Friday, April 2, 2010

Carnal Gore - "Promo 2009"

1. INTRODUZIONE.

La Calabria, terra da dove provengono alcuni dei migliori gruppi estremi del sottosuolo estremo italiano, e che nei prossimi giorni inonderà letteralmente le pagine di “Timpani Allo Spiedo” grazie a 3 diverse formazioni, tra cui 2 che hanno già fatto banco in passato per la rivista, sia nella sua preistorica e nostalgica versione e-mail che in quella Internettiana, seppur da qualche settimana abbiate fatto conoscenza degli sperimentalosi A Buried Existence. E stavolta tocca al turno dei Carnal Gore, giovane quartetto di belle speranze nato nel 2005 in quel di Catanzaro, solo che l’unico problema è che personalmente hanno un po’ deluso, e la cosa curiosa è che mi hanno ricordato in un certo senso i torinesi Veil di “Freedomicide”, tanto interessanti per quanto riguarda il suono proposto, quanto a mio parere spesso piuttosto deficitari nell’importantissima fase strutturale. Ma andiamo con ordine.

2. PRESENTAZIONE DEMO.

I Carnal Gore, costituiti attualmente da Rob voce, Steven chitarre, Kirk basso, e Sam batteria, con questo secondo demo dal semplice titolo di “Promo 2009” e che segue il primo pargolo dal nome omonimo, hanno offerto ai posteri 3 pezzi per un totale di quasi 14 minuti complessivi di musica. In tutto questo arco di tempo si trova un suono decisamente vario e fantasioso e tecnicamente piuttosto notevole, e che definirei principalmente death metal di impronta moderna, a cui fanno capolino influenze thrash e black (queste ultime forse in misura maggiore), oltre a presentare probabilmente sotto il profilo vocale delle caratteristiche di stampo più propriamente brutal. Insomma, un “mischione” tremendamente dinamico, e questo senso di dinamicità aumenta notevolmente se si pensa alla struttura che permea i vari brani, che comunque se non erro è spesso classica, seppur non strettamente. Infatti, da tal punto di vista i Carnal Gore mi hanno rimandato, seppur debolmente ma comunque sempre rimanendo nei territori di “Timpani Allo Spiedo”, agli A Buried Existence, ossia viene posta una buona importanza al più tipico schema strofa-ritornello, per poi vomitare di solito una serie di nuove soluzioni, solo con alcune differenze importanti e degne di nota: 1) ogni canzone ha un’introduzione strumentale, contrassegnata però sempre da brevissimi interventi vocali, la quale alle volte sa essere pure tremendamente lunga (quella da un minuto di “Into thr Shrines of Gith” è esemplare a tal proposito), e dominate spesso da una violenza notevole (“Serve or Be Served” e proprio “Into the Shrines of Gith”), in grado di far presagire un po’ quello che succederà successivamente; 2) la struttura strofa-ritornello di cui sopra, a 2 opzioni, viene solitamente interessata (sempre “Into the Shrines of Gith” e “Succubus Dreams”) da variazioni ritmiche (come per il 1° brano citato) oppure effettivamente per quanto concerne il tempo (cosa che accade al 2°); 3) inoltre, nella ripresa di tale schema le battute frequentemente non sono le stesse fatte in precedenza, come le 2 in luogo delle 3 della seconda soluzione di “Succubus Dreams”, e le 2 invece delle 4 del terzo passaggio di “Serve or Be Served”, ed in tal modo il discorso per me diventa piacevolmente imprevedibile. Faccio notare tra l’altro che la strofa si concentra sempre entro tempi medi, benché a mio avviso non esattamente grooveggianti, altresì il ritornello, tranne per l’ultima canzone menzionata, è orientato verso tempi veloci. Una cosa però che mi interessa molto è data dal fatto che, nonostante inizialmente venga rispettato il più comodo e semplice schema, i Carnal Gore, dopo averlo ripetuto, seppur non pedissequamente come osservato poc’anzi, per 2 volte amano crogiolarsi eseguendo un buon numero di nuove soluzioni, così che alla fine soltanto una canzone, cioè “Succubus Dreams”, conosca il ritorno ai 2 temi principali, mentre invece “Serve or Served” lo assapora in parte, nel senso che prima viene riproposta per la terza ed ultima volta la strofa, per poi finire il brano, neanche con il tempo di concludere una propria battuta, con il ritornello. Comunque è meglio trattare l’argomento strutturale più diffusamente fra poco, per ora mi è doveroso aggiungere che curiosamente le soluzioni che vengono riprese durante il prosieguo del discorso aumentano con il passare dei pezzi, passando così dalle 3 di “Serve or Be Served” alle 5 di “Succubus Dreams”.

