Una volta, durante le mie scampagnate su quel colosso di Metal-Archives ed esattamente nella lista giorno per giorno, trovai questo gruppo chiamato Bloodshed (se ci fate caso, sono tantissime le formazioni con un nome simile). Ma il bello doveva ancora arrivare, dato che in effetti, da un nomignolo di tal fatta mi aspettavo dei ragazzi tutti chiodati esponenti di un black/death quantomai violento e senza compromessi. Ed invece…appena si è nella loro scheda si vedono 6 sardi perfettamente “normali”, tra cui addirittura un tastierista, ed il problema è che c’è scritto che realmente loro suonano la musica sopraccitata, benché per me siamo da tutt’altra parte anche se comunque sempre di estremo si tratta. Quindi, passata la sorpresa, secondo me l’estetica dei Bloodshed si può spiegare contando le più differenti influenze che io personalmente ho ravvisato cammin facendo. Ma andiamo con calma.
“After Midnight”, autoprodotto nell’anno di grazia 2008, è la primissima creatura del sestetto, formatosi, tra Ozieri e Sassari, nel lontano 2005 ed attualmente costituito da Seb voce, Gabriele e Davide chitarre, Fede basso, Alberto batteria, ed Andrea nel ruolo di tastierista, ed esso, per quanto debutto ufficiale, è addirittura un album, cosa a mio avviso rischiosa per un gruppo alle prime armi dato che così si impiegano parecchi soldi più del dovuto lasciando la gavetta a suon di demo che permettono non solo di fare le cose pian piano e con ragionata gradualità ma anche di personalizzare almeno un minimo la propria proposta musicale, ma comunque secondo me i nostri sono riusciti a partorire un lavoro apprezzabile, seppur io rintracci qualche ingenuità di troppo piuttosto fastidiosa. L’album è composto da 7 pezzi (compresa l’intro) dove trova posto a mio parere una specie di black metal sinfonico spesso melodico ed intriso di un romanticismo tra l’altro classico di questo genere, e mi sembra che per la maggiore sia orientato verso i tempi medi. Ma la definizione di cui sopra forse risulta un po’ stretta, visto e considerato che, come già osservato, sento le più disparate influenze, che possono andare dal death metal (“Eternal Night”) alla musica elettronica (principalmente in “Darkness of the Soul” ed "Immortal Dreams”), oppure al metalcore (“Anonymous” ed “Immortal Dreams”) e non solo. Ciò significa che questi giovini si esprimono dimostrando una buona gamma di differenti situazioni, sperimentando in tal modo spesso e volentieri e secondo me un coraggio simile è già encomiabile di suo, trovando così di solito una maniera per differenziare, almeno dal punto di vista delle sonorità proposte, un brano dall’altro. Bisogna segnalare che questi ragazzi sardi tecnicamente parlando se la cavano veramente molto bene. Strutturalmente i vari pezzi che costituiscono l’opera si presentano decisamente dinamici, con le soluzioni che solitamente vengono ripetute per un numero di 2/4 battute (ed ovviamente qui conto pure le loro modificazioni, sia a livello ritmico che di riffing), anche se non ne mancano di una sola (opzione piuttosto frequente, e credo che sia assente nella sola “Eternal Night”) o di 3 (come in “Alive in Destruction”). L’andamento si rivela piuttosto libero e spesso poco avvezzo a seguire una sequenza rigida di soluzioni che si susseguono durante il prosieguo del discorso, ma altresì faccio notare che l’unico episodio che segue uno schema strofa-ritornello, veramente rigido seppur non esattamente classico, è proprio il già sopraccitato “Alive in Destruction”), che rimane fedele ai seguenti passaggi consequenziali: 1 – 1 mod. – 1 – 1 mod. – 2 – 3 – 4 – 4 mod. – 4 ancora mod.. In tale solo esempio vengono riprese quindi tutte le soluzioni, separate, dopo la prima botta, dall’iniziale passaggio opportunamente modificato come una specie di pausa-ponte con la successiva variazione. Ma dopo 4 minuti e dieci secondi, si fa vivo un 5° passaggio, più e più volte variato ma mai su tempi veloci, e tutto questo si perpetua per qualcosa tipo ben 2 minuti. Un altro brano in un certo senso lineare è “Immortal Dreams”, il quale, se non sbaglio, è costituito da 3 differenti soluzioni e poggia, anche se debolmente rispetto ad “Alive in Destruction”, la sua esistenza sul dittico 1 anc. mod. – 2, solo che nella seconda volta in cui esso si riaffaccia il 2 viene modificato, se non erro, persino per 5 volte e tutte queste variazioni vengono sottoposte ad un'unica battuta. Tra l’altro, mi sono reso conto che “Immortal Dreams” è anche la canzone che presenta meno passaggi se si confrontano con gli altri, sempre oscillanti più o meno fra i 5 ed i 7 (“Infernal Melody”, a meno che io non dica una cazzata). A mio avviso, è interessante segnalare che pochissimi di essi vengono ripresi durante un brano, magari presentando una sequenza come il 3 – 3 mod. – 3 – 3 mod., seppur un po’ libera dato che nella seconda apparizione il 3 mod. è sottoposto, essendo variato, da 2 battute in luogo delle 4 di prima. Solo in “Alive in Destruction”, “Anonymous” e sempre “Immortal Dreams” i momenti finali sono contrassegnati da una soluzione suonata precedentemente, e negli ultimi due casi finiscono proprio il pezzo. Parliamo adesso della produzione, che mi è piaciuta molto, offrendo a noi comuni mortali un suono pulito e spesso e volentieri con un buon equilibrio fra i vari strumenti, anche se il tutto mi sembra si concentri maggiormente sul trio voce/chitarre/batteria, e tra l’altro le tastiere, fulcro principe del black sinfonico (grazie alla minkia!) sono non poche volte seppellite dagli altri compagni. La produzione è comunque orientata su frequenze piuttosto alte, quindi consiglio agli interessati di sentire l’album a volumi che non possano distruggere più del dovuto i poveri timpani, un po’ come avviene con “Lucifer Rising” dei Kaamos.
L’opera parte con “Epic Gods”, ossia una vera e propria intro lunga all’incirca un minuto e mezzo, che per la verità mi sembra più adatta per un gruppo dai toni sì romantici ma sognanti come gli Streben od i Summoning che per una formazione che atmosfericamente parlando mi riporta alla mente sempre qualcosa di morboso e vampiresco, indipendentemente dalle tematiche trattate, come, appunto, i Bloodshed. L’intro proposta, dominata da un flauto (o sbaglio?) ed accompagnato da due tipi di tastiere, tra cui anche un piano, si snoda attraverso melodie che definirei soavi, abili ad immergermi in un’atmosfera da sogno, quasi come la rappresentazione in musica dell’Eden, ma il bello è che riesce nell’impresa di farlo in così poco tempo, e qua mi complimento decisamente con il sestetto. Sto pensando comunque che questo pezzo, molto diverso dal punto di vista emozionale dagli altri, possa essere interpretato un po’ come la classica quiete prima della tempesta, dove il successivo “Alive in Destruction” funge da momento in cui l’illusione dell’Eden viene completamente e definitivamente distrutta, oppure come la falsa e crudele compassione del mondo degli inferi verso l’umanità. Ciò che mi sembra sicuro è che il brano da poco citato mi pare uno dei più cupi del lotto.
