Album autoprodotto (2011)
Formazione (2009): Vito “Vicus” Maiorano, voce;
Davide “Doom” Carano, chitarra;
Andrea “Cyma” Cima, chitarra;
Mario “Trodden” De Socio, basso;
Pasquale “El Negro” Damiano, batteria.
Provenienza: Campobasso/Roma/Bari, Molise/Lazio/Puglia.
Canzone migliore del disco:
“Chaos Let Be My World”.
Punto di forza dell’opera:
Il comparto vocale.
Nota:
il lavoro lo si può scaricare gratuitamente (e legalmente, visto che l'ha messo disponibile in Rete il gruppo stesso) attraverso il seguente link:
http://www.mediafire.com/?rvey6qg1zc8ady7
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Forse con questa mi farò un po’ di cattiva pubblicità, ma siccome l’onestà è un bene prezioso, voglio svelarvi una piccola curiosità: “Jarhead” dei Trodden Shame, è stato praticamente l’unico disco in ormai 4 anni di esistenza di Timpani allo Spiedo che mi sono dimenticato bellamente di recensire (e di ascoltare…). “Oh no, che stronzo che sei!” e io: “A cazzone pseudo – perfetto, capita qualche volta, eh cazzo!”. Quindi, mi scuso, stavolta in pubblico, con i diretti interessati, e cerco di rimediare a questo peccatuccio parlando di un album fatto fin troppo bene e che, fra l’altro, riporta su queste stesse pagine un modo di concepire il metal odiato praticamente a morte dagli amanti della vecchia scuola, frequentatori abituali di Timpani, dopo che, qualche mese addietro, i ben più grezzi Mud ci hanno deliziato con la loro potente militanza.
Infatti, signore e signori, si ha qui a che fare con un gruppo che combina il thrash metal moderno con il metalcore e con quello che io amo definire macho metal (e quindi qualche eco proveniente dai Pantera si fa prepotentemente sentire). Ma se ciò non bastasse, non manca nemmeno il trionfo epico di marca speed (in tal senso, sentitevi “Jarhead” e il suo grandioso stacco di basso, autore fra l’altro di ottime linee melodiche nella precedente “Anger”), e quindi il lavoro si presenta abbastanza ricco di influenze e intuizioni. Ma non fatevi ingannare dalla definizione di Metal – Archives, che identifica i Trodden Shame come “tecnici”, visto che l’assalto, in fin dei conti, è solitamente lineare e d’impatto, seppur qui e là ci siano soluzioni più intricate e psicotiche.
La prima cosa che però salta all’orecchio è l’importanza che rivestono i tempi medi, preponderanti e spesso massicci come pretende il macho (o più comunemente parlando groove) metal o certo metalcore. Eppure, questo non impedisce ai nostri di sfogarsi con dei tupa – tupa tipicamente thrash metal, che a volte vengono impreziositi da variazioni favolose e quasi singhiozzanti (e qui ritorna “Jarhead”).
Ma l’aspetto indubbiamente più interessante proviene dal comparto vocale, che risulta essere molto curato. Ciò perché:
1) l’intensità è quantomai