Friday, January 29, 2010

Sacradis - "Damnatio Memoriae" (2008)


1. INTRODUZIONE.

Sono sempre perennemente meravigliato dalle sensazioni che la musica riesce a scatenarmi nella mente, avvolgendomi tutto, e nello stesso tempo divento di pelle d’oca pensando al fatto che da degli strumenti che nulla hanno di umano possano nascere anche emozioni così forti, magari in sé non esattamente positive, da riuscire addirittura ad immergermi in una specie di pace, come se mi trovassi in mezzo alla Natura, mia musa, e ciò mi succede particolarmente con il black metal (che bel paradosso!). E proprio un gruppo come i Sacradis, conosciuti, strano a dirsi, attraverso Rock Hard, secondo me riescono completamente in tale impresa, per quanto siano violenti ma anche e soprattutto di difficilissimo ascolto ed intrisi di una negatività distruttiva. Ma questa, a mio avviso, è Arte nella sua suprema essenza, ossia una cosa che trasforma tutto l’insieme in bellezza, anche perché trattasi di espressione costruttiva e libera dei singoli.

2. PRESENTAZIONE ALBUM.

Tra le varie uscite dell’A.D. 2008 figura orgogliosamente, pubblicato presso la Behemoth Productions, “Damnatio Memoriae”, secondo album dei non esattamente prolifici Sacradis, nati nel 1996 in quel di Genova ed all’epoca dell’ultima opera (sì perché adesso solo i due chitarristi ed il batterista sono rimasti nel gruppo) formati da cinque ragazzacci (Kadath voce, Ülfe ed Eligor chitarre, Winternius basso, e Lord of Fog batteria) pittati ed iper-chiodati manco fossero i Bestial Warlust. E quello che loro hanno creato con quest’album per me è qualcosa di stupefacente. Esso risulta composto da 8 pezzi (compresa l’intro), che dal punto di vista del minutaggio mi paiono tradizionalmente della musica che i nostri suonano, dato che il tutto si esplica attraverso la bellezza di circa 51 minuti, e quindi penso che già qui incominciano i dolori per molta gente. Dolori che probabilmente possono aumentare se inizio a parlare del suono dei Sacradis, che a mio parere è sostanzialmente un black metal svedese (seppur io senta qualche eco dei vecchi Gorgoroth qui e là) che è, come ovvio per moltissimi gruppi che suonano simili, tecnicamente preparatissimo, decisamente vario e fantasioso, ed orientato solitamente entro angoscianti blast-beats anche se, rispetto a gruppi come i vecchi Marduk ed i Dark Funeral, piuttosto frequenti sono i tempi medi come per esempio succede in “Epitaph of the Martyr”. Riguardo il lato prettamente strutturale, i vari pezzi mi sembrano tremendamente strabilianti, oltre a non confondersi fra di loro, dimostrando quindi a mio parere una personalità propria ben definita. Prima di tutto, devo segnalare che le soluzioni non solo sono spesso lunghe (anche se qui raramente vedo passaggi come quelli dei Dawn, se si eccettua, tra gli altri, quello iniziale di “Supremacy of Conscience”, della durata di qualcosa come circa 24 secondi!) ma esse possono essere talvolta interessate da variazioni, molto brevi, fulminee ed imprevedibili, insomma a mio avviso vere e proprie improvvisazioni degne del jazz, delle stesse, giusto il tempo per permettere a qualunque strumento di esprimersi senza vincoli, e creando così ulteriormente quell’atmosfera tempestosa che personalmente respiro in continuazione, e che a volte, proprio a causa di simili tecniche, sfocia in una specie di caos seppur controllato. Bisogna dire però che spesso una stessa soluzione viene variata in modo più fisso (ossia, senza offrire agli ascoltatori quelle improvvisazioni brevissime di cui sopra) magari più e più volte, come avviene nella parte centrale di “Epitaph of the Martyr” oppure nei momenti finali di “Thy Celestial Legion”. I pezzi dei Sacradis risultano, se non sbaglio, costituiti dalle 3 (“Epitaph of the Martyr”) alle 6 soluzioni (“Damnatio Memoriae”), alcune delle quali vengono modificate soprattutto a livello ritmico, e di solito, durante il discorso musicale, ne vengono riprese soltanto 2 (il massimo è invece rappresentato da “Olocaustum” con 3) e nonostante sia assente di solito un qualsiasi schema strofa-ritornello, i primi minuti dei pezzi del gruppo sono dominati almeno da un passaggio (cosa che invece non succede invece proprio per “Damnatio Memoriae”) e che sono spesso e volentieri caratterizzati da una sequenza a due soluzioni che si ripetono consequenzialmente almeno una volta (“Epitaph of the Martyr”, “Perversions and Treacheries”, “Olocaustum” e “Redemption”) anche se in tutte le occasioni come minimo una di esse viene modificata ritmicamente. Inoltre, i passaggi iniziali si ritrovano quasi sempre pure nei momenti finali delle canzoni (eccetto per la sola “Thy Celestial Legion”), e solo in due casi (“Damnatio Memoriae” e la lunghissima “Olocaustum”) non le finiscono direttamente loro. Prima ho scritto che le soluzioni sono spesso molto lunghe anche perché le battute a cui esse sono sottoposte possono essere 6 (esempi lampanti sono “Damnatio Memoriae” oppure “Thy Celestial Legion”) od anche addirittura 8 (“Epitaph of the Martyr”, “Olocaustum”), confermando così la natura dei blackettoni a dilatare per molto una stessa identica soluzione, presentando una voglia sadica verso l’ascoltatore bella notevole. Nonostante ciò però, l’andamento in generale mi sembra comunque sempre ottimamente dinamico, ma questo si leggerà prossimamente. Adesso parliamo della produzione, che mi piace particolarmente. Le frequenze sono concentrate sui medio-alti, e quindi consiglio agli interessati di ascoltare l’album regolando il volume in modo da non sfasciarsi le orecchie, seppur già allenate. Notevole il lavoro circa il bilanciamento degli strumenti, dove mi pare siano stati messi in risalto soprattutto le chitarre ed il basso, ma credo che si poteva fare di meglio con la batteria, un po’ sottotono rispetto agli altri strumenti, considerando soprattutto che il rullante, molto sporco e grezzo in maniera simile a quello di “The Flag of the Inverted Cross”, demo da me da poco recensito dei Violent Assault, solo forse un pochino meno presente, e ciò in particolar modo nell’inizio di “Epitaph of the Martyr”. La situazione peggiora se penso alla cassa, probabilmente troppo in ombra (o sono sordo io?), ma per il resto, la produzione è devastante, bella sporca però comprensibile, facendomi ricordare un po’ quella di “Wings of Antichrist” (pure qui il basso è in ottima evidenza) degli svedesoni Triumphator.

3. L'INTRO.

L’album inizia con un’intro a mio parere decisamente inquietante, dato che prima si sente una specie di vento (ma non lo è), un suono cupo che va e viene, accompagnato da una campana a morto, e poco dopo si fa viva pure una pioggia incessante ed una lamentosa chitarra acustica che intona arpeggi minacciosi e che si fermano e ripartono praticamente in continuazione. Questa è la classica “calma” prima della tempesta, dato che, dopo quasi 2 minuti, parte a raffica e senza pietà “Epitaph of the Martyr”, e qua iniziano i dolori per le “malcapitate” orecchie dell’ascoltatore.

