui fa cenno un po’ erroneamente Metal – Archives. Sì, perché se ci si fa caso, i momenti veramente black, così isolati e per nulla integrati con la componente thrash metal da essere praticamente rari ovvero quasi irrilevanti, sono presenti soltanto in “Mother of the Sepulchres” e in “March of the Undead” con tanto di blast – beats incorporati (che qui e là fanno capolino, ma non aspettatevi qualcosa di nemmeno paragonabile ai francesi Imperial che invece li usano spesso). Di fatto solo “Unholy Storm of Chaos and Destruction” può essere considerato come un pezzo black/thrash che ha per di più un azzeccato putridume rock’n’roll purtroppo non sfruttato debitamente nel resto delle canzoni. Infine, c’è il fattore chiamiamolo “estraneo” del death metal, che occupa tutto il riffing di “In the Name of God” (imbottita guardacaso da qualche minaccioso grugnito) e alcune parti di “Not Dead Yet” (curioso come la canzone finale di ogni ep si allontani dal thrash di base del gruppo), ed effettivamente mi sto chiedendo perché la prima canzone citata sia per atmosfera così diversa dalle altre. Allo stesso tempo è un peccato non aver sviluppato quest’interessante caratteristica.
L’aspetto comunque decisamente più discutibile dell’esperienza è rappresentato dalla batteria elettronica, che nel thrash metal non ha mai trovato, tranne in rari casi (i primi Imperial ne sono un esempio), un vero successo. Infatti, la batteria è stata programmata in maniera così essenziale da aver dimenticato spesso di enfatizzare il riffing che impone un ben diverso lavoro da quello attuale, statico e alle volte troppo disarmonico (“Mutilator”) com’è. La sua è una prestazione meccanica e semplicistica, anche perché presenta delle variazioni (spesso uguali a sé stesse) soltanto per chiudere le varie soluzioni musicali. Per di più, traspare un po’ di indecisione nella stessa scelta dei suoni per la batteria, che addirittura in “Mother of the Sepulchres” assume toni più sporchi, e soprattutto più vivi visto che se non erro è l’unico pezzo in cui vi è dietro un batterista in carne ed ossa (guardacaso l’assalto è più dinamico del solito, ed infatti funziona meglio).
Quando prima ho scritto “thrash metal semplice” non mi riferivo soltanto alla classica linearità del riffing e alla drum ridotta all’osso, ma anche ad un lavoro di chitarra solista poco emotivo e d’effetto, e dico purtroppo perché essa poteva riuscire a giustificare almeno un po’ tutte le “mancanze” prese in esame.
Infatti, la chitarra solista, a dispetto di altri gruppi simili qui recensiti come i Lamiera, i Violent Assault oppure i Game Over, viene utilizzata in pochi pezzi, vuoi spesso per assoli piuttosto brevi, vuoi per completare il lavoro della ritmica pur non riuscendo sempre a “segnare” veramente (come in “Atomic Curse” per esempio, dove i Satanika focalizzano lungamente il finale su un solo passaggio praticamente immobile nonostante una specie di assolo – riff oserei dire sensuale che però dopo un po’ non dice nulla d’interessante essendo statico). In altri casi invece (“The Arms of Death”), l’assolo non è soltanto lungo ma anche di notevole efficacia, peccato però per la prolissità del brano, cristallizzato senza fantasia sulle stesse soluzioni, soprattutto per il finale che fra l’altro viene contrassegnato dalla “scomparsa” della voce.
La struttura è paradossalmente un elemento interessante, più che altro perché i Satanika fanno spesso uso di una sequenza rigida di passaggi per nulla breve. Ma è un tipo di sequenza alle volte non troppo ragionata perché la strada più frequente è quella di ripetere le stesse cose in maniera un po’ monotona e con le sorprese praticamente contate sulle dita di una mano. Ne consegue un impatto emotivo che non è dei più felici, e peccato perché la legione thrash metal di Timpani non si è mai fatta pregare sotto questo aspetto.
Insomma, ragazzi, mi aspettavo qualcosa di meglio. In ogni caso, consiglio ai lettori di dare un degno sguardo uditivo a questi diavoli, vuoi perché è sempre meglio farsi da sé un’idea, vuoi perché il risultato dovrebbe essere a questo punto migliore nell’album, che si vanta di un vero batterista in pianta stabile. Quello che è sicuro è che un voto basso non è la fine del mondo…
Voto: 53
Claustrofobia
Scalette:
ATOMIC CURSE:
1 – Atomic Curse/ 2 – Mother of the Sepulchres/ 3 – March of the Undead/ 4 – In the Name of God
BRAIN DAMAGE:
1 – Brain Damage/ 2 – The Arms of Death/ 3 – You Are the Victim/ 4 – Unholy Storm of Chaos and Destruction
MUTILATOR: 1 – Mutilator/ 2 – Hidden in the Deep/ 3 – Not Dead Yet
MySpace:
http://www.myspace.com/truesatanika
Sito ufficiale:
http://www.satanikathrash.webs.com/
ATOMIC CURSE (Funeral Records, 10 Luglio 2010)
BRAIN DAMAGE (Funeral Records, 1 Ottobre 2010)
MUTILATOR (Funeral Records, 2 Ottobre 2010)
Formazione (2009): tra breve
Provenienza: Roma, Lazio
Canzone migliore:
“Mother of the Sepulchres”, e presto saprete perchè.
Punto di forza:
Non è che ci sia molta scelta, ragion per cui avrei la preferenza per la voce, l’unico aspetto realmente convincente di tutto il lavoro anche perché è autrice di linee vocali a volte persino malate.
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Nota:
oggi faccio una cosa diversa dal solito. Ossia cercherò di accorpare 3 lavori in una sola recensione come se stessi parlando effettivamente di un album, visto e considerato che comunque stilisticamente lo stile da ep a ep non è che cambi poi così molto. E poi anche perchè non vorrei rischiare di dire le stesse cose in tante recensioni quanti sono i dischi.
Quante volte abbiamo letto di un gruppo bollato come un clone? Ma che colpa ha se esso risulta incapace a sparare qualche trovata più inedita del solito? E come la mettiamo se vuole semplicemente tributare omaggio alle formazioni di un passato che ama? “Che almeno non pubblichi musica trita e ritrita!”, risponderebbero i noiosi fondamentalisti dell’innovazione a oltranza. In fin dei conti ci sono mille creature eccentriche che li aspettano là fuori, quindi perché lamentarsi? Eppure siamo realmente sicuri che i cloni esistano veramente? Poniamo infatti il caso di due formazioni apparentemente identiche. Ma appena ci si “distrae” dall’aspetto superficiale della faccenda, l’orecchio attento comincia a notare qualcosa di diverso fra le due. Nella costruzione dei pezzi. Oppure (e di conseguenza) in specialmodo nello stesso impatto e quindi nella capacità di emozionare. Non scordiamoci infatti che il “clone” di cui ci apprestiamo a parlare adesso è un gruppo vecchia scuola venuto “fuori tempo massimo”, ergo con una propria sensibilità comunque ben differente dalla fonte ispiratrice, oltre ovviamente al fatto che i due gruppi sono formati sempre ovviamente da persone diverse. Inoltre, per quanto ci si ostini a ripetere della genuinità del metal “antico”, non sempre questa genuinità risulta efficace.
