Nel 2022 è uscito un libro di mio padre totalmente incentrato sugli anni '60, decennio a cui lui è particolarmente legato. E fra i capitoli di "Quei favolosi anni '60" - questo il titolo del libro - ce n'è uno a cui ho pesantemente contribuito: quello sul beat italiano, e per questo intitolato "1967, la Beat Generation". Stiamo parlando di un genere che in Italia in quegli anni ha letteralmente spopolato praticamente grazie ai Beatles e al loro tour dalle nostre parti svoltosi fra il 24 e il 28 giugno 1965 e che toccò Milano, Genova e Roma.
Senza però ripetere a pappagallo ciò che, insieme a mio padre, ho scritto in quel capitolo, il beat italiano è stato un movimento giovanile enorme e molto prolifico che ha generato anche gruppi particolarmente duri appartenenti al filone "garage bitt", cioè il lato più rozzo e aggressivo del beat nostrano, il quale, così facendo, ha traghettato il Belpaese non solo verso il '68 grazie alle sue canzoni di protesta ma anche verso il '77, verso la rivoluzione del punk rock. Con quest'articolo voglio quindi far luce su alcuni gruppi in qualche modo rappresentativi del garage beat italiano analizzando certe loro canzoni, tutte pubblicate come singoli fra il 1966, di fatto l'anno clou del movimento, e il 1967.
La prima band di cui parlare è sicuramente quella de I Corvi, 4 ragazzi di Parma dal fighissimo look gotico che non saranno i più estremi della lista ma negli anni sono stati coverizzati da una pletora di gruppi punk, inclusi Colonna Infame Skinhead, Ira e Gasse. Facile spiegare perché: la loro "Un ragazzo di strada" rappresenta un vero inno dei ragazzi di periferia, dei ragazzi che vivono "ai margini della città". Il cantante, sospeso fra un tono sommesso e un altro più urlato e stentato, dice infatti a una ragazza di non averci niente a che fare perché lei, avendo tutto quello che vuole, appartiene a tutto un altro mondo, a tutta un'altra mentalità. Non tanto diverso è il testo, più comunque d'amore, del pezzo originale, "I Ain't No Miracle Worker" dei californiani The Brogues, gruppo garage durato un anno ma diventato immortale con questo pezzo poi rifatto un'infinità di volte. Però il bello è che la stessa "Un ragazzo di strada" è stata coverizzata già a fine anni '60 da vari gruppi, inclusi i misteriosi Evangelisti, che ne proposero una versione addirittura più aggressiva grazie pure a un cantato molto strascicato già in stile punk, e perfino i peruviani Los Doltons in "Una muchaca de mundo", dal testo però in parte modificato in modo più smielato.Un altro pezzo "stradaiolo", e oserei dire "teppistico", è "Atto di forza n. 10" de I Ragazzi del Sole, quintetto torinese che pubblicò questa perla garage con una copertina insolita ritraente un biker in giro su una moto, con tanto di titolo del pezzo in rosso sangue, e questa doppia scelta costituiva già una rottura dalle classiche copertine di quel periodo, spesso innocue e con le band praticamente sempre in posa. Molto coerente il testo, che parla di scontri fra bande rivali che finiscono tragicamente con un morto ammazzato a coltellate per strada. Ancora più incredibilmente radicale la musica: un garage cupo, minaccioso, dall'aura da pericolo incombente, con la batteria ora tribale e ora martellante mentre il giro di chitarra è seriamente hard. Completato da un cantato diviso fra parti sussurrate e altre più alte ma senza essere troppo aggressive, questo è sicuramente uno dei pezzi più pesanti della scena beat nostrana, se non proprio di quella internazionale.Testo "teppistico" molto simile, anche per il suo violento epilogo, pure per "Come i ragazzi di via Paal", che racconta di bande in lotta per il dominio della città. Arrangiatori di questo pezzo i mitici Pelati, 5 ragazzi sassaresi che mi piace considerare come la prima band skinhead di sempre. Erano infatti veramente pelati e avevano delle facce veramente da schiaffi. Non può quindi che essere aggressivo il loro brano più famoso, "Come i ragazzi di via Paal", da segnalare anche non solo per un bel giro di basso che definirei "noir