4. ANALISI STRUMENTI.

Finalmente, è l’ora dell’analisi strumento per strumento, e com’è ovvio da mesi, si parte dalla voce. La prova del nostro Kadath mi convince pienamente, intenso e devastante, ma anche molto vario e fantasioso nei vari vocalizzi usati. Di solito, la voce è divisa fra delle urla classicamente black metal, molto possenti, e che talvolta riescono a risultare ben più alte al limite dell’isteria più autentica, come avviene nel finale di “Thy Celestial Legion”, e dei grugniti spesso e volentieri belli rozzi ed ignoranti e non particolarmente bassi, che possono sfociare addirittura in veri e propri gutturalismi vomitati (“Olocaustum”). Ma qua il lavoro, e non poche volte, mi sembra esser stato infettato dai vocalizzi particolari di Arioch (o Mortuus a seconda delle circostanze) dei Funeral Mist/Marduk, rendendo così a mio avviso ben più malato e folle tutto l’insieme, anche perché Kadath mi pare quasi si sforzi ad eruttare questo tipo di voci, e credo che possa bastare come esempio soprattutto “Thy Celestial Legion”, sfoggiando secondo me qualcosa che ha del doloroso e del ritualistico, come cercando di cancellare dal proprio corpo e dalla propria mente il fantasma del cristianesimo e di dio, nemici giurati dei Sacradis e di mille altri blackettoni. Ma non mancano neanche parti vocali più pulite ma a mio avviso sempre azzeccate (“Epitaph of the Martyr”, prima in modo più aggressivo e potente, poi quasi nel finale in maniera narrativa ed evocativa, risultandomi quindi in entrambe le situazioni di grande e suggestiva efficacia), come anche dei sussurrii (o qualcosa del genere) nella lunghissima “Olocaustum”, aumentando così per quanto mi riguarda l’aura di malvagità abissale che permea la musica del quintetto genovese. Un aspetto che mi interessa molto è l’effetto-lontananza, come per rappresentare idealmente la natura del misantropo che tenta in ogni modo, lecito o meno, la propria non-appartenenza a tale società che lo soffoca, ma degno di menzione secondo me è pure il riverbero alla voce, forse con l’intento di simboleggiare il messaggio del misantropo di cui sopra che si protrae con violenza nei secoli ma altresì poco comprensibile alle umani genti. Faccio notare inoltre che in “Thy Celestial Legion” ed “Olocaustum” ad un certo punto le urle sono sovraincise, potenziando in tal modo da parte mia la potenza già tirata fuori in abbondanza, seppur nel secondo brano, se non sbaglio, la sovraincisione è su toni leggermente più bassi e catacombali, anche se sempre di parti urlate si tratta. Insomma, la voce, come si legge, non rimane fissa su uno stesso tono, ma cerca, pure se non si sta parlando secondo me del ben più passionale Seb dei Bloodshed (sto facendo un paragone con un altro gruppo che ha partecipato a “Timpani Allo Spiedo”), di variare con una buona frequenza offrendo così a mio avviso maggior intensità. Devo fare i complimenti anche alla costruzione delle linee vocali, le quali penso che siano sempre belle spacca-ossa e senza pietà alcuna, mostrando talvolta un isterismo devastante. Discorso chitarre: apprezzo moltissimo il loro lavoro. Spesso e volentieri esse offrono delle angoscianti melodie, che alle volte mi ricordano una versione più dissonante dei Dawn (come in “Damnatio Memoriae”), mentre in altre occasioni il tono si fa più epicheggiante, e da questo punto di vista un esempio lampante credo sia “Perversions and Treacheries” (brano di cui parlerò in maniera diffusa prossimamente). I riffs, lontani a mio avviso sia dalla “semplicità” di formazioni quali i Dark Funeral ed i Marduk, ma anche dalle note beffarde di certe cose più tecniche degli Handful of Hate (italiani ma vabbè…) e dalla monumentalità dei già citati Dawn, sono sì di solito lunghi e complessi ma faccio notare che molte soluzioni sono divise in due parti simili. Le due asce mi si dimostrano piuttosto fantasiose nel proporre varie soluzioni, ed infatti in brani come “Epitaph of the Martyr” e “Damnatio Memoriae” sento piacevolmente qualcosa che si avvicina molto al black metal depressivo, seppur in modi molto diversi fra loro, dato che nel primo caso il riff è proposto in maniera arpeggiata e di una cattiveria devastante, e credo che qui ci sia un plagio ai Tenebrae in Perpetuum di “Antico Misticismo”, mentre nel secondo l’impronta si fa più disperata e melodica, con un uso maggiore delle pennellate (ma anche gli arpeggi non mancano). Delle parti arpeggiate, molto angoscianti e disturbanti, assolutamente senza nessun misero grammo di melodia, ci sono anche nella canzone che reputo la più inquietante di tutte, ossia “Redemption” (che tratterò a parte in modo più diffuso, e non sempre con parole lusinghiere). Solo in poche occasioni vengono eruttate soluzioni maggiormente semplici e d’impatto, come una presente in “Damnatio Memoriae”, e per non parlare invece dei riffs stoppati, a volte terribilmente dissonanti, i quali a mio parere sono molto particolari per uscite del genere, che si trovano minacciosi nella snervante (in senso positivo) “Perversions and Treacheries”. In “Supremacy of Conscience” è contenuta una soluzione a mio avviso originale per una formazione di puro black metal, considerando soprattutto la sua struttura contorta e, di conseguenza, la sua imprevedibilità ritmica. Mi sono reso conto che di riffs dal sapore maggiormente groovy ce ne sono davvero pochi, dato che qui ci si preoccupa più che altro di spaventare i timpani dell’ascoltatore con un lavoro piuttosto dinamico e strutturato, ma una parte, appunto, groovy per me da menzionare specialmente si fa viva in “Epitaph of the Martyr”, dove una chitarra dai toni bassi e “gracchiati” (e come si esprime mi ricorda terribilmente – qua forse bestemmio! – certo black metal sinfonico) lotta con quella solista. Quest’ultima è particolarmente importante, visto e considerato che spesso e volentieri fa bella figura di sé, seppur non quasi continuamente come i Bestial Warlust di “Vengeance War ‘Till Death” hanno insegnato. Ma sono abbastanza tanti i momenti in cui essa si fa sentire durante il discorso musicale, sia che si tratti di incastonarsi con quella ritmica (“Epitaph of the Martyr” se non sbaglio) che di dominare sull’altra chitarra (che per la verità mi sembrano 2 asce, e da questo punto di vista credo che il massimo esempio sia rappresentato da “Olocaustum”), scegliendo, seppur più raramente, di diventare un assolo vero e proprio, a volte quasi impercettibile, come negli attimi finali di “Epitaph of the Martyr”. In effetti, la chitarra solista in non poche occasioni è praticamente nascosta, così che per l’ascoltatore più esigente diventi un divertimento ulteriore scoprire le gemme dell’abisso musicale dei Sacradis. Un’altra bellezza che ho rintracciato dell’uso dell’altra ascia è che così facendo viene creata un’atmosfera molto più oppressiva, facendo immaginare al sottoscritto mille tempeste che mi si avventano contro da tutte le direzioni possibili, mosse da chissà quale mano invisibile e mostruosa. Segnalo inoltre che nella lunghissima “Olocaustum” c’è un certo punto in cui le chitarre vengono manipolate, partorendo così secondo me un’atmosfera che definirei liquida, quasi psichedelica (nel black? Eh sì), momento che però a mio parere non è completamente riuscito ma di ciò ne riparlerò. Ed ora passiamo al basso, strumento particolarmente curato dai Sacradis, anche perché, in controtendenza a più o meno tutto il black metal, risulta in buonissima evidenza (ed io dico finalmente!). Cosa che per quanto mi riguarda si è dimostrata utile non soltanto per far entrare, con il suono greve del basso, ancora di più l’ascoltatore nell’atmosfera maligna e fredda di “Damnatio Memoriae” ma anche per assaporare per filo e per segno gli interventi molto fantasiosi di tale strumento che in tale genere spesso non trova una giusta espressione, andando così tra l’altro coerentemente con tutto l’insieme, molto tecnico, della musica. Infatti, qui il nostro bassista Winternius riempie il discorso creando delle melodie che nelle chitarre non ci sono affatto, ed a tal proposito penso che valgano come principale punto di riferimento “Epitaph of the Martyr”, “Damnatio Memoriae” (dove si inventa un impasto sonoro che mi pare giocoso, quasi allegro!) ed “Olocaustum”. Sinceramente sarei molto curioso di un esperimento del basso con un vero e proprio assolo, magari per rendere ben più cupo il discorso, con tante note diverse che avvolgono minacciosamente l’ascoltatore, e quindi credo che da questo punto di vista i margini di miglioramento ci stanno. Nonostante però la sua importanza nella musica del gruppo, al basso sono attribuiti rarissimi spazi di manovra in cui si erge solitario soltanto lui, come avviene nell’intervento brevissimo ma molto efficace presente in “Supremacy of Conscience”, e l’uso di tale tecnica mi riporta a tutto tranne che al black metal, quindi qua ipotizzo influenze esterne a tale genere. Per quanto riguarda invece la batteria, secondo me Lord of Fog è un batterista a dir poco eccezionale. Il suo stile mi rimanda ad una via di mezzo fra quello di Karsten Larsson, ossia il primo batterista dei Dawn, e Markus Hellcunt quando soprattutto suonava con i Bestial Warlust, gruppo ben diverso dai Sacradis, e mi pare completamente perfetto per la musica del quintetto italiano. Infatti, le evoluzioni fantasiose ed assolutamente imprevedibili del nostro a mio parere si amalgamano decisamente bene con l’isteria di tutto l’insieme, potenziandolo, anche sfoggiando dei tempi che mi paiono computerizzati per quanto sono veloci ed impressionanti, facendomi così immaginare ulteriormente una tempesta di una potenza inarrestabile e di sentimenti tremendamente battaglieri. In tal modo, il lavoro riesce ad unire secondo me la potenza di cui sopra con la tecnica e la fantasia, e del resto le prime due sono caratteri piuttosto fondamentali per il black metal svedese. Una carica che mi prende ancora di più se si pensa agli stop ‘n’ go offerti dalla batteria, soprattutto durante gli stacchi, ma essi sono possibili da sentire addirittura nello stesso discorso musicale, come si può sentire ad un certo punto nella prima ”Epitaph of the Martyr”. Personalmente, Lord of Fog se la cava egregiamente in tutte le direzioni, sia nella costruzione di patterns sui tom-tom (come in “Supremacy of Conscience”) che giocando sul charleston, che spesso e volentieri non è continuo come lo è il rullante e la cassa (vabbè, insomma, si seguono tempi diversi contemporaneamente talvolta), offrendo quindi anche tempi che si incastrano senza che io rintracci delle sbavature fastidiose, e partorendo in tal modo a mio parere pure dei discorsi molto poco comuni nel black metal, e segnalo che di tempi lenti ce ne sono terribilmente di pochissimi, se non rari come, seppur non con continuità, in “Olocaustum”, ed in misura maggiore in “Epitaph of the Martyr”. Insomma, il black metal sarà la fucina metallica dei musicisti in erba, come spesso il genere viene disegnato, ma devo dire che quelli iper-tecnici ed amanti delle variazioni continue non mancano proprio, come è giusto che sia secondo me, e credo che è una gioia per molti sentire questo batterista dalle doti pazzesche, per tutte le invenzioni imprevedibili che Lord of Fog riesce a regalare con una facilità disarmante. Ma faccio ricordare che nella musica dei Sacradis non solo sono presenti gli strumenti tradizionali del metal estremo, ed infatti, in “Supremacy of Conscience” si fanno vive delle tastiere, tra cui pure un semplice e cupissimo pianoforte, regalando così a mio avviso maggior atmosfera al tutto.

5. LA MIGLIORE CANZONE.

Trattando invece ora la canzone che mi è piaciuta più di tutte, non posso far altro che proferire devozione per “Perversions and Treacheries”. Ma perché ho scelto curiosamente per la canzone più breve del lotto (circa 4 minuti di musica)? In effetti, mi è stato un po’ difficile sceglierla considerando che pure gli altri pezzi sono mediamente qualitativamente ottimi, ma riallacciandomi un po’ con l’introduzione, “Perversions and Treacheries” dal punto di vista emozionale mi prende parecchio, in quanto qui avverto un alone epico e tempestoso, una carica terremotante, anche piuttosto continua, che difficilmente trovo negli altri episodi dell’album (tranne, seppur in maniera quantitativamente minore, in “Olocaustum”), un vento freddo e disperato che cerca in ogni modo di avvolgere l’ascoltatore per inghiottirlo tra le sue impossibili fauci. Per non parlare invece della struttura del pezzo, che a mio parere è molto interessante. Prima di tutto, se non sbaglio, la canzone è caratterizzata dalla presenza di 5 riffs i quali sono stati strutturati attraverso il seguente schema: 1 – 1 mod. – 2 – 1 mod. – 2 mod. – 3 – brevissimo stacco di batteria – 4 – 5 – stacco di chitarra - 1 – 1 mod.. Per quanto riguarda il finale del brano nulla di (solo apparentemente) particolare, dato che vengono ripresi praticamente i primi passaggi. Invece, circa la struttura iniziale, essa può risultare inizialmente un pochino classica per i canoni metal, la quale risulta caratterizzata da una sequenza a 2 soluzioni che si ripetono consequenzialmente almeno per una volta, ed in teoria tutto ciò non dovrebbe far paura. Ed invece no! Infatti, nella seconda occasione in cui il secondo riff si fa vivo viene data in pasto agli ascoltatori una variazione ritmica al tema, trasformando i blast-beats di prima in un tempo medio abbastanza mosso e dinamico, fondato molto sull’uno-due, ed a mio avviso tale scelta è stata veramente azzeccata, così da vivacizzare ancora di più nel momento giusto il discorso musicale, rendendolo in tal modo maggiormente epico e battagliero e preannunciando così l’impennata della parte centrale. Interessante comunque secondo me pure la seconda volta in cui la modificazione, stoppata, del 1° riff si fa viva, considerando che nell’ultimissima sua battuta viene variata, seppur in modo quasi impercettibilmente, proponendo così anche note dissonanti a quelle principali, cosa che invece viene concretizzata in maniera evidente nell’ultima apparizione dell’iniziale soluzione. Inoltre, mi piace moltissimo anche la variazione del riffing nella seconda battuta del passaggio n°4, una variazione che tra l’altro è più dinamica rispetto alla prima botta, pur muovendosi intorno alle stesse linee di partenza. Ma non è finita qui! L’ennesimo pregio che rintraccio in tale brano è il fatto che in esso i classici stacchi di chitarra, una costante dello stile sonoro dei Sacradis, non mi sembrano poi così frequenti come negli altri pezzi, ed infatti qui ce n’è soltanto uno quasi nel finale, nella ripresa del tema in cui è partito il discorso, offrendo invece nella parte centrale un lancinante ed ultra-minuscolo ma efficacissimo stacco di batteria, che rende a mio parere molto più intenso tutto l’insieme.

