Album autoprodotto (21 Marzo 2013)
Formazione (2011): Giorgio Benedetti – voce/chitarre/basso/batteria elettronica/sintetizzatore;
Mauro Paderni – solo di chitarra (“The Omnivore”);
Nicola Panteghini – solo di chitarra (“Introvert Autopsy”);
Cristiano Mondini – solo di theremin (“Fractal Flood”).
Località: Brescia, Lombardia.
Canzone migliore del disco:
“Introvert Autopsy”.
Punto di forza del progetto:
la sua capacità di essere digeribile nonostante la sua apparente enorme complessità.
Dopo il mezzo passo falso di “Renascentia” degli As the Monster Becomes, la Abyssal Warfare Promotion si riprende con l’album di debutto di Nervecide, una bestia devastante portata avanti da un ex – Cadaveric Crematorium. E il bello è che questa è la sua primissima uscita, e se i risultati sono questi chissà cosa riuscirà a fare in futuro. Fra l’altro, è curioso che ultimamente stia andando di moda il concetto, a quanto pare tipicamente buddhista, dell’impermanenza, dato che, se vi ricordate, l’hanno già trattato gli sperimentaloidi Azure Emote con, appunto, “The Gravity of Impermanence”, e l’ha fatto pure James LaBrie con il suo ultimo disco solista. Ma che è? Un contagio?
Tornando a cose serie, “Impermanence” si compone di 10 pezzi (fra cui l’intro, l’intermezzo ambient “Impermanence pt. 02” e l’outro “Infinito”) per circa 43 minuti di durata. La musica è totalmente adatta per il fantastico (modestamente…) nome di questa webzine essendo un brutal tecnico e arzigogolato un po’ sulla scia di Deeds of Flesh e Visceral Bleeding. Quindi, aspettatevi un assalto sempre imprevedibile e pieno di sorprese come di una quintalata di cambi di tempo (anche se la batteria è preferibilmente bella veloce). Eppure, cosa non scontata da dire, viene vomitata spesso e volentieri una cattiveria pazzesca, alle volte così dissonante da spaventare alla grande l’ascoltatore (come in “The Omnivore”). Ergo, la melodia è praticamente assente, mentre bisogna sudare 666 camicie per dimostrare l’esistenza di qualche tempo lento su quest’album.
Mi ha veramente ben impressionato il comparto vocale, che è costituito da un grugnito profondo e versatile e che è capace di andare da toni quasi gutturali a urla improvvise e malefiche che ricordano molto il Lord Worm dei Cryptopsy periodo “Once Was Not”. Un plauso va anche alle micidiali linee vocali, alcune delle quali molto intense e fantasiose.
Si può dire che l’album sia diviso in 2 parti parecchio diverse fra di loro, anche se in generale lo stile è sempre quello, cosa che non può far altro che piacermi. In sostanza, la prima parte è, diciamo, quella più violenta e veloce, mentre la seconda, che è introdotta da “Impermanence pt. 02” , pezzo ambient piacevole come pochi, è fondata su pezzi più equilibrati per quanto riguarda i tempi (specialmente “Introvert Autopsy”, che si basa tutta sull’alternanza quasi metodica fra le partiture veloci e quelle più lente) ed è anche l’unica ad avere degli assoli (“The Omnivore” e “Introvert Autopsy”, che ha un solo addirittura melodico e cupo allo stesso tempo), seppur in “Fractal Flood” ce ne sia uno, come dire?, di quell’assurdo strumento elettronico conosciuto come theremin (e quindi già totalmente folle, sentire per credere). Inoltre, dal punto di vista strutturale la seconda parte risulta caratterizzata da pause atmosferiche con chitarra acustica (di cui quelle finali di “Introvert Autopsy” e “The Thirst that Never Subsides” sono, chissà perché, praticamente identiche) mentre la prima ha dei brevi stacchi assurdi. Insomma, il nostro ha saputo come differenziare per benino i vari pezzi fra di loro, avanti così!
Però, un’altra cosa interessante è che la struttura dei pezzi non è che sia poi così poco memorizzabile. Ciò perché le canzoni sono fondate su qualche sequenza di passaggi ben definita, caratteristica che si può notare soprattutto in “The Thirst that Never Subsides”, che è in pratica il pezzo lento del disco e anche quello più “semplice” per quanto concerne, appunto, la struttura.
Fra l’altro, devo dire che la drum – machine è stata programmata più che bene, nonostante non sia stata bilanciata ottimamente con gli altri strumenti, di conseguenza il suo suono appare deboluccio.
L’album si chiude con “Infinito”, un’outro atmosferica di 5 minuti e mezzo con voce pulita, chitarre acustiche e le onde del mare. Essa non è altro che la trasposizione in musica de “L’Infinito” del grande Giacomo Leopardi, cosa che mostra ancora una volta che il nostro Giorgio Benedetti ha una certa vena poetica veramente notevole (e a questo proposito cito ancora una volta la rilassante “Impermanence pt. 02” ). A ‘sto punto, lui potrebbe benissimo pubblicare un album acustico o ambient, credo che farebbe un figurone anche così!
Insomma, “Impermanence” è un disco che raccomando senza indugio. L’unico suo peccato è l’aver messo l’uno accanto all’altro il tour de force da quasi 7 minuti di “The Thirst that Never Subsides” e “Infinito” perché forse sarebbe stato meglio includere come nono pezzo uno più veloce, così da non far scemare tutta l’intensità costruita con fatica nel resto dell’album. Ma questa è soltanto un’inezia perché, a ogni modo, Giorgio non scherza affatto, ha le idee chiare circa la propria musica e, cosa da apprezzare al massimo, ha rischiato di brutto debuttando direttamente con un album. Questo sì che significa avere le palle quadrate, e che cazzo!
Voto: 83
Flavio “Claustrofobia” Adducci
Scaletta:
1 – Of Subterranean Rapture (intro)/ 2 – Fractal Flood/ 3 – Flashover/ 4 – Fracturing Impulse/ 5 – Impermanence pt. 01/ 6 – Impermanence pt. 02/ 7 – The Omnivore/ 8 – Introvert Autopsy/ 9 – The Thirst that Never Subsides/ 10 – Infinito
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