Per quanto riguarda invece la produzione, non credo proprio che essa piacerà agli amanti delle sonorità antiche, dato che il suono è decisamente pulito, facendomi rimandare alle volte alle produzioni degli Psycroptic. Tale raffinata pulizia del suono fa a mio avviso da contrasto con le frequenze, le quali sono state impostate su degli alti mooolto assordanti se non si regola il volume ad un livello “sopportabile” per i timpani, ma penso comunque che questo tipo di frequenze non vada di pari passo con la musica che i Carnal Gore offrono, essendo essa a mio parere non basata propriamente sull’impatto assassino, come accade altresì spesso ad un gruppo brutal, oppure sulla freddezza apocalittica (da tal punto di vista mi vengono in mente soprattutto i Lilyum, ma già siamo su altre parti soniche). Secondo me è invece piuttosto buono il bilanciamento dei suoni, con il basso in discreta evidenza ma non troppo (non aspettatevelo come in “War Was Won” degli Irreverence insomma), spiegabile specialmente se si pensa alla natura collettiva, non fondata quindi sulle capacità tecniche dei singoli, che permea l’universo sonoro dei Carnal Gore.

3. ANALISI STRUMENTI.

E’ finalmente l’ora dell’analisi della voce. Il lavoro di Robert mi pare veramente classico di molti gruppi moderni operanti specialmente nel settore brutal, dato che il nostro si ciba dell’alternanza tra dei grugniti di marca death, che alle volte esplodono con fare, come dire, quasi “squillante” (soprattutto in “Serve or Be Served”) che mi hanno fatto ricordare in tal senso l’evoluzione del genere di cui sopra, e delle urla gracchianti, le quali secondo me raggiungono il massimo della cattiveria per esempio in certi momenti di “Into the Shrines of Gith”. Oltre a tutto ciò, viene usata, ma solo per pochissimi millisecondi in “Serve or Be Served”, una voce che non saprei come definire, probabilmente come una via di mezzo tra un grugnito e delle tonalità più pulite, seppur sempre di vocalizzi belli aggressivi si tratta. Interessanti pure gli effetti qualche volta innestati sulla voce, come l’effetto d’eco di “Into the Shrines of Gith”, abile a mio avviso a potenziare un grugnito, mentre in alcuni saettanti momenti di “Succubus Dreams” Rob viene accompagnato da un suono che aumenta velocemente d’intensità, come per simboleggiare lo sforzo nel ricordarsi un sogno, effetto “aereo” che c’è, pur meno insistente e senza la voce, anche in “Serve or Be Served”. Nella stessa “Succubus Dreams” le urla di Rob vengono ad un certo punto, come dire, “risucchiate”, come se stessero dicendo addio a questo mondo consapevoli della propria sicura vile morte che verrà. Bisogna segnalare inoltre che in quest’ultima canzone alle volte è presente un simil-coretto brevissimo e fulminante, ma da questo punto di vista non aspettatevi niente che abbia a che fare neanche lontanamente con il caro vecchio thrash metal. Riguardo invece alle linee vocali, queste mi paiono spesso abbastanza buone, benché non proprio fenomenali, prediligendo in particolar modo quelle di “Serve or Be Served”, soprattutto il semplice ritornello, anche se devo dire che quelle inerenti la prima parte della formula strutturale già trattata molte righe fa di “Into the Shrines of Gith”, non mi sono poi così garbate, le quali forse non legano esattamente con la durezza un po’ ipnotica della soluzione musicale tirata fuori.