6. IL PRINCIPALE PUNTO DI FORZA.

Ed ora tocca al principale punto di forza della musica del gruppo in questo “Damnatio Memoriae”, e devo dire che la scelta mi è stata alquanto difficile, dato che i Sacradis ne hanno parecchie di frecce al proprio arco, ma se proprio devo decidere allora scelgo per il fantasiosissimo basso, che qui viene sfruttato a dovere riempiendo il discorso musicale con melodie fresche e dimostrando una notevole indipendenza dagli altri strumenti, e ciò rappresenta una rarità nel marcio e cinico mondo del black metal. Questa è assolutamente la prima volta che prendo come principale punto di forza il basso, ma fatemi dire una cosa: le sue improvvisazioni non sono per caso state influenzate dalla tradizione jazz?

7. LE INTRO.

Vorrei segnalare inoltre una secondo me interessante caratteristica dei Sacradis: le intro. Infatti, di tutte le canzoni, soltanto “Epitaph of the Martyr”, “Perversions and Treacheries” e “Redemption” non vengono introdotte da suoni più o meno d’atmosfera non propriamente metal, dato che la prima parte con tutti gli strumenti già a manetta compresa la voce, mentre la seconda con una rullata sempre più potente di Lord of Fog, e “Redemption” inizia con la musica che aumenta lentamente di volume. L’assalto di “Damnatio Memoriae” viene introdotto da una voce bassa e che definirei vomitata, un po’ tra il dolore ed una sfacciata beffa, “Thy Celestial Legion” da delle campane di una chiesa, accompagnate da un suono continuo ma non fastidioso (e da tonfi non ben identificati) e poco dopo da una voce pulita lontana, che mi sembra fare il verso alla messa oppure a qualcosa che preannuncia minacciosamente la fine del vaticano et similia. L’intro di “Supremacy of Conscience” è quella più lunga (è l’unica che raggiunge e supera di circa 20 secondi l’un minuto), anche perché è l’unica veramente strumentale che si ritrova dato che ci sono delle evocative e monumentali tastiere e pure quello che è uno strumento a corda, credo una chitarra non molto amplificata (o è un basso?), la quale ha un suono greve e poco raccomandabile, intenta prima a suonare continuo, poi un pochino più lenta. Inoltre, qui si sentono pure dei cupi sussurrii, come il male che si prepara ad uscire dal buio, nonché versi che mi ricordano tanto la giungla. “Olocaustum” possiede probabilmente l’introduzione più malata di tutte, visto e considerato che in tal caso si sentono varie voci sovraincise, tra urla, grugniti e vocalizzi manipolati che diventano via via sempre più insistenti, dominando su quel suono continuo ed acutissimo che invece poco prima era il principale protagonista. Tra l’altro, nell’inizio è presente anche uno strumento a corda, una chitarra penso che con il passare dei secondi si sente sempre di meno, seppur non venga eliminata. A dire il vero considero una simile intro non azzeccata per “Olocaustum,” in quanto penso che quest’ultima abbia toni più disperati e con dei tocchi epici (ma non come in “Perversions and Treacheries”), e più che altro mi sembra adatta per la seguente “Redemption”, ed il perché ve lo dirò fra pochissimo.

8. ALTRI DIFETTI.

Purtroppo però c’è qualcosina che non apprezzo particolarmente, e ciò va oltre gli stacchi, talvolta a mio avviso fin troppi, e della batteria, non così presente rispetto agli altri strumenti. Mi accingo insomma a parlare proprio di “Redemption”, che prima di tutto mi fa venire in mente un’importante considerazione: è l’unico pezzo dalla produzione leggermente diversa se lo si confronta con quella che caratterizza i restanti brani, dato che qui il basso si sente pochissimo, se non per niente, e questo è veramente un peccato, in quanto esso mi risulta fondamentalissimo per la stessa atmosfera che riescono a dare al sottoscritto i Sacradis. Tra l’altro, le stesse frequenze, se non erro, sono leggermente più basse del solito. A proposito di atmosfera, esso si segnala secondo me come l’episodio maggiormente folle, malvagio ed a-melodico di tutto l’album, basato com’è su riff spesso disturbanti (a volte anche piuttosto particolari per un gruppo black), pure su arpeggi terribilmente dissonanti da pelle d’oca, ed il tutto neanche si esprime per quanto riguarda i tempi entro elucubrazioni di blast-beats, dato che stavolta ci si adagia di solito su terrificanti tempi medi, pure piuttosto groovy, nel più tipico senso black metal. Altresì, dal punto di vista strutturale, il brano risulta caratterizzato all’incirca dal seguente schema, che accenna spesso e volentieri una (apparententemente) classica sequenza strofa-ritornello (segnalo che alcuni passaggi vengono un pochino variati): 1 – 2 – 1 mod. (in blast-beats) – 2 – 3 – pausa - 4 – 5 – 2 mod. (in blast-beats e con il riffing leggermente rivisto). Faccio notare che tra il passaggio n°5 e la ripresa del 2° avviene a mio parere il cosiddetto “patatrac”, visto e considerato che il volume della musica si abbassa lentamente, alzandolo poco dopo, e la prima parte della formula viene ripetuta durante i momenti finali, con il discorso che finisce proprio entro questo abbassamento. Notevole la somiglianza a tal proposito con la strumentale “Within the Storm” dei Bestial Warlust nell’album “Blood and Valour”, solo che in tale occasione l’effetto mi pare ottimo e distruttivo, mentre nei Sacradis non mi dice effettivamente niente di niente, non mi colpisce nel punto giusto, forse anche perché “Redemption” non lo ritengo quale brano indispensabile, e se penso infatti che la lunga “Olocaustum” bastava ed avanzava per finire l’album, considerando inoltre il suo pazzesco e vorticoso finale rappresentato dal feedback delle chitarre con seguente e lugubre silenzio, impiegando ben 2 minuti per porre una conclusione, allora credo decisamente che il pezzo da me accusato si poteva pure risparmiare. Ma tant’è…Tra l’altro, ritornando all’effetto psichedelico sulle chitarre, Kadath, durante quell’occasione, si mette ad urlare, per poi essere inghiottito da un effetto come di risucchio che lega bene con quello innestato sulle chitarre, eppure, sarà un’inezia, non mi piacciono le urla che sputa in quei determinati momenti, dato che non le considero molto coerenti con l’effettistica proposta, e forse ci si poteva provare con dei sussurrii ma non con voci ultra-aggressive come quelle solite del nostro cantante.

9. CONCLUSIONE

Tirando le somme, “Damnatio Memoriae” è un album a mio parere di tutto rispetto, tempestoso e senza pietà alcuna per nessuno, inneggiante spesso tempi sparati a mille come se non ci fosse più un Domani, ed intenso e d’impatto come pochi, l’ennesima ottima prova della competitiva scena black della nostra cara penisola, che secondo me di anno in anno migliora sempre di più (ma anche negli anni ’90 non scherzava affatto). Certo, rintraccio problemi di natura compositiva e di produzione, ma per quanto mi riguarda è purtroppo particolarmente importante il brano finale, che lo considero un vero e proprio riempitivo, non finendo così dignitosamente un album spacca-ossa, e di ciò il voto che vedrete più sotto ne risentirà ahimè profondamente. Comunque, vi consiglio di sentire quest'album con calma, senza divorarlo subito, essendo pieno di dettagli che difficilmente si possono sentire a primo acchito, ma anche perchè è bello brutale e con pezzi lunghissimi, come già ampiamente osservato. Attendo con impazienza il prossimo lavoro dei Sacradis, che a quanto ho capito è attualmente in fase di composizione.

Voto: 82

Claustrofobia

Tracklist:

1 – Intro/ 2 – Epitaph of the Martyr/ 3 – Damnatio Memoriae/ 4 – Thy Celestial Legion/ 5 – Supremacy of Conscience/ 6 – Perversions and Treacheries/ 7 – Olocaustum/ 8 – Redemption

MySpace:

http://www.myspace.com/sacradis

Sito dell’etichetta:

http://www.behemothproductions.net

Saturday, January 9, 2010

Bloodshed - "After Midnight" (2008)


