lunedì 6 febbraio 2012

Vibratacore - "Good Morning Pain" (2011)

Ep (Audiozero Records, 11 Aprile 2011)

Formazione (2002):
Andrea, voce;
Fango, chitarre;
Lorenzo, basso;
Marco, batteria.

Ospiti:

Teg (dei miei conterranei Beyond Murder), voce in "Faithless";
Paolo di Rocco in "Good Morning Pain".

Provenienza: Teramo/Val Vibrata, Abruzzo.

Canzone migliore del disco:
senz’ombra di dubbio la stessa “Good Morning Pain”, e per sapere perché leggete la recensione.

Punto di forza dell’opera:
il riffing, così nervoso da far paura.




E con questa recensione finisco (beh, più o meno) praticamente il catalogo, per ora poverissimo (ma interessante), della Audiozero Records, casa indipendente nella quale figura fra gli altri AldoHC dei Mud, gruppo che rispetto al primo presenta sicuramente più personalità, anche se questo non significa necessariamente avere più qualità. “E perché Claustrofobi’?”. Non andiamo di fretta, signore e signori, che come disse un bel giorno quello sconosciuto fossile “chi va piano va sano e va lontano”!

Prima di tutto, i Vibratacore non suonano musica per così dire “normale”, pur avendo le proprie fasi del punk/HC. Ma lo stuprano a dovere rendendolo riconoscibile solo in alcuni (comunque non così rari) momenti, con il batterista che di conseguenza procede con tupa – tupa non eccessivamente sostenuti.

Dal punk/HC discendono non soltanto tali passaggi ma anche la tendenza a non offrire neanche un misero assolo, tutt’al più un leggero accento di chitarra solista così da dare manforte alla ritmica, riuscendoci efficacemente.

Però dal genere di base non proviene la grande tecnica che i nostri si ritrovano, cosa che permette loro di seguire partiture ritmiche più complesse ed un lavoro di chitarra più sghembo, che poi costituisce il lato più interessante della proposta. Sì perché spesso il riffing è psicotico, spara dissonanze da mettere i brividi sulla schiena, pur non dimenticando una velocità d’esecuzione volentieri elevata. Eppure, in mezzo a tutte queste trovate delirante che ricordano più da vicino il mathcore, viene dato qualche spazio alla melodia, alle volte così sofferente e tremendamente evocativa (quasi di impronta black) da commuovere (ascoltatevi la bellissima parte finale di "Good Morning Pain").

La cosiddetta tracklist è infatti l’episodio che più colpisce, anche per dei passaggi acustici dalla rara atmosfera, facendo così riposare le orecchie da una violenza spesso estrema, risaltando allo stesso tempo un basso dalle linee superlative. Ma anche perché è uno dei pezzi del lotto dalla struttura più libera e selvaggia, con la quale i Vibratacore sembrano essere più a proprio agio anche perché così facendo possono esprimere tutta la propria emotività.

Emotività che quasi contrasta con le freddissime urla di Andrea, cantante che rimanda spesso e volentieri allo stile altrettanto agghiacciante di Jens Kidman dei Meshuggah. E la freddezza risulta spaventosamente doppiata attraverso l’utilizzo piuttosto frequente delle sovraincisioni, cosa irriproducibile dal vivo se non con l’aiuto di qualche altro membro del gruppo. Ma è anche vero che viene usata talvolta la voce pulita (mai però in maniera melodica, beninteso), “umanizzando” così un discorso quasi indicibile.
Altrettanto “umanizzanti” (ma in modo purtroppo negativo) sono le mancanze che colpiscono la maggiorparte dei pezzi dispari, ossia “Doomsday” e “Confident Liar”. E ciò perché il primo mostra il lato decisamente meno istintivo ma anche meno approfondito, non riuscendo quindi a far sufficientemente del “male” all’ascoltatore; mentre l’altro pezzo ha una parte finale molto insistita e poco convincente, ragion per cui penso che sarebbe stato meglio per esempio offrire, dopo un po’, delle variazioni al livello del riffing.

Insomma, “Good Morning Pain” non è un disco così riuscito ma in compenso il gruppo presenta delle potenzialità molto interessanti. Ad esempio, la melodia, non sempre utilizzata. Nonostante ciò, è da consigliare per chi cerca "roba" coraggiosa e che va oltre i canoni precostituiti che tanto conosciamo.

Voto: 73

Claustrofobia

Scaletta:

1 – Doomsday/ 2 – Faithless/ 3 – Confident Liar/ 4 – Good Morning Pain/ 5 – Ciuwetta

MySpace:
http://www.myspace.com/vibratacore

MySpace Audiozero:
http://www.myspace.com/audiozerorecords

giovedì 2 febbraio 2012

"Slaughtergrave/Warpeace Split" (2011)

Split (Deathforce Records, 2011)
SLAUGHTERGRAVE.
Formazione (2002): Pavel, voce;
Kostas, chitarra;
Spiros, chitarra/basso/voce;
Jim, batteria.

