Tuesday, November 13, 2012

Vivid Remorse - "Down to the Wire" (2012)

Album (Art Gates Records, 15 Ottobre 2012)

Formazione (2006):    Joel “Ocell” Repiso – voce;
                                    Gustavo “Gufy” Roveredo – chitarre;
                                    Gabriel Malavè – basso;
                                    Xavi F. Vidal – batteria.

Provenienza:               Barcellona, Catalogna (Spagna).

Canzone migliore del disco:

“Seize the Death”.

Punto di forza dell’opera:

la voce.
Secondo album, dopo “The Seed of Malaise” del 2010, per questi ragazzi spagnoli, che fanno finalmente tornare il thrash metal su queste pagine, genere che mancava dai baresi Burning Nitrum di parecchi mesi fa. Solo che i Vivid Remorse non sono propriamente un gruppo puro, e ciò significa che, come si vedrà, loro si nutrono delle più diverse influenze per creare un disco a suo modo ambizioso… e anche ambiguo.

Prima di tutto, qui il thrash è decisamente moderno fin dalla produzione, pulita e compatta. L’impatto non è violentissimo perché si cerca sempre un equilibrio fra le parti veloci (che raramente si risolvono in tupa – tupa esagitati) e quelli più lenti, tanto da proporre talvolta passaggi tipicamente macho metal (alcuni lo definirebbero groove metal, ma queste sono sottigliezze dai). Ma anche per via di un approccio melodico che sa essere interessante, come nell’epicheggiante “Theory of Fear” o in “Seize the Death”, dalle melodie a volte incredibilmente “dolci” e disperate. E non è neanche un thrash così fissato con la tecnica, e quindi con gli assoli, presenti in 6 canzoni su 11 e che spesso sono delle pur efficaci e varie comparsate essendo stranamente brevi.

Ma la prima cosa che colpisce della musicalità dei Vivid Remorse è sicuramente la voce. La quale è molto versatile, passa cioè dai momenti più passionali e melodici a quelli parlati, da quelli più isterici come improvvise urla acute a veri e propri grugniti, usati con buona frequenza, che nella sola “Involution” sanno diventare addirittura gutturali. Talvolta le voci vengono doppiate, mentre le linee vocali, spesso notevoli, sono costruite con una fantasia non di poco conto. Ma con un cantante del genere questo mi sembra ovvio…

La seconda cosa da menzionare assolutamente è la struttura dei pezzi, anche perché tra quelli della prima e della seconda parte del disco sussiste qualche leggera differenza. Infatti, i primi brani sembrano essere in genere più sequenziali e complessi, specialmente “Theory of Fear” e “Overdosed”, che talvolta sono quasi da giri di testa, mentre i restanti (“Involution” non si conta che fa razza a parte) paiono invece più liberi e scatenati, come “Seize the Death” e “L’angoixa de l’existència”. Di conseguenza, cambia anche la posizione degli assoli, che nella prima parte si fanno comunque vivi dopo aver ripetuto più o meno per due volte la stessa sequenza, ma nella seconda non sempre è così. L’andamento delle canzoni è a ogni modo (quasi) sempre interessante, se non ingegnoso come in “Nobody Answers” (dove una delle soluzioni principali praticamente si sviluppa attraverso delle variazioni fisse che rendono più isterico il tutto). Peccato però che la struttura di alcuni episodi fatichi un po’ a decollare, coinvolgendo così l’ascoltatore in misura minima: per esempio, “Biopiracy (The Seed of My Land)” ripete quasi le stesse cose, mentre “Seven Days of Fire”, da un momento in poi fino al finale, si fossilizza su una certa soluzione che non viene sviluppata debitamente. In questi casi, urge probabilmente un breve assolo che dinamicizzi il tutto, oppure uno schema più agile, come quello di “Involution”.

Tale canzone è guardacaso una delle più riuscite del lotto, e sicuramente quella più cattiva. Il motivo è presto detto: è proprio qui che si fanno rispettare le tanto decantante influenze death, che permettono al gruppo, fra le altre cose, di andare per la prima e unica volta in blast – beats, seppur per dei brevi ma intensissimi momenti. Ma “Involution” è purtroppo un episodio isolato che non trova nessun riscontro negli altri pezzi, e quindi è un peccato, perché a tratti sembra quasi di ascoltare un gruppo diverso, come nella ballata “The Never Falling Cries”, che ha lunghissimi assoli rockeggianti e introduzione acustica. Insomma, va benissimo personalizzare i pezzi ma in questi casi c’è veramente troppa dispersione.
Ecco perché prima ho usato le parole “ambizioso” e “ambiguo” per definire questo disco. I Vivid Remorse devono rendere assolutamente più compatta la propria musica, devono affinare le proprie potenzialità finora espresse in maniera un po’ confusa. I ragazzi sono a metà strada, hanno già fatto un buon passo, quindi perché non sperare in un miglioramento?

Voto: 69

Claustrofobia

Scaletta:

1 – Biopiracy (The Seed of My Land)/  2 – Imaginary Actress/ 3 – Theory of Fear/ 4 – Overdosed/ 5 – Involution/ 6 – Nobody Answers/ 7 – Seize the Death/ 8 – Seven Days of Fire/ 9 – L’angoixa de l’existència/ 10 – Stop on Time/ 11 – The Never Falling Cries

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