Una volta, durante le mie scampagnate su quel colosso di Metal-Archives ed esattamente nella lista giorno per giorno, trovai questo gruppo chiamato Bloodshed (se ci fate caso, sono tantissime le formazioni con un nome simile). Ma il bello doveva ancora arrivare, dato che in effetti, da un nomignolo di tal fatta mi aspettavo dei ragazzi tutti chiodati esponenti di un black/death quantomai violento e senza compromessi. Ed invece…appena si è nella loro scheda si vedono 6 sardi perfettamente “normali”, tra cui addirittura un tastierista, ed il problema è che c’è scritto che realmente loro suonano la musica sopraccitata, benché per me siamo da tutt’altra parte anche se comunque sempre di estremo si tratta. Quindi, passata la sorpresa, secondo me l’estetica dei Bloodshed si può spiegare contando le più differenti influenze che io personalmente ho ravvisato cammin facendo. Ma andiamo con calma.
“After Midnight”, autoprodotto nell’anno di grazia 2008, è la primissima creatura del sestetto, formatosi, tra Ozieri e Sassari, nel lontano 2005 ed attualmente costituito da Seb voce, Gabriele e Davide chitarre, Fede basso, Alberto batteria, ed Andrea nel ruolo di tastierista, ed esso, per quanto debutto ufficiale, è addirittura un album, cosa a mio avviso rischiosa per un gruppo alle prime armi dato che così si impiegano parecchi soldi più del dovuto lasciando la gavetta a suon di demo che permettono non solo di fare le cose pian piano e con ragionata gradualità ma anche di personalizzare almeno un minimo la propria proposta musicale, ma comunque secondo me i nostri sono riusciti a partorire un lavoro apprezzabile, seppur io rintracci qualche ingenuità di troppo piuttosto fastidiosa. L’album è composto da 7 pezzi (compresa l’intro) dove trova posto a mio parere una specie di black metal sinfonico spesso melodico ed intriso di un romanticismo tra l’altro classico di questo genere, e mi sembra che per la maggiore sia orientato verso i tempi medi. Ma la definizione di cui sopra forse risulta un po’ stretta, visto e considerato che, come già osservato, sento le più disparate influenze, che possono andare dal death metal (“Eternal Night”) alla musica elettronica (principalmente in “Darkness of the Soul” ed "Immortal Dreams”), oppure al metalcore (“Anonymous” ed “Immortal Dreams”) e non solo. Ciò significa che questi giovini si esprimono dimostrando una buona gamma di differenti situazioni, sperimentando in tal modo spesso e volentieri e secondo me un coraggio simile è già encomiabile di suo, trovando così di solito una maniera per differenziare, almeno dal punto di vista delle sonorità proposte, un brano dall’altro. Bisogna segnalare che questi ragazzi sardi tecnicamente parlando se la cavano veramente molto bene. Strutturalmente i vari pezzi che costituiscono l’opera si presentano decisamente dinamici, con le soluzioni che solitamente vengono ripetute per un numero di 2/4 battute (ed ovviamente qui conto pure le loro modificazioni, sia a livello ritmico che di riffing), anche se non ne mancano di una sola (opzione piuttosto frequente, e credo che sia assente nella sola “Eternal Night”) o di 3 (come in “Alive in Destruction”). L’andamento si rivela piuttosto libero e spesso poco avvezzo a seguire una sequenza rigida di soluzioni che si susseguono durante il prosieguo del discorso, ma altresì faccio notare che l’unico episodio che segue uno schema strofa-ritornello, veramente rigido seppur non esattamente classico, è proprio il già sopraccitato “Alive in Destruction”), che rimane fedele ai seguenti passaggi consequenziali: 1 – 1 mod. – 1 – 1 mod. – 2 – 3 – 4 – 4 mod. – 4 ancora mod.. In tale solo esempio vengono riprese quindi tutte le soluzioni, separate, dopo la prima botta, dall’iniziale passaggio opportunamente modificato come una specie di pausa-ponte con la successiva variazione. Ma dopo 4 minuti e dieci secondi, si fa vivo un 5° passaggio, più e più volte variato ma mai su tempi veloci, e tutto questo si perpetua per qualcosa tipo ben 2 minuti. Un altro brano in un certo senso lineare è “Immortal Dreams”, il quale, se non sbaglio, è costituito da 3 differenti soluzioni e poggia, anche se debolmente rispetto ad “Alive in Destruction”, la sua esistenza sul dittico 1 anc. mod. – 2, solo che nella seconda volta in cui esso si riaffaccia il 2 viene modificato, se non erro, persino per 5 volte e tutte queste variazioni vengono sottoposte ad un'unica battuta. Tra l’altro, mi sono reso conto che “Immortal Dreams” è anche la canzone che presenta meno passaggi se si confrontano con gli altri, sempre oscillanti più o meno fra i 5 ed i 7 (“Infernal Melody”, a meno che io non dica una cazzata). A mio avviso, è interessante segnalare che pochissimi di essi vengono ripresi durante un brano, magari presentando una sequenza come il 3 – 3 mod. – 3 – 3 mod., seppur un po’ libera dato che nella seconda apparizione il 3 mod. è sottoposto, essendo variato, da 2 battute in luogo delle 4 di prima. Solo in “Alive in Destruction”, “Anonymous” e sempre “Immortal Dreams” i momenti finali sono contrassegnati da una soluzione suonata precedentemente, e negli ultimi due casi finiscono proprio il pezzo. Parliamo adesso della produzione, che mi è piaciuta molto, offrendo a noi comuni mortali un suono pulito e spesso e volentieri con un buon equilibrio fra i vari strumenti, anche se il tutto mi sembra si concentri maggiormente sul trio voce/chitarre/batteria, e tra l’altro le tastiere, fulcro principe del black sinfonico (grazie alla minkia!) sono non poche volte seppellite dagli altri compagni. La produzione è comunque orientata su frequenze piuttosto alte, quindi consiglio agli interessati di sentire l’album a volumi che non possano distruggere più del dovuto i poveri timpani, un po’ come avviene con “Lucifer Rising” dei Kaamos.
L’opera parte con “Epic Gods”, ossia una vera e propria intro lunga all’incirca un minuto e mezzo, che per la verità mi sembra più adatta per un gruppo dai toni sì romantici ma sognanti come gli Streben od i Summoning che per una formazione che atmosfericamente parlando mi riporta alla mente sempre qualcosa di morboso e vampiresco, indipendentemente dalle tematiche trattate, come, appunto, i Bloodshed. L’intro proposta, dominata da un flauto (o sbaglio?) ed accompagnato da due tipi di tastiere, tra cui anche un piano, si snoda attraverso melodie che definirei soavi, abili ad immergermi in un’atmosfera da sogno, quasi come la rappresentazione in musica dell’Eden, ma il bello è che riesce nell’impresa di farlo in così poco tempo, e qua mi complimento decisamente con il sestetto. Sto pensando comunque che questo pezzo, molto diverso dal punto di vista emozionale dagli altri, possa essere interpretato un po’ come la classica quiete prima della tempesta, dove il successivo “Alive in Destruction” funge da momento in cui l’illusione dell’Eden viene completamente e definitivamente distrutta, oppure come la falsa e crudele compassione del mondo degli inferi verso l’umanità. Ciò che mi sembra sicuro è che il brano da poco citato mi pare uno dei più cupi del lotto.
E’ finalmente arrivata l’ora dell’analisi strumento per strumento e, come ormai da tradizione, si parte dalla voce. Devo fare le congratulazioni a Seb, artefice di una voce, come dire, molto passionale, dato che l’avverto abbastanza versatile da cambiare tono anche improvvisamente e con una bella violenza, ed a tal proposito, soprattutto sia nelle parti urlate che nei grugniti, il paragone con molte voci del black sinfonico mi viene in pratica naturale, con relativi vocalizzi più bassi che a dir la verità non mi paiono poi così intensi, ormai caratteristica del metallo nero, seppur secondo me sono d’effetto, quasi la bestia che con voce catacombale vuole entrare nelle viscere più abissali, siano esse mentali e/o fisiche, della vittima. Il nostro può sembrare un posseduto diviso tra l’essere un umano ed il dover soffrire e combattere contro il diavolo che impietosamente cerca sempre di afferrarlo tra le sue maglie malvagie. Talvolta le urla vengono accompagnate da dei grugniti, ma ho ravvisato un problema proprio riguardo questi ultimi dato che non sempre li sento così a meraviglia, un pochino seppelliti dagli altri strumenti. In una canzone come “Immortal Dreams”, le urla, più basse del solito, divengono in un certo senso soffocate, in una maniera che mi rimanda alle ridondanti evoluzioni del nano più amato/odiato della storia del Metal, ossia Dani Filth (ti credo, ci voleva tanto per capirlo?). Altre volte, si gioca con la carta di un rischio ben maggiore, cioè l’uso della voce pulita sia in “Alive in Destruction” che “Immortal Dreams”, piuttosto melodica ed intonata ma se non erro è anche un pochino statica per quanto riguarda il tono proposto. Linee vocali a mio parere buone, specialmente quelle di “Alive in Destruction”, secondo me decisamente intense e dinamiche. Discorso chitarre: la prova vomitata dalle due asce mi piace prima di tutto dal punto di vista tecnico, e ciò è anche una conseguenza della lodevole varietà e fantasia del riffing, differenziando così a mio avviso bene ogni canzone, come già osservato. I Bloodshed, come molti gruppi di black sinfonico, alternano con una buona regolarità soluzioni indubbiamente black (a tal proposito, secondo me è “Alive in Destruction” l’esempio più valido) ad altre più di stampo gotico, e forse gli interventi di quest’ultimo tipo sono frequenti in misura maggiore. Riffs particolarmente violenti ne ho ravvisato piuttosto pochi, come quello, abbastanza tecnico e rabbioso, di “Alive in Destruction”, oppure quelli, concentrati sulle note alte, uno più death mentre l’altro probabilmente più black, di “Eternal Night”. In “Anonymous” ed, in misura maggiore, in “Immortal Dreams” ho rintracciato persino situazioni di impronta metalcore in senso melodico, e nel primo dei casi il riff è lunghissimo, similmente a quello portante di “Alive in Destruction”. A mio parere, ci sono pure tracce di epicismo, ma non troppo, heavy metal come negli iniziali secondi di “Eternal Night”, mentre parti grooveggianti mi sembra ce ne siano poche, ma io menzionerei in maniera speciale una che paradossalmente mi ha ricordato in un certo senso gli statunitensi Inhuman (un gruppo ormai sciolto che suonava un death/doom basato molto sul groove, appunto), presente in “Immortal Dreams”. Un aspetto che apprezzo molto dei Bloodshed è l’uso, decisamente moderato, della chitarra solista, che propone sovrapposizioni di riffs a mio avviso piuttosto buoni, e da tal punto di vista valgono brani come “Alive in Destruction” e l’ultimo “Infernal Melody”. Nel primo caso, nella parte finale ad un certo punto ci sono addirittura 3 chitarre, una delle quali segue in pratica le melodie della tastiera, come in fin dei conti succede, seppur in forma meno rigida e più libera, nel secondo brano considerato, e tra l’altro stavolta viene dimostrata una tecnica veramente degna di nota, dinamici come sono i motivi proposti che si susseguono uno dopo l’altro. In altre occasioni vengono dati in pasto agli ascoltatori veri e propri assoli, ma ciò che mi sorprende piacevolmente è che non soltanto al sottoscritto essi paiono qualitativamente validi ma anche il fatto che solismi di tal fatta non se ne sentono di così tanti in una formazione di metal estremo. Si pensi infatti all’assolo, breve ma non troppo, di “Darkness of the Soul”, che secondo me, melodico e romantico com’è, potrebbe andare benissimo per Steve Vai, ma messe in tal modo le cose pure l’assolo, un pochino più lungo, di “Eternal Night” non scherza affatto. Un virtuosismo, quest’ultimo, che strutturalmente parlando mi si presenta piuttosto particolare dato che nasce da un riff finendo successivamente tale, presentando così un discorso veramente più lungo del solito, mentre il primo poc’anzi citato viene generato da un assolo di chitarra acustica. Eh sì, anche questa è presente, sia nella parte centrale del brano sopraccitato (in cui si fa viva pure una chitarra ritmica) e come introduzione di “Anonymous”, ed in quest’ultimo caso vengono ricamati arpeggi melodici a mio avviso ancor più sorprendenti che nel caso precedentemente menzionato, molto snelli e romantici, un po’ malinconici. Da pelle d’oca! Urge adesso segnalare che gli assoli non si esprimono mai, chi più chi meno, su un accompagnamento di impronta metal, e questa cosa mi incuriosisce non poco. Insomma, se la voce mi impressiona molto, perché decisamente passionale, le chitarre invece se la cavano a mio parere bene con le melodie, seppur in tale circostanza ci sia secondo me qualcosa che non va come dovrebbe, ma questo sarà un futuro argomento di discussione, ergo pazientate un pochetto. Potere al basso. La sua prova mi è abbastanza piaciuta, e da questo punto di vista per me il miglior pezzo è “Alive in Destruction”, in cui tale strumento alcune volte segue in pratica i motivi della tastiera. Tra l’altro, esso ha un suono che lo ritengo particolare per il genere che in fin dei conti viene qui suonato, e non in poche occasioni si sente il movimento della mano sinistra (o destra, se Febe è