Provenienza: Thessaloniki/Siena, Grecia/Toscana (sì, come già detto Spiros vive in Italia).

Canzone migliore degli Slaughtergrave:
per motivi che menzionerò nel corpo della recensione, ho una netta prevalenza per “Rats in the Sewer”.

Punto di forza degli Slaughtergrave:
dico chissenefrega, e scelgo la capacità estrema di non fossilizzarsi sulle stesse soluzioni (ma anche sullo stile musicale).
Gli Slaughtergrave sono una creatura veramente indomabile perché non sai mai cosa aspettarti da un gruppo che in quasi ogni disco sembra proporre un’enciclopedia della musica estrema. Certo, così facendo gli Slaughtergrave appaiono molto indecisi sulla strada da prendere, pur essendo sempre molto immediati, ma perlomeno sperimentano in modo da mettersi sempre in discussione (e questa è una prerogativa dei grandi gruppi…. Non “grandi” in quanto più famosi, beninteso). Oddio, con questa politica qualche passo falso l’hanno fatto, ma non con questo split. E come ormai tradizione con i dischi di questi pazzi greci, vediamo nel dettaglio cosa hanno tirato fuori di delirante. Quindi:

1) il delirio parte già dal titolo del primo pezzo, ossia “The Beginning of Destruction (New York Against the Belzebu)”, che poi è una specie di intro dall’impronta grind e con una chitarra praticamente impazzita che cerca ma invano di sviluppare un assolo. Inoltre, similmente al demo “Antifa Psychedelic” si fa vivo quel grugnito bello cupo che successivamente verrà usato in maniera più grintosa. Il tutto per una quindicina di secondi…;

2) “Rats in the Sewer (Fuck Nazis)” mostra, dopo tanto patire, quel riffing death metal tanto decantato nello Space del gruppo, oltre a snocciolare quel groove contagioso in cui i nostri sono ormai maestri. Ma quello che più interessa è che tale pezzo è l’unico a raggiungere e superare di 30 secondi circa i 2 minuti, ragion per cui è strutturalmente quello più complesso, contando fra l’altro un’ottima parte finale dominata dalle variazioni di Jim ed introdotta da uno stacco di basso superlativo;

3) “Brain Downfall” è invece uno dei pezzi meno convincenti perché l’introduzione minacciosa in pieno stile death metal poteva essere approfondita, eppure si è scelto subito dopo di andare sempre e solo in blast – beats;

4) Con “Toe the Line” comincia quella che si può considerare come la parte più punk/HC degli Slaughtergrave visto che tale brano è un contagioso tempo medio grooveggiante dal sapore punk/metal. E qui si fanno vive per la prima volta delle belle urla;

5) le ibridazioni continuano con “Cliental State” (mai titolo è stato più azzeccato), pezzo praticamente speedcore con una bellissima melodia quasi epica;

6) “No to Modern Football” è assurda sia per il titolo sia per la musica. Infatti, ricorda nelle parti lente “Mo – Mo Producer” di “Antifa Psychedelic”, in più ci aggiunge una vaga e psicotica influenza (o che dir si voglia) proveniente dal reggae mentre per le accelerazioni si mantiene più sul punk/HC classico;

7) Però agli Slaughtergrave dovrebbero essere molto preoccupati per la piega che ha preso il calcio perché il prossimo pezzo si chiama “Say Again No… to Modern Football”. Si distingue molto da quello precedente non soltanto per l’esigua durata (circa 40 secondi) ma anche per la parte finale da assalto condita da grugnite ed urla impazziti;

8) E con la “cover” di Virus dei Sore Throat i nostri continuano invece la tradizione che li vede stupratori di pezzi grindcore (avete mai sentito per esempio la loro “riproposizione” di “You Suffer” dei Napalm Death?). Infatti, quello che si sente è semplice, puro rumore condito dai piatti della batteria che se ne vanno quasi “a cazzo di cane”. Notare che è l’unico pezzo strumentale degli Slaughtergrave, e comunque congratulazioni a loro perché le cover non devono essere mai identiche all’originale (almeno così penso io).

La cosa curiosa è che gli Slaughtergrave hanno (quasi) completamente abbandonato il concetto di assolo, ma perlomeno se ne sono usciti fuori con canzoni spesso intense anche se nelle ultime Jim appare stranamente un po’ ripetitivo in alcune variazioni.

Voto: 71

WARPEACE.
Formazione (2008): Andre’, voce;
Nico, chitarra;
Giorgia, basso/voce;
Andrea, batteria.

Provenienza: Tivoli/Roma, Lazio.

Canzone migliore dei Warpeace:
senz’ombra di dubbio la bellissima “Incubo di Sempre”, che poi rappresenta quasi una novità assoluta per i nostri.

Punto di forza dei Warpeace:
decisamente la versatilità del gruppo di risultare intenso e potente pur cambiando coraggiosamente le proprie direttive musicali.