E’ questo il caso (scusate la mia relativa brutalità) dei Satanika, e dico peccato anche perché vengono dalla mia città, e Timpani allo Spiedo era veramente da tanto che non ospitava sulle sue stesse pagine una formazione romana. E mi dispiace per un altro motivo, ossia per l’incrollabile convinzione che i nostri mettono su quello che fanno tanto da aver pubblicato nello stesso anno ben 3 ep ed un disco di cover (quest’anno fra l’altro hanno fatto il grande salto dell’album!). Però se un gruppo passa il proprio materiale a un critico, questo deve avere il dovere di dire la sua nel modo più sincero possibile, soprattutto per il bene dei diretti interessati. Adesso vediamo perché a Sua Pallosità non garbano i Satanika.
Prima di tutto, bisogna dire che, come facilmente intuibile dalle copertine, stiamo parlando di una creatura musicale che informa il suo credo su un thrash metal semplice, spesso veloce senza però essere violentissimo (considerazione questa che viene “aiutata” anche da certe caratteristiche “involontarie”) e che possiede al suo interno una certa cupezza quasi esclusivamente portata dalla voce (un bell’urlo rauco pesantemente riverberato), la quale si dimostra fin da subito come l’unico elemento costantemente black metal cui fa cenno un po’ erroneamente Metal – Archives. Sì, perché se ci si fa caso, i momenti veramente black, così isolati e per nulla integrati con la componente thrash metal da essere praticamente rari ovvero quasi irrilevanti, sono presenti soltanto in “Mother of the Sepulchres” e in “March of the Undead” con tanto di blast – beats incorporati (che qui e là fanno capolino, ma non aspettatevi qualcosa di nemmeno paragonabile ai francesi Imperial che invece li usano spesso). Di fatto solo “Unholy Storm of Chaos and Destruction” può essere considerato come un pezzo black/thrash che ha per di più un azzeccato putridume rock’n’roll purtroppo non sfruttato debitamente nel resto delle canzoni. Infine, c’è il fattore chiamiamolo “estraneo” del death metal, che occupa tutto il riffing di “In the Name of God” (imbottita guardacaso da qualche minaccioso grugnito) e alcune parti di “Not Dead Yet” (curioso come la canzone finale di ogni ep si allontani dal thrash di base del gruppo), ed effettivamente mi sto chiedendo perché la prima canzone citata sia per atmosfera così diversa dalle altre. Allo stesso tempo è un peccato non aver sviluppato quest’interessante caratteristica.
L’aspetto comunque decisamente più discutibile dell’esperienza è rappresentato dalla batteria elettronica, che nel thrash metal non ha mai trovato, tranne in rari casi (i primi Imperial ne sono un esempio), un vero successo. Infatti, la batteria è stata programmata in maniera così essenziale da aver dimenticato spesso di enfatizzare il riffing che impone un ben diverso lavoro da quello attuale, statico e alle volte troppo disarmonico (“Mutilator”) com’è. La sua è una prestazione meccanica e semplicistica, anche perché presenta delle variazioni (spesso uguali a sé stesse) soltanto per chiudere le varie soluzioni musicali. Per di più, traspare un po’ di indecisione nella stessa scelta dei suoni per la batteria, che addirittura in “Mother of the Sepulchres” assume toni più sporchi, e soprattutto più vivi visto che se non erro è l’unico pezzo in cui vi è dietro un batterista in carne ed ossa (guardacaso l’assalto è più dinamico del solito, ed infatti funziona meglio).
Quando prima ho scritto “thrash metal semplice” non mi riferivo soltanto alla classica linearità del riffing e alla drum ridotta all’osso, ma anche ad un lavoro di chitarra solista poco emotivo e d’effetto, e dico purtroppo perché essa poteva riuscire a giustificare almeno un po’ tutte le “mancanze” prese in esame.
Infatti, la chitarra solista, a dispetto di altri gruppi simili qui recensiti come i Lamiera, i Violent Assault oppure i Game Over, viene utilizzata in pochi pezzi, vuoi spesso per assoli piuttosto brevi, vuoi per completare il lavoro della ritmica pur non riuscendo sempre a “segnare” veramente (come in “Atomic Curse” per esempio, dove i Satanika focalizzano lungamente il finale su un solo passaggio praticamente immobile nonostante una specie di assolo – riff oserei dire sensuale che però dopo un po’ non dice nulla d’interessante essendo statico). In altri casi invece (“The Arms of Death”), l’assolo non è soltanto lungo ma anche di notevole efficacia, peccato però per la prolissità del brano, cristallizzato senza fantasia sulle stesse soluzioni, soprattutto per il finale che fra l’altro viene contrassegnato dalla “scomparsa” della voce.
La struttura è paradossalmente un elemento interessante, più che altro perché i Satanika fanno spesso uso di una sequenza rigida di passaggi per nulla breve. Ma è un tipo di sequenza alle volte non troppo ragionata perché la strada più frequente è quella di ripetere le stesse cose in maniera un po’ monotona e con le sorprese praticamente contate sulle dita di una mano. Ne consegue un impatto emotivo che non è dei più felici, e peccato perché la legione thrash metal di Timpani non si è mai fatta pregare sotto questo aspetto.
Insomma, ragazzi, mi aspettavo qualcosa di meglio. In ogni caso, consiglio ai lettori di dare un degno sguardo uditivo a questi diavoli, vuoi perché è sempre meglio farsi da sé un’idea, vuoi perché il risultato dovrebbe essere a questo punto migliore nell’album, che si vanta di un vero batterista in pianta stabile. Quello che è sicuro è che un voto basso non è la fine del mondo…
Voto: 53
Claustrofobia
Scalette:
ATOMIC CURSE:
1 – Atomic Curse/ 2 – Mother of the Sepulchres/ 3 – March of the Undead/ 4 – In the Name of God
BRAIN DAMAGE:
1 – Brain Damage/ 2 – The Arms of Death/ 3 – You Are the Victim/ 4 – Unholy Storm of Chaos and Destruction
MUTILATOR: 1 – Mutilator/ 2 – Hidden in the Deep/ 3 – Not Dead Yet
MySpace:
http://www.myspace.com/truesatanika
Sito ufficiale:
http://www.satanikathrash.webs.com/
Wednesday, August 3, 2011
Obscure Devotion - "Son of a Dayless Night" (1999)
Album (Elegy Records, 20 Agosto 1999)
Formazione (1996): Kobalt Black Sky, voce, basso;
Alessandra Abruzzese, voce (“My Crystal Land”);
Cabal Dark Moon, chitarre, voce aggiuntiva;
Walter Basile, batteria, tastiere (occasionali).