mancino), facendomi sentire così molta umanità dietro tutto ciò, lontano dalla freddezza di certe opere (non che questa sia un male, anzi). L’unico problema, come già osservato, è che non sempre lo sento a meraviglia, ma stavolta con molta probabilità sono sordo io. Discorso batteria: a mio parere, è decisamente notevole il lavoro fatto da Alberto, in quanto spesso e volentieri è imprevedibile per quanto riguarda il variare almeno un minimo uno stesso pattern, contribuendo così a far divenire il tutto un calderone dinamico di soluzioni piacevolmente diverse l’una dall’altra. Però attenzione, non mi sembra di essere al cospetto di un batterista che possa rivaleggiare per inventiva con, per esempio, il funambolico Luca dei Mass Obliteration, dato che qui le situazioni sono ben più classiche, seppur la fantasia non penso manchi, anzi. Sentitevi a tal proposito certe evoluzioni di “Alive in Destruction”, od alcuni blast-beats a tratti spezzettati (almeno così pare a me…) di “Immortal Dreams. I ritmi sono spesso piuttosto lineari, ed i succitati blast-beats occupano uno spazio che oserei definire modesto, anche perché una canzone come “Darkness of the Soul” ne è completamente priva, ma quando ci sono a mio parere sono belli intensi. Per fortuna, quando si tratta di spaccare culi con i tempi veloci, Alberto ne sa sparare anche di diversi, come quello distruttivo con la cassa, per niente in doppia, che va in perfetta regolarità con i piatti, di “Eternal Night”, non a caso proprio durante i momenti di impostazione death metal, oppure quello di “Infernal Melody”, comunque ben più “tranquillo” e grooveggiante. Ed ora tocca alle tastiere, che per i Bloodshed credo che siano veramente molto importanti, dato che è ad esse che sono attribuite la maggior parte delle pause nel discorso musicale, se si pensa infatti a brani quali “Darkness of the Soul” (dove mi sembrano preannunciare l’attacco delle chitarre acustiche più l’assolo) ed “Anonymous” (in cui invece si esprimono insieme alle urla strozzate trattate in precedenza, e poi in coro con tutti gli strumenti). Sono le tastiere che introducono non solo all’album con “Epic Gods” ma anche a “Darkness of the Soul” (non a caso circa un minuto di spazio dominato) ed “Immortal Dreams” (intervento meno “pomposo” dato che si perpetua per qualcosa come 18 secondi). Sono le tastiere che vengono praticamente inseguite dagli altri strumenti, come succede in “Alive in Destruction” (basso poi anche una chitarra) ed in “Infernal Melody” insieme ad un’ascia solista…e sono proprio le tastiere che non poche volte sostituiscono le due asce nella costruzione di melodie, mentre le sue compagne fungono praticamente da “semplice” contorno ritmico. Ma a mio avviso sono importanti pure per un altro immenso motivo: sono proprio le tastiere che immergono l’ascoltatore, almeno personalmente certo, in un universo pieno di romanticismo e mistero da cui mi è difficile fuggire, anche perché non raramente penso si riempiano di un’aura dal sapore notturno, esprimendosi in qualche momento attraverso influenze che mi ricordano tremendamente la musica elettronica (“Darkness of the Soul” ed “Immortal Dreams” principalmente). A differenza di un altro gruppo di black sinfonico, seppur puro come i Demonia Mundi (recensiti entusiasticamente dal sottoscritto nel 3° numero di “Timpani Allo Spiedo”), se non sbaglio nei Bloodshed le tastiere possiedono un’importanza ben maggiore, anche se mi sento di dare un consiglio, ossia quello di provarci con esse pure in fase solista, magari intrecciandole con un assolo di chitarra. Ah, un’altra cosa: qui e là sento forse un’influenza data da certo power metal modernista oppure da certi tizi (da me odiati) chiamati Children of Bodom), come in “Immortal Dreams”, dove le tastiere offrono anche una variazione a mio avviso particolarmente interessante, donando così secondo me maggior intensità al tutto.
Ragazze e ragazzi, stavolta voglio un po’ cambiare, partendo subito da quelli che considero i difetti di “After Midnight”, e devo dire che non sono per niente pochi e spesso neanche così secondari, dato che nella maggioranza riguardano il finale dei vari pezzi. Infatti, a mio parere, i Bloodshed in fase conclusiva non ci sanno fare, vuoi per un motivo vuoi per un altro, e la cosa grave è che da questo punto di vista sono secondo me deficitarie addirittura 4 tracce su 7, il che mi fa un po’ innervosire. I problemi incominciano infatti con “Alive in Destruction”, brano che considero in pratica geniale fino all’ultima soluzione la quale dura per 2 minuti, e per fortuna, dico io, viene sottoposta a continue variazioni, pure ritmicamente anche se non si sfocia ma in tempi veloci, neanche accennandoli. Però, secondo i miei gusti, tale soluzione viene tirata un po’ troppo per le lunghe facendomi in questo modo annoiare non poco, ma scrivo tutto ciò anche perché il gruppo s’è lasciato completamente alle spalle un climax, giocato molto sulle chitarre, per me strabiliante, spezzando così la sua intensità ed il suo stesso discorso, secondo me non ancora concluso, ed infatti ogni volta che sento “Alive in Destruction” mi aspetto sempre, ma invano, un bell’assolo di proporzioni mitiche, magari in blast-beats. Le credenziali per un capolavoro c’erano tutte, a mio avviso. Passiamo ora a trattare “Darkness of the Soul”, canzone che mi è in misura meno fenomenale rispetto alla precedente ma altresì sempre degna di menzione soprattutto durante la parte centrale. Probabilmente, comunque, paradossalmente penso che sia da localizzare proprio qui un altro difetto, seppur un pochino secondario, e questo concerne l’assolo di chitarra elettrica, forse non auto-conclusosi. Chissà come veniva fuori se si aggiungeva anche basso e batteria, oppure, più semplicemente, se si faceva continuare insieme all’attacco della musica proposta. Per quanto riguarda invece la conclusione del brano, anche qui credo si pecchi di prolissità come nel pezzo precedente, riproponendo così delle variazioni, stavolta quantitativamente minori, all’ultima soluzione, senza che mi si presenti qualcosa che mi faccia sussultare definitivamente, e tra l’altro finendo il tutto in maniera altamente brusca. Poi c’è “Eternal Night”, che a mio avviso possiede uno dei finali più fallimentari di tutta l’opera, visto e considerato che si “conclude” con quella che definisco una vera e propria fuga strumentale che secondo me dovrebbe fungere in questo caso da ponte per un passaggio successivo, magari riprendendo uno già eseguito. Ed adesso tocca ahimè ad “Anonymous”, che per me ha dei picchi geniali, degnamente rappresentati da una pausa che interessa prima una chitarra (che stranamente intona un riff che mi sembra un plagio, ma il problema è che non mi ricordo da dove io l’abbia già sentito) e poi tastiere e voce, permettendo così al tutto di farsi sentire su un tempo lento che prima o poi sembra esplodere. Esplosione che poco successivamente si realizza concretamente, distruggendo tutto e tutti con blast-beats che mi paiono lame sottilissime, adagiarsi entro tempi medi. Questo è un climax a mio parere sudatissimo, dato che il gruppo ha aspettato tanto ma secondo me a sufficienza per sferrarlo, preoccupandosi più di far interiorizzare completamente pian piano la pausa + il tempo lento di cui prima. Paradossalmente però per me c’è un difetto…praticamente irrilevante che ho riscontrato durante la sola chitarra, il cui riff viene in pratica spezzato dalle tastiere per poi riprenderlo, un po’ modificato, poco dopo. Ciò è secondo il mio punto di vista un difetto altamente irrilevante perché in fin dei conti il gioco soprammenzionato secondo me funziona piuttosto bene, e quindi chissenefrega. Ma rimane il problema del finale, a mio avviso qua totalmente fallimentare e giostrato malissimo. Non a caso infatti, dopo quel grandioso assalto sembra che il pezzo finisca per quanto mi riguarda in maniera dignitosa. Ma no, dato che quella è soltanto una pausa, tra l’altro anche un po’ lunghetta, spezzando così secondo me fin troppo la potenza sprigionata poc’anzi. Poco dopo, si propongono altri tempi veloci molto black, con un gioco di tastiere che definirei devastante e meraviglioso, ma tutto ciò, ai fini del pezzo, mi sembra pressoché inutile. Ma se per il gruppo era un passaggio così indispensabile, si poteva forse mettere la batteria nella pausa con una rasoiata rapida ma potente sul rullante, con la “sola” e secondo me necessaria funzione di ponte con i momenti subito successivi in modo da intensificarli, ma ormai….
Tale cambiamento strutturale nella recensione mi è servito soprattutto per introdurre e spiegare fin da subito quale sia per me il pezzo migliore del lotto, che potenzialmente poteva essere “Alive in Destruction” oppure “Anonymous” (più la prima però in quanto per me più intensa), ma visto e considerato che concretamente possono salire sul podio…l’intro (il che non mi sembra rispettoso nei confronti del gruppo intero), “Immortal Dreams” ed “Infernal Melody”, ma è proprio qui che mi sorge un altro annoso problema: “Infernal Melody” è una strumentale e curiosamente fra tutte le canzoni la considero in atto la migliore dell’opera, considerando che è a mio avviso un climax quasi continuo e giocato molto sulle tastiere, secondo me registe di tale episodio, e la chitarra solista la quale segue spesso, con sprazzi indipendenti, le prime, facendomi così immergere in un’atmosfera movimentata e dinamica, e pure la batteria, dopo circa 2 minuti, contribuisce al tutto offrendo agli ascoltatori anche un tempo veloce ma non troppo, quasi medio, con un lavoro sulle cassa a mio avviso bellissimo. Ma essendo “Infernal Melody” una strumentale, e scegliendola come momento migliore dell’album, manderei praticamente a quel paese il cantante, ergo non mi resta che scegliere per “Immortal Dreams”, che sinceramente non mi ha entusiasmato come i pezzi che mi regalano più intensità, anche se sicuramente non lo butterei via, avendo alcune intuizioni che considererei persino geniali. Né violento né tanto melodico, esso, se non erro, è il brano più povero per quanto concerne le soluzioni proposte, e mi piace particolarmente nel finale, giocato praticamente sulle variazioni continue, ognuna sottoposta ad una sola battuta, del 2° passaggio, cronologicamente parlando. Variazioni che possono essere sia su blast-beats che su tempi lenti, e quindi tutto mi risulta piacevolmente imprevedibile. Personalmente, è degno di menzione (come al solito fra l’altro) il lavoro sulle tastiere, a cui è attribuita pure un’importante variazione, che rende secondo me più intenso e potente il tutto.
Per quanto riguarda il principale punto di forza del gruppo, pure qui la scelta mi è stata veramente difficile. Prima ho pensato infatti che esso fosse rappresentato dalla fantasia che i Bloodshed si portano appresso, seppur non mi pare poi così accentuata come in altri gruppi qui recensiti, come i Nimroth oppure i Deprogrammazione (altra realtà simile al sestetto sardo per resa qualitativa, pur non avendo così tanti problemi in fase conclusiva), però a mio avviso non viene giostrata così a dovere, ed i finali tirati fuori me lo dimostrano tanto che alle volte i nostri praticamente si paralizzano ripetendo in modo diverso una stessa soluzione (“Alive in Destruction” e “Eternal Night”). Come seconda cosa ho preso in considerazione la melodia, altresì non poi così “esagerata” come mi è capitato di sentire nell’ultimo demo dei grandi Confusion Gods, e comunque credo che, riallacciandomi con il discorso poc’anzi fatto, venga spesso calibrata in malo modo, oltre al fatto che sì mi trasmette qualcosa ma fino ad un limite ben preciso (vabbè, tranne soprattutto per “Infernal Melody”, a mio parere, una girandola di emozioni). Alla fine, ho scelto per le tastiere, strumento importantissimo per vari motivi, ed anche piuttosto versatile nelle situazioni, permettendo così all’ascoltatore più esigente di non immergersi in un mare di noia, e tra l’altro credo che sappiano essere molto più tecniche e fantasiose che nei già citati Demonia Mundi.
Tirando le somme, i Bloodshed li considero sì un gruppo interessante, ma con molte mele attaccate su di loro per la gioia più sadica degli arcieri, e la cosa più curiosa è che a mio avviso molti dei loro pregi sono contemporaneamente dei difetti, come spero si sia capito nella ricerca del principale punto di forza del gruppo. Il difetto per me più importante è ovviamente la conclusione dei vari pezzi, e quindi consiglio a questi ragazzi di porre una maggiore creazione di nuove soluzioni da mettere sul piatto, magari sfoggiando un poco più di tecnica da parte delle due asce con un’importanza maggiormente accentuata sugli assoli, qualche volta pure intrecciati così da aumentare il senso melodico, di potenza ed intensità…Vabbè, i provvedimenti da fare penso che siano moltissimi e di varia natura, e forse è meglio avvicinarsi a quanto fatto in “Infernal Melody”, ergo è meglio aspettare con pazienza la prossima opera di questi ragazzacci sardi, e per ora propongo un voto riempito anche da molta fiducia. Dolce attesa.