Il quintetto dei Warpeace invece, dallo split con i Disabled, sono piuttosto cambiati e questo non può che essere un piacere, anche perché la produzione dei pezzi è tornata un po’ ai fasti di “Submission”, quindi risulta piuttosto sporca ma comprensibile (a parte i blast non così chiari), e di conseguenza più diretta e funzionale, (senza cioè, per esempio, le sovrainsioni di chitarra).

Infatti, sembra che i Warpeace abbiano voluto fare il gioco degli Slaughtergrave, rendendo quindi piuttosto fantasioso la propria pur riconoscibile musica, e allo stesso tempo strutturando meglio i vari episodi che ora sono inoltre più lunghi del solito, quasi per compensare la parte dei compagni greci.

Per fare un esempio lampante, “Incubo di Sempre” è addirittura inconsueta per i Warpeace. Parte infatti lenta, solo con basso/batteria, con una melodia che s’insinua disperata e maledetta nelle viscere dell’ascoltatore. E l’introduzione dura pure circa 50 secondi (!), cosa che influisce sulla durata stessa del brano, di quasi 3 minuti. Poi l’assalto comincia, però sempre in versione melodica ed epicheggiante.

Nonostante però tutta questa voglia di cambiare i nostri hanno riproposto una vecchia canzone, ossia “Brutti Porci”, che riconferma allo stesso tempo la poliedricità del gruppo, visto che è notorio il groove spaccaossa e ball abilissimo di tale canzone. Eppure, il nuovo batterista ha avuto la bella pensata di cambiare, e di molto, la parte centrale, ora sparata e assolutamente potente.

A proposito del batterista, bisogna dire che è decisamente migliorato, soprattutto perché adesso propone delle variazioni sopra le righe e totalmente imprevedibile.

Però anche qui Giorgia non è che sia molto presente nel discorso vocale, visto che il suo ottimo apporto manca in 2 pezzi su 4, purtroppo anche nella rivisitata “Brutti Porci”.

Voto: 84

Claustrofobia
Scaletta:
SLAUGHTERGRAVE:
1 – Beginning of the Destruction (New York Against the Belzebu/ 2 – Rats in the Sewer (Fuck Nazis)/ 3 – Brain Downfall/ 4 – Toe the Line/ 5- Cliental State/ 6- No to Modern Football/ 7 – Say Again No… to Modern Football/ 8 – Virus (Sore Throat cover)

WARPEACE:
9 – Mercanti di Schiavi/ 10 – Logica del Profitto/ 11 – Incubo di Sempre/ 12 – Brutti Porci!

MySpace:
SLAUGHTERGRAVE: http://www.myspace.com/slaughtergrave

WARPEACE: http://www.myspace.com/warpeacepunk

venerdì 27 gennaio 2012

"Warpeace/Disabled split" (2011)

Split autoprodotto (1 Giugno 2011)

Canzone migliore dei Warpeace:

“Lobby”, e per scoprire perché leggete la rece.

Canzone migliore dei Disabled:
“No Future”, idem.

Punto di forza dei Warpeace:
sicuramente la loro dinamicità, che permette loro di potenziare ancor di più il proprio impatto bestiale.

Punto di forza dei Disabled:
sarà una cosa ovvia ma indubbiamente il sentimento che ‘sti indonesiani mettono nella loro musica, cosa che riesce a compensare le innumerevoli note negative menzionate lungo il corpo della recensione.






Nota 1:


colgo questo spazio per pregarvi di firmare la petizione di Avaaz.org riguardante quel cazzo di ACTA, quella specie di trattato mondiale anti - contraffazione dell'UE che spinge pericolosamente verso la censura di Internet, tutto per quel cadavere marcescente del copyright:


http://www.avaaz.org/it/eu_save_the_internet/?slideshow


Nota 2:


faccio notare che nella provincia indonesiana di Banda Aceh sono stati arrestati 64 punk, "rei" di essere per l'appunto punk, i quali sono stati praticamente costretti dagli islamici a "seguire" un programma di rieducazione....


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Ragazzi, dopo aver preso al mio primo esame universitario (riguardante quel pazzo di Antonin Artaud, artista totale oltreché non poco anarchico, seppur in maniera molto sui generis) un bel 26 e durante la nostra lotta per difendere fra le altre cose il nostro Internet dagli attacchi di vari imbecilli paternalisti, sono più che ben disposto a recensire questo split spaccaossa fra due realtà appartenenti a mondi musicali (e non solo musicali) che Timpani allo Spiedo sta prendendo in considerazione solo negli ultimi mesi, anche se lo dovevo fare già da ben prima.

WARPEACE.

Formazione (2010):
Andre’, voce;
Nico, chitarre;
Giorgia, basso;
Andrea, batteria

Provenienza: Tivoli/Roma, Lazio

Infatti, i Warpeace sono un ottimo gruppo crust, che si è fatto già conoscere nella scena per il demo “Submission”, pubblicato nel 2010 e da cui hanno preso per il presente disco i pezzi “Terra” e “Progresso”, re – interpretati all’occorrenza grazie soprattutto al nuovo batterista.