E’ finalmente arrivata l’ora dell’analisi strumento per strumento e, come ormai da tradizione, si parte dalla voce. Devo fare le congratulazioni a Seb, artefice di una voce, come dire, molto passionale, dato che l’avverto abbastanza versatile da cambiare tono anche improvvisamente e con una bella violenza, ed a tal proposito, soprattutto sia nelle parti urlate che nei grugniti, il paragone con molte voci del black sinfonico mi viene in pratica naturale, con relativi vocalizzi più bassi che a dir la verità non mi paiono poi così intensi, ormai caratteristica del metallo nero, seppur secondo me sono d’effetto, quasi la bestia che con voce catacombale vuole entrare nelle viscere più abissali, siano esse mentali e/o fisiche, della vittima. Il nostro può sembrare un posseduto diviso tra l’essere un umano ed il dover soffrire e combattere contro il diavolo che impietosamente cerca sempre di afferrarlo tra le sue maglie malvagie. Talvolta le urla vengono accompagnate da dei grugniti, ma ho ravvisato un problema proprio riguardo questi ultimi dato che non sempre li sento così a meraviglia, un pochino seppelliti dagli altri strumenti. In una canzone come “Immortal Dreams”, le urla, più basse del solito, divengono in un certo senso soffocate, in una maniera che mi rimanda alle ridondanti evoluzioni del nano più amato/odiato della storia del Metal, ossia Dani Filth (ti credo, ci voleva tanto per capirlo?). Altre volte, si gioca con la carta di un rischio ben maggiore, cioè l’uso della voce pulita sia in “Alive in Destruction” che “Immortal Dreams”, piuttosto melodica ed intonata ma se non erro è anche un pochino statica per quanto riguarda il tono proposto. Linee vocali a mio parere buone, specialmente quelle di “Alive in Destruction”, secondo me decisamente intense e dinamiche. Discorso chitarre: la prova vomitata dalle due asce mi piace prima di tutto dal punto di vista tecnico, e ciò è anche una conseguenza della lodevole varietà e fantasia del riffing, differenziando così a mio avviso bene ogni canzone, come già osservato. I Bloodshed, come molti gruppi di black sinfonico, alternano con una buona regolarità soluzioni indubbiamente black (a tal proposito, secondo me è “Alive in Destruction” l’esempio più valido) ad altre più di stampo gotico, e forse gli interventi di quest’ultimo tipo sono frequenti in misura maggiore. Riffs particolarmente violenti ne ho ravvisato piuttosto pochi, come quello, abbastanza tecnico e rabbioso, di “Alive in Destruction”, oppure quelli, concentrati sulle note alte, uno più death mentre l’altro probabilmente più black, di “Eternal Night”. In “Anonymous” ed, in misura maggiore, in “Immortal Dreams” ho rintracciato persino situazioni di impronta metalcore in senso melodico, e nel primo dei casi il riff è lunghissimo, similmente a quello portante di “Alive in Destruction”. A mio parere, ci sono pure tracce di epicismo, ma non troppo, heavy metal come negli iniziali secondi di “Eternal Night”, mentre parti grooveggianti mi sembra ce ne siano poche, ma io menzionerei in maniera speciale una che paradossalmente mi ha ricordato in un certo senso gli statunitensi Inhuman (un gruppo ormai sciolto che suonava un death/doom basato molto sul groove, appunto), presente in “Immortal Dreams”. Un aspetto che apprezzo molto dei Bloodshed è l’uso, decisamente moderato, della chitarra solista, che propone sovrapposizioni di riffs a mio avviso piuttosto buoni, e da tal punto di vista valgono brani come “Alive in Destruction” e l’ultimo “Infernal Melody”. Nel primo caso, nella parte finale ad un certo punto ci sono addirittura 3 chitarre, una delle quali segue in pratica le melodie della tastiera, come in fin dei conti succede, seppur in forma meno rigida e più libera, nel secondo brano considerato, e tra l’altro stavolta viene dimostrata una tecnica veramente degna di nota, dinamici come sono i motivi proposti che si susseguono uno dopo l’altro. In altre occasioni vengono dati in pasto agli ascoltatori veri e propri assoli, ma ciò che mi sorprende piacevolmente è che non soltanto al sottoscritto essi paiono qualitativamente validi ma anche il fatto che solismi di tal fatta non se ne sentono di così tanti in una formazione di metal estremo. Si pensi infatti all’assolo, breve ma non troppo, di “Darkness of the Soul”, che secondo me, melodico e romantico com’è, potrebbe andare benissimo per Steve Vai, ma messe in tal modo le cose pure l’assolo, un pochino più lungo, di “Eternal Night” non scherza affatto. Un virtuosismo, quest’ultimo, che strutturalmente parlando mi si presenta piuttosto particolare dato che nasce da un riff finendo successivamente tale, presentando così un discorso veramente più lungo del solito, mentre il primo poc’anzi citato viene generato da un assolo di chitarra acustica. Eh sì, anche questa è presente, sia nella parte centrale del brano sopraccitato (in cui si fa viva pure una chitarra ritmica) e come introduzione di “Anonymous”, ed in quest’ultimo caso vengono ricamati arpeggi melodici a mio avviso ancor più sorprendenti che nel caso precedentemente menzionato, molto snelli e romantici, un po’ malinconici. Da pelle d’oca! Urge adesso segnalare che gli assoli non si esprimono mai, chi più chi meno, su un accompagnamento di impronta metal, e questa cosa mi incuriosisce non poco. Insomma, se la voce mi impressiona molto, perché decisamente passionale, le chitarre invece se la cavano a mio parere bene con le melodie, seppur in tale circostanza ci sia secondo me qualcosa che non va come dovrebbe, ma questo sarà un futuro argomento di discussione, ergo pazientate un pochetto. Potere al basso. La sua prova mi è abbastanza piaciuta, e da questo punto di vista per me il miglior pezzo è “Alive in Destruction”, in cui tale strumento alcune volte segue in pratica i motivi della tastiera. Tra l’altro, esso ha un suono che lo ritengo particolare per il genere che in fin dei conti viene qui suonato, e non in poche occasioni si sente il movimento della mano sinistra (o destra, se Febe è mancino), facendomi sentire così molta umanità dietro tutto ciò, lontano dalla freddezza di certe opere (non che questa sia un male, anzi). L’unico problema, come già osservato, è che non sempre lo sento a meraviglia, ma stavolta con molta probabilità sono sordo io. Discorso batteria: a mio parere, è decisamente notevole il lavoro fatto da Alberto, in quanto spesso e volentieri è imprevedibile per quanto riguarda il variare almeno un minimo uno stesso pattern, contribuendo così a far divenire il tutto un calderone dinamico di soluzioni piacevolmente diverse l’una dall’altra. Però attenzione, non mi sembra di essere al cospetto di un batterista che possa rivaleggiare per inventiva con, per esempio, il funambolico Luca dei Mass Obliteration, dato che qui le situazioni sono ben più classiche, seppur la fantasia non penso manchi, anzi. Sentitevi a tal proposito certe evoluzioni di “Alive in Destruction”, od alcuni blast-beats a tratti spezzettati (almeno così pare a me…) di “Immortal Dreams. I ritmi sono spesso piuttosto lineari, ed i succitati blast-beats occupano uno spazio che oserei definire modesto, anche perché una canzone come “Darkness of the Soul” ne è completamente priva, ma quando ci sono a mio parere sono belli intensi. Per