Wednesday, June 22, 2011

Ammonal - "Beginning the End of Everything" (2010)

Recensione pubblicata il 23 Aprile 2011 sulla mia pagina FaceBook.

Demo autoprodotto (15 Aprile 2010)
Formazione (2008): Leo, voce e chitarra;
Andrea, chitarra;
Renzo, basso;
Moreno, batteria;
Federico, tastiere.

Provenienza: Milano, Lombardia

Punto di forza del gruppo:
sicuramente la spaventosa durata del demo, ossia ben 35 minuti di ottima musica nonostante la giovane età del gruppo e nonostante siano alla prima testimonianza discografica. Tutto ciò non li ha però fermati creando qualcosa di molto bizzarro e complicato.

Migliore canzone:
per buona grazia di “You’ll Never See You’ll Never Know” che come ultimo pezzo risulta molto razionale per concludere il disco, preferirei mettere in risalto il grandioso tour de force di “Doctrine of Submission”, quasi 7 minuti di delirio sonico nel quale succede di tutto e il contrario di tutto. Sfuriate black metal (però con sempre un bel pacco di melodia dentro), magniloquenza quasi da power metal, passaggi epici e persino guerrafondai per finire con la lunga follia reggae con tanto di disorientati effetti dub tipici del genere! Follia è proprio la parola giusta.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Gli anarchici deathettoni Mass Obliteration avevano appena finito il proprio turno, quindi non potevamo fare altro che gustarci una meritata pausa dopo una bella dose di massacro. Era il 16 Giugno 2009 ed il concerto si stava tenendo allo CSOA Spartaco. E mi ricordo ancora chiaro e tondo cosa mi confessò mio cugino durante quel breve riposo. Mi disse che da un po’ di tempo coltivava il sogno di suonare in un gruppo di “death metal progressivo alternativo”. A parte che sono sempre stato contrario a usare l’espressione “alternativo” soprattutto perché, se già pensiamo alla moltitudine delle varie proposte più o meno metalliche, è decisamente inutile utilizzarlo, facendomi inoltre quasi pensare che con questo termine si intenda di avere la chiave per essere l’unica alternativa originale possibile. Ma comunque qualcun altro un giorno decise di “rubacchiargli” (tra virgolette perché il gruppo milanese mi è stato presentato, attraverso la persona di Leo Mozzato, con il termine “melodico” in luogo di “progressivo”) in parte quella lunga e scomoda definizione, e mi sto chiedendo se effettivamente mio cugino avesse mai immaginato di suonare una musica simile a quella dei giovanissimi Ammonal.

Ci si potrebbe dilungare su quel tipo di etichetta e allo stesso tempo sintetizzare in una maniera spero non spaventevole ciò che questi milanesi suonano con tutta tranquillità. Infatti, con molta probabilità l’unica cosa corretta nella definizione è il carattere progressivo del gruppo. Con ciò solitamente intendo prima di tutto una cura delle melodie sfavillante nella quale più o meno ogni strumento (compreso il basso il cui lavoro qui è a dir poco ottimo) fuoriesce dai canoni del Metal di classica concezione sputando così in maniera collettiva una spinta individualista verso l’esibizione (per nulla gratuita) della tecnica e la sovrabbondanza di linee da seguire che si completano l’una con l’altra. Di conseguenza, ne viene fuori qualcosa come l’equivalente del rock progressivo anni ’70 più avvolgente e ricco di sfumature.

In secondo luogo, vi è quest’urgenza continua di mettersi sempre in discussione sfociando così spesso in un eccessivo sperimentalismo che riguarda letteralmente ogni cosa. Non ci sono punti di riferimento precisi, ogni canzone ha una sua personalità ben distinta, e si può azzardare l’osservazione che gli Ammonal considerino la (propria) musica come un autentico, costruttivo e talvolta istintivo gioco, come se si stia parlando di 5 bambini troppo cresciutelli. La massima espressione di quest’aura giocosa è rappresentata dalla rockeggiante “Fuckin’ Blues” che, oltre a sfornare delle liriche spassose (ovvero la bellezza universale di un’arte come la Musica), consta di un battibecco infinito tra le due chitarre, una finta conclusione del pezzo che fa il verso al più classico finale blues (un nome su tutti come B.B. King può bastare?) e addirittura, come nella più tipica tradizione jazz, viene sparato un bellissimo solo di pianoforte!