Il quale non fa rimpiangere Ste' visto che lo stile del nuovo arrivato risulta bello dinamico ed efficace. Ed ovviamente i tempi veloci imperversano, soprattutto sottoforma di tupa – tupa incarogniti, alternandoli, ma con misura, con dei blast – beats sempre benvoluti. Il nostro sa sfoggiare anche ritmiche leggermente più complesse (“Lobby”), arricchendo così il proprio discorso di soluzioni un pochino più imprevedibili. Oddio, a dir la verità, certe (rarissime) raffinatezze ritmiche del predecessore (per quanto possa essere raffinato un batterista crust…) un po’ mancano, ed è per questo che “Progresso” è ora così diversa da prima.

Altra novità è rappresentata dall’utilizzo della seconda vce, opera di Giorgia, capace di sputare delle urla “scatarrate” totalmente inquietanti e che possono rimandare a quelle di Nichole dei Vivere Merda. Sarebbe stato però meglio dare più importanza a Giorgia dato che purtroppo non si fa viva in tutte le canzoni nelle quali domina il vocione di Andrea che tra l’altro spara talvolta urla praticamente impazzite (che belle descrizioni che do certe volte, nevvero?).

Del comparto vocale però mi sono piaciute molto le linee vocali, spesso tremendamente fulminee e selvagge da non far quasi capire i versi, che fra l’altro evitano in larga parte l’uso dei verbi preferendo così un approccio ai testi molto diretto e categorico.

I nostri hanno inoltre avuto la bella pensata di cambiare anche un po’ il settore chitarre. Ciò perché Nico (ossia colui che mi ha passato per mano questo split ed un altro con gli intramontabili Slaughtergrave in una loro ennesima incarnazione) ha aggiunto la chitarra “solista”, limitandola però soltanto a “Terra” e “Progresso”. “Solista” tra virgolette perché la si utilizza nella più tipica tradizione crust dato che suona più o meno le stesse cose della ritmica, ribadendo quindi il messaggio di quest’ultima (ma perché mi viene in mente quella cippa di “colpo doppio” tanto caro ad Artaud?). A ‘sto punto cosa verrebbe fuori con due asce in formazione?

Quello che è sicuro è che con l’ultimo pezzo, i Warpeace riescono a chiudere più che in bellezza la propria parte. Ciò anche perché “Lobby” mostra parti death e pure black (la parte finale introdotta da uno stacco pressoché scarnificante) che oltre ad essere tremendamente furiose sono anche inedite per il gruppo.

E, tanto per ribadire le già enormi differenze con il recente passato, fa un po’ senso sentire i Warpeace usare una produzione incredibilmente pulita e compatta, e che rende onore ad un basso (strumento importante per i nostri in fase di introduzione che negli stacchi/pause) bene in evidenza.

Voto: 82

DISABLED.
Formazione (2008): Ody, voce (di chi è però la seconda voce?);
Garhead, chitarra;
Bimojhonderat, batteria.

Provenienza: Bandung, Indonesia.

Con i Disabled invece si passa a tutt’altro genere ma anche ad un diverso livello qualitativo che non sempre soddisfa. Oddio, alla fine il risultato complessivo convince, nonostante aver letto in giro giudizi non proprio entusiasti sul lavoro di questi baldi giovanotti.

E’ anche vero che il loro punk – hardcore è decisamente ripetitivo, soprattutto a livello ritmico. La batteria è infatti totalmente incantata su un lavoro piuttosto elementare fondato per il 98% su un tupa – tupa mai e poi mai veramente sostenuto. L’unico cambio di tempo è la decelerazione finale di “Equality” mentre in “No More Life to be Sacrificed”, durante l’introduzione, si tenta qualcosa di complicato per poi subito abbandonarlo. Eppure… eppure la batteria, concepita così, funziona lo stesso visto che per esempio gli accenti sono sempre puntuali così da aiutare degnamente il lavoro dei compagni.

Solo che la struttura dei pezzi è terribilmente statica, considerando che, assenza di cambi di tempo già menzionata, i vari pezzi insistono praticamente sulle stesse soluzioni. Eppure… eppure i nostri talvolta tirano fuori quello stacchetto o quella pausa che rinforzano notevolmente tutto il discorso risvegliando quel qualcosa che sembrava mancare, soprattutto pensando che i Disabled sanno proporre brani addirittura da quasi 3 minuti, a dispetto di una staticità che comunque non giustifica una tale durata (infatti un pezzo da un minuto come “No Future” funziona a meraviglia).