fortuna, quando si tratta di spaccare culi con i tempi veloci, Alberto ne sa sparare anche di diversi, come quello distruttivo con la cassa, per niente in doppia, che va in perfetta regolarità con i piatti, di “Eternal Night”, non a caso proprio durante i momenti di impostazione death metal, oppure quello di “Infernal Melody”, comunque ben più “tranquillo” e grooveggiante. Ed ora tocca alle tastiere, che per i Bloodshed credo che siano veramente molto importanti, dato che è ad esse che sono attribuite la maggior parte delle pause nel discorso musicale, se si pensa infatti a brani quali “Darkness of the Soul” (dove mi sembrano preannunciare l’attacco delle chitarre acustiche più l’assolo) ed “Anonymous” (in cui invece si esprimono insieme alle urla strozzate trattate in precedenza, e poi in coro con tutti gli strumenti). Sono le tastiere che introducono non solo all’album con “Epic Gods” ma anche a “Darkness of the Soul” (non a caso circa un minuto di spazio dominato) ed “Immortal Dreams” (intervento meno “pomposo” dato che si perpetua per qualcosa come 18 secondi). Sono le tastiere che vengono praticamente inseguite dagli altri strumenti, come succede in “Alive in Destruction” (basso poi anche una chitarra) ed in “Infernal Melody” insieme ad un’ascia solista…e sono proprio le tastiere che non poche volte sostituiscono le due asce nella costruzione di melodie, mentre le sue compagne fungono praticamente da “semplice” contorno ritmico. Ma a mio avviso sono importanti pure per un altro immenso motivo: sono proprio le tastiere che immergono l’ascoltatore, almeno personalmente certo, in un universo pieno di romanticismo e mistero da cui mi è difficile fuggire, anche perché non raramente penso si riempiano di un’aura dal sapore notturno, esprimendosi in qualche momento attraverso influenze che mi ricordano tremendamente la musica elettronica (“Darkness of the Soul” ed “Immortal Dreams” principalmente). A differenza di un altro gruppo di black sinfonico, seppur puro come i Demonia Mundi (recensiti entusiasticamente dal sottoscritto nel 3° numero di “Timpani Allo Spiedo”), se non sbaglio nei Bloodshed le tastiere possiedono un’importanza ben maggiore, anche se mi sento di dare un consiglio, ossia quello di provarci con esse pure in fase solista, magari intrecciandole con un assolo di chitarra. Ah, un’altra cosa: qui e là sento forse un’influenza data da certo power metal modernista oppure da certi tizi (da me odiati) chiamati Children of Bodom), come in “Immortal Dreams”, dove le tastiere offrono anche una variazione a mio avviso particolarmente interessante, donando così secondo me maggior intensità al tutto.
Ragazze e ragazzi, stavolta voglio un po’ cambiare, partendo subito da quelli che considero i difetti di “After Midnight”, e devo dire che non sono per niente pochi e spesso neanche così secondari, dato che nella maggioranza riguardano il finale dei vari pezzi. Infatti, a mio parere, i Bloodshed in fase conclusiva non ci sanno fare, vuoi per un motivo vuoi per un altro, e la cosa grave è che da questo punto di vista sono secondo me deficitarie addirittura 4 tracce su 7, il che mi fa un po’ innervosire. I problemi incominciano infatti con “Alive in Destruction”, brano che considero in pratica geniale fino all’ultima soluzione la quale dura per 2 minuti, e per fortuna, dico io, viene sottoposta a continue variazioni, pure ritmicamente anche se non si sfocia ma in tempi veloci, neanche accennandoli. Però, secondo i miei gusti, tale soluzione viene tirata un po’ troppo per le lunghe facendomi in questo modo annoiare non poco, ma scrivo tutto ciò anche perché il gruppo s’è lasciato completamente alle spalle un climax, giocato molto sulle chitarre, per me strabiliante, spezzando così la sua intensità ed il suo stesso discorso, secondo me non ancora concluso, ed infatti ogni volta che sento “Alive in Destruction” mi aspetto sempre, ma invano, un bell’assolo di proporzioni mitiche, magari in blast-beats. Le credenziali per un capolavoro c’erano tutte, a mio avviso. Passiamo ora a trattare “Darkness of the Soul”, canzone che mi è in misura meno fenomenale rispetto alla precedente ma altresì sempre degna di menzione soprattutto durante la parte centrale. Probabilmente, comunque, paradossalmente penso che sia da localizzare proprio qui un altro difetto, seppur un pochino secondario, e questo concerne l’assolo di chitarra elettrica, forse non auto-conclusosi. Chissà come veniva fuori se si aggiungeva anche basso e batteria, oppure, più semplicemente, se si faceva continuare insieme all’attacco della musica proposta. Per quanto riguarda invece la conclusione del brano, anche qui credo si pecchi di prolissità come nel pezzo precedente, riproponendo così delle variazioni, stavolta quantitativamente minori, all’ultima soluzione, senza che mi si presenti qualcosa che mi faccia sussultare definitivamente, e tra l’altro finendo il tutto in maniera altamente brusca. Poi c’è “Eternal Night”, che a mio avviso possiede uno dei finali più fallimentari di tutta l’opera, visto e considerato che si “conclude” con quella che definisco una vera e propria fuga strumentale che secondo me dovrebbe fungere in questo caso da ponte per un passaggio successivo, magari riprendendo uno già eseguito. Ed adesso tocca ahimè ad “Anonymous”, che per me ha dei picchi geniali, degnamente rappresentati da una pausa che interessa prima una chitarra (che stranamente intona un riff che mi sembra un plagio, ma il problema è che non mi ricordo da dove io l’abbia già sentito) e poi tastiere e voce, permettendo così al tutto di farsi sentire su un tempo lento che prima o poi sembra esplodere. Esplosione che poco successivamente si realizza concretamente, distruggendo tutto e tutti con blast-beats che mi paiono lame sottilissime, adagiarsi entro tempi medi. Questo è un climax a mio parere sudatissimo, dato che il gruppo ha aspettato tanto ma secondo me a sufficienza per sferrarlo, preoccupandosi più di far interiorizzare completamente pian piano la pausa + il tempo lento di cui prima. Paradossalmente però per me c’è un difetto…praticamente irrilevante che ho riscontrato durante la sola chitarra, il cui riff viene in pratica spezzato dalle tastiere per poi riprenderlo, un po’ modificato, poco dopo. Ciò è secondo il mio punto di vista un difetto altamente irrilevante perché in fin dei conti il gioco soprammenzionato secondo me funziona piuttosto bene, e quindi chissenefrega. Ma rimane il problema del finale, a mio avviso qua totalmente fallimentare e giostrato malissimo. Non a caso infatti, dopo quel grandioso assalto sembra che il pezzo finisca per quanto mi riguarda in maniera dignitosa. Ma no, dato che quella è soltanto una pausa, tra l’altro anche un po’ lunghetta, spezzando così secondo me fin troppo la potenza sprigionata poc’anzi. Poco dopo, si propongono altri tempi veloci molto black, con un gioco di tastiere che definirei devastante e meraviglioso, ma tutto ciò, ai fini del pezzo, mi sembra pressoché inutile. Ma se per il gruppo era un passaggio così indispensabile, si poteva forse mettere la batteria nella pausa con una rasoiata rapida ma potente sul rullante, con la “sola” e secondo me necessaria funzione di ponte con i momenti subito successivi in modo da intensificarli, ma ormai….
