Formazione (2010): Stefan Pettersson – voce;
Påhl Sundstrom – chitarre;
Daniel Ekeroth – basso;
Calle Andersson – batteria.
Provenienza: Uppsala (Svezia).
Canzone migliore del disco:
“Black Death on White Wings”.
Punto di forza dell’opera:
la foga crust dei pezzi.
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Però, porca puttana!, quel grugnito perennemente cupo e riverberato provoca inquietudine, ti strappa via l’anima e se la mangia con tutta la bava ectoplasmica connessa. Le urla, più umane del solito, sono praticamente contate tanto da presentarsi in sole 2 canzoni (stupende quelle folli di “The Colours of Darkness”), ma la cosa curiosa è che in un pezzo come “Coronation of the Crippled King”, a un certo punto si fanno vive delle vere e proprie voci pulite, psichedeliche per giunta! Insomma, gli Usurpress saranno pure un gruppo vecchia scuola ma di certo le sorprese non mancano.
E, cazzo, la musica in sé è contagiosa. La furia è in sostanza quella classica del crust, e infatti la batteria è ossessionata dai tupa – tupa tipici di questo genere tanto da non proporre mai assalti in blast. Il riffing invece è spesso putrescente, ma il tutto viene espresso nella forma più scanzonata possibile, non ci sono passaggi cervellotici, tutto procede in maniera semplice e lineare. Fra l’altro, i nostri non si sono nemmeno spremuti così tanto per quanto riguarda l’impianto strutturale delle canzoni, che da tal punto di vista un po’ s’assomigliano fra di loro: prima di tutto c’è l’introduzione, dopodichè c’è l’immortale botta e risposta 1 – 2, poi solitamente c’è un rallentamento, e un po’ più in là si riprendono, ma solo per una volta ciascuna, le due soluzioni principali. Ecco, anche questo schema, molto rigido, è in fin dei conti crust, con la differenza che è un pochino più articolato rispetto a gruppi come Disfear, Dischange, Warcollapse, e di conseguenza i pezzi durano fra i 2/3 minuti.
E poi, oh, ci sarà pure la rozzezza più pura in quest’album, ma comunque i nostri sanno come diversificare i vari brani l’uno dall’altro. Tanto per fare qualche esempio, “Black Death on White Wings” presenta un assolo bello dinamico mentre quelli delle ultime canzoni sono a dir poco primitivi e selvaggi; “The Colours of Darkness” ha un rallentamento oserei dire apocalittico; “I Stand Above Time” ha un inquietante retrogusto blackeggiante; “The Wooden Sceptre” è invece l’episodio più stradaiolo e perfino ballabile del lotto.
Eppure….già, eppure cosa? Sì, non quadra qualcosa d’importante, anzi, non quadra più di una cosa. Più nello specifico:
1) c’è dispersione. Ciò significa che alcune intuizioni vengono abbandonate praticamente subito, come quelle più sperimentali (la già citata “Coronation of the Crippled King”), e pure gli assoli (di qualunque natura), che si rifanno vivi curiosamente negli ultimissimi pezzi dell’album. Per non parlare delle urla, che potevano rendere più folle il tutto e invece sono rari(issime) pure queste;
2) la metodologia strutturale. I pezzi vengono sviluppati male, vuoi perché spesso non ci sono ponti efficaci per collegare fra loro due soluzioni magari molto diverse dal punto di vista emotivo, vuoi perché alcuni rallentamenti sono troppo ossessivi facendo così perdere efficacia a tutto l’insieme, rendendo così anche prolisse le stesse canzoni, vuoi perchè le intuizioni sopraddette (almeno gli assoli) potevano essere sfruttare in modo sicuramente più capillare.
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Voto: 65
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Black Death on White Wings/ 2 – Effigies Burns Across the Wastelands/ 3 – Coronation of the Crippled King/ 4 – The Wooden Sceptre/ 5 – The Colours of Darkness/ 6 – Trenches of the Netherworld)/ 7 – The God Eaters/ 8 – In the Beginning (Ended Yesterday)/ 9 – Dethroned by Shadows/ 10 – I Stand Above Time/ 11 – Seduction Through Bloodshed
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