La produzione fra l’altro non li aiuta certo, più che altro perché su 5 pezzi ci sono 3 differenti produzioni, quindi traspare un po’ di indecisione. E a sua volta quest’indecisione mostra altrettanti momenti storici del gruppo, visto che per esempio l’ultimo pezzo “Pray in Hell” è tratto direttamente dal demo “No More Life to Sacrificed” mentre “R.I.P.” e “No Future” sono nuovi di zecca (almeno così pare). Insomma, sarebbe stato meglio ri – registrare i vecchi brani, magari attualizzandoli secondo lo stile più recente dato che, ad ogni modo, le differenze, per quanto minime, si sentono.

Come l’utilizzo della doppia voce, un urlo spaventosamente acuto e inumano, perfettamente adatto ma purtroppo assente negli episodi nuovi. E la struttura dei pezzi è leggermente più sciolta ed esperta in questi ultimi.

Eppure… eppure tutti i difetti sopraelencati non impediscono ai Disabled di caratterizzare sufficientemente i vari episodi, almeno a livello di riffing. Infatti, per fare qualche esempio, “R.I.P.” è melodica e disperata, “No Future” è furiosa e con qualche accenno metal (e non è neanche l’unico) mentre “Pray in Hell” è ipnotica (bisogna fra l’altro dire che tale brano, registrato dal vivo, ha una “produzione” praticamente psichedelica e inquietante, e quindi amarla è un obbligo) e a tratti bella grooveggiante. Il cantante poi si adegua perfettamente alle diverse situazioni, con punte d’espressività veramente notevoli.

Ecco quindi spiegato il voto, apparentemente troppo alto rispetto alle note negative ma è anche vero che, a forza di ascoltare i gruppi “peggiori” dell’universo si impara a pescare in loro cose interessanti che i gruppi cosiddetti “professionali” se le sognano.

Voto: 70

Claustrofobia
Scaletta:
Warpeace:
1 – Nucleare/ 2 – Vivisezione/ 3 – Terra/ 4 – Progresso/ 5 – Lobby

Disabled:
6 – Equality/ 7 – No More Life to be Sacrificed/ 8 – R.I.P./ 9 – No Future/ 10 – Pray in Hell

MySpace:
Warpeace:
http://www.myspace.com/warpeacepunk

Disabled:
http://www.myspace.com/disableddbeat

lunedì 23 gennaio 2012

Mud - "Violence Against Violence" (2011)

Album (Audiozero Records, 15 Ottobre 2011)
Formazione (2004): AldoHc, voce;
Andrea, voce aggiuntiva in “Full of Hate”;
Garcon, chitarre;
Ilaria, basso;
Valerio, batteria.

Provenienza: Val Vibrata( Teramo), Abruzzo.

Canzone migliore dell’opera:
senz’ombra di dubbio “Full of Hate”, intensa come poche. Curiosamente è il primo pezzo dell’album postato dal gruppo nel proprio Space.

Punto di forza del disco:
la voce. Semplicemente distruttiva.

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Il demo “Slow Degradation” era un monolite roccioso e minaccioso di semplice metalcore amante dei tempi medio – lenti però forse un po’ troppo monolitico. Ma quando ho messo per la prima volta nello stereo il primissimo album dei Mud, sono stato subito sorpreso dalla loro nuova direzione intrapresa, sollecitata abbondantemente dai vari cambi di formazione che alla fine hanno fatto diventare il gruppo un quartetto. E devo quindi dire, fin da subito, che la qualità della proposta è decisamente molto alta.

La prima differenza importante con il passato deriva dall’uso frequente dei tempi veloci, ossia tupa – tupa mai eccessivamente sostenuti, in perfetto equilibrio con quelli più lenti. Di conseguenza, anche il riffing è cambiato visto che è divenuto un po’ più dinamico (ma sempre essenziale e classico) e spesso dal sapote thrash fino a rasentare melodie di impronta perfino speed come in “No Choice” e “Not 4 Sale” (ho notato infatti che gli ultimi pezzi presentano un rifferama più metallico). Anche se, beninteso, i Mud continuano in larga parte a rifiutare il concetto di melodia, riempiendo però questo “buco” con una notevole inventiva dal punto di vista tecnico.

Quasi immutato è l’utilizzo, seppur decisamente misurato ed essenziale, della chitarra solista, nonostante, come già scritto, l’attuale presenza di un solo chitarrista in formazione. Dico “quasi” perché, rispetto a “Slow Degradation”, la sua importanza è stata un pochino ridimensionata, rispettando così ancor di più l’approccio fondamentalmente collettivo che caratterizza i Mud, che infatti continuano a rifiutare il concetto di assolo. E’ un peccato però che tale caratteristica sia stata poco sfruttata anche perché, in ogni caso, era indice di una personalità veramente buona, e quindi consiglio ai nostri di ri - reclutare un’altra ascia.

In compenso, dal punto di vista strutturale i pezzi si sviluppano decisamente meglio, visto che essi scorrono più fluidi e soprattutto più ricchi di soluzioni nelle ripartenze per far da cerniera tra un passaggio e l’altro. E qui vengono in aiuto una batteria che specialmente in “Hostile!” riesce a enfatizzare alla grande tutto il discorso attraverso variazioni al fulmicotone (oddio, difetta un po' di poca fantasia nella risoluzione delle introduzioni ma pazienza), ed un basso la cui ottima prestazione risalta a dir la verità meglio ascoltando l’album con le cuffie.