Provenienza: Potenza, Basilicata
Canzone migliore dell’album:
sicuramente “My Crystal Land”, suggestiva, melodica eppure selvaggia come poche.
Punto di forza del disco:
il fatto che gli Obscure Devotion riescano sempre a far emozionare come non mai l’ascoltatore. Merito soprattutto della semplice chitarra solista?
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Curiosità:
la copertina è opera di Ken Kelly, pittore statunitense in fissa con il fantasy. Gli Obscure Devotion hanno optato per quest’illustrazione di Conan il Barbaro datata 1972 e denominata “The Eve of Legend”.
Semplicemente immenso. Dopo circa 6 – 7 anni aver comprato “Son of a Dayless Night” nel mio ormai famoso negozio di fiducia sottocasa, Star Music, devo ancora trovare un disco di metal estremo che mi sappia emozionare come questo. Forse ci sono riusciti i sardi Cold Empire di “From the Ashes of the Empire”, ma per costruzione, inventiva, tecnica e potenza fisico – emotiva gli Obscure Devotion datati 1997 s’inventarono qualcosa che solo il black metal può fare e dare, e quindi non è nemmeno un eufemismo definirli come una delle massime espressioni italiane (e non) della distruzione di (quasi) tutti i luoghi comuni che affliggono inutilmente da anni questo genere. Sì, perché, nonostante l’immagine e i testi ultra – convenzionali, il gruppo è riuscito ad esprimere un’eleganza ed una raffinatezza che non pesano mai negativamente sull’ascoltatore (come al contrario farebbero i pur magnifici Dawn) così da trasportarlo in un’atmosfera suggestiva e oserei dire di impronta naturalistica, ossia ricca anche di quiete che fa ben preparare quelli che spesso non sono veri e propri assalti all’arma bianca ma celebrazioni quasi di specie romantica di una natura irrazionale eppur saggia. Una celebrazione tale che quasi si riflette in certi errori di ortografia (tipo un inguardabile “trhone”) e nei minutaggi talvolta sballati dei pezzi (per esempio la ballata omonima – ricca di chitarre acustiche e di tastiere evocative - dura realmente 56 secondi?) che corredano una grafica essenziale ma forse costruita un po’ troppo frettolosamente.
La prima parola d’ordine dell’album è sicuramente la melodia, a dir poco fondamentale. E’ una melodia spesso magniloquente ma quasi mai veramente malvagia e che rimanda non poche volte ad un’atmosfera tempestosa ed invernale di rara efficacia nella quale i blast – beats picchiano notevolmente pur essendo in perfetto equilibrio con i tempi più lenti. La melodia fra l’altro è così presente da permettere l’esistenza di un brano letteralmente commovente sviluppato in maniera egregia assumendo a tratti toni da ballata, e contando anche sul supporto di una bellissima voce femminile (“My Crystal Land”).
Un’aura mistica ed estatica guardacaso sembra pervadere tutto il disco anche se si prende in esame il comparto vocale, uno dei più sorprendenti che io abbia mai sentito. Prima di tutto, c’è un coordinamento delle due voci che riesce ad enfatizzare in maniera ottima l’intera frenesia di tutto l’insieme, e quindi gli interventi di Cabal Dark Moon, pur essendo abbastanza frequenti, non sono mai invasivi. Inoltre, la voce viene utilizzata in modo dinamico ed imprevedibile, ergo per nulla statico, passando così disinvoltamente da urla così gracchianti ed inquietanti da essere quasi acute a grugniti talvolta di stampo narrativo. Eppure, come elemento “estraneo” non vi è soltanto il delicato cantato femminile ma anche delle voci maschili pulitissime ed intonatissime, molto ben impostate e dai toni leggeri (quindi non aspettatevi voci imponenti).
Ma in questo album vi è praticamente di tutto, perfino una strumentale (“Secret and Tales of a Blackened Sky”) che parte ipnotica e minacciosa, denotando quindi un coraggio ed una capacità d’osare abbastanza rare nel campo del black metal, che non fa esattamente della dinamicità una virtù.
E fortuna che lo è per gli Obscure Devotion, i quali la fanno diventare un elemento perfettamente funzionale oltreché per nulla limitativo. Infatti, tutti gli strumenti hanno più o meno un ruolo melodico, democratizzando quindi il discorso in modo da farlo diventare più tempestoso e indomabile. In questo senso, assume una particolare importanza il basso, che oltre ad essere stato bilanciato benissimo con gli altri strumenti, spesso interviene per completare il lavoro di chitarra rivendicando così una propria autonomia.
A questa, chiamiamola così, sovrabbondanza di suoni, concorre la chitarra solista, la quale possiede un tono meravigliosamente caldo e fra l’altro è autrice di melodie toccanti che dicono sempre qualcosa di nuovo rispetto alla ritmica. A dire il vero, solo nel lungo intervento di “My Crystal Land” esegue un (semplice e bellissimo) assolo, perché per il resto si tratta di un vero e proprio riff sovrainciso a quello principale.
Ma ovviamente la musica non sarebbe niente se non fosse aiutata da una struttura sì dinamica ma accessibile e logica. L’unica pecca in tal senso risiede nella strumentale, nella quale ad un certo punto si fa vivo un momento emotivamente molto forte che però risulta troppo brusco in quanto precede una soluzione che è il suo contrario. Per il resto, bisogna dire che i nostri hanno avuto un bel coraggio a proporre una simile struttura, anche perché i pezzi sono così abbastanza lunghi da raggiungere e superare di poco per ben 2 volte i 7 minuti (“Subjugation of the Cursed Kingdom” e “My Crystal Land”), gestendo però tutto questo tempo in maniera decisamente matura.
Un altro punto discutibile è forse il finale, rappresentato da “Forever I’ll Lie Alone”, del disco, nel quale si ripete per la prima volta all’infinito una stessa soluzione. Se da una parte una tale scelta è pienamente giustificabile visto che così si accentua il valore eterno della solitudine profusa nel testo, dall’altra parte non ci si è preoccupati di enfatizzare emotivamente questa condizione, che in tipica tradizione black metal ha una valenza positiva e mistica.