beat" ma anche per degli assoli selvaggi. Fra l'altro, nel 1966, l'anno in cui pubblicarono questo singolo, fecero una comparsata in un musicarello western italo-spagnolo intitolato "Per un pugno di canzoni", partecipando però con "Brunedda", pezzo più folk perfino con lo scacciapensieri ma con un po' di risvolti hard (e pure con una specie di "oi oi oi" qui e là!), cantato oltretutto nel loro dialetto.Anche i Kings, gli esponenti forse più fortunati della Veronabeat, una delle scene più vivaci d'Italia, fecero un cameo in quel film. E con quale pezzo? Ma con "Trovane un altro", che era veramente devastante! Non si tratta però di un originale, bensì di una cover di "Almost There" dei The Turtles, gruppo californiano sì dalla lunga carriera ma un po' sfigato. Però dispiace per loro ma la cover dei Kings risulta molto più aggressiva grazie a uno stile più diretto e senza fronzoli completo sia di urla isteriche qui e là, che di assoli di puro rock'n'roll, così rumorosi da dare l'impressione che il chitarrista stesse abusando del proprio strumento. Insomma, qui il passo da Kings a Kinks è molto breve. Si aggiunga poi un testo che prende in giro una ex-fiamma e che quindi è decisamente adatto alla musica. Se volete dedicare a una/un ex un testo altrettanto rancoroso, seppur meno derisorio, vi potrebbe aiutare "Ricordarmi" dei padovani The Ranger Sound. E con questo agguerrito quintetto le sonorità più dure si sprecavano, visto che si sta parlando di ragazzi che si nutrivano costantemente non solo di Kinks ma anche di Pretty Things, Who, e di gruppazzi simili, ergo questi scendevano poche volte a compromessi. Esempio massimo di ciò è, per l'appunto, "Ricordarmi", pezzo dal ritmo sbilenco di batteria e dalle chitarre ultra-fuzzate che mi rimandano un po' a quelle di "Non je ne vois rien" dei francesi Les Problèms, altro complesso piuttosto aggressivo dell'epoca, poi diventato il gruppo di accompagnamento del simpatico Antoine, un vero mito beat nell'Italia di fine anni '60. Senza se e senza ma, "Ricordarmi" è un classico del garage bitt.Poco dopo però, i Ranger Sound impazzirono del tutto. Infatti, in una mossa di marketing a dir poco geniale, si tinsero i capelli di verde (e pure eventualmente la barba!), e così si trasformarono ne... I Ragazzi dai Capelli Verdi! Ben lungi dall'essere diventati un fenomeno da baraccone, la band non mutò affatto lo stile, sempre duro e pure piuttosto avventuroso, con richiami anche alla psichedelia. Da citare allora la psichedelico-arabeggiante "Ragazza notte", e la ancora più hard e lacerante "Un tipo per te". La prima inizia in modo dissonante e possiede un mood malinconico dato che, grazie a un testo scritto nientemeno che da Mogol, parla di una ex diventata praticamente una prostituta mentre "Un tipo per te" è più scatenata e dinamica, con molti cambi di tempo e un'atmosfera da vero live durante gli assoli, mettendo in scena così un amore difficile fra un ragazzo "alla buona" e una ragazza che lo credeva più snob e che vuole quindi tutto un altro tipo, in realtà praticamente impossibile da trovare.Anche i romani Jaguars proponevano non solo più di un pezzo bello vigoroso ma anche inflessioni dal sapore psichedelico. Inoltre, il cantante Silvio Settimi scriveva spesso testi coraggiosi a sfondo abbastanza sociale, solitamente urlandoli con forza a perdifiato. Ecco allora canzoni come "Il tempo passerà", cover dell'energica "Hey Girl" dei britannici Small Faces personalizzata con ben 2 assoli di batteria, e "Devi combattere", dall'aria incredibilmente più triste nonostante il titolo, con Silvio che, fra assoli di flauto e un finale cantilenante, è allo stesso tempo arrabbiato, lamentoso e rassegnato. Ma nel primo pezzo lui invita a costruire un mondo nuovo, ovviamente migliore di quello precedente, vecchio e bigotto, mentre nel secondo esorta a combattere, per l'appunto, e a trovare la propria strada, contando però solo sulle proprie forze perché tutti se ne fregano di te in quanto, purtroppo, "la vita va così". Insomma, più punk/oi! di così si muore!