Dati tutti questi benvoluti cambiamenti, i vari brani si differenziano finalmente molto bene l’uno dall’altro. In tal senso, valgano come esempi “Full of Hate”, episodio nel quale si trova come ospite alla voce Andrea dei Vibratacore (il cui ultimo demo “Good Morning Pain” verrà recensito su queste stesse pagine), cosa che permette un “casino” di rara intensità anche grazie ad accelerazioni feroci e improvvise; e l’emblematica “Respect the Scene”, che mostra invece il lato più rockeggiante dei Mud oltreché delle linee vocali a dir poco stupende (e qui bisogna dire che Aldo ha effettivamente un’ottima fantasia nel costruirle).

Il comparto vocale è per l’appunto l’aspetto forse migliore dell’intera proposta. Ciò anche perché il nostro è un cantante che ha una espressività bestiale sparando fra le altre cose urla grintosissime. Inoltre, rispetto a “Slow Degradation”, hanno un importante ruolo i cori, riuscendo così a supportare ancor meglio l’assalto selvaggio di Aldo. Sarebbe stato comunque interessante usare in maniera più “disordinata” le voci, un po’ sulla falsariga di “Full of Hate”. Ma forse sto andando troppo veloce, visto che in ogni caso i cambiamenti sono stati tanti.
Nell’ultimo pezzo dell’album, i Mud hanno invece voluto tributare il gruppo metalcore dei Terror, coverizzando piuttosto fedelmente “Less Than Zero” del loro disco “One with the Underdogs” del 2004, canzone questa che si allontana abbastanza dallo stile tipico dei Mud essendo non soltanto breve (dura infatti solo un minuto e 50 secondi circa) ma presentando anche un taglio a volte cupo ai limiti del death metal. A dir la verità, c’è pure una traccia – fantasma totalmente delirante, solo che per ascoltarla dovete sorbirvi, appena finita la cover, un po’ di minuti di silenzio. A voi scoprire la (bella) sorpresa!

Infine, qualche parola per le delizie cinematografiche che compongono di qua e di là l’album. Infatti, nel dettaglio:

1) l’opera comincia con una delle scene più divertenti (quella del “Tieni il resto, lurido bastardo!”) del mitico “Mamma ho perso l’aereo!”, film che al tempo divoravo come nessuno;

2) “Respect the Scene” inizia con una scena surreale de “Il grande Lebowski” dei fratelli Coen, quella di Walter che prende troppo seriamente la partita a bowling con gli amici arrivando a minacciare con la pistola Smokey, reo di aver oltrepassato la linea durante il lancio della palla;

3) “Not 4 Sale” si conclude con il leggendario “Qui la legge si ferma e comincio io….. stronzo” tratto da “Cobra” con Sylvester Stallone.

Voto: 83

Claustrofobia
Scaletta:
1 – Violence Against Violence/ 2 – Relentless/ 3 – Breakdown/ 4 – Full of Hate/ 5 – Respect the Scene/ 6 – Hostile!/ 7 – No Choice/ 8 – Stronger than Ever/ 9 – Not 4 Sale/ 10 – Less than Zero

MySpace:http://www.myspace.com/mud04

Sito ufficiale:
http://www.mudband.it/

sabato 21 gennaio 2012

Crowned in Thorns - "Plague/Oblivion" (2010)

Demo autoprodotto (3 Agosto 2010)
Formazione:
WLKN, voce;
Saahve, chitarre (sostituito poi da Herr 413, ma nel MySpace non figura…);
Alessandro, basso (andatosene dopo anche lui);
Mark, batteria.

Provenienza: Cagliari, Sardegna.

Canzone migliore del demo:
senz’ombra di dubbio la delirante “My Own Redeemer”. Per il perché leggete attentamente la recensione.

Punto di forza del gruppo:
la batteria, che nonostante i blast – beats a go – go non perde mai né il controllo né l’inventiva.

-------------------------------------------------------------------------------------------------Curiosità:
il gruppo ha reso disponibile da scaricare su MegaUpload il primo e finora unico demo. Il link lo trovate proprio sul MySpace dei Crowned in Thorns. Però mi raccomando: visto che loro sono stati corretti dando la possibilità a tutti di scaricarlo, mi sembra ovvio che nel caso vi piaccia siete moralmente obbligati a comprare direttamente il disco.

Ancora Sardegna, ancora black metal, anche se declinato stavolta, rispetto agli Hieros Gamos, in versione decisamente più tradizionalista ma allo stesso tempo pure più qualitativa. Oddio, delle sorprese belle inaspettate i Crowned in Thorns le presentano, e fra l’altro confermano ancora una volta il “trend” attuale di Timpani allo Spiedo rappresentato dai gruppi black/death metal, pur essendo stavolta lontanissimi da gruppi “ignoranti” e a là Blasphemy come i Blasphemous Noise Torment, Nocturnal Blood e Witchrist.