Voto: 67

Claustrofobia

P.S.: faccio notare che “Eternal Night” viene sì introdotta da una chitarra acustica ma prima di essa si sente un suono piuttosto chiaro e continuo, facendo sentire poco dopo, insieme al primo, dei passi e successivamente una porta che forse viene aperta.

Tracklist:

1 – Epic Gods/ 2 – Alive in Destruction/ 3 – Darkness of the Soul/ 4 – Eternal Night/ 5 – Anonymous/ 6 – Immortal Dreams/ 7 – Infernal Melody

MySpace:

http://www.myspace.com/ozieribloodshed

Thursday, January 7, 2010

Intervista Bunker 66


I Bunker 66 al gran completo. Da sinistra verso destra: Desekrator of the Altar, Bone Incinerator e Damien Thorne.
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1) Weilà ragazzuoli, come la va? Tutto bene? Presentate i Bunker 66 ai lettori di “Timpani Allo Spiedo”.
Desekrator of the Altar, batteria: Ciao, tutto ok qui! Ci siamo formati nel 2007 per nessun preciso motivo, ascoltiamo la stessa roba e siamo dei nerd.

2) Di cosa trattate esattamente nei testi e chi li scrive? Da cosa traete ispirazione per farli e, dal punto di vista formale, da quale gruppo siete maggiormente influenzati?

I nostri testi sono abbastanza intelligenti, parliamo di metal… e poi odiamo il Vaticano. Li scriviamo io e Damien Thorne, due menti brillanti! Siamo influenzati molto dai Venom!

3) Ma i vostri testi in che modo dovrebbero venire interpretati? Nel senso se voi siate veramente satanisti, e perché, inoltre, parlate anche di argomenti anche piuttosto pesantini come il nucleare? A tal proposito, si può considerare soltanto semplice cazzeggio o c’è una specie di sottile denuncia? O tutto si riallaccia alla tradizione ironica e goliardica dei Venom?

Non credo che ci sia bisogno di interpretarli in quanto sono testi stupidi. Il satanismo pacchiano è decisamente divertente e per quanto concerne il nucleare, il nostro è tutto cazzeggio post-visione “Toxic Avenger” (questo è il titolo di un film “di culto” statunitense uscito nel 1985. Nda Claustrofobia). Insomma è ironia come dici tu eheh!

4) Come avviene la composizione dei vostri pezzi e quanto è durata la loro stesura? Chi li compone? Quale è stato il pezzo che vi ha dato più, come dire, “rogne”, e ci sono state per caso anche delle litigate durante questa fase?
Bone Incinerator fa i riff e poi ci vediamo insieme in sala per plasmare il tutto. I pezzi di “Out Of The Bunker” sono usciti tra il 2007 e i primi mesi del 2009. Niente rogne, niente litigate.

5) Dove avete registrato invece i pezzi ed in quanto tempo? Da questo punto di vista, c’è stato un pezzo più difficile rispetto agli altri?

Li abbiamo registrati in sala prove in un paio di settimane. Non c’è stato un pezzo più difficile.

6) A mio avviso, la vostra musica può essere considerata un black/thrash veramente marcio, puzzolente e tremendamente intenso, orientato per la maggiore verso i tempi veloci, pur proponendone con una buona frequenza di più medio-lenti, e che si presenta sufficientemente vario e fantasioso, magari tirando fuori incubi doom oppure addirittura un po’ di black/death a là Black Witchery (“A Can of Zyklon Please”). Mi piacciono poi veramente molto gli assoli, che mi sembrano più che altro heavy metal, e che di solito fanno sfoggio di sé con delle melodie allegre e birraiole cozzando così a mio parere piacevolmente con il riffing stesso, spesso “cattivo”. Strutturalmente ogni canzone rispetta lo schema strofa-ritornello, anche se ognuna da questo punto di vista presenta una buona individualità. Tra l’altro, mi garba tanto pure la produzione, con tutti gli strumenti messi bene in risalto, con il basso poi che con il suo suono che secondo me aumenta notevolmente la già ben presenta atmosfera marcia. Ora, mi sono dimenticato forse di qualcosa? Ma da chi siete influenzati principalmente? Io vedo spesso e volentieri l’influenza degli Hellhammer, anche nelle fasi doom, come degli Horned Almighty.

Hai centrato il bersaglio, siamo influenzati da tanti gruppi, tra i quali ovviamente ci sono anche gli Hellhammer e i Celtic Frost. Gli Horned Almighty sono simpatici, ma non rientrano tra le nostre influenze.

7) La canzone che più apprezzo è decisamente “Radioactive Bath”, in quanto la considero come quella più intensa di tutte (non a caso strutturalmente parlando è la più elementare del lotto), ma anche perché c’è un rallentamento doom che secondo me è il migliore dell’opera, un rallentamento veramente catacombale che lentamente diventa più violento. Tale brano mi pare abbia un pregio in più: si regge benissimo anche senza l’assolo, invero presente nelle restanti canzoni. Tra l’altro, pure le linee vocali, specialmente il ritornello, non scherzano per niente. Ora, siete d’accordo? Perché “Radioactive Bath”, in effetti, non ha l’assolo? Come è nato questo brano comunque? Se no, secondo voi, quale ritenete sia il miglior pezzo di tutto il lotto e perché?

Non saprei dirti, il pezzo non è male: è semplice, divertente e senza fronzoli. Non sappiamo perché non ci sia l’assolo, è uscita così. Non ricordo come sia nato. Il pezzo migliore secondo noi è “Metal Redentor”, è uscito in pochi minuti e ci è piaciuto subito.

8) Vorrei trattare ora quello che personalmente reputo quale il brano più particolare di “Out of the Bunker”, in quanto è l’unico che è fondato maggiormente su tempi medi piuttosto catacombali e più “cattivi” del solito. A tal proposito, perché è così diverso dagli altri, e quale è stata la sua genesi? Però ci sono delle cose che poco mi convincono, sperando che le critiche che adesso vi farò vi sembreranno sensate. La prima riguarda l’ultima ripresa del 1° riff, che viene ripetuto per 2 volte, precedendo per l’ultima occasione il ritornello. Personalmente, credo che il primo poteva essere ripetuto ancora per altrettante volte, in modo da essere meno brusco e per immergere ulteriormente l’ascoltatore nell’atmosfera catacombale di cui sopra. Inoltre, non mi piace il finale, in quanto mi sa un pochetto di inconcludente, ed infatti penso che si poteva fare meglio proponendo magari poco dopo dei blast-beats con tanto di voce e poi di un bell’assolo schizofrenico. Insomma, come rispondete a queste critiche (sempre se una risposta sia possibile)?

Non ci ricordiamo della sua genesi e non saprei darti una risposta concreta, il pezzo è uscito così, forse con le modifiche da te elencate sarebbe uscito meglio, chi lo sa…

9) Invece, per quanto riguarda il vostro principale punto di forza, penso che esso sia rappresentato dalla immane intensità di cui è totalmente pregna la musica che proponente, anche perché si presenta con una bella dose di groove, e questo a livello veramente globale (persino nella voce a mio avviso). Condividete ciò che affermo? Se no, a vostro avviso, quale è il principale punto di forza vostro?

Condividiamo e ci fa piacere che tu l’abbia notato!

10) Mi interessa anche in modo particolare anche la voce, decisamente varia e fantasiosa, anche perché mi piace specialmente l’effetto-lontananza, con annesso riverbero, innestato sul cantante, che gli regala una notevole aura di malignità, quasi per rappresentare idealmente l’imprendibilità del Male, che in questo caso è come aria. Siete d’accordo con quanto affermo? Qua invece mi rivolgo direttamente a Damien Thorne: ma da quali cantanti sei influenzato e quali ne sono i tuoi preferiti? Apprezzo anche molto quella voce a là Volker Frerich dei Warhammer che precede ogni volta l’assolo, magari pronunciando persino il nome di Bone Incinerator come accade in “Walpurgisnacht”, ed il fatto curioso è che essa è stata messa nei brani più opposti dell’ep. Per quale motivo? Forse a questa voce gli avete dato un messaggio d’apertura e di addio? In "Metal Redentor", se non sbaglio, ci sono dei cori oi! Per quale motivo?
Siamo d’accordo. Damien mi ha detto che è influenzato da Cronos e Jeff Becerra, quella voce alla quale ti riferisci sono io. Non c’è nessun motivo, sono tutte idee sorte sul momento. I cori oi! sono su “Blasphemous Ignorance”, ci stanno bene!

11) Parliamo adesso del titolo della vostra opera. Perché proprio “Out of the Bunker” e che significato possiede? Ci sono state altre proposte prima e casomai perché sono state scartate?

“Fuori dal bunker”, è stata la nostra prima “uscita” dalla sala prove. Non ci sono state altre proposte.

12) La copertina mi sembra veramente molto ironica, e specialmente riguardo Desekrator of the Altar. Dove avete scattato la foto e perché avete scelto proprio questa? In questo caso, altre proposte ci sono state e perché non le avete accettate?

Abbiamo scattato la foto sui colli qui a Messina. Abbiamo scelto questa perché ci piace. La copertina per Reinig Records sarà diversa, se ne sta occupando Sean degli Impaled, che ringraziamo!

13) Questa è una domanda un po’ provocatoria (ma mica tanto ormai), però perché utilizzate l’inglese, lingua forse un po’ troppo stra-abusata ed anche innaturale per gruppi non-anglofoni? E se provate a fare un esperimento in italiano, come 2/3 di voi fanno negli AlterAzione?

Non saprei dirti, non abbiamo pensato neanche a questo, facciamo schifo eheh!

14) C’è una ragione per il quale “Out of the Bunker” non è un demo ma un ep?

No. (Cazz…Nda Claustrofobia)
15) Siete soddisfatti del risultato raggiunto o volete cambiare qualcosa? Come stanno andando la critica ed il pubblico?

Siamo soddisfattissimi, il cd sembra piacere molto e non ci aspettavamo davvero tutti questi responsi positivi, ci fa davvero molto piacere!

16) Chi ha scelto il nome del gruppo e quale è il suo significato? Ci sono state altre proposte prima di decidere per quello attuale e potete dire per quale motivo sono state rifiutate? I due 66 hanno una valenza ironica per caso?


Non ricordo chi lo scelse, io o Bone se non ricordo male. Il nome ha un significato molto evil che non sveleremo!

17) Chi ha fatto il logo e cosa volete che esso trasmetta? Ci sono…vabbè, le stesse successive 2 domande della 16 (ho una fantasia a volte ihih).

Il logo lo ha fatto Damien Thorne, si diverte a disegnare!

18) Volete raccontarmi di un vostro concerto-tipo?

Quattro gatti, locali di merda e i proprietari di questi che meritano total death!

19) Questa è una domanda per Bone Incinerator. Prima di militare nei Bunker 66 hai suonato con qualche altro gruppo, registrando e/o pubblicando qualcosina?
Bone Incinerator, chitarra: Ho suonato death metal con gli Exhuman e registrato con loro un demo, un EP e un full lenght. Dopo ho avuto un progetto solista chiamato Oblihate, sempre death metal. Ho fatto un demo.