Infine, c’è la produzione, una delle migliori in campo black metal. Ogni strumento ha il suo spazio nonostante la sporcizia generale, che fa risaltare meravigliosamente la vivacità selvaggia della musica. In tal senso, è da menzionare specialmente il suono della batteria, così “vivo” da sembrare vicinissimo.
Voto: 96
Claustrofobia
Scaletta:
1 – The Fifth Season/ 2 – Ancient Witchcraft/ 3 – Night Throne/ 4 – Snowfall Serenades/ 5 – Subjugation of the Cursed Kingdom/ 6 – Son of a Dayless Night/ 7 – My Crystal Land/ 8 – Secrets and Tales of a Blackened Sky/ 9 – Forever I’ll Lie Alone
MySpace:
www.myspace.com/obscuredevotion
Sito ufficiale:
www.obscuredevotion.altervista.org/
Formazione (1996): Kobalt Black Sky, voce, basso;
Alessandra Abruzzese, voce (“My Crystal Land”);
Cabal Dark Moon, chitarre, voce aggiuntiva;
Walter Basile, batteria, tastiere (occasionali).
Provenienza: Potenza, Basilicata
Canzone migliore dell’album:
sicuramente “My Crystal Land”, suggestiva, melodica eppure selvaggia come poche.
Punto di forza del disco:
il fatto che gli Obscure Devotion riescano sempre a far emozionare come non mai l’ascoltatore. Merito soprattutto della semplice chitarra solista?
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Curiosità:
la copertina è opera di Ken Kelly, pittore statunitense in fissa con il fantasy. Gli Obscure Devotion hanno optato per quest’illustrazione di Conan il Barbaro datata 1972 e denominata “The Eve of Legend”.
Semplicemente immenso. Dopo circa 6 – 7 anni aver comprato “Son of a Dayless Night” nel mio ormai famoso negozio di fiducia sottocasa, Star Music, devo ancora trovare un disco di metal estremo che mi sappia emozionare come questo. Forse ci sono riusciti i sardi Cold Empire di “From the Ashes of the Empire”, ma per costruzione, inventiva, tecnica e potenza fisico – emotiva gli Obscure Devotion datati 1997 s’inventarono qualcosa che solo il black metal può fare e dare, e quindi non è nemmeno un eufemismo definirli come una delle massime espressioni italiane (e non) della distruzione di (quasi) tutti i luoghi comuni che affliggono inutilmente da anni questo genere. Sì, perché, nonostante l’immagine e i testi ultra – convenzionali, il gruppo è riuscito ad esprimere un’eleganza ed una raffinatezza che non pesano mai negativamente sull’ascoltatore (come al contrario farebbero i pur magnifici Dawn) così da trasportarlo in un’atmosfera suggestiva e oserei dire di impronta naturalistica, ossia ricca anche di quiete che fa ben preparare quelli che spesso non sono veri e propri assalti all’arma bianca ma celebrazioni quasi di specie romantica di una natura irrazionale eppur saggia. Una celebrazione tale che quasi si riflette in certi errori di ortografia (tipo un inguardabile “trhone”) e nei minutaggi talvolta sballati dei pezzi (per esempio la ballata omonima – ricca di chitarre acustiche e di tastiere evocative - dura realmente 56 secondi?) che corredano una grafica essenziale ma forse costruita un po’ troppo frettolosamente.
La prima parola d’ordine dell’album è sicuramente la melodia, a dir poco fondamentale. E’ una melodia spesso magniloquente ma quasi mai veramente malvagia e che rimanda non poche volte ad un’atmosfera tempestosa ed invernale di rara efficacia nella quale i blast – beats picchiano notevolmente pur essendo in perfetto equilibrio con i tempi più lenti. La melodia fra l’altro è così presente da permettere l’esistenza di un brano letteralmente commovente sviluppato in maniera egregia assumendo a tratti toni da ballata, e contando anche sul supporto di una bellissima voce femminile (“My Crystal Land”).
Un’aura mistica ed estatica guardacaso sembra pervadere tutto il disco anche se si prende in esame il comparto vocale, uno dei più sorprendenti che io abbia mai sentito. Prima di tutto, c’è un coordinamento delle due voci che riesce ad enfatizzare in maniera ottima l’intera frenesia di tutto l’insieme, e quindi gli interventi di Cabal Dark Moon, pur essendo abbastanza frequenti, non sono mai invasivi. Inoltre, la voce viene utilizzata in modo dinamico ed imprevedibile, ergo per nulla statico, passando così disinvoltamente da urla così gracchianti ed inquietanti da essere quasi acute a grugniti talvolta di stampo narrativo. Eppure, come elemento “estraneo” non vi è soltanto il delicato cantato femminile ma anche delle voci maschili pulitissime ed intonatissime, molto ben impostate e dai toni leggeri (quindi non aspettatevi voci imponenti).
Ma in questo album vi è praticamente di tutto, perfino una strumentale (“Secret and Tales of a Blackened Sky”) che parte ipnotica e minacciosa, denotando quindi un coraggio ed una capacità d’osare abbastanza rare nel campo del black metal, che non fa esattamente della dinamicità una virtù.
E fortuna che lo è per gli Obscure Devotion, i quali la fanno diventare un elemento perfettamente funzionale oltreché per nulla limitativo. Infatti, tutti gli strumenti hanno più o meno un ruolo melodico, democratizzando quindi il discorso in modo da farlo diventare più tempestoso e indomabile. In questo senso, assume una particolare importanza il basso, che oltre ad essere stato bilanciato benissimo con gli altri strumenti, spesso interviene per completare il lavoro di chitarra rivendicando così una propria autonomia.
A questa, chiamiamola così, sovrabbondanza di suoni, concorre la chitarra solista, la quale possiede un tono meravigliosamente caldo e fra l’altro è autrice di melodie toccanti che dicono sempre qualcosa di nuovo rispetto alla ritmica. A dire il vero, solo nel lungo intervento di “My Crystal Land” esegue un (semplice e bellissimo) assolo, perché per il resto si tratta di un vero e proprio riff sovrainciso a quello principale.
Ma ovviamente la musica non sarebbe niente se non fosse aiutata da una struttura sì dinamica ma accessibile e logica. L’unica pecca in tal senso risiede nella strumentale, nella quale ad un certo punto si fa vivo un momento emotivamente molto forte che però risulta troppo brusco in quanto precede una soluzione che è il suo contrario. Per il resto, bisogna dire che i nostri hanno avuto un bel coraggio a proporre una simile struttura, anche perché i pezzi sono così abbastanza lunghi da raggiungere e superare di poco per ben 2 volte i 7 minuti (“Subjugation of the Cursed Kingdom” e “My Crystal Land”), gestendo però tutto questo tempo in maniera decisamente matura.