Ciò anche perché, rispetto a questi gruppi, i Crowned in Thorns possiedono sul serio nelle proprie vene il black metal, grazie per esempio ad un riffing non poche volte imponente e glaciale così da trasmettere tutto un altro tipo di atmosfera. Altra notevole differenza è l’assenza pressoché totale dei rumorismi offerti dagli assoli di chitarra, la quale non si concede neanche qualche sovrapposizione di riff, se non leggerissimamente. In pratica, abbiamo a che fare con una specie di black metal svedese tremendamente blasteggiante con frequenti concessioni al death metal se non, seppur vagamente, al thrash metal (come in “My Own Redeemer”).

Il death metal lo si sente però molto anche nel comparto vocale, dato che tra urla assatanate vi si trovano vari tipi di grugniti, fra cui uno cupissimo che ad ogni modo viene utilizzato soltanto come sovraincisione.

Ciò che però mi ha più impressionato è la batteria, dato che Mark presenta uno stile bello dinamico e sempre puntuali negli accenti utili ad enfatizzare tutto l’insieme. E lo fa quasi sempre tramite blast – beats sempre freschi, concedendo però qualcosina anche a magnifici tupa – tupa mai fuori luogo. Fra l’altro, un plauso va al suono molto naturale della batteria, cosa che si percepisce in particolare nei rari tempi lenti dove per esempio “l’ignoranza” del rullante predomina su tutto.

La dinamicità della batteria si riflette però anche nella musica intesa nel suo insieme. Infatti, oltre ad offrire una struttura dei pezzi per niente semplice e/o banale (per esempio, “I Deny” è fondato sulle ripartenze mentre “Generator of Dead Humans” scorre fluido come un treno in corsa), i vari episodi si sviluppano in maniera molto fantasiosa distinguendosi così notevolmente fino al gran finale di “Thornscrowned”, dalle tinte addirittura epiche e da alcuni passaggi perfino arpeggiati.

Ma in tutto il lotto si distingue specialmente il pezzo “My Own Redeemer”, che praticamente raggiunge altezze praticamente folli per un gruppo del genere visto che conta le seguenti caratteristiche:

1) la sua struttura è totalmente libera e rinforzata fra l’altro da ripartenze da capogiro;

2) vi è per la prima ed unica volta un passaggio doom nel vero senso della parola e non relegato ad essere una semplice comparsa;

3) nel lungo momento doom è presente come voce aggiuntiva un “alieno” cantato pulito freddissimo;

4) lo stesso passaggio viene chiuso splendidamente da una linea di basso inaspettata.

In parole povere, “My Own Redeemer” è una specie di esperimento che per le future produzioni del gruppo dovrebbe essere preso in seria considerazione dato che, oltre ad essere ben riuscito, offre anche spunti molto ma molto originali. Sarebbe quindi veramente un peccato non proseguire su questa strada. Il merito poi è nettamente più grande se si pensa che esso è l'unico pezzo a raggiungere e superare di una cinquantina di secondi i 4 minuti.

Per chiudere il cerchio, tocca parlare della produzione, che risulta essere piuttosto pulita e compatta, quindi molto lontana dalle tipiche produzioni che passano da queste parti. Inoltre, il gruppo gioca, anche se con la giusta misura, con l’effettistica, e da questo punto di vista ascoltatevi il finale di “Thornscrowned”.

Voto: 85

Claustrofobia
Scaletta:
1 – I Deny/ 2 – Generator of Dead Humans/ 3 – My Own Redeemer/ 4 – Thornscrowned

MySpace:
http://www.myspace.com/crownedinthorns

FaceBook:
http://www.facebook.com/pages/CROWNED-IN-THORNS/193209594089422

martedì 17 gennaio 2012

Hieros Gamos - "Bionic Era of Psychosis" (2011)

Demo autoprodotto (2011)
Formazione (2005): Marco Proietti, voce;
Roberto Moro, chitarra/basso/batteria elettronica/tastiere.
Marco Brivio, chitarra solista.

Provenienza: Ittiri/Lecco/Roma, Sardegna/Piemonte/Lazio.

Canzone migliore del demo:
sicuramente quella omonima, soprattutto perché dal punto di vista solistico è praticamente stupenda oltreché costruita molto bene strutturalmente parlando.

Punto di forza del disco:
la chitarra solista, che aggiunge tutto un altro tipo di atmosfera al progetto, riuscendo lo stesso ad essere tremendamente azzeccato.

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Molto è cambiato negli Hieros Gamos, una delle esperienze estreme più controverse ed originali degli ultimi anni, sia all’estero che in Italia. Prima di tutto, Roberto Moro ha reclutato nel suo progetto ben 3 nuove persone, comprendendo fra queste anche Bloody Hansen, altra conoscenza di Timpani allo Spiedo (visto che è la mente che sta dietro alle litanie horror di The Providence il cui ultimo disco è stato recensito su queste stesse pagine), che ha collaborato alla stesura dei testi, che devono molto a “1984” di George Orwell. Ma è anche vero che, paradossalmente, pure con tale nuova formazione si sono riproposti ancora una volta i limiti, quasi storici, di Hieros Gamos.