Discorso chitarre: sotto questo profilo i Carnal Gore dimostrano secondo me una varietà e fantasia tremendamente encomiabili, anche andando al di là dei confini del Metal vero e proprio, considerando soprattutto le punte disperate e quasi rassegnate di “Succubus Dreams”, le quali farebbero sicuramente felici gli amanti delle sonorità degli Isis di “Oceanic” (o giù di lì) o degli ultimissimi sempreverdi Neurosis. Tra l’altro, il nostro Steven sa a mio parere interpretare in maniera personale un genere come il black metal, attraverso in special modo la tecnica del tapping (“Into the Shrines of Gith” e “Succubus Dreams”), di certo una cosa che non si sente molto in circolazione in ambito estremo, ed inoltre gli interventi in black metal, inizianti da “Into the Shrines of Gith” in poi, penso mostrino una grandiosità monumentale, talvolta anche un gusto melodico tempestoso (soprattutto se si usa il tapping, dove mi viene in mente addirittura certa musica classica, ben sapendo che può sembrare una considerazione idiota), seppur non disdegnando della bella sana cattiveria, come si leggerà fra qualche pagina del resto. Terribilmente malvagi sanno essere pure (e lo credo bene!) i riffs death metal (in tal caso, sono esemplificativi soprattutto “Serve or Be Served” e “Succubus Dreams”), mentre in altre occasioni si trasformano persino entro sonorità che descriverei ipnotiche (sempre “Succubus Dreams”, guarda caso) oppure anche in un modo a me terribilmente apocalittico e dal taglio malato, facendomi venire in mente per esempio certe cose fatte dai francesini Scarve (“Serve or Be Served”). Il thrash mi pare un pochino meno frequente rispetto ai suoi “figli” (ossia, il death ed il black), dato che lo riesco a sentire, eruttando fra l’altro una furia incontenibile, in “Into the Shrines of Gith”, ed in qual modo, ma reso praticamente irriconoscibile e mischiato con il death, avverto l’influenza thrasheggiante in “Serve or Be Served”. Ma come non citare inoltre le intense soluzioni granitiche e stoppate della stessa ultima canzone appena citata? Nonostante Steven se la cavi a mio avviso moltissimo tecnicamente parlando, qui e là non c’è nemmeno una mollica di solismo, e da questo punto di vista la scelta non mi sembra sia stata azzeccatissima, ma il perché lo dirò trattando più diffusamente le varie canzoni, eppure il nostro pare apprezzare la sovrapposizione dei riffs (una cosa comunque che non ho mai capito, almeno nel caso di un gruppo che dal vivo suoni con una sola chitarra ma contenti loro…che cazzo di pensieri che mi vengono in mente!). La cosiddetta sovrapposizione di chitarre a dire il vero non è poi così frequente, ma pure qui l’inventiva non credo manchi affatto, e forse il brano esemplificativo a tal proposito sia “Into the Shrines of Gith”, il quale risulta introdotto da una chitarra ritmica epica e doomeggiante, però con interventi anche stoppati, mentre la sua compagna gioca con fare maggiormente virtuoso su note alte. La conclusione è in pratica la modificazione dell’introduzione, facendola orientare su tempi blasteggianti e quindi con la chitarra solista (beh, più o meno) che se non sbaglio ha semplificato il suo lavoro rispetto a quella ritmica, resa ovviamente più continua e veloce. Sovrapposizioni, benché vincolate, ossia le due chitarre suonano se non erro le stesse note solo su tonalità diverse, ci sono anche negli altri due brani, però in misura minore, riempiendo comunque così tutto l’insieme.