Oltre all’utilizzo del termine “alternativo” si può contestare ampiamente l’uso del death metal. L’unico elemento costante di tale specie che si può trovare è nella voce che, in linea con gruppi estremi e progressivi come i veneti Eloa Vadaath, si esprime principalmente in un grugnito di una grinta impressionante tanto da farmi quasi immaginare che il demo sia stato registrato durante un vero e proprio concerto. Anche perché, ritornando al fattore giocoso del discorso, non poche volte il nostro, particolarmente attivo per far capire la sua grande importanza vocale negli Ammonal che altrimenti apparirebbero come un gruppo semi – strumentale a là Resumed, fa sfoggio spesso e volentieri di un “one, two, three, four” ripetuto almeno una volta in quasi ogni canzone, come se ‘sti ragazzi stessero provando in sala divertendosi come matti.

Per il resto, il death metal è relegato solo in pochi momenti, e a tal proposito sono da menzionare le melodie raffinate di “Final War”, da dove fra l’altro si avvertono sia la rocciosità su tempi medi e pesanti del metalcore (come nella lunga intro “Beginning the End of Everything”) che il thrash metal poi spogliato di ogni carattere “ballabile”. Ma se si fa anche una semplice rassegna delle ultime 3 canzoni (dalla ballata con tanto di voce femminile di “I Bleed” per finire con l’epicismo heavy metal di “You’ll Never See You’ll Never Know”, dove viene preso di petto quel tempo medio da cavalcata caratteristico delle forme metalliche più tradizionali) ci si può rendere conto dell’estrema eterogeneità che informa il quintetto, e quindi dell’inutilità di una definizione che lo inserisce in un contesto troppo ristretto e crudele.

Non scordiamoci neanche dell’estrema attenzione riposta dai nostri circa la valenza tattico – strategica della scaletta. Per fare un esempio, è stata ottima la scelta di far seguire a una canzone folle e totalmente indomabile come “Doctrine of Submission” il discorso più pacato di “I Bleed”. Il quale precede l’allegria e la vivacità di “Fuckin’ Blues” per poi finire il demo con “You’ll Never See You’ll Never Know”, che viene introdotta da un organo di chiesa severo e ineluttabile, come a commemorare in maniera triste e nostalgica la conclusione un gioco creativo bellissimo e ricco di sorprese.

Eppure dire che in questo demo sia tutto rose e fiori mi sembra un po’ troppo estremo. Infatti, prima di tutto bisogna fare qualche osservazione sulla struttura stessa dei pezzi:

1) talvolta si ha l’impressione che il gruppo si prenda troppa libertà, magari non approfondendo certi passaggi (ho scritto “certi”, non “tutti”!) risolti sbrigativamente che di sicuro avrebbero meritato più attenzione. Ciò non soltanto per non confondere le idee all’ascoltatore ma soprattutto per cercare più o meno di seguire una linea nel raggiungimento di un climax emotivo (che a quanto ho capito è il fine a cui mirano praticamente tutti i pezzi del disco). Tale mancanza la si sente particolarmente in “Final War” dove la seconda parte, per quanto è veloce e isterica, risulta praticamente sconnessa dal resto della canzone, quasi perdendosi nel nulla di fatto;

2) caratteristica comune a moltissimi gruppi di metal estremo progressivo, fra cui gli ottimi varesini Ancestral Stigmata (un po’ meno gli Eloa Vadaath che rispettano una metodologia strutturale molto personale), è quella di essere anche vagamente fedeli ad uno schema strofa – ritornello che si basa su una prima parte di ogni pezzo retta da una sequenza di soluzioni, complicata o più digeribile che sia, comunque non sempre esattamente rigida. Ecco, vista l’universalità del “problema” e la giovinezza del gruppo, la seguente osservazione non è soltanto seconda ma anche secondaria, però sarei curioso di sentire cosa ne verrebbe fuori se venisse usato un approccio un poco più libero. Specialmente perché, considerando fra l’altro la grande tecnica e l’ottima capacità di non perdersi, il gruppo certe volte pare quasi prigioniero di questa consuetudine, magari allungando il brodo come in “I Bleed” dove il ritornello assume una centralità forse invadente e troppo prolissa.

Infine, mi chiedo perché il tastierista sia a volte così timido, ossia non sempre presente nel discorso nonostante un lavoro superlativo. Su su, sarà un’inezia ma facciamo inorgoglire anche i fanatici di questo strumento!

Voto: 84

Claustrofobia
Scaletta:
1 – Beginning the End of Everything/2 – Final War/3 – Doctrine of Submission/4 – I Bleed/5 – Fuckin’ Blues/6 – You’ll Never See You’ll Never Know

MySpace:
http://www.myspace.com/ammonalmetal

YouTube:
http://www.youtube.com/user/AmmonalBand








No comments:

Post a Comment