Tale cambiamento strutturale nella recensione mi è servito soprattutto per introdurre e spiegare fin da subito quale sia per me il pezzo migliore del lotto, che potenzialmente poteva essere “Alive in Destruction” oppure “Anonymous” (più la prima però in quanto per me più intensa), ma visto e considerato che concretamente possono salire sul podio…l’intro (il che non mi sembra rispettoso nei confronti del gruppo intero), “Immortal Dreams” ed “Infernal Melody”, ma è proprio qui che mi sorge un altro annoso problema: “Infernal Melody” è una strumentale e curiosamente fra tutte le canzoni la considero in atto la migliore dell’opera, considerando che è a mio avviso un climax quasi continuo e giocato molto sulle tastiere, secondo me registe di tale episodio, e la chitarra solista la quale segue spesso, con sprazzi indipendenti, le prime, facendomi così immergere in un’atmosfera movimentata e dinamica, e pure la batteria, dopo circa 2 minuti, contribuisce al tutto offrendo agli ascoltatori anche un tempo veloce ma non troppo, quasi medio, con un lavoro sulle cassa a mio avviso bellissimo. Ma essendo “Infernal Melody” una strumentale, e scegliendola come momento migliore dell’album, manderei praticamente a quel paese il cantante, ergo non mi resta che scegliere per “Immortal Dreams”, che sinceramente non mi ha entusiasmato come i pezzi che mi regalano più intensità, anche se sicuramente non lo butterei via, avendo alcune intuizioni che considererei persino geniali. Né violento né tanto melodico, esso, se non erro, è il brano più povero per quanto concerne le soluzioni proposte, e mi piace particolarmente nel finale, giocato praticamente sulle variazioni continue, ognuna sottoposta ad una sola battuta, del 2° passaggio, cronologicamente parlando. Variazioni che possono essere sia su blast-beats che su tempi lenti, e quindi tutto mi risulta piacevolmente imprevedibile. Personalmente, è degno di menzione (come al solito fra l’altro) il lavoro sulle tastiere, a cui è attribuita pure un’importante variazione, che rende secondo me più intenso e potente il tutto.
Per quanto riguarda il principale punto di forza del gruppo, pure qui la scelta mi è stata veramente difficile. Prima ho pensato infatti che esso fosse rappresentato dalla fantasia che i Bloodshed si portano appresso, seppur non mi pare poi così accentuata come in altri gruppi qui recensiti, come i Nimroth oppure i Deprogrammazione (altra realtà simile al sestetto sardo per resa qualitativa, pur non avendo così tanti problemi in fase conclusiva), però a mio avviso non viene giostrata così a dovere, ed i finali tirati fuori me lo dimostrano tanto che alle volte i nostri praticamente si paralizzano ripetendo in modo diverso una stessa soluzione (“Alive in Destruction” e “Eternal Night”). Come seconda cosa ho preso in considerazione la melodia, altresì non poi così “esagerata” come mi è capitato di sentire nell’ultimo demo dei grandi Confusion Gods, e comunque credo che, riallacciandomi con il discorso poc’anzi fatto, venga spesso calibrata in malo modo, oltre al fatto che sì mi trasmette qualcosa ma fino ad un limite ben preciso (vabbè, tranne soprattutto per “Infernal Melody”, a mio parere, una girandola di emozioni). Alla fine, ho scelto per le tastiere, strumento importantissimo per vari motivi, ed anche piuttosto versatile nelle situazioni, permettendo così all’ascoltatore più esigente di non immergersi in un mare di noia, e tra l’altro credo che sappiano essere molto più tecniche e fantasiose che nei già citati Demonia Mundi.
Tirando le somme, i Bloodshed li considero sì un gruppo interessante, ma con molte mele attaccate su di loro per la gioia più sadica degli arcieri, e la cosa più curiosa è che a mio avviso molti dei loro pregi sono contemporaneamente dei difetti, come spero si sia capito nella ricerca del principale punto di forza del gruppo. Il difetto per me più importante è ovviamente la conclusione dei vari pezzi, e quindi consiglio a questi ragazzi di porre una maggiore creazione di nuove soluzioni da mettere sul piatto, magari sfoggiando un poco più di tecnica da parte delle due asce con un’importanza maggiormente accentuata sugli assoli, qualche volta pure intrecciati così da aumentare il senso melodico, di potenza ed intensità…Vabbè, i provvedimenti da fare penso che siano moltissimi e di varia natura, e forse è meglio avvicinarsi a quanto fatto in “Infernal Melody”, ergo è meglio aspettare con pazienza la prossima opera di questi ragazzacci sardi, e per ora propongo un voto riempito anche da molta fiducia. Dolce attesa.