Semplice e senza pretese è il lavoro del basso, e con tali termini mi riferisco al fatto che questo strumento esegue il suo compito senza proporre ricami virtuosi (come al contrario mi è capitato di sentire nei Sacradis, nei Ghouls e nei Resumed), e quindi qua si rispettano i suoi più tipici canoni di utilizzo, essendo estremamente vincolato dai riffs di chitarra, anche se in un momento di “Serve or Be Served” il nostro Kirk suona una linea indipendente dall’ascia, seguendo più che altro il ritmo della batteria, seppur il suo stesso riff provenga da un motivo precedente proposto anche dalla chitarra. Mi sembra doveroso segnalare però il fatto che, nonostante la non-estrema vitalità del basso nella musica dei Carnal Gore, a esso stesso è attribuito uno stacco quasi nel finale di “Succubus Dreams”, seppur a mio avviso non di particolare efficacia. Presto anche per questo sarà esplicato il motivo.

Ed ora tocca alla batteria, che personalmente considero quale il miglior punto di forza del gruppo in questo demo, dato che l’assalto di Sam risulta tremendamente fantasioso e certe volte da ritmi che non mi paiono così comuni da sentire (anche se è meglio non allargarsi troppo in queste considerazioni), i quali sono ammantati inoltre da un’imprevedibilità e da delle variazioni repentine e dolorose, che riescono secondo me a dinamicizzare ed a rendere più vivo tutto l’insieme, anche se comunque mi pare piuttosto difficile rivaleggiare con l’inventiva ritmica ed a-lineare di Luca Zamberti dei Mass Obliteration, e con le sempiterne variazioni brusche ed apparentemente fuoriluogo di Claudio Testini dei Ghouls (se non lo avete capito, sto facendo paragoni con formazioni partecipanti a “Timpani Allo Spiedo”). Intanto siamo su una strada che consiglio di seguire. Quindi, tra battuta e battuta, si cerca di variare un determinato ritmo, questo spesso piuttosto lineare e non esattamente difficile da digerire. C’è però un altro fatto importante e che dà una marcia in più a tutta la musica, così da potenziarne ulteriormente l’intensità, seppur purtroppo sia poco usato: lo stacco percussivo, presente unicamente in “Serve or Served”, breve, velocissimo, spontaneo ed abbastanza tecnico, una vera e propria coltellata nei fianchi! Inoltre, penso che se non ci fosse stato un batterista capace di valorizzare per esempio uno stacco di chitarra di “Succubus Dreams” con tanto di tom-tom, oppure il piatto stoppato finale che si fa sentire durante la quinta soluzione di “Serve or Be Served”, abile a mio parere anche a prevedere una piccola pausa spacca-ossa, forse i Carnal Gore non mi facevano un effetto simile, ovviamente con tutto il rispetto che ho verso gli altri membri del gruppo. Ma per chi vuole un massacro ferocissimo si dovrà presto ricredere, dato che da queste parti viene proposto un buon equilibrio tra i tempi veloci e quelli più lenti, e difficilmente vengono sputati incubi doomeggianti, come può invece succedere in un certo senso per i momenti più striscianti e minacciosi della lunga “Succubus Dreams”. Anche ascoltando attentamente il lavoro della batteria, ho notato influenze che, oltre al death metal, annoverano probabilmente il classico stile spezzettato e nervoso del thrash metal (“Into the Shrines of Gith”), pure quando l’impianto del riffing neanche lo sfiora minimamente (“Succubus Dreams”), come pure certe svisate blasteggianti in senso black, con quel modo un po’ statico del ritmo (soprattutto negli ultimi 2 pezzi, guarda caso). Frequenti ma senza esagerare sono i tempi grooveggianti, anche espressi in maniera un po’ contorta e strutturata e con tanto di ride, come anche di tom-tom (sentitevi a questo proposito specialmente “Serve or Be Served”). Inzumma, pure Sam non mi sembra tecnicamente uno sprovveduto, neanche circa l’ottima inventiva che si ritrova.

Peccato comunque che, almeno personalmente certo, sotto il profilo strutturale, come già osservato del resto durante l’introduzione, i Carnal Gore mi sono piaciuti spesso veramente poco, e con tale premessa parto subito a manetta dalla prima canzone.

4. “SERVE OR BE SERVED”.