Un altro punto discutibile è forse il finale, rappresentato da “Forever I’ll Lie Alone”, del disco, nel quale si ripete per la prima volta all’infinito una stessa soluzione. Se da una parte una tale scelta è pienamente giustificabile visto che così si accentua il valore eterno della solitudine profusa nel testo, dall’altra parte non ci si è preoccupati di enfatizzare emotivamente questa condizione, che in tipica tradizione black metal ha una valenza positiva e mistica.
Infine, c’è la produzione, una delle migliori in campo black metal. Ogni strumento ha il suo spazio nonostante la sporcizia generale, che fa risaltare meravigliosamente la vivacità selvaggia della musica. In tal senso, è da menzionare specialmente il suono della batteria, così “vivo” da sembrare vicinissimo.
Voto: 96
Claustrofobia
Scaletta:
1 – The Fifth Season/ 2 – Ancient Witchcraft/ 3 – Night Throne/ 4 – Snowfall Serenades/ 5 – Subjugation of the Cursed Kingdom/ 6 – Son of a Dayless Night/ 7 – My Crystal Land/ 8 – Secrets and Tales of a Blackened Sky/ 9 – Forever I’ll Lie Alone
MySpace:
www.myspace.com/obscuredevotion
Sito ufficiale:
www.obscuredevotion.altervista.org/
Monday, August 1, 2011
Intervista ai Rejekts!
Altra intervista in tempo reale! Risponde Black, voce dei Rejekts.
La prima domanda è d'obbligo:
considerando che non suonate per niente un grindcore di lega purissima, da quali membri del gruppo provengono tutte le influenze che sono in bella mostra nel vostro disco?
Black: Allora cominciamo a dire che siamo un gruppo composto da persone estremamente diverse tra loro sia per attitudine musicale sia per carattere. Per quanto riguarda i gusti musicali:
il chitarrista Dave è appassionato di hardcore old school, grunge e death metal new school;
il chitarrista Joe è appassionato di progressive e death metal sullo svedese andante;
il bassista Pacho sul thrash;
io e il batterista Pio stiamo sul grind e sul black metal.
Siccome il processo di scrittura dei pezzi coinvolge tutti, cosa alla quale tengo particolarmente a scapito del tempo richiesto, il risultato è un mosaico di molteplici influenze.
Quindi è di Joe l'assolo dell'ultima canzone?
Esattamente.
In futuro credete di sviluppare maggiormente quest'interessante tendenza personale a mischiare furia cieca con un po' di tecnica che non guasta mai?
In generale sì, i tecnicismi non andranno diminuendo senza però prevaricare gli altri elementi.
Il prodotto finale è sempre dato dall'unione dei nostri gusti personali e la tendenza verso la tecnica piuttosto che verso la furia non è deciso a priori ma emerge durante la composizione di ogni canzone e ogni canzone può essere considerata un episodio a sè stante che nell'insieme va a comporre il nostro stile.
Infatti il vostro disco mostra notevole fantasia nel differenziare i vari pezzi. In genere quale è il brano che dal vivo piace di più?
Un evergreen è l'odio che hai dentro, e quindi forse "Odio" piace di più perchè è uno dei pezzi più antichi (ai tempi ero un giovane 14enne) e facili da ricordare. Ma "Asettico", pezzo più recente non presente nel demo, fa sempre la sua porca figura. In particolare di "Odio" si possono dire tante cose ad esempio che è stata scritta da me per un mio vecchio gruppo, che è stata riarrangiata mille volte e che rappresenza la rabbia in maniera molto pura e limpida come quella di un ragazzino arrabbiato, e quindi probabilmente piace e prende proprio per questa ragione. A mio parere il bello di quel pezzo è la sua onestà.
Un altro pezzo che prende molto e che ci divertiamo sempre a suonare è "Nessuno".
Divertire... strana parola se riferita alla vostra musica. O meglio, da un lato riuscite a sperimentare come se la musica fosse un vero e proprio gioco, dall'altro trasmettete un bel monolite d'odio. I testi sono lì per confermarlo...
Beh, intanto grazie, visto che tutti i nostri testi sono opera mia e sono contento che riescano ad evocare qualcosa. Sul discorso gioco devo ammettere che ovviamente il lato ludico della faccenda esiste ed è una delle cose più belle che abbiamo, essendo noi tutti amici e facendo una cosa che ci diverte moltissimo e ci fa sentire davvero felici. In tutto questo cerchiamo di buttare dentro al progetto tutta la bile che riusciamo ad accumulare liberandocene ed esprimendo noi stessi come persone.
L'aspetto tragicomico è comunque evidente anche dal demo a tratti penso
Verissimo. Per quanto riguarda la copertina perchè il disegnatore ha "trattato" male quelle specie di figure umane?
Cominciamo a dire che il disegnatore della copertina del nostro demo è Pio, il nostro batterista, questo ti fa capire anche quanto sia home made tutta la realizzazione del lavoro. Le figure rappresentano uomini e donne senza volto, senza caratteri sessuali evidenti, in bianco e nero che però si erigono come se non fossero consce della loro condizione di essere nulla. Cosa meglio di questo poteva descrivere meglio il concetto di nessuno?
Quindi ciò si ricollega benissimo alla tragicomicità da te menzionata....
Sicuramente sì.
Il carattere in bianco e nero della copertina in effetti da cosa è stato determinato?
Volevamo creare in chi la vedesse un senso di stasi e di immobilità e pensavo che usare per la maggior parte il bianco esaltasse questo senso di vuoto e su questo eravamo tutti daccordo.
E poi una copertina di un disco grindcore bianca forse l'avevano usata solo i Deprogrammazione con il loro "Non Esiste" (album che fra l'altro recensii io stesso nel 5° numero di Timpani allo Spiedo... Nda Claustrofobia) prima di noi.
(mi ricordo, c'ero anch'io)
E' sempre bello tradire le aspettative di chi si ritrova in mano un tuo lavoro ahahahaha! Anche se però abbiamo notato a posteriori questo particolare.
Ritornando a bomba al fattore gioco, perchè utilizzate con particolare frequenza gli spezzoni dei film? Cioè, che dovrebbero donare all'intera musica e di conseguenza all'ascoltatore?