20) Da quanto tempo suonate i vostri rispettivi strumenti e quanto vi esercitate al giorno?
Damien Thorne suona il basso da una vita, almeno 20 anni credo. Bone non me l’ha voluto dire, io da 8 anni circa, ci esercitiamo poco, siamo pigri!

21) Una domanda cojona: quale è stato l’evento più esilarante che avete vissuto come gruppo?

Guardare ‘The Big Bang Theory’, una serie TV che consiglio vivamente!

22) Dato che la vostra musica ha radici antichissime, che pensate delle forme metalliche più moderne, specialmente quelle estreme? Hanno aggiunto e/o perso qualcosa rispetto alle sonorità più datate?
Discorso lungo questo, posso solo dire che in linea massima ascoltiamo roba fino al ’96 circa, raramente qualcosa di nuovo ha stuzzicato il nostro interesse. Tanto metal moderno puzza troppo di plastica ormai, manca feeling, manca atmosfera.

23) Quale è il vostro senso dell’evoluzione? Secondo voi un gruppo deve cambiare almeno un pochetto la propria musica per rendersi ancora interessante negli anni?

Non necessariamente. L’importante è che tutto sia naturale e sincero.

24) Come deve essere il metallaro-tipo di oggi, a vostro parere?

Non ho idea, alla fine ognuno fa quel che vuole.

25) Cos’è cambiato per voi a livello sociale nella scena metallica rispetto ad anni or sono? C’è più rispetto e passione per la musica, o quasi tutto si riduce a “mi scarico questo cd e poi bon…”?

A livello di comunicazione molto è cambiato, Internet in primis. I contatti sono facili da reperire come anche la musica digitale. I metallari che non hanno dischi originali mi terrorizzano, non si può rinunciare ad una cosa simile. Il troppo stroppia e, ironia della sorte, tutto questo facile accesso alla musica ha fatto perdere la passione genuina e la voglia nei confronti di essa stessa. Ormai tutto ti viene schiaffato in faccia e la ricezione diventa terribilmente superficiale.

26) Come siete riusciti ad accasarvi presso la giovanissima etichetta statunitense Reinig Records? Come sta andando il rapporto con lei?

Ci ha contattato lei ed ha subito dimostrato tanta voglia di fare, speriamo che vada avanti così! Il rapporto sta andando molto bene, a breve uscirà una nuova versione rimasterizzata di “Out Of The Bunker”, sia su vinile che su cd.

27) Qualche gruppo della vostra etichetta da consigliare?

L’etichetta è nuova e non so cosa sta bollendo in pentola, potete sempre tenere sott’occhio questo link: www.myspace.com/reinigrecords

28) Come vi rapportate con il fenomeno sempre più diffuso del peer 2 peer e quindi con il formato MP3? Esso può essere considerato pericoloso anche per l’Underground e perché?

Anche questa è una lama a doppio taglio, io scarico ma se ciò che scarico mi piace lo compro. Tanti invece non fanno così.

29) Che ne pensate della vostra scena Metal estrema, ossia quella siciliana( anche dal punto di vista extra-musicale – nel senso dei locali, del pubblico e così via)? Sbaglio o ha una buona scena specialmente di impronta black metal?

La scena qui in Sicilia è abbastanza buona, i gruppi validi non mancano. Mi piacciono un botto gli Haemophagus e i Throne Of Molok, poi beh ricordiamo che la Sicilia ha dato i natali a Schizo, Incinerator e Nuclear Simphony! Anche la scena black non è niente male!
Uno zoccolo duro di persone che frequentano i concerti c’è sempre, i locali invece sono il problema principale qui al sud: beccare un live metal è davvero difficile, specie qui a Messina wasteland! Voglio ricordare solamente il grandioso “Cinque Quarti” che purtroppo ha chiuso i battenti da un bel po’ di tempo ormai.

30) Che ne pensate invece della scena Metal estrema italiana più in generale( idem)?

In ogni ambito metal l’Italia ha avuto sempre ottimi gruppi: Necrodeath, Bulldozer, Schizo, Death SS ecc. e attualmente in campi ancora più estremi ci sono gruppi che stanno andando forte, gli Hour Of Penance per esempio.

31) Ascoltate altri tipi di musica oltre al Metal? Se sì, quale maggiormente preferite? Nuove leve da consigliare? Ritornando al Metal, quali gruppi preferite? C'è qualche sorpresa che volete segnalare, magari con quelle con cui avete diviso il palco?

Personalmente ascolto anche hc/punk, qualcosa di ambient, certo hard rock anni 70…anche Damien e Bone ascoltano tanta altra roba. Ma il metal resta pur sempre la nostra grande passione. Attualmente non mi vengono in mente gruppi in particolare. So solo che Bone vi consiglierebbe l’ultimo Raven e l’ultimo Anvil, non posso che confermare.

32) Cosa bolle attualmente in pentola per voi? Come va invece con gli altri gruppi di cui 2/3 di voi fanno parte? Altri progetti in cantiere forse?

Stiamo preparando 2 pezzi nuovi cha andranno a finire su un 7’’ per Reinig Records. Con i Traumagain stiamo registrando il primo full lenght e coi Grim Monolith a breve inizieremo a completare la stesura del terzo cd.

33) Ragazzuoli, l’intervista è finita, sperando che io non vi abbia rotto i cosiddetti. Volete mandare un messaggio finale agli avidi lettori di “Timpani Allo Spiedo”?
Grazie mille per l’intervista e per il tempo dedicatoci!

Monday, January 4, 2010

Seconda intervista ai Mass Obliteration


1) Ehi carissimi, come la va? Spero non vi dispiaccia di fare un’altra intervista. Lo faccio per approfondire meglio separatamente i vostri due demo.

(Andrea) Ciao! Rispondiamo con piacere..

2) Di cosa trattate stavolta esattamente nei testi? Sbaglio a considerarli più di impronta death metal, anche perché vedo maggiore rabbia ed odio in essi quasi fino alla voglia di un’olocausto (come ipotizzo in “Supremacy”, che mi pare un attacco verso il conformismo di massa, ed in “Balls Torture for Preachers”, che invece è esplicitamente contro i fedeli)? Potete descriverli uno ad uno ed in questo caso chi li ha composti?

I testi di “Abrahamithic Curse” li ho scritti tutti io.
“Supremacy” ha qualcosa di un po’ misantropico, risale ai primi tempi che vivevo a Roma. “From beyond” è un personale adattamento dell’omonimo racconto di H.P. Lovecraft (e non ha niente a che fare con la versione dei Massacre, che all’epoca neanche conoscevo). “Balls Torture” è diretta in generale ai predicatori, non solo religiosi. Rimane ancora il nostro inno, perché racchiude bene la natura iconoclasta di questo gruppo.
“Eudaimonion” è una riflessione sulla spiritualità più profonda dell’uomo, sulla forza dell’individualità e il disprezzo per il conformismo di massa. Il riferimento precisamente è al demone “buono” di socratica memoria, una specie di voce interiore per sintetizzare..

3) Come è avvenuta la composizione del primo demo e quanto è durata la sua stesura? Chi li ha composti principalmente e quale è stato il pezzo che vi ha dato più, come dire, “rogne”?

Quando cominciammo a provare assieme, a metà del 2006, iniziammo direttamente a lavorare sulle mie idee, senza il classico periodo iniziale che ogni gruppo passa a fare cover per conoscersi meglio. In meno di un anno abbiamo registrato, e diciamo che se fosse dipeso da me, l’avremmo fatto anche prima. Come ti dicevo nell’altra intervista c’era un riff di “Balls Torture” che io stesso non sapevo contare e non sapevamo bene come arrangiare definitivamente con Luca. In generale il fatto è che abbiamo iniziato fin da subito a non porci limiti e a fare cose difficili, mischiando riff alla Suffocation con altri tipo Celtic Frost, e soprattutto lasciando carta bianca a mio cugino sulla parte ritmica.

4) Dove avete registrato i pezzi ed in quanto tempo? In tale fase invece, c’è stato un pezzo più difficile da registrare rispetto agli altri e come è stata l’esperienza?

Registrammo ad Anzio in uno studio improvvisato all’interno di una villa semi-abbandonata . Facemmo tutto con calma e le riprese portarono via meno di una settimana, e in generale è stata una bella esperienza con tanti aneddoti da raccontare (alcuni dei quali contenuti nel video presente nelle prime 50 copie del cd). Dal punto di vista professionale non fu proprio il massimo invece, ma pur sempre un’esperienza, che ci ha permesso di fare le cose molto più seriamente con “Fratricide”.

5) Secondo me, la vostra musica in “Abrahamitic Curse” era decisamente molto diversa, sì sempre death metal ma vi appoggiavate molto di più sulla melodia con meno stacchi black ma usando di più il doom, e soprattutto vi concentravate in misura maggiore nei tempi medi. Altre cose a mio avviso da segnalare sono l’uso molto meno preponderante della chitarra solista e degli assoli, ogni pezzo presentava una struttura ancor più personale da un altro, e cosa piuttosto importante c’era una voglia di sperimentare, di essere bizzarri secondo il mio parere incredibilmente migliore rispetto invece all’ultima vostra opera. Un’altra notevole diversità è il fatto che Andrea al tempo cantava da solo, ma comunque qui e là ci sono molte sovra-incisioni, seppur non usate propriamente come oggigiorno con Giordano come seconda voce. La produzione, inoltre, era molto diversa e decisamente sporca, e mi sembra con certi sbalzi di volume da un pezzo all’altro, ma comunque con gli strumenti spesso ben equilibrati. Mi sono dimenticato forse qualcosa? Siete d’accordo con le mie affermazioni soprattutto? Come ritenete si possa definire la vostra musica in quel periodo e quali erano le vostre influenze?

Si, ci fu qualcuno che disse pure che il death metal non era la strada per noi da seguire..
Le differenze che tu hai evidenziato riguardano soprattutto il reparto chitarre, che all’epoca reggeva solo su Mariano. In realtà col tempo anche il mio modo di comporre si è evoluto. Diciamo che miglioriamo molto velocemente e continueremo a farlo..chi non lo fa, come Mariano, rimane fuori. Tra le mie influenze principali c’erano Autopsy, Cancer i Dark Tranquillity di “The Gallery”, i My Dying Bride dei demo e il primo album, Suffocation, Morbid Angel, Incantation, Celtic Frost, Pestilence, gli At the Gates fino a “The red in the sky is ours”, ma anche i Red Hot Chili Peppers funky degli anni 80 e i Faith No More e altre cose che non ricordo.

6) La canzone che più apprezzo è decisamente “Balls Torture for Preachers”, in quanto mi fa assaporare un alone epico e battagliero, quasi delle persone che fanno vedere i cosiddetti “sorci verdi” ai potenti di turno, facendomi ricordare in tal caso un po’ pezzi come “State of Control” o “Decontrol” dei Discharge. Tra l’altro, questo brano ha secondo me il climax migliore del demo, magari variando un minimo una data soluzione. Voi siete d’accordo con quanto affermo? Se no, quale considerate sia l’episodio più riuscito dell’opera? Come è nata comunque questa canzone?

E’stata la prima canzone arrangiata dai Mass Obliteration, e anche la prima cosa death metal che ho mai composto. Il video rozzissimo che puoi trovare su Internet dice tutto..