Notevole è pure il testo della vivace e sperimentale "Il treno della morte", rifacimento solo apparentemente macabro di "Russian Spy and I" degli olandesi The Hunters (con alla voce Jan Akkerman, poi nei grandissimi Focus, mica cazzi!), canzone con delle melodie addirittura russe con tanto di assolo di chitarra suonato con l'archetto di violino, in una soluzione per l'epoca molto insolita anche in ambito internazionale. Liricamente si tratta di un pezzo pacifista con protagonista un ragazzo che sta per partire per il fronte. Attenzione però al titolo: per via della parola "morte", i Jaguars non poterono suonare questo pezzo ad "Aria condizionata", un programma condotto da Pippo Baudo, e così eseguirono al suo posto la più commerciale "Ritornerò in settembre", la cui base partì a sorpresa dopo accordi segreti presi fra Baudo e il discografico della band, cioè Carmine de Benedictis, proprietario della loro etichetta, la CDB (che aveva in scuderia anche I Ragazzi dai Capelli Verdi). In soldoni, i Jaguars vennero praticamente censurati nonostante l'importanza del messaggio della canzone.
A proposito di tematiche importanti, non passa sicuramente inosservata "La fine verrà" dei milanesi The Red Roosters che, a giudicare dalla copertina del loro unico singolo, dovevano essere giovanissimi. Ma erano dei giovanissimi con le idee molto chiare, non solo dal punto di vista musicale: il pezzo è infatti quanto di più pesante si potesse trovare all'epoca, con la sua atmosfera plumbea e densa di oscuri presagi, rafforzata da un riff degno dei Black Sabbath mentre la voce, interessata da un forte effetto d'eco, declama parole apocalittiche sulla fine del mondo causata dall'umanità. Insomma, una canzone particolarissima, molto in anticipo sui tempi anche musicalmente parlando, con quel suo approccio proto-doom metal ultra-minimalista. Ma anche liricamente parlando, essendo in sostanza un pezzo ambientalista nerissimo, quindi in un certo senso vicino sia al crust che alle correnti più estreme dell'anarcopunk. Al contrario, aspettatevi un approccio completamente spensierato con "Balbettando" de I 5 Monelli, un gruppo di cui non si sa praticamente una mazza, a parte il fatto che avessero pubblicato 2 singoli fra il 1967 e il 1968. Eppure, questo brano, lato B del primo singolo, è da ritenere come una perla del garage bitt più rozzo (anche per via della registrazione non esattamente brillante), furibondo e punkettoso, con tanto di intro d'organo e una voce rauchissima che canta di uno che balbetta dall'emozione ogni volta che vede la ragazza che gli piace. Grandiose poi le risate impazzite da presa per il culo totale del cantante, capaci di ricordarmi molto "Surfin' Bird" dei Trashmen. Peccato quindi che di questi non si sappia niente ma, dalle loro facce, dovevano essere forse del Sud.Oltre a questi gruppi, ce n'erano però molti altri che offrivano sonorità garage bitt, e per questo vi consiglio la compilation "60's Beat Italiano Vol. 1", pubblicata nel 1989 dalla floridiana Direct Hit Records e contenente molte delle band soprammenzionate e non solo, la quale fra l'altro fa denotare un certo riconoscimento da parte perfino statunitense nei confronti del beat nostrano. E questo è un segno del fatto che la qualità sicuramente non ci mancava. Di aiuto però vi potrebbe essere anche un ricchissimo canale YouTube dedicato proprio al lato più duro di questo genere chiamato, non a caso, Punk'n'Delic 64-67, ormai non più attivo da un annetto buono ma il materiale proposto è veramente tanto e proviene letteralmente da tutto il mondo. Però è probabile che io faccia un altro articolo sul garage degli anni '60, non per forza italiano, visto che ultimamente ci sono in fissa. Anche perché mi sorprendo ogni volta di quanti gruppi si possano scoprire di quel periodo, prima del '68. Erano tantissimi. E molti, italiani compresi, picchiavano fortissimo!
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