Prima di parlare del film in senso stretto, bisogna dire che l'idea del film è stata estrapolata da "L'uomo in fuga", il romanzo firmato nel 1982 da Stephen King con il nome d'arte di Richard Bachman. Ma questo libro ancora non l'ho letto però credo che il film ne rappresenti una sua estrema spettacolarizzazione. Non a caso, nel cast sono stati coinvolti addirittura dei veri wrestler, seppur all'epoca già non più in attività, come Jesse Ventura, il giapponese Toru Tanaka e l'olandese Erland Van Lidth, che in realtà aveva praticato la lotta libera. In più, vi è pure il grandissimo Jim Brown, il poderoso running back tuttora detentore di numerosi record della NFL, cioè la massima lega statunitense (e del mondo, direi) di football americano. E poi, vabbè, c'è lui, Arnold Schwarzenegger, ovviamente nei panni del protagonista, da poco uscito dalle riprese di un film epocale come "Predator".
Detto ciò, lo scenario in cui si muovono tutti questi personaggi sono degli Stati Uniti al collasso e governati con pugno di ferro da un regime totalitario palesemente fascista che, fra le altre cose, invita a denunciare perfino i familiari in cambio di qualche minuscolo privilegio. E che reprime col sangue ogni manifestazione di protesta.
Ecco, è ciò che succede una sera, quando Ben Richards (Schwarzy), un pilota militare di elicottero, si rifiuta di aprire il fuoco contro una folla disarmata che chiede soltanto del cibo. Così viene pestato dai suoi commilitoni, incolpato ingiustamente della strage fino a diventare famoso con il simpatico nomignolo de "il Massacratore di Bakersfield", e messo a marcire in un penitenziario dove fuggire è teoricamente impossibile perché ogni detenuto è provvisto di un collare che gli fa esplodere la testa appena prova a scappare. Eppure, 18 mesi dopo, Ben riesce a evadere con l'aiuto di 2 suoi compagni, combinando una vera fuga di massa. Purtroppo però, dopo aver conosciuto una musicista al soldo del network di nome Amber Mendez (Maria Conchita Alonso) con cui tenta di andare alle Hawaii, Ben viene riacciuffato. E così pure i suoi 2 compagni di sventura.
Peggio per loro perché, in tal modo, vengono costretti a partecipare a un sanguinolento e sadico reality show chiamato, per l'appunto, "The Running Man", condotto dal viscido e ipocrita Damon Killian, impersonato da un vero conduttore televisivo quale Richard Dawson, che con questo ruolo praticamente si autoparodiò. Ma questo programma, che in sostanza è un mezzo di controllo di massa, viene fatto con la collaborazione del governo, che gli manda dei criminali o presunti tali, scelti accuratamente da Killian in persona per "giocare" nel ruolo dei cosiddetti "corridori". E quindi qual è lo scopo del "gioco"? Molto semplice: i corridori, in cambio di una presunta libertà, devono affrontare, da disarmati, gli "Sterminatori", pittoreschi omoni armati invece fino ai denti, e interpretati dagli atleti poc'anzi menzionati. Ma indovinate in che ruolo giocano Schwarzy e i suoi compari? Esatto, quello dei corridori! Di cui presto farà parte, suo malgrado, anche la bella Amber.
Ora, il film è bello violento e pieno di morti piuttosto truci, con Schwarzy che spesso le accompagna con le sue classiche battute stentoree. Ma è ingiusto ridurre questa pellicola solo all'azione e alla violenza, fra l'altro a tratti splatterosa senza però eccedere. Perché qui si parla di disinformazione, di propaganda statale, di un potere estremamente repressivo e di lavaggio del cervello, ben rappresentato dall'atteggiamento odiosamente paternalistico di Killian, di fatto il vero antagonista, verso il quale il suo pubblico, come ipnotizzato, nutre un'adorazione incondizionata.
Viene quindi costruita un'atmosfera di terrore decisamente inquietante, anche grazie a una cosa purtroppo attualissima: i video fasulli montati ad arte o completamente inventati di sana pianta sulla base di una specie di IA. Quindi, sì, "The Running Man" si può dire che abbia profetizzato questo uso dell'IA e i suoi pericolosi utilizzi, recentemente sintetizzati dalle infami campagne di Israele riguardo quello che sta attualmente facendo in Palestina.
Alla luce di tutto ciò, "The Running Man", dominato da uno Schwarzy inizialmente disinteressato alla politica ma poi praticamente a capo della Resistenza, non è soltanto uno spettacolare film d'azione sci-fi tutto muscoli e freddure in pieno stile anni '80 ma è anche un qualcosa capace di proporre degli spunti di riflessione in grado di raccontare perfino la nostra attuale realtà, il che non è nemmeno un caso visto che il film è ambientato fra il 2017 e il 2019. E poco cambia se la pellicola abbia un lieto fine perché, a ogni modo, il futuro immaginato dal regista Paul Michael Glaser è tremendamente vicino proprio al nostro presente.

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