“Serve or Be Served” incomincia con quella che considero come l’introduzione più violenta partorita dalla formazione calabrese, essendo a mio avviso di matrice death e tra l’altro è pure blasteggiante. Poi si incomincia a dare adito al 2 – 3 (quest’ultimo con la parte finale forse un po’ black) – 2 – 3, che poco successivamente creerà una fitta sequela di ben 4 diverse soluzioni (tra cui la 4 viene modificata dal punto di vista ritmico, mentre la 6 per il differente riffing, in un modo su note alte che definirei apocalittico), le quali vengono introdotte dapprima da uno stacco di chitarra (strumento che i Carnal Gore usano spesso per tali momenti), che apre le danze alla soluzione tremendamente death (ossia, la 4), e di quello di batteria, di cui si è già parlato. Ma a mio parere si può dire che la parte centrale del pezzo cominci dallo stacco collettivo dal riffing “grattugiato” che cede il posto al 5, passaggio decisamente diverso dalle cannonate feroci e senza pietà del precedente. E secondo me il primo campanello d’allarme è rintracciabile nel legame tra il 4 ed il 5, vuoi per la considerazione di cui sopra, vuoi perchè il primo non ha in pratica uno sviluppo vero e proprio come lo possiede il passaggio successivo, vuoi perché, di conseguenza, non mi pare che il momento “incriminato” faccia parte del lento ma rapido (per la concentrazione di varie soluzioni e talora modificazioni) climax, giostrato a mio avviso alla perfezione fino a quando non succede una cosa che definirei anomala: si riprende, com’è per me giusto che sia dopo avere espresso tanta intensità, il 2 sottoforma di stacco di chitarra, solo che questo viene manipolato facendolo così diventare lontano e gradualmente sempre più lento, distruggendo così per quanto mi riguarda tutta la costruzione distruttiva fatta in precedenza, in modo da non valorizzare quella che verrà, date le modificazioni al suono. Va bene essere moderni, ma forse in questo modo è troppo, seppur il gruppo penso che dopo un pochetto si salvi immettendo un effetto (che sarà poi utilizzato in seguito, almeno in “Succubus Dreams”) “aereo” che diventa velocemente più alto ed intenso. Purtroppo però che a mio parere neanche un effetto simile viene sfruttato a dovere, dato che credo potesse essere usato per completare definitivamente il climax, intervallato dallo stacco di chitarra già trattato il quale può rappresentare in certo qual modo la preparazione per l’apice emotivo del brano, ossia un bel assolo devastante. Invece no! Secondo me è stata giustissima la scelta di ritornare nella prima parte dello schema strofa-ritornello ma senza farmi in tale sede presentare quel sussulto emotivo, quell’illuminazione dei sensi, vanificando il tutto con l’entrata perentoria della voce (questa quasi onnipresente come insegnano fra l’altro gli Psycroptic), e poi con una parte finale che non mi ha dato praticamente niente, in quanto viene proposto, dopo il ritorno del 2, un 1 - 3 a mio avviso non molto efficace, dato che si poteva magari dare il botto definitivo con l’1, facendolo possibilmente improntare nell’arco di 4 battute, ad una violenza blasteggiante crescente ogni 2 e concludente con dei piatti terremotanti, finendo in tal modo tutto il discorso in maniera brusca, degno epitaffio anche di fronte ad un assolo mancato. Probabilmente così il brano usciva meglio, invece si è concluso attraverso il 3, senza nemmeno fargli finire una singola battuta, mentre i momenti finali della canzone si sono fatti concentrare su un tempo medio su doppia cassa sì efficace ma, date le considerazioni di cui sopra, forse non seguito da una soluzione simile. Ritornando però al legame almeno apparentemente forzato tra il 4 ed il 5, devo dire che negli ultimi momenti del primo Sam abbassa il tempo, facendolo in pratica diventare medio, però su doppia cassa, quindi penso che si possa un pochino giustificare.

5. “SUCCUBUS DREAMS”.