Voto: 67
Claustrofobia
P.S.: faccio notare che “Eternal Night” viene sì introdotta da una chitarra acustica ma prima di essa si sente un suono piuttosto chiaro e continuo, facendo sentire poco dopo, insieme al primo, dei passi e successivamente una porta che forse viene aperta.
Tracklist:
1 – Epic Gods/ 2 – Alive in Destruction/ 3 – Darkness of the Soul/ 4 – Eternal Night/ 5 – Anonymous/ 6 – Immortal Dreams/ 7 – Infernal Melody
MySpace:
http://www.myspace.com/ozieribloodshed
“After Midnight”, autoprodotto nell’anno di grazia 2008, è la primissima creatura del sestetto, formatosi, tra Ozieri e Sassari, nel lontano 2005 ed attualmente costituito da Seb voce, Gabriele e Davide chitarre, Fede basso, Alberto batteria, ed Andrea nel ruolo di tastierista, ed esso, per quanto debutto ufficiale, è addirittura un album, cosa a mio avviso rischiosa per un gruppo alle prime armi dato che così si impiegano parecchi soldi più del dovuto lasciando la gavetta a suon di demo che permettono non solo di fare le cose pian piano e con ragionata gradualità ma anche di personalizzare almeno un minimo la propria proposta musicale, ma comunque secondo me i nostri sono riusciti a partorire un lavoro apprezzabile, seppur io rintracci qualche ingenuità di troppo piuttosto fastidiosa. L’album è composto da 7 pezzi (compresa l’intro) dove trova posto a mio parere una specie di black metal sinfonico spesso melodico ed intriso di un romanticismo tra l’altro classico di questo genere, e mi sembra che per la maggiore sia orientato verso i tempi medi. Ma la definizione di cui sopra forse risulta un po’ stretta, visto e considerato che, come già osservato, sento le più disparate influenze, che possono andare dal death metal (“Eternal Night”) alla musica elettronica (principalmente in “Darkness of the Soul” ed "Immortal Dreams”), oppure al metalcore (“Anonymous” ed “Immortal Dreams”) e non solo. Ciò significa che questi giovini si esprimono dimostrando una buona gamma di differenti situazioni, sperimentando in tal modo spesso e volentieri e secondo me un coraggio simile è già encomiabile di suo, trovando così di solito una maniera per differenziare, almeno dal punto di vista delle sonorità proposte, un brano dall’altro. Bisogna segnalare che questi ragazzi sardi tecnicamente parlando se la cavano veramente molto bene. Strutturalmente i vari pezzi che costituiscono l’opera si presentano decisamente dinamici, con le soluzioni che solitamente vengono ripetute per un numero di 2/4 battute (ed ovviamente qui conto pure le loro modificazioni, sia a livello ritmico che di riffing), anche se non ne mancano di una sola (opzione piuttosto frequente, e credo che sia assente nella sola “Eternal Night”) o di 3 (come in “Alive in Destruction”). L’andamento si rivela piuttosto libero e spesso poco avvezzo a seguire una sequenza rigida di soluzioni che si susseguono durante il prosieguo del discorso, ma altresì faccio notare che l’unico episodio che segue uno schema strofa-ritornello, veramente rigido seppur non esattamente classico, è proprio il già sopraccitato “Alive in Destruction”), che rimane fedele ai seguenti passaggi consequenziali: 1 – 1 mod. – 1 – 1 mod. – 2 – 3 – 4 – 4 mod. – 4 ancora mod.. In tale solo esempio vengono riprese quindi tutte le soluzioni, separate, dopo la prima botta, dall’iniziale passaggio opportunamente modificato come una specie di pausa-ponte con la successiva variazione. Ma dopo 4 minuti e dieci secondi, si fa vivo un 5° passaggio, più e più volte variato ma mai su tempi veloci, e tutto questo si perpetua per qualcosa tipo ben 2 minuti. Un altro brano in un certo senso lineare è “Immortal Dreams”, il quale, se non sbaglio, è costituito da 3 differenti soluzioni e poggia, anche se debolmente rispetto ad “Alive in Destruction”, la sua esistenza sul dittico 1 anc. mod. – 2, solo che nella seconda volta in cui esso si riaffaccia il 2 viene modificato, se non erro, persino per 5 volte e tutte queste variazioni vengono sottoposte ad un'unica battuta. Tra l’altro, mi sono reso conto che “Immortal Dreams” è anche la canzone che presenta meno passaggi se si confrontano con gli altri, sempre oscillanti più o meno fra i 5 ed i 7 (“Infernal Melody”, a meno che io non dica una cazzata). A mio avviso, è interessante segnalare che pochissimi di essi vengono ripresi durante un brano, magari presentando una sequenza come il 3 – 3 mod. – 3 – 3 mod., seppur un po’ libera dato che nella seconda apparizione il 3 mod. è sottoposto, essendo variato, da 2 battute in luogo delle 4 di prima. Solo in “Alive in Destruction”, “Anonymous” e sempre “Immortal Dreams” i momenti finali sono contrassegnati da una soluzione suonata precedentemente, e negli ultimi due casi finiscono proprio il pezzo. Parliamo adesso della produzione, che mi è piaciuta molto, offrendo a noi comuni mortali un suono pulito e spesso e volentieri con un buon equilibrio fra i vari strumenti, anche se il tutto mi sembra si concentri maggiormente sul trio voce/chitarre/batteria, e tra l’altro le tastiere, fulcro principe del black sinfonico (grazie alla minkia!) sono non poche volte seppellite dagli altri compagni. La produzione è comunque orientata su frequenze piuttosto alte, quindi consiglio agli interessati di sentire l’album a volumi che non possano distruggere più del dovuto i poveri timpani, un po’ come avviene con “Lucifer Rising” dei Kaamos.
L’opera parte con “Epic Gods”, ossia una vera e propria intro lunga all’incirca un minuto e mezzo, che per la verità mi sembra più adatta per un gruppo dai toni sì romantici ma sognanti come gli Streben od i Summoning che per una formazione che atmosfericamente parlando mi riporta alla mente sempre qualcosa di morboso e vampiresco, indipendentemente dalle tematiche trattate, come, appunto, i Bloodshed. L’intro proposta, dominata da un flauto (o sbaglio?) ed accompagnato da due tipi di tastiere, tra cui anche un piano, si snoda attraverso melodie che definirei soavi, abili ad immergermi in un’atmosfera da sogno, quasi come la rappresentazione in musica dell’Eden, ma il bello è che riesce nell’impresa di farlo in così poco tempo, e qua mi complimento decisamente con il sestetto. Sto pensando comunque che questo pezzo, molto diverso dal punto di vista emozionale dagli altri, possa essere interpretato un po’ come la classica quiete prima della tempesta, dove il successivo “Alive in Destruction” funge da momento in cui l’illusione dell’Eden viene completamente e definitivamente distrutta, oppure come la falsa e crudele compassione del mondo degli inferi verso l’umanità. Ciò che mi sembra sicuro è che il brano da poco citato mi pare uno dei più cupi del lotto.