Limiti che sono da rintracciare ancora una volta sia nella voce che nella batteria elettronica, e ciò perché:

1) nonostante il comparto vocale sia stato passato ad un altro, esso non incide mai come invece dovrebbe essere, visto che il grugnito grosso del mio conterraneo Marco Proietti non è soltanto monotono ma anche ripetitivo nelle linee vocali, che spesso sembrano andare in disaccordo con l’intera musica (cosa questa che però non succedeva con le urla spettrali di Roberto). Ciò significa in parole povere che il nostro manca di sufficiente espressività per dare manforte ai compagni;

2) la batteria elettronica invece ha un suono purtroppo molto plastico e finto, più che altro per quanto concerne il rullante e i tom – tom, smorzando così un po’ la buona intensità presente nel comparto chitarre e nella costruzione (la quale però difetta un po’ nelle ripartenze, e ciò è una conseguenza talvolta ingigantita rispetto alle passate produzioni, delle mancanze menzionate) stessa dei pezzi. E’ anche vero che Roberto ha programmato stavolta la batteria in modo piuttosto fantasioso e molto convincente, magari sfoggiando inaspettati passaggi groovy.

Com’è inaspettato il fatto che i 4 pezzi del disco, annunciato nell’intervista a Hieros Gamos del 2° numero di Timpani, siano quasi degli inediti veri e propri, nonostante i proclami del passato, con qualche reminiscenza proveniente dal passato, specialmente per quanto riguarda “Bionic Era of Psychosis”. In pratica sono stati giustamente attualizzati secondo il diverso momento storico e secondo ovviamente i nuovi membri in formazione (di cui riconoscibilissimo è Marco Brivio). Ma quello che più incuriosisce di più è la durata spesso incredibilmente dimezzata dei vari brani, che ora vanno addirittura dai 2 (e dico 2!) ai 5 minuti, e devo dire che tale pesante razionalizzazione è stata davvero intelligente, più che altro perché si è così permesso ai nostri di racchiudere tutta l’intensità della musica in maniera, per così dire, più semplice. Se pensiamo infatti alla difficoltà estrema di digerire specialmente l’assurdo “The Sound of Doom” questo traguardo non può che essere benvoluto.

Traguardo che viene ulteriormente facilitato dagli assoli fantasiosi di Marco Brivio che naturalmente, rispetto ai suoi Bahal nei quali scarica tutta la sua verve virtuosistica, si è limitato nella durata (e nel numero) degli stessi. Com’è anche vero che non si è limitato nella costruzione di melodie che riescono a intessere un discorso ultra – emotivo da far accapponare la pelle tanto da essersi permesso di incidere ben due chitarre soliste in “Three Days to Dawn”. L’unico rammarico (molto relativo) è che non ci sono più gli assoli arabeggianti con cui Roberto si è fatto conoscere, ma perlomeno i nuovi riescono a risolvere con più facilità i pezzi.

Per il resto, la musica è rimasta quasi la stessa, ossia viene sfoggiato un discorso nervoso da infarto con un sacco di cambi di tempo, riffing tremendamente complesso che però è divenuto ancora più spaventoso per via di dissonanze spaventose non disdegnando allo stesso tempo un po’ di melodie, influenze arabe nello stesso riffing (che fra l’altro ha aggiunto qualche vago tocco thrasheggiante) e tanta, tanta, tanta pazienza nell’ascolto.

Oddio, tanta pazienza non con l’ultimo pezzo, che poi, quasi per provocazione, sarebbe la cover, semplificata anche perché più breve rispetto all’originale, di “Gut Feeling” dei magnifici Devo, ottimo gruppo che dal geniale punk sperimentale delle origini è passato ad un più convenzionale pop rock. Solo che bella l’intenzione ma la cover è troppo fedele all’originale (blast – beats – un po’ piatti – esclusi per esempio), e quindi troppo poco Hieros Gamos. Chissà insomma come sarebbe uscito se avessero rispettato anche sé stessi. Ecco perché “tanta pazienza non con l’ultimo pezzo”.

Infine, anche la produzione risulta molto diversa da quella degli altri dischi, con un suono cioè più pieno e meno cupo, e con una batteria elettronica finalmente più comprensibile.

Voto: 69

Claustrofobia

Scaletta:
1 – Your Mind Was Elsewhere/ 2 – Two Minutes of Hate/ 3 – Bionic Era of Psychosis/ 4 – Three Days to Dawn/ 5 – Gut Feeling (Devo cover)

MySpace:
www.myspace.com/hierosgamositalia

Sito ufficiale:
www.hierosgamos.sardegna@gmail.com