Discorso decisamente più complesso per “Succubus Dreams”, che altro non è che il pezzo più lungo di tutto il demo, essendo di circa 6 minuti. Inoltre, è anche l’episodio che, oltre a presentare un maggior numero di soluzioni (più o meno 8, ma il record in proporzione al minutaggio appartiene a “Serve Me or Served” che è sì sempre di 8 ma concentrati entro quasi 4 minuti), offre un numero quasi esorbitante di stacchi, più o meno 10, i quali alcuni sanno essere a mio parere letali, ma in modo ahimè negativo. “Succubus Dreams” inizia con un passaggio che propone in pratica 2 battute e mezzo (aspetto strutturale che mi sembra tra l’altro usato non poche volte dai Carnal Gore, di solito con una battuta in più) considerando che si aprono le danze con la parte finale della prima soluzione, la quale, dopo uno stacco di chitarra che la completa, viene modificata in versione che mi pare death melodico, modificazione che a sua volta cede il posto ad un altro stacco d’ascia, per dare finalmente il fiato alla sequenza strofa-ritornello 2 – 3 – 2 – 3. Solo che la canzone tra poco scoprirà, almeno per quanto mi riguarda com’è ovvio, una discontinuità qualitativa e di carica che non credevo arrivasse dopo la 4, soluzione che considero notevolissima, data la sua intensità quasi di matrice punk/hardcore ed alla sua modificazione prettamente ritmica (come questa fondata, ugualmente alla sua fonte originaria, da 4 battute) a volte dai tratti quasi seghettati. Però penso che tale passaggio successivamente non abbia praticamente uno sviluppo, non venga insomma approfondito per bene, facendo così ritornare il discorso al 1 – stacco di chitarra – 2 – 3 di prima, in modo secondo me da perdere in quattro e quattrotto sia l’intensità che forse il filo emotivo, cambiato in maniera probabilmente molto brusca senza tra l’altro un aspetto musicale che fungesse a parer mio da ponte tra le due soluzioni così da valorizzare la successiva, come può esserlo benissimo un bel urlo nel mezzo. Ma vabbè. La sequenza di cui sopra viene ripetuta, come in precedenza, con l’unica differenza che l’1 mod. dopo una battuta viene intervallato da un effetto “aereo” + voce che permette a tale passaggio di ripetersi completamente un’altra volta. Ma l’intensità creata prima viene secondo me veramente distrutta definitivamente anche grazie alla ripetizione un po’ pedissequa dei 3 temi principali. Fortuna però che si fa vivo alla fine uno stacco di chitarra, intensificato ottimamente dai tom-tom della batteria, che comincia a creare finalmente un panorama minaccioso e cattivo in salsa death/doom (beh, più o meno), accompagnato poi da una sua violentissima modificazione, seppur non blasteggiante, ritornando poco dopo al 5 (cioè il momento doomeggiante di cui sopra). Negli ultimi 2 minuti della canzone i Carnal Gore si “adagiano” a mio avviso fin troppo negli stacchi (in tutto ben 4) che penso spezzettino continuamente il brano, allentando sia la tensione che l’attenzione, con particolare riguardo verso l’ultimo, quello del basso, che fa gustare poco dopo un climax che però considero gravemente macchinoso e forzato, in quanto uscito fuori in maniera probabilmente brusca e senza seguire tra l’altro una logica emotiva coerente ed approfondita, dato che qua si vive di momenti troppo diversi fra loro. Infatti, dopo il 5 si riprende, ancora similmente a prima, l’1 mod. (il quale, scordavo, presenta un ritmo che definirei piuttosto speed, ed ovviamente su doppia cassa), che credo dovesse seguire altresì massimo la minaccia death/doom già trattata per poi infilare, dopo tale “riposo pericoloso”, giustamente nel discorso finale la disperata distruzione black, solo che questa penso non sia stata valorizzata a dovere né dallo stacco di basso, non troppo violento secondo me come invece può esserlo uno di batteria, né dalla esplorazione del passaggio a mio parere un po’ troppo breve e sbrigativa, considerando che personalmente non ho assorbito poi così tanto la sua atmosfera malvagia, ma anche disperata, abile così a sintetizzare secondo me ottimamente anche appunto la disperazione, seppur non troppo pesante, dello stesso 1 mod.. Inoltre, pure qui penso che un bell’assolo serviva, così da non allentare la tensione durante la ripresa di quest’ultimo passaggio, utile magari anche ad introdurre la successiva desolazione dommeggiante. Devo far notare però che nella parte finale dell’ultima apparizione della prima soluzione del brano si fa vivo un notevole imprevedibile momento “isisiano” bello disperato, aperto fra l’altro da dei tom-tom devastanti e ben calibrati.