7) Invece, per quanto riguarda il principale punto di forza vostro in “Abrahamitic Curse”, ne ho trovati addirittura 2, ossia la batteria, sempre molto anti-convenzionale ma forse più “normale” e meno coraggiosa che in futuro, e la ricchezza emotiva del demo, visto e considerato che ogni pezzo mi trasmette incredibilmente sempre delle differenti emozioni, magari diversissime fra loro. Tale cosa mi fa ricordare piacevolmente il glorioso movimento dell’NWOBHM, i cui gruppi sapevano magari cambiare stile canzone a canzone. Ora, siete d’accordo? Se no, quale credete siano i vostri principali punti di forza e per quale motivo?

Fin dall’inizio abbiamo cercato una via personale al death metal, lasciando come secondo obiettivo quello di affinare il lato puramente violento della nostra musica. All’epoca tra l’altro rifiutavo quasi qualunque cosa “moderna” nel death metal, cosa un po’ particolare per un diciannovenne, quindi in realtà, dal mio punto di vista, le parti lente sul disco sono pure poche.

8) Parliamo adesso del titolo del vostro primo demo. Perché lo avete scelto e che significato possiede? Ci sono state altre proposte prima di decidere per quello attuale e casomai perché sono state scartate?

Anche quella è stata una mia idea. Quello della religione era il primo step lirico da affrontare per me, soprattutto a causa dei suoi risvolti politici, perciò il riferimento era al cancro delle religioni organizzate di derivazione abramitica, per l’appunto Giudaismo, Cristianesimo e Islam.

9) La copertina mi pare classica del death metal, e tra l’altro è concentrata sui grigi trasmettendo così, almeno personalmente, più malvagità. Chi l’ha fatta e quale è il suo significato? Ci sono altre…(vabbè, le ultime due domande del punto 8)?

Figurati che è stata disegnata da un nostro carissimo amico (grafico “ufficiale” del gruppo, a suo tempo impegnato anche nel nostro progetto parallelo Gemente) (secondo me era meglio ricordarlo anche per nome, per rendergli così completamente omaggio. Nda Claustrofobia) il quale ha sempre avuto poco a che fare con il death metal, cosa che secondo me si nota, perché usa un tratto poco particolareggiato e più simile a certe cose del gran disegnatore/fumettista italiano Breccia (non è che ti confondi con Alberto Breccia, che è argentino? Nda Claustrofobia). Gli ho suggerito un tema e i colori sono stati scelti alla fine, e agli altri è piaciuta subito.

10) C’è una ragione per il quale il testo di “Daimonion (Demon of Goddess)” è in greco? Ma perché allora su Metal-Archives figura solo in inglese?

Forse perché chi ha trascritto quei testi non ha trovato i caratteri greci oppure semplicemente perché la stragrande maggioranza della gente non li capisce e ha scritto anche il titolo del pezzo in maniera sbagliata..poco importa comunque. Sapevo che poteva risultare ostico per qualcuno, ma ‘sti cazzi.
Il riferimento poetico che uso alla fine della canzone è agli “Inni ad Afrodite” di Omero, e per vari motivi calzava bene con il testo e con la musica.

11) A mio avviso, la particolarità più interessante del demo è proprio la già citata ricchezza emotiva del demo, dato che in ogni pezzo io vengo assalito da diverse e contrastanti emozioni indipendentemente dalle tematiche trattate. Infatti, uno ad uno, “Shrine of the I pt.1” mi trasmette la minaccia incombente di un Male che si sta scoprendo lentamente per distruggere tutto, mentre “Supremacy” è il momento in cui sta compiendo il massacro con beffarda crudeltà, permettendo così a “From Beyond” di disegnare un mondo apocalittico, la consapevolezza del dolore e di un futuro prossimo a non esistere più. “Shrine of the I pt.2” è invece secondo me l’urlo sofferente dei dannati, del popolo, che con “Balls Torture for Preachers” si risvegliano dimostrando una notevole voglia senza compromessi di lottare, la quale dà la luce a “Daimonion” che per il mio parere rappresenta la speranza, anche se alle volte, grazie a dei passaggi cervellotici, sembra risorgere da quest’”illusione” il Male, che infine genera “Shrine of the I pt.3” che io concepisco come la fine definitiva dell’umanità tanto è ipnotizzata dal Malvagio. Ora, siete d’accordo con quanto affermo? Inoltre, avete fatto questi 7 pezzi pensando ad una specie di demo a concetto, seppur seguendo soltanto una logica musicale e non propriamente tematica (come può essere, per esempio, la saga di “Keeper of the Seven Keys” degli Helloween)?

La struttura a concept non c’è perché non ho costruito una storia e i testi non sono consequenziali, ma c’è un filo che lega le 4 canzoni con i 3 strumentali, e questi ultimi in particolare, ho insistito molto ad inserirli per creare un’atmosfera globale, come se fosse un vero viaggio dantesco. Perciò non si può classificare come un semplice demo, Quello che molti evidenziarono è che ad un primo ascolto completo del disco una sensazione di angoscia e oscurità li avvolgeva, ed è la cosa di cui sono più soddisfatto, perché preso nell’insieme il cd rappresenta bene il tipo di malessere che provavo all’epoca e tutte le sue sfumature.

12) Non vi sembra un po’ rischioso mettere addirittura 3 brani strumentali in un’opera in fin dei conti death metal, seppur non convenzionale, dato che la voce risulta, a mio avviso, parte integrante di esso nonché capace di aumentare spesso e volentieri la cupezza et similia che trasmette già la musica? Perché, inoltre, si chiamano tutti e 3 “Shrine of the I” e che significato possiede un titolo del genere?

Il tempio dell’Io rappresenta il mio viaggio interiore, il mio luogo di salvezza, e la musica è il motivo per cui ancora non ho ammazzato nessuno o non mi sono suicidato.

13) Ora, mi sembra giusto farvi sapere i difetti che personalmente ho rintracciato, e l’uno fra i quali riguarda proprio “Shrine of the I pt.1”, dato che questo, per me, finisce un pochino inconcludente, non dandomi il colpo di grazia. Secondo il mio parere infatti, la minaccia incombente di cui sopra, per allacciarsi completamente con “Supremacy”, doveva finire, dopo la musica con delle urla belle disperate spezzate e soppresse subito dopo da un tom-tom rapido. Come rispondete a questa critica (se mai si possa rispondere certo)?

La prima traccia è stata l’ultima composta, poco prima di registrare ed ha avuto, anche nei nostri concerti, la semplice funzione di intro.

14) Un'altra cosa che non ho particolarmente gradito riguarda “From Beyond” in quanto ha dei passaggi che mi annoiano non poco. In questo caso, sto parlando più nello specifico della ripresa di un riff che mi ricorda veramente molto i tedeschi Warhammer, ripresa che viene sottoposta a 5 battute in luogo delle 4 precedenti. E per me è proprio quell’aggiunta che è inutile ai fini del prosieguo del pezzo. Invece, a tutto ciò come controribattete?

Non conosco i Warhammer. Per noi “From Beyond” è un pezzo doom-death quasi perfetto, forse doveva essere suonato ancora più lentamente.

15) L’ultimo personale difetto è rappresentato da “Shrine of the I pt.3”, seppur il tutto mi sembra comunque d’effetto, anche se alla fine un po’ noioso. Penso che forse con la voce migliorava notevolmente, ma è curioso il fatto che il suo andamento mi ricordi molto perfino “Complete Utter Darkness” tanto è ipnotizzante e disturbante. Ritenete giuste le mie osservazioni?

Anche questo pezzo forse doveva durare ancora di più ed essere suonato ancora più lentamente.
E’ stato concepito come strumentale, un’outro “semplice” e angosciante, talmente tanto che dal vivo l’abbiamo suonato una volta sola, nel nostro primo concerto.

16) Potete raccontarci dei video che avete fatto per “Balls Torture for Preachers” e “From Beyond” (dal vivo) e perché avete scelto proprio questi due brani? Invece per quanto riguarda il dietro le quinte che avete fatto? Che cosa vi ha mosso a metterlo nel demo?

La sezione video è stata inserita per offrire qualcosa in più e fare una cosa che non faceva nessuno.
Quello di “Balls Torture” è stato fatto nello studio dove provavamo all’inizio, sulla Togliatti, e le immagini di repertorio sono prese da quelle di Genova 2001. Quello di “From Beyond” risale proprio al nostro primo concerto, tenutosi a Fiumicino il giorno prima di andare a registrare. Il dietro le quinte è una selezione di 15 minuti tra le quasi 2 ore di riprese di quei giorni.

17) A distanza di ormai 2 anni, siete soddisfatti del risultato raggiunto o forse rimpiangete qualcosa? Pensate tra l’altro che “Abrahamitic Curse” sia qualitativamente migliore di “Fratricide”? Per me, se si escludono i 3 difetti di cui sopra, sì, considerando che eravate probabilmente addirittura più completi ed in certi punti molto più coraggiosi, almeno per quanto mi riguarda certo.

Penso, così come gli altri, che i miglioramenti raggiunti in un solo anno rispetto ad “A.C.” sono immensi. “Fratricide” è qualitativamente superiore sia nella produzione che negli arrangiamenti. Abbiamo investito il doppio dei soldi nella registrazione e nella promozione.
In ogni caso nessuno dei due rappresenta completamente quello di cui siamo capaci, e ognuno è legato al periodo in cui è stato registrato e alla formazione che lo ha assemblato. Durante il 2009 ci sono stati altri cambiamenti e tanti altri concerti, e le canzoni nuove che saranno nel full-lenght saranno ad un livello ancora superiore.

18) Come siete riusciti a reclutare dopo un po’ Giordano e quale è stato il motivo di quest’avvicendamento in formazione? Probabilmente il voler aumentare il muro di chitarre?

Si, ci serviva un’altra chitarra, come deciso quando fondammo il gruppo. Per fare più velocemente rimandammo l’aggiunta a dopo “A.C.”
Giordano era già un nostro caro amico da quando militava nei Compulsion, e abbiamo scelto lui perché aveva una dose di esperienza che ci mancava e un’altra voce spaventosa da aggiungere alla mia. Su “Fratricide” tra l’altro ha composto anche tutti gli assoli.

19) “Abrahamitic Curse” ormai è tutto esaurito o no? Se sì, ci sono possibilità di una ristampa?

In futuro forse ci sarà una stampa in vinile, forse anche su cd. Contiamo di farlo quando qualcuno ci proporrà la cosa, oppure quando dopo il nuovo disco avremo i soldi per farlo da soli.
Da un paio di anni è disponibile in download gratuito, e devo dire che a quanto pare si è diffuso a macchia in tutto il mondo, con circa 900 downloads da vari blog in questo periodo.

20) Ed anche quest’intervista volge al termine. Volete mandare un ultimo messaggio agli avidi lettori di “Timpani Allo Spiedo”?

Il link per “A.C.” lo trovate attualmente sulla nostra pagina facebook (http://www.facebook.com/home.php?ref=logo#/pages/Mass-Obliteration/52697005822?ref=ts)
mentre il nostro ultimo lavoro “FRATRICIDE” è disponibile in cd slipcase su ordine e con offerte insieme alle maglie dell’omonima serie limitata.
20 copie del cd sono inoltre in palio tramite un concorso sul nostro sito http://www.massobliteration.it/
Estratti dei due cd in streaming insieme a tutti gli aggiornamenti su http://www.myspace.com/massobliterationdeathmetal
Un saluto da tutta la band e supporto totale a “Timpani allo Spiedo” e all’underground più marcio