Beh intanto c'è da dire che siamo quasi tutti dei divoratori di pellicole di ogni sorta non indifferenti. Il citazionismo è una cosa che ci ha sempre stuzzicato, il tutto è nato rileggendo i testi che avevo scritto ed il fatto che mi rievocassero immagini di film era molto divertente. Quindi abbiamo pensato "perchè non supportare il nostro pensiero con la musica e anche con il cinema" ed è nato tutto questo gioco all'ultima citazione per dare più forza al tutto e forse anche per divertire noi e l'ascoltatore.
…fra cui con l'esilarante citazione di tropic thunder! E' possibile però trovare fra il personaggio di Tom Cruise ed i vostri testi un legame da rintracciare specialmente nella misantropia più spinta (beh, più o meno...)?
In realtà il pezzo è stato preso per la sua volgarità.
Vado a spiegare il testo di "Soliloquio" che recita:
"come vomitare parole sull'ombra di ciò che eravate sapendo di non ottenere risposta".
Il tono del testo era venuto fuori decisamente aulico e la volgarità è stata scelta diciamo per ricordare che si tratta di un discorso sostituibile tranquillamente con un sano e diretto vaffanculo.
Insomma, per la serie "mai parlare a vanvera"?
Nel senso che spesso parlare con gli altri è equivalente al parlare con sè stessi perchè in ogni caso l'unico che ti ascolta sei tu.
Quasi un testo sull'incomunicabilità allora?
Assolutamente.
Dai vostri testi però traspare anche molta misantropia. E' un sentimento che nel gruppo riguarda solo te o anche gli altri, magari in maniera diversa dalla tua?
Sicuramente la misantropia è un sentimento che esiste all'interno di tutti noi in un modo o nell'altro.... e sicuramente ognuno la vive a modo suo quindi ognuno di noi risponderebbe in modo diverso a questa domanda. Io ti dirò che non mi compiaccio di questo sentimento come la gran parte dei gruppi in questo genere tende a fare, anzi è una cosa che mi riempie di tristezza e mi mette a disagio. Il fatto di vivere l'incomunicabilità, il vedere tanta gente che rifiuta di essere se stessa nel nome del niente e il fatto che io non mi sono mai sentito parte di un tutto sotto molteplici punti di vista.
Quindi il tuo non è esattamente un odio vero e proprio?
Direi più un risentimento che affinatosi nel tempo è diventato odio danneggiando anche me.
Beh, almeno la musica tempera questo danno...
La musica è fantastica proprio per questo visto che trasforma cose oscure e dannose in qualciosa di bello che per quanto tetro sia è possibile comunque goderne. E' affascinante proprio questo trasformare qualcosa di negativo in qualcosa che in fin dei conti mi sembra positivo.
Giustissimo!
Felice che possa essere un discorso condivisibile.
Una curiosità: perchè avete un nome in inglese nonostante cantiate in italiano?
Il nome è venuto in mente a me e al batterista quando avevamo 16 anni: è una cosa abbastanza infantile.... penso sia rimasto per sottolineare un concetto di naturalezza e spontaneità, un po' come fanno i bambini. E poi vabbè il concetto di reietti pone un bel punto interrogativo su chi siano realmente i reietti.
Nel caso specifico siete voi 5 o sono gli "altri" (bella 'sta parola!)?
Eh boh questo non lo abbiamo ancora capito.
Wow!
Sicuramente c'è una voglia di staccarsi da quello che è il "resto" ma non saprei dirti esattamente il marcio dove stia.
E' probabile anche che il marcio sia in sè stessi. Rimando a tal proposito alla tua sofferta e "involontaria" misantropia per esempio, che è quasi un condizionamento di chi ti circonda per strada.
Direi che è un collegamento che calza a pennello. La stessa ispirazione per i testi spesso mi viene semplicemente affacciandomi al balcone e questo la dice lunga.
Direi che basta respirare lo smog per portare avanti riflessioni simili alle tue...
Basta respirare e basta direi.
La spontaneità da te citata si riflette anche nella, chiamiamola così, innocenza della madrelingua?
Credo di si, visto che i testi non sono affatto pensati o premeditati ma un flusso di coscienza libero, e questa è una cosa che in inglese non potrei fare. Poi l'italiano si presta a mille giochi di parole e a mille paragoni che con l'inglese puoi solo sognarti. Inoltre secondo me l'italiano è una lingua più incazzosa (ahahaha!), basta pensare a tutte le volgarità che si possono sfornare nella nostra bella lingua
D'accordissimo. Ma allora come spieghi il fatto che nella cultura punk-hc l'italiano venga così preso in considerazione mentre nel metal, con cui simpatizzate, ce n'è veramente poca traccia?
Probabilmente per un fattore di internazionalità. Invece mi fa abbastanza piacere che un ascoltatore straniero per capire quello che dico debba tradursi i testi dall'italiano.
Onestamente però non ho mai capito perchè nel metal si canta prevalentemente in inglese.... forse perchè spesso e volentieri i messaggi passano in secondo piano e si opta per una lingua semplicemente più assimilabile.
...e guardacaso spesso negli articoli ci si inventa una presunta difficoltà nel legare le metriche metalliche alla nostra lingua. Una difficoltà che di fatto non esiste per niente...
Io non ho mai trovato questa difficoltà neanche scrivendo liberamente quello che mi viene in mente senza badare alla metrica. Spesso e volentieri neanche modifico il testo per renderlo in metrica anche perché così perderebbe di spontaneità... no?
Ultima domandona: cosa avete in programma?
Eh bella domanda..... cosa abbiamo in programma.... direi di continuare su questa strada perchè ci sta dando davvero moltissimo e quindi va bene così. Poi speriamo di uscire con un album il prima possibile e di continuare con le date dal vivo. Per il resto mi auguro solo di continuare a fare ciò che mi piace e penso se lo augurino pure gli altri miei compagni di viaggio anche perchè di pezzi inediti ne abbiamo già 7 quindi tra non molto arriverà qualcosa.
Penso che ci sarà un'orgia quando uscirà il vostro album, dopo tutti 'sti dischi "improbabili". Dato che siamo in tema, in che senso è inascoltabile il vostro primo lavoro (fortuna che doveva essere l'ultima domanda)?
Tranquillo... è inascoltabile proprio nel vero senso della parola:
venne registrato in una sala prove con un registratore portatile da dei sedicenni che non sapevano suonare e avevano voglia di far casino. Anche se in fin dei conti quel demo è lentissimo in confronto a quello che facciamo ora.
Grind solo per attitudine?
Ma nemmeno ahahahaha!
Ah comunque io una copia di quell'aborto ce l'ho ancora!
Mitico! E quanto costerebbe per gli incalliti collezionisti dell'assurdo?
Ma te lo regalo, anzi, potrei pagarti io per sorbirtelo.
Ci sono le vecchie versioni di due pezzi che trovi anche su "Nessuno" più due cover.
Di quali gruppi?