6. IL PEZZO MIGLIORE DEL LOTTO.

Tutte queste critiche mi sono servite in pratica per arrivare a quello che considero il miglior pezzo del demo, ossia “Into the Shrines of Gith”, che tra l’altro è il membro più “modesto” di tutto il lotto, dovendo fare i conti con i suoi circa 3 minuti e mezzo di durata. Se non sbaglio è anche quello che presenta un numero minore di stacchi, dato che se ne trovano soltanto 2, sempre e solo di chitarra, ed ogni volta durante lo stesso schema strofa-ritornello. Ergo, il discorso viene offerto in maniera più fluida e continua del solito. Il brano inizia inoltre in un modo che oserei definire quasi epico, in quanto la musica, in prima battuta, risulta ovattata, e poco dopo si alza bruscamente, come un qualcosa di orgoglioso che non si vuole lasciar soccombere facilmente. Ci sono i tonfi di una chitarra ritmica che mi sembra onorare tutti i sacrifici fatti nel nome dell’Oscura Regina e le note senza sosta di un’ascia solista che pare rendere, in un panorama di disperazione, continua fedeltà a Colei, mentre la batteria non segue un vero e proprio ritmo dato che il suo lavoro si concentra maggiormente sui piatti ed i tom-tom, così da accentuare quello della chitarra ritmica, e per questo credo possa simboleggiare ulteriormente un’epica battagliera che sa di ricordi sanguinolenti ma fedeli. La lunga introduzione rappresenta forse idealmente l’attesa quasi senza speranza per il ritorno dell’Oscura Regina, ma anche talvolta le voci malvagie che popolano l’universo straziato di Gith. E’ un percorso decisamente imprevedibile, in cui la batteria riesce a raggiungere pure tempi paurosi, conditi magari da blast-beats furibondi eppur spezzettati (da notare che nella terza apparizione dell’1 mod. Sam ricalca quanto fatto nella prima occasione del passaggio appena citato, e guarda caso entrambe si presentano attraverso 2 battute) probabilmente in modo da rendere profondamente molto più violenta la 4, la quale è una soluzione che considero dal taglio assurdamente black entro angoscianti blast-beats, che fra l’altro dopo 2 battute essa diviene dal riffing maggiormente dissonante e con nessuna pietà. Poco successivamente, introdotto da uno stacco, il 4 viene modificato, dato che viene letteralmente unito con un assalto frontale di impronta thrash, per niente melodico, un po’ in contrasto alla sua controparte black. Tale passaggio si esprime se non erro tramite 3 battute, per poi chiudersi in una rabbia inarrestabile completamente thrasheggiante (compresa la batteria), ripetendosi addirittura per 8 distruttive volte, e dalla quinta in poi partecipano anche, per dar manforte al tutto, i grugniti di Rob. Avverto adesso un climax profilarsi incessante all’orizzonte, aiutato in particolar modo dalle summenzionate 8 impietose battute, che paiono rappresentare forse l’attacco rabbioso e senza scampo di Gith, con annessa disperata resistenza e morte catartica ed eroica rispettivamente con il ritorno al primo passaggio del brano e successiva modificazione blasteggiante, la quale rende a mio parere maggiormente epico il discorso soprattutto grazie ad una chitarra che con poche riuscite note riesce ad irrobustire il discorso della sua compagna, che modifica il riff originario nella maniera a me cara del death melodico. Comunque, questo passaggio si esprime in pratica attraverso 3 battute e mezzo, allentando bruscamente il tempo con tanto di tonanti piatti finali. Finale brusco e tra l’altro con una nota che mi sa più di apertura che di chiusura, come per simboleggiare idealmente un cuore che si spegne attraverso una morte veloce ma brutale perché diretta verso un oblio spaventoso e senza ritorno. A dire il vero, penso che gli ultimi momenti della canzone potevano essere riforniti meglio, magari con un assolo (aridanghete! Si ritorna sempre qui eh?), così da dare ancora di più un senso epico, in modo da trasmettere maggiormente il terribile destino che tocca al fedele servitore. Almeno, però, rispetto agli altri 2 pezzi, “Into the Shrines of Gith” se la cava secondo me benissimo.