E’ finalmente arrivata l’ora dell’analisi strumento per strumento e, come ormai da tradizione, si parte dalla voce. Devo fare le congratulazioni a Seb, artefice di una voce, come dire, molto passionale, dato che l’avverto abbastanza versatile da cambiare tono anche improvvisamente e con una bella violenza, ed a tal proposito, soprattutto sia nelle parti urlate che nei grugniti, il paragone con molte voci del black sinfonico mi viene in pratica naturale, con relativi vocalizzi più bassi che a dir la verità non mi paiono poi così intensi, ormai caratteristica del metallo nero, seppur secondo me sono d’effetto, quasi la bestia che con voce catacombale vuole entrare nelle viscere più abissali, siano esse mentali e/o fisiche, della vittima. Il nostro può sembrare un posseduto diviso tra l’essere un umano ed il dover soffrire e combattere contro il diavolo che impietosamente cerca sempre di afferrarlo tra le sue maglie malvagie. Talvolta le urla vengono accompagnate da dei grugniti, ma ho ravvisato un problema proprio riguardo questi ultimi dato che non sempre li sento così a meraviglia, un pochino seppelliti dagli altri strumenti. In una canzone come “Immortal Dreams”, le urla, più basse del solito, divengono in un certo senso soffocate, in una maniera che mi rimanda alle ridondanti evoluzioni del nano più amato/odiato della storia del Metal, ossia Dani Filth (ti credo, ci voleva tanto per capirlo?). Altre volte, si gioca con la carta di un rischio ben maggiore, cioè l’uso della voce pulita sia in “Alive in Destruction” che “Immortal Dreams”, piuttosto melodica ed intonata ma se non erro è anche un pochino statica per quanto riguarda il tono proposto. Linee vocali a mio parere buone, specialmente quelle di “Alive in Destruction”, secondo me decisamente intense e dinamiche. Discorso chitarre: la prova vomitata dalle due asce mi piace prima di tutto dal punto di vista tecnico, e ciò è anche una conseguenza della lodevole varietà e fantasia del riffing, differenziando così a mio avviso bene ogni canzone, come già osservato. I Bloodshed, come molti gruppi di black sinfonico, alternano con una buona regolarità soluzioni indubbiamente black (a tal proposito, secondo me è “Alive in Destruction” l’esempio più valido) ad altre più di stampo gotico, e forse gli interventi di quest’ultimo tipo sono frequenti in misura maggiore. Riffs particolarmente violenti ne ho ravvisato piuttosto pochi, come quello, abbastanza tecnico e rabbioso, di “Alive in Destruction”, oppure quelli, concentrati sulle note alte, uno più death mentre l’altro probabilmente più black, di “Eternal Night”. In “Anonymous” ed, in misura maggiore, in “Immortal Dreams” ho rintracciato persino situazioni di impronta metalcore in senso melodico, e nel primo dei casi il riff è lunghissimo, similmente a quello portante di “Alive in Destruction”. A mio parere, ci sono pure tracce di epicismo, ma non troppo, heavy metal come negli iniziali secondi di “Eternal Night”, mentre parti grooveggianti mi sembra ce ne siano poche, ma io menzionerei in maniera speciale una che paradossalmente mi ha ricordato in un certo senso gli statunitensi Inhuman (un gruppo ormai sciolto che suonava un death/doom basato molto sul groove, appunto), presente in “Immortal Dreams”. Un aspetto che apprezzo molto dei Bloodshed è l’uso, decisamente moderato, della chitarra solista, che propone sovrapposizioni di riffs a mio avviso piuttosto buoni, e da tal punto di vista valgono brani come “Alive in Destruction” e l’ultimo “Infernal Melody”. Nel primo caso, nella parte finale ad un certo punto ci sono addirittura 3 chitarre, una delle quali segue in pratica le melodie della tastiera, come in fin dei conti succede, seppur in forma meno rigida e più libera, nel secondo brano considerato, e tra l’altro stavolta viene dimostrata una tecnica veramente degna di nota, dinamici come sono i motivi proposti che si susseguono uno dopo l’altro. In altre occasioni vengono dati in pasto agli ascoltatori veri e propri assoli, ma ciò che mi sorprende piacevolmente è che non soltanto al sottoscritto essi paiono qualitativamente validi ma anche il fatto che solismi di tal fatta non se ne sentono di così tanti in una formazione di metal estremo. Si pensi infatti all’assolo, breve ma non troppo, di “Darkness of the Soul”, che secondo me, melodico e romantico com’è, potrebbe andare benissimo per Steve Vai, ma messe in tal modo le cose pure l’assolo, un pochino più lungo, di “Eternal Night” non scherza affatto. Un virtuosismo, quest’ultimo, che strutturalmente parlando mi si presenta piuttosto particolare dato che nasce da un riff finendo successivamente tale, presentando così un discorso veramente più lungo del solito, mentre il primo poc’anzi citato viene generato da un assolo di chitarra acustica. Eh sì, anche questa è presente, sia nella parte centrale del brano sopraccitato (in cui si fa viva pure una chitarra ritmica) e come introduzione di “Anonymous”, ed in quest’ultimo caso vengono ricamati arpeggi melodici a mio avviso ancor più sorprendenti che nel caso precedentemente menzionato, molto snelli e romantici, un po’ malinconici. Da pelle d’oca! Urge adesso segnalare che gli assoli non si esprimono mai, chi più chi meno, su un accompagnamento di impronta metal, e questa cosa mi incuriosisce non poco. Insomma, se la voce mi impressiona molto, perché decisamente passionale, le chitarre invece se la cavano a mio parere bene con le melodie, seppur in tale circostanza ci sia secondo me qualcosa che non va come dovrebbe, ma questo sarà un futuro argomento di discussione, ergo pazientate un pochetto. Potere al basso. La sua prova mi è abbastanza piaciuta, e da questo punto di vista per me il miglior pezzo è “Alive in Destruction”, in cui tale strumento alcune volte segue in pratica i motivi della tastiera. Tra l’altro, esso ha un suono che lo ritengo particolare per il genere che in fin dei conti viene qui suonato, e non in poche occasioni si sente il movimento della mano sinistra (o destra, se Febe è mancino), facendomi sentire così molta umanità dietro tutto ciò, lontano dalla freddezza di certe opere (non che questa sia un male, anzi). L’unico problema, come già osservato, è che non sempre lo sento a meraviglia, ma stavolta con molta probabilità sono sordo io. Discorso batteria: a mio parere, è decisamente notevole il lavoro fatto da Alberto, in quanto spesso e volentieri è imprevedibile per quanto riguarda il variare almeno un minimo uno stesso pattern, contribuendo così a far divenire il tutto un calderone dinamico di soluzioni piacevolmente diverse l’una dall’altra. Però attenzione, non mi sembra di essere al cospetto di un batterista che possa rivaleggiare per inventiva con, per esempio, il funambolico Luca dei Mass Obliteration, dato che qui le situazioni sono ben più classiche, seppur la fantasia non penso manchi, anzi. Sentitevi a tal proposito certe evoluzioni di “Alive in Destruction”, od alcuni blast-beats a tratti spezzettati (almeno così pare a me…) di “Immortal Dreams. I ritmi sono spesso piuttosto lineari, ed i succitati blast-beats occupano uno spazio che oserei definire modesto, anche perché una canzone come “Darkness of the Soul” ne è completamente priva, ma quando ci sono a mio parere sono belli intensi. Per