Cripple Bastards e Pioggia Nera (degli inquietanti Nerorgasmo. Nda Claustrofobia).
Eviterò commenti su questa pagina tragica della nostra storia.
Beh, i Nerorgasmo di tragedia ne capivano molto!
Infatti ultimamente dal vivo stiamo facendo una loro cover.
(Qua Black ha cominciato a fare tutto lui senza avergli chiesto di mandare un messaggio finale! E pensare che volevo finire l'intervista con la sua ultima frase sui Nerorgasmo, molto d'effetto ed implicitamente buia. Nda Claustrofobia)
...e in più un grande saluto ai Male Misandria che oltre a essere nostri amici sono anche uno dei nostri gruppi preferiti xD
Ai Male lo dovevo xD
Dopo quel famoso concerto annullato mi pare un dovere.
Esatto.
La prima domanda è d'obbligo:
considerando che non suonate per niente un grindcore di lega purissima, da quali membri del gruppo provengono tutte le influenze che sono in bella mostra nel vostro disco?
Black: Allora cominciamo a dire che siamo un gruppo composto da persone estremamente diverse tra loro sia per attitudine musicale sia per carattere. Per quanto riguarda i gusti musicali:
il chitarrista Dave è appassionato di hardcore old school, grunge e death metal new school;
il chitarrista Joe è appassionato di progressive e death metal sullo svedese andante;
il bassista Pacho sul thrash;
io e il batterista Pio stiamo sul grind e sul black metal.
Siccome il processo di scrittura dei pezzi coinvolge tutti, cosa alla quale tengo particolarmente a scapito del tempo richiesto, il risultato è un mosaico di molteplici influenze.
Quindi è di Joe l'assolo dell'ultima canzone?
Esattamente.
In futuro credete di sviluppare maggiormente quest'interessante tendenza personale a mischiare furia cieca con un po' di tecnica che non guasta mai?
In generale sì, i tecnicismi non andranno diminuendo senza però prevaricare gli altri elementi.
Il prodotto finale è sempre dato dall'unione dei nostri gusti personali e la tendenza verso la tecnica piuttosto che verso la furia non è deciso a priori ma emerge durante la composizione di ogni canzone e ogni canzone può essere considerata un episodio a sè stante che nell'insieme va a comporre il nostro stile.
Infatti il vostro disco mostra notevole fantasia nel differenziare i vari pezzi. In genere quale è il brano che dal vivo piace di più?
Un evergreen è l'odio che hai dentro, e quindi forse "Odio" piace di più perchè è uno dei pezzi più antichi (ai tempi ero un giovane 14enne) e facili da ricordare. Ma "Asettico", pezzo più recente non presente nel demo, fa sempre la sua porca figura. In particolare di "Odio" si possono dire tante cose ad esempio che è stata scritta da me per un mio vecchio gruppo, che è stata riarrangiata mille volte e che rappresenza la rabbia in maniera molto pura e limpida come quella di un ragazzino arrabbiato, e quindi probabilmente piace e prende proprio per questa ragione. A mio parere il bello di quel pezzo è la sua onestà.
Un altro pezzo che prende molto e che ci divertiamo sempre a suonare è "Nessuno".
Divertire... strana parola se riferita alla vostra musica. O meglio, da un lato riuscite a sperimentare come se la musica fosse un vero e proprio gioco, dall'altro trasmettete un bel monolite d'odio. I testi sono lì per confermarlo...
Beh, intanto grazie, visto che tutti i nostri testi sono opera mia e sono contento che riescano ad evocare qualcosa. Sul discorso gioco devo ammettere che ovviamente il lato ludico della faccenda esiste ed è una delle cose più belle che abbiamo, essendo noi tutti amici e facendo una cosa che ci diverte moltissimo e ci fa sentire davvero felici. In tutto questo cerchiamo di buttare dentro al progetto tutta la bile che riusciamo ad accumulare liberandocene ed esprimendo noi stessi come persone.
L'aspetto tragicomico è comunque evidente anche dal demo a tratti penso
Verissimo. Per quanto riguarda la copertina perchè il disegnatore ha "trattato" male quelle specie di figure umane?
Cominciamo a dire che il disegnatore della copertina del nostro demo è Pio, il nostro batterista, questo ti fa capire anche quanto sia home made tutta la realizzazione del lavoro. Le figure rappresentano uomini e donne senza volto, senza caratteri sessuali evidenti, in bianco e nero che però si erigono come se non fossero consce della loro condizione di essere nulla. Cosa meglio di questo poteva descrivere meglio il concetto di nessuno?
Quindi ciò si ricollega benissimo alla tragicomicità da te menzionata....
Sicuramente sì.
Il carattere in bianco e nero della copertina in effetti da cosa è stato determinato?
Volevamo creare in chi la vedesse un senso di stasi e di immobilità e pensavo che usare per la maggior parte il bianco esaltasse questo senso di vuoto e su questo eravamo tutti daccordo.
E poi una copertina di un disco grindcore bianca forse l'avevano usata solo i Deprogrammazione con il loro "Non Esiste" (album che fra l'altro recensii io stesso nel 5° numero di Timpani allo Spiedo... Nda Claustrofobia) prima di noi.
(mi ricordo, c'ero anch'io)
E' sempre bello tradire le aspettative di chi si ritrova in mano un tuo lavoro ahahahaha! Anche se però abbiamo notato a posteriori questo particolare.
Ritornando a bomba al fattore gioco, perchè utilizzate con particolare frequenza gli spezzoni dei film? Cioè, che dovrebbero donare all'intera musica e di conseguenza all'ascoltatore?
Beh intanto c'è da dire che siamo quasi tutti dei divoratori di pellicole di ogni sorta non indifferenti. Il citazionismo è una cosa che ci ha sempre stuzzicato, il tutto è nato rileggendo i testi che avevo scritto ed il fatto che mi rievocassero immagini di film era molto divertente. Quindi abbiamo pensato "perchè non supportare il nostro pensiero con la musica e anche con il cinema" ed è nato tutto questo gioco all'ultima citazione per dare più forza al tutto e forse anche per divertire noi e l'ascoltatore.
…fra cui con l'esilarante citazione di tropic thunder! E' possibile però trovare fra il personaggio di Tom Cruise ed i vostri testi un legame da rintracciare specialmente nella misantropia più spinta (beh, più o meno...)?
In realtà il pezzo è stato preso per la sua volgarità.
Vado a spiegare il testo di "Soliloquio" che recita:
"come vomitare parole sull'ombra di ciò che eravate sapendo di non ottenere risposta".
Il tono del testo era venuto fuori decisamente aulico e la volgarità è stata scelta diciamo per ricordare che si tratta di un discorso sostituibile tranquillamente con un sano e diretto vaffanculo.
Insomma, per la serie "mai parlare a vanvera"?
Nel senso che spesso parlare con gli altri è equivalente al parlare con sè stessi perchè in ogni caso l'unico che ti ascolta sei tu.
Quasi un testo sull'incomunicabilità allora?
Assolutamente.
Dai vostri testi però traspare anche molta misantropia. E' un sentimento che nel gruppo riguarda solo te o anche gli altri, magari in maniera diversa dalla tua?
Sicuramente la misantropia è un sentimento che esiste all'interno di tutti noi in un modo o nell'altro.... e sicuramente ognuno la vive a modo suo quindi ognuno di noi risponderebbe in modo diverso a questa domanda. Io ti dirò che non mi compiaccio di questo sentimento come la gran parte dei gruppi in questo genere tende a fare, anzi è una cosa che mi riempie di tristezza e mi mette a disagio. Il fatto di vivere l'incomunicabilità, il vedere tanta gente che rifiuta di essere se stessa nel nome del niente e il fatto che io non mi sono mai sentito parte di un tutto sotto molteplici punti di vista.
Quindi il tuo non è esattamente un odio vero e proprio?
Direi più un risentimento che affinatosi nel tempo è diventato odio danneggiando anche me.
Beh, almeno la musica tempera questo danno...
La musica è fantastica proprio per questo visto che trasforma cose oscure e dannose in qualciosa di bello che per quanto tetro sia è possibile comunque goderne. E' affascinante proprio questo trasformare qualcosa di negativo in qualcosa che in fin dei conti mi sembra positivo.
Giustissimo!
Felice che possa essere un discorso condivisibile.
Una curiosità: perchè avete un nome in inglese nonostante cantiate in italiano?
Il nome è venuto in mente a me e al batterista quando avevamo 16 anni: è una cosa abbastanza infantile.... penso sia rimasto per sottolineare un concetto di naturalezza e spontaneità, un po' come fanno i bambini. E poi vabbè il concetto di reietti pone un bel punto interrogativo su chi siano realmente i reietti.
Nel caso specifico siete voi 5 o sono gli "altri" (bella 'sta parola!)?
Eh boh questo non lo abbiamo ancora capito.
Wow!
Sicuramente c'è una voglia di staccarsi da quello che è il "resto" ma non saprei dirti esattamente il marcio dove stia.
E' probabile anche che il marcio sia in sè stessi. Rimando a tal proposito alla tua sofferta e "involontaria" misantropia per esempio, che è quasi un condizionamento di chi ti circonda per strada.
Direi che è un collegamento che calza a pennello. La stessa ispirazione per i testi spesso mi viene semplicemente affacciandomi al balcone e questo la dice lunga.
Direi che basta respirare lo smog per portare avanti riflessioni simili alle tue...
Basta respirare e basta direi.
La spontaneità da te citata si riflette anche nella, chiamiamola così, innocenza della madrelingua?
Credo di si, visto che i testi non sono affatto pensati o premeditati ma un flusso di coscienza libero, e questa è una cosa che in inglese non potrei fare. Poi l'italiano si presta a mille giochi di parole e a mille paragoni che con l'inglese puoi solo sognarti. Inoltre secondo me l'italiano è una lingua più incazzosa (ahahaha!), basta pensare a tutte le volgarità che si possono sfornare nella nostra bella lingua
D'accordissimo. Ma allora come spieghi il fatto che nella cultura punk-hc l'italiano venga così preso in considerazione mentre nel metal, con cui simpatizzate, ce n'è veramente poca traccia?
Probabilmente per un fattore di internazionalità. Invece mi fa abbastanza piacere che un ascoltatore straniero per capire quello che dico debba tradursi i testi dall'italiano.
Onestamente però non ho mai capito perchè nel metal si canta prevalentemente in inglese.... forse perchè spesso e volentieri i messaggi passano in secondo piano e si opta per una lingua semplicemente più assimilabile.
...e guardacaso spesso negli articoli ci si inventa una presunta difficoltà nel legare le metriche metalliche alla nostra lingua. Una difficoltà che di fatto non esiste per niente...
Io non ho mai trovato questa difficoltà neanche scrivendo liberamente quello che mi viene in mente senza badare alla metrica. Spesso e volentieri neanche modifico il testo per renderlo in metrica anche perché così perderebbe di spontaneità... no?
Ultima domandona: cosa avete in programma?
Eh bella domanda..... cosa abbiamo in programma.... direi di continuare su questa strada perchè ci sta dando davvero moltissimo e quindi va bene così. Poi speriamo di uscire con un album il prima possibile e di continuare con le date dal vivo. Per il resto mi auguro solo di continuare a fare ciò che mi piace e penso se lo augurino pure gli altri miei compagni di viaggio anche perchè di pezzi inediti ne abbiamo già 7 quindi tra non molto arriverà qualcosa.
Penso che ci sarà un'orgia quando uscirà il vostro album, dopo tutti 'sti dischi "improbabili". Dato che siamo in tema, in che senso è inascoltabile il vostro primo lavoro (fortuna che doveva essere l'ultima domanda)?
Tranquillo... è inascoltabile proprio nel vero senso della parola:
venne registrato in una sala prove con un registratore portatile da dei sedicenni che non sapevano suonare e avevano voglia di far casino. Anche se in fin dei conti quel demo è lentissimo in confronto a quello che facciamo ora.
Grind solo per attitudine?
Ma nemmeno ahahahaha!
Ah comunque io una copia di quell'aborto ce l'ho ancora!
Mitico! E quanto costerebbe per gli incalliti collezionisti dell'assurdo?
Ma te lo regalo, anzi, potrei pagarti io per sorbirtelo.
Ci sono le vecchie versioni di due pezzi che trovi anche su "Nessuno" più due cover.
Di quali gruppi?
Cripple Bastards e Pioggia Nera (degli inquietanti Nerorgasmo. Nda Claustrofobia).
Eviterò commenti su questa pagina tragica della nostra storia.
Beh, i Nerorgasmo di tragedia ne capivano molto!
Infatti ultimamente dal vivo stiamo facendo una loro cover.
(Qua Black ha cominciato a fare tutto lui senza avergli chiesto di mandare un messaggio finale! E pensare che volevo finire l'intervista con la sua ultima frase sui Nerorgasmo, molto d'effetto ed implicitamente buia. Nda Claustrofobia)
...e in più un grande saluto ai Male Misandria che oltre a essere nostri amici sono anche uno dei nostri gruppi preferiti xD
Ai Male lo dovevo xD
Dopo quel famoso concerto annullato mi pare un dovere.
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