7. CONSIDERAZIONI AGGIUNTIVE SULLA STRUTTURA DELLE CANZONI.

Mi sono reso conto comunque che, con il passare dei pezzi, la loro struttura mi pare in un certo senso molto prevedibile, pur non essendo classica in tutto e per tutto, come in fin dei conti già osservato. Infatti, si può dire che, a grandi linee, i vari brani si articolino in 4 parti: introduzione, sequenza strofa-ritornello talvolta modificata leggermente (i quali si basano di solito rispettivamente su tempi medi ed un po’ più veloci), “cazzeggio” – preparazione per il picco emotivo (e ciò indipendentemente dalla macchinosità o meno espressa – vedasi “Succubus Dreams”), climax (che avviene sempre esattamente nel finale, tranne però per “Serve or Served”). E’ praticamente uno schema che mischia se non sbaglio il vecchio con il nuovo, dato che qui è come se si seguisse il filo di una rabbia dapprima paranoica e quasi insicura, ma che dopo, pian piano, esplode in tutto il suo impeto, libero e senza limiti, e la cosa a me curiosa è che l’apice emotivo è sempre e comunque contrassegnato da una melodia, come a voler dire di essersi finalmente liberati dalla rabbia oppressiva che prima attanagliava così tanto la propria mente. Tale tipo di struttura, appunto per la sua caratteristica di crescita quasi continua, mi rimanda per certi versi a quella dei gruppi cosiddetti di post-metal (mi chiedo però dove sia questo tanto osannato “post”), dai contorni secondo me quasi ritualistici ed ipnotici, quali gli stessi Isis od i più giovani Cult of Luna. Sicuro comunque che tutto ciò sarà argomento di discussione nell’intervista annessa.

8. CONCLUSIONI.

Vabbè, inzumma, siamo alla fine, dopo aver accecato gli occhi chissà a quante persone che hanno osato arrivare coraggiosamente fin qui. Tirando quindi le somme, i Carnal Gore hanno a mio parere delle notevoli potenzialità e talvolta anche una buona personalità (come la struttura dei pezzi ad esempio, che in ambito estremo fa una bella figura), però alle volte si attorcigliano gravemente “grazie” a degli stacchi fin troppo presenti e non sempre efficaci, a dei climax sbocciati splendidamente ma non gestiti parimenti, ad un creare troppo e quindi in maniera confusionaria, spezzettata ed anche sbrigativa. Il che mi fa dire che Steven a mio avviso si deve dare da fare a proporre qualche assolo anche perché la tecnica non gli manca, e magari di utilizzare maggiormente la chitarra solista, visti i validi risultati, e che Sam dev’essere ancora più presente nel discorso, considerando la sua fresca fantasia ed intensità, pure negli stacchi; e come ultimo, attenzione a partorire canzoni lunghe perché, almeno personalmente, non ci siamo ancora, e quindi è meglio fare le cose con gradualità. Adesso il voto che tra poco leggerete forse vi stupirà, ma io di questi ragazzi mi fido, e credo sicuramente che il loro prossimo pargolo sarà decisamente migliore del presente, anche prescindendo dai miei consigli, com’è giusto che sia. AVANTI CARNAL GORE, ALLA RISCOSSA!!!

Voto: 65

Claustrofobia

Tracklist:
1 – Serve or Served/ 2 – Into the Shrines of Gith/ 3 – Succubus Dreams

MySpace:

http://www.myspace.com/carnalgore