fortuna, quando si tratta di spaccare culi con i tempi veloci, Alberto ne sa sparare anche di diversi, come quello distruttivo con la cassa, per niente in doppia, che va in perfetta regolarità con i piatti, di “Eternal Night”, non a caso proprio durante i momenti di impostazione death metal, oppure quello di “Infernal Melody”, comunque ben più “tranquillo” e grooveggiante. Ed ora tocca alle tastiere, che per i Bloodshed credo che siano veramente molto importanti, dato che è ad esse che sono attribuite la maggior parte delle pause nel discorso musicale, se si pensa infatti a brani quali “Darkness of the Soul” (dove mi sembrano preannunciare l’attacco delle chitarre acustiche più l’assolo) ed “Anonymous” (in cui invece si esprimono insieme alle urla strozzate trattate in precedenza, e poi in coro con tutti gli strumenti). Sono le tastiere che introducono non solo all’album con “Epic Gods” ma anche a “Darkness of the Soul” (non a caso circa un minuto di spazio dominato) ed “Immortal Dreams” (intervento meno “pomposo” dato che si perpetua per qualcosa come 18 secondi). Sono le tastiere che vengono praticamente inseguite dagli altri strumenti, come succede in “Alive in Destruction” (basso poi anche una chitarra) ed in “Infernal Melody” insieme ad un’ascia solista…e sono proprio le tastiere che non poche volte sostituiscono le due asce nella costruzione di melodie, mentre le sue compagne fungono praticamente da “semplice” contorno ritmico. Ma a mio avviso sono importanti pure per un altro immenso motivo: sono proprio le tastiere che immergono l’ascoltatore, almeno personalmente certo, in un universo pieno di romanticismo e mistero da cui mi è difficile fuggire, anche perché non raramente penso si riempiano di un’aura dal sapore notturno, esprimendosi in qualche momento attraverso influenze che mi ricordano tremendamente la musica elettronica (“Darkness of the Soul” ed “Immortal Dreams” principalmente). A differenza di un altro gruppo di black sinfonico, seppur puro come i Demonia Mundi (recensiti entusiasticamente dal sottoscritto nel 3° numero di “Timpani Allo Spiedo”), se non sbaglio nei Bloodshed le tastiere possiedono un’importanza ben maggiore, anche se mi sento di dare un consiglio, ossia quello di provarci con esse pure in fase solista, magari intrecciandole con un assolo di chitarra. Ah, un’altra cosa: qui e là sento forse un’influenza data da certo power metal modernista oppure da certi tizi (da me odiati) chiamati Children of Bodom), come in “Immortal Dreams”, dove le tastiere offrono anche una variazione a mio avviso particolarmente interessante, donando così secondo me maggior intensità al tutto.
Ragazze e ragazzi, stavolta voglio un po’ cambiare, partendo subito da quelli che considero i difetti di “After Midnight”, e devo dire che non sono per niente pochi e spesso neanche così secondari, dato che nella maggioranza riguardano il finale dei vari pezzi. Infatti, a mio parere, i Bloodshed in fase conclusiva non ci sanno fare, vuoi per un motivo vuoi per un altro, e la cosa grave è che da questo punto di vista sono secondo me deficitarie addirittura 4 tracce su 7, il che mi fa un po’ innervosire. I problemi incominciano infatti con “Alive in Destruction”, brano che considero in pratica geniale fino all’ultima soluzione la quale dura per 2 minuti, e per fortuna, dico io, viene sottoposta a continue variazioni, pure ritmicamente anche se non si sfocia ma in tempi veloci, neanche accennandoli. Però, secondo i miei gusti, tale soluzione viene tirata un po’ troppo per le lunghe facendomi in questo modo annoiare non poco, ma scrivo tutto ciò anche perché il gruppo s’è lasciato completamente alle spalle un climax, giocato molto sulle chitarre, per me strabiliante, spezzando così la sua intensità ed il suo stesso discorso, secondo me non ancora concluso, ed infatti ogni volta che sento “Alive in Destruction” mi aspetto sempre, ma invano, un bell’assolo di proporzioni mitiche, magari in blast-beats. Le credenziali per un capolavoro c’erano tutte, a mio avviso. Passiamo ora a trattare “Darkness of the Soul”, canzone che mi è in misura meno fenomenale rispetto alla precedente ma altresì sempre degna di menzione soprattutto durante la parte centrale. Probabilmente, comunque, paradossalmente penso che sia da localizzare proprio qui un altro difetto, seppur un pochino secondario, e questo concerne l’assolo di chitarra elettrica, forse non auto-conclusosi. Chissà come veniva fuori se si aggiungeva anche basso e batteria, oppure, più semplicemente, se si faceva continuare insieme all’attacco della musica proposta. Per quanto riguarda invece la conclusione del brano, anche qui credo si pecchi di prolissità come nel pezzo precedente, riproponendo così delle variazioni, stavolta quantitativamente minori, all’ultima soluzione, senza che mi si presenti qualcosa che mi faccia sussultare definitivamente, e tra l’altro finendo il tutto in maniera altamente brusca. Poi c’è “Eternal Night”, che a mio avviso possiede uno dei finali più fallimentari di tutta l’opera, visto e considerato che si “conclude” con quella che definisco una vera e propria fuga strumentale che secondo me dovrebbe fungere in questo caso da ponte per un passaggio successivo, magari riprendendo uno già eseguito. Ed adesso tocca ahimè ad “Anonymous”, che per me ha dei picchi geniali, degnamente rappresentati da una pausa che interessa prima una chitarra (che stranamente intona un riff che mi sembra un plagio, ma il problema è che non mi ricordo da dove io l’abbia già sentito) e poi tastiere e voce, permettendo così al tutto di farsi sentire su un tempo lento che prima o poi sembra esplodere. Esplosione che poco successivamente si realizza concretamente, distruggendo tutto e tutti con blast-beats che mi paiono lame sottilissime, adagiarsi entro tempi medi. Questo è un climax a mio parere sudatissimo, dato che il gruppo ha aspettato tanto ma secondo me a sufficienza per sferrarlo, preoccupandosi più di far interiorizzare completamente pian piano la pausa + il tempo lento di cui prima. Paradossalmente però per me c’è un difetto…praticamente irrilevante che ho riscontrato durante la sola chitarra, il cui riff viene in pratica spezzato dalle tastiere per poi riprenderlo, un po’ modificato, poco dopo. Ciò è secondo il mio punto di vista un difetto altamente irrilevante perché in fin dei conti il gioco soprammenzionato secondo me funziona piuttosto bene, e quindi chissenefrega. Ma rimane il problema del finale, a mio avviso qua totalmente fallimentare e giostrato malissimo. Non a caso infatti, dopo quel grandioso assalto sembra che il pezzo finisca per quanto mi riguarda in maniera dignitosa. Ma no, dato che quella è soltanto una pausa, tra l’altro anche un po’ lunghetta, spezzando così secondo me fin troppo la potenza sprigionata poc’anzi. Poco dopo, si propongono altri tempi veloci molto black, con un gioco di tastiere che definirei devastante e meraviglioso, ma tutto ciò, ai fini del pezzo, mi sembra pressoché inutile. Ma se per il gruppo era un passaggio così indispensabile, si poteva forse mettere la batteria nella pausa con una rasoiata rapida ma potente sul rullante, con la “sola” e secondo me necessaria funzione di ponte con i momenti subito successivi in modo da intensificarli, ma ormai….
Tale cambiamento strutturale nella recensione mi è servito soprattutto per introdurre e spiegare fin da subito quale sia per me il pezzo migliore del lotto, che potenzialmente poteva essere “Alive in Destruction” oppure “Anonymous” (più la prima però in quanto per me più intensa), ma visto e considerato che concretamente possono salire sul podio…l’intro (il che non mi sembra rispettoso nei confronti del gruppo intero), “Immortal Dreams” ed “Infernal Melody”, ma è proprio qui che mi sorge un altro annoso problema: “Infernal Melody” è una strumentale e curiosamente fra tutte le canzoni la considero in atto la migliore dell’opera, considerando che è a mio avviso un climax quasi continuo e giocato molto sulle tastiere, secondo me registe di tale episodio, e la chitarra solista la quale segue spesso, con sprazzi indipendenti, le prime, facendomi così immergere in un’atmosfera movimentata e dinamica, e pure la batteria, dopo circa 2 minuti, contribuisce al tutto offrendo agli ascoltatori anche un tempo veloce ma non troppo, quasi medio, con un lavoro sulle cassa a mio avviso bellissimo. Ma essendo “Infernal Melody” una strumentale, e scegliendola come momento migliore dell’album, manderei praticamente a quel paese il cantante, ergo non mi resta che scegliere per “Immortal Dreams”, che sinceramente non mi ha entusiasmato come i pezzi che mi regalano più intensità, anche se sicuramente non lo butterei via, avendo alcune intuizioni che considererei persino geniali. Né violento né tanto melodico, esso, se non erro, è il brano più povero per quanto concerne le soluzioni proposte, e mi piace particolarmente nel finale, giocato praticamente sulle variazioni continue, ognuna sottoposta ad una sola battuta, del 2° passaggio, cronologicamente parlando. Variazioni che possono essere sia su blast-beats che su tempi lenti, e quindi tutto mi risulta piacevolmente imprevedibile. Personalmente, è degno di menzione (come al solito fra l’altro) il lavoro sulle tastiere, a cui è attribuita pure un’importante variazione, che rende secondo me più intenso e potente il tutto.
Per quanto riguarda il principale punto di forza del gruppo, pure qui la scelta mi è stata veramente difficile. Prima ho pensato infatti che esso fosse rappresentato dalla fantasia che i Bloodshed si portano appresso, seppur non mi pare poi così accentuata come in altri gruppi qui recensiti, come i Nimroth oppure i Deprogrammazione (altra realtà simile al sestetto sardo per resa qualitativa, pur non avendo così tanti problemi in fase conclusiva), però a mio avviso non viene giostrata così a dovere, ed i finali tirati fuori me lo dimostrano tanto che alle volte i nostri praticamente si paralizzano ripetendo in modo diverso una stessa soluzione (“Alive in Destruction” e “Eternal Night”). Come seconda cosa ho preso in considerazione la melodia, altresì non poi così “esagerata” come mi è capitato di sentire nell’ultimo demo dei grandi Confusion Gods, e comunque credo che, riallacciandomi con il discorso poc’anzi fatto, venga spesso calibrata in malo modo, oltre al fatto che sì mi trasmette qualcosa ma fino ad un limite ben preciso (vabbè, tranne soprattutto per “Infernal Melody”, a mio parere, una girandola di emozioni). Alla fine, ho scelto per le tastiere, strumento importantissimo per vari motivi, ed anche piuttosto versatile nelle situazioni, permettendo così all’ascoltatore più esigente di non immergersi in un mare di noia, e tra l’altro credo che sappiano essere molto più tecniche e fantasiose che nei già citati Demonia Mundi.
Tirando le somme, i Bloodshed li considero sì un gruppo interessante, ma con molte mele attaccate su di loro per la gioia più sadica degli arcieri, e la cosa più curiosa è che a mio avviso molti dei loro pregi sono contemporaneamente dei difetti, come spero si sia capito nella ricerca del principale punto di forza del gruppo. Il difetto per me più importante è ovviamente la conclusione dei vari pezzi, e quindi consiglio a questi ragazzi di porre una maggiore creazione di nuove soluzioni da mettere sul piatto, magari sfoggiando un poco più di tecnica da parte delle due asce con un’importanza maggiormente accentuata sugli assoli, qualche volta pure intrecciati così da aumentare il senso melodico, di potenza ed intensità…Vabbè, i provvedimenti da fare penso che siano moltissimi e di varia natura, e forse è meglio avvicinarsi a quanto fatto in “Infernal Melody”, ergo è meglio aspettare con pazienza la prossima opera di questi ragazzacci sardi, e per ora propongo un voto riempito anche da molta fiducia. Dolce attesa.
Voto: 67
Claustrofobia
P.S.: faccio notare che “Eternal Night” viene sì introdotta da una chitarra acustica ma prima di essa si sente un suono piuttosto chiaro e continuo, facendo sentire poco dopo, insieme al primo, dei passi e successivamente una porta che forse viene aperta.
Tracklist:
1 – Epic Gods/ 2 – Alive in Destruction/ 3 – Darkness of the Soul/ 4 – Eternal Night/ 5 – Anonymous/ 6 – Immortal Dreams/ 7 – Infernal Melody
MySpace:
http://www.myspace.com/ozieribloodshed
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