Formazione (2007): Valente John Alberto, voce;
Federico “Fedestruction” Romano, chitarra ritmica;
Gionata Miletti, chitarra solista;
Giorgio Riti, basso, seconda voce;
Mauro “The Butcher”, batteria.
Provenienza: Pescara, Abruzzo.
Canzone migliore del disco:
quella autointitolata.
Punto di forza dell’opera:
la grandiosa inventiva.
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A questo punto mi sembra giusto descrivere ogni canzone per far meglio comprendere la proposta dei nostri, cominciando ovviamente dal primo episodio:
- “Annoying” rappresenta semplicemente un antipasto di ciò che verrà dopo, visto che non possiede quella follia che hanno i pezzi più riusciti. Si fa notare però immediatamente per il comparto vocale, che fa uso sia di doppie voci sia di un’alternanza bizzarra ma efficace fra voci pulite mai veramente melodiche e delle urla che non sfigurerebbero in un disco black metal tanto sanno essere a volte perfino angoscianti (“The Eyes in the Jar”). Musicalmente, si ha a che fare con una specie di rock’n’roll metallizzato ricco di uno – due intensissimi e che mostrano fin da subito le doti di un batterista istrionico e versatile;
- con “Daddy’s Bitch” si dà l’inizio alla caratteristiche più estreme del gruppo, utilizzando in questo caso veri e propri grugniti (anche se non profondi e cupi come quelli di “Master of Losers”) e tupa – tupa però non così veloci che accompagnano un riffing più che altro rockeggiante. Il quale sfocia in un assolo ottimamente introdotto dalle sempre fantasiose linee vocali;
- la seguente “The Eyes in the Jar” è l’autentico capolavoro del disco, dato che qui i nostri si sfogano totalmente divertendosi come pazzi. Prima di tutto, c’è una lunga introduzione dal sapore doom accompagnata da una voce femminile parlata presa chissà da dove, poi quasi si omaggia “Raining Blood” degli Slayer (e di chi se no?) in versione doomeggiante, per non parlare di quell’accelerazione lugubre e dal riffing minimalista simil – black metal. Infine, ecco l’assolo, anzi due assoli che s’intrecciano manco si stesse parlando degli Iron Maiden. Il bello è che ‘sta canzone si regge benissimo anche nonostante i suoi 5 minuti di durata, visto e considerato che i Mantide solitamente preferiscono esprimersi in un arco di 2 – 3 minuti;
- “Master of Losers” è invece l’incontro fra un doom minaccioso e un groove rock’n’roll contagiosissimo con tanto di finalone ossessivo e paranoico, alla fine tutto giocato sulle decisive linee vocali che compensano meravigliosamente l’assenza di un vero e proprio climax;
- “Urban Mantide” fa quasi cadere la proverbiale lacrimuccia essendo l’ultimo episodio del lotto. E non a caso i nostri lo introducono con un siparietto (naturalmente in lingua madre) nel quale uno chiede ai compagni di provare il pezzo ma un altro sembra un filino scettico circa la sua qualità. E non a caso (ancora?) la musica è particolarmente allegra, dato che è un heavy metal rockeggiato con tanto di assoli di batteria e intrecci solistici di chitarra, un po’ come in “Eyes in the Jar”. Curiosamente risultano del tutto assenti le urla, che fino ad ora sono state una costante.
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Voto: 78
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Annoying/ 2 – Daddy’s Bitch/ 3 – Eyes in the Jar/ 4 – Master of Losers/ 5 – Urban Mantide
MySpace:
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FaceBook:
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