Saturday, February 26, 2011

Rotorvator - "Nahum" (2009)

Provenienza: Bologna, Reggio Emilia

Formazione: ?

Demo autoprodotto

Punto di forza del demo:

la particolarissima struttura delle canzoni, angosciante ed in lenta esplosione anche al contrario.

Migliore canzone:

indubbiamente "Peace on Earth"....per il perchè leggete la recensione e carpitela.

Follia pura. Due parole che sintetizzano perfettamente il secondo demo di questi alieni che sono pappa e ciccia con XV dell’altrettanto folle solo-progetto black Rhuith e che parecchi mesi fa hanno dato manforte ad una compagnia teatrale chiamata Cosmesi. Ma non credete, miei prodi, che il titolo “Nahum” richiami “Human” e non solo perché fino a prova contraria appena si mette l’opera nello stereo si entra in un mondo visionario e lovecraftiano. Sì, perché i Rotorvator hanno un so che di divino. Nahum (o meglio, Naum) è uno dei profeti ebraici minori e dal cui libro i nostri bolognesi hanno estratto la citazione che compare misteriosa nel booklet:

“Tutte le tue fortezze saranno come piante di fico con fichi primaticci: se sono scosse, cadono in bilico di chi le mangia.”

Parole queste che vanno contestualizzate con l’assedio e la distruzione di Ninive, città del regno assiro effettivamente esistita ed effettivamente distrutta, più precisamente nel 612 a.C. dai Medi e Caldei, popoli asiatici. E non a caso la torre in copertina pare richiamarla.

E non a caso la follia pura con cui sono i nostri sono partiti è completamente al servizio di un’atmosfera apocalittica da cui non c’è scampo. Un’atmosfera dalla catalogazione impossibile perché la musica è un caos nel quale coesistono un sacco di influenze. Il black metal è presente soprattutto nella voce (che è una sorpresa dietro l’altra, come del resto tutta la musica) e nelle chitarre, così disturbate e disturbanti che quasi si perdono nel dolore dell’universo da loro creato. Poi c’è l’allucinante meccanizzazione dell’industrial presente specialmente nella batteria e nella manipolazione sferragliante e assordante di suoni e a tal proposito sono memorabili le sirene orribilmente stuprate di una nave di “Sinking Cathedrals”, che si conclude fra l’altro con richiami marini – e relativi e curiosi “spiaccicamenti”… - che durano in lenta dissolvenza persino per poco più di un minuto (!), che a sua volta fa addentrare l’ascoltatore nei territori insicuri del trip - hop portato da una batteria sonnolenta eppur severa. Dulcis in fundo, e qui mettetevi dei consistenti tappi alle orecchie nonché dei caschi messi belli in testa, c’è l’estremismo bombarolo dell’harsh noise, che fa la sua esagerata figura soprattutto nella disperata e melodica “Peace on Earth”, condita da tastiere travestite talvolta da angeliche voci femminili che contrastano meravigliosamente con la ferocia operaia di blast-beats creati da una drum-machine che dire impazzita è un eufemismo.

Per capire un po’ la notevole fantasia dei Rotorvator bisogna assolutamente dare l’esempio della voce, che ad ogni pezzo è diversa, ma ogni volta sembra l’addio di un uomo che è venuto a conoscenza di una dimensione che non si doveva scoprire. Partendo da “Blessed Eyes” si viene a sapere che le urla occupano un ruolo preponderante, solo che hanno degli alti – bassi vertiginosi dal sapore alieno ma sempre così ripugnanti che paragoni con i Vlad Tepes ed i Belketre non sono da ritenere affatto scomodi. Nella successiva “Sinking Cathedrals” si alza il tiro vomitando delle urla stridule molto somiglianti a quelle dei Lilyum, solo meno trattenute ed impreziosite ad un certo punto da un effetto d’eco che riesce nell’intento di rendere ancora più immensamente irreale il tutto. “Bridal Chamber”, che ha un’interminabile introduzione bizzarra ed assassina irta di pericolose campane a cui segue finalmente la batteria accompagnata da un basso ipnotico e da una chitarra fumosa che si disperde in meccanici ma leggeri feedback, è ricca di urla più classiche nell’impostazione, ossia decisamente meno isteriche e totalmente statiche nel loro gracchiare e sferragliare i timpani dei “poveri” ascoltatori. E “Peace on Earth” sembra quasi il lamento viziato di un bambino disumano intento a martoriare sua madre con urla particolarissime e strozzate. Ma il bello è che si va oltre, oltre le urla. E si finisce con i grugniti ed i ruggiti sussurranti di “Blessed Eyes”, i gutturalismi ritualistici di “Bridal Chamber”, nella quale si ha la netta sensazione che il cantante non sia più veramente parte di questo mondo.

L’estrema visionarietà dei Rotorvator passa anche nella struttura-tipo che regge i vari pezzi su cui operano un vero e proprio processo di decostruzione spesso togliendo od aggiungendo in maniera talvolta impercettibile qualche tassello ad uno schema così minimale ed apparentemente elementare (passaggio più metallico + momenti d’atmosfera, ed il cerchio si ripete) che viene ulteriormente appesantito dalla tendenza del gruppo a sparare per ogni brano delle soluzioni infinite costruite su sequenze di note semplici condite da variazioni tonali fisse che li concludono ogni volta. Ma la prima caratteristica sopraccitata è sorprendente proprio perché regala l’impressione di un vuoto che esplode nel suo nulla totale, l’eliminazione sistematica di una coscienza bombardata continuamente da nuovi stimoli che piano piano la detronizzano.

La produzione è perfetta per rappresentare al meglio il martirio sonico. Disturbatissima e sporchissima come poche, con le chitarre praticamente sotterrate, almeno nei momenti black, ed impostata su frequenze altissime che fanno impallidire perfino “Drained from Suicidal Thoughts” del solo-progetto black depressivo Howling in the Fog, è quanto di più lontano per un metallaro che voglia ascoltare qualsiasi cosa in maniera come minimo sufficientemente comprensibile per non sforzarsi troppo. Di conseguenza, è una produzione così elitaria da far spavento, da provocare dolore. Al massimo si poteva fare qualche cosa per il basso, utile ad aumentare lo spazio greve ed abissale della musica visto che è stato messo in secondo piano ma in fin dei conti ‘sti gran cazzi.

L’effetto massimo lo dà però il finale di “Peace on Earth”, con quell’assalto ultra-blast di una decina secondi, che si conclude nel caos di una chitarra che si libera suonando una scala melodica quasi da “abbandonate ogni speranza, oh voi ch’entrate”. Il rumore musicale si conclude ma non è ancora finito. C’è ancora come un resto di vita, un zanzarìo duro a morire che poi viene totalmente debellato da una specie di effetto-rimbalzo (più o meno) che pare quasi il Grande Cthulhu, colui che inghiotte l’intero universo dominandolo tutto. Ecco la pace sulla terra, l’Olocausto puro.

Voto: 98

Claustrofobia

Scaletta:
1 – Intro/ 2 – Blessed Eyes/ 3 – Sinking Cathedrals/ 4 – Bridal Chamber/ 5 – Peace on Earth

MySpace:
http://www.myspace.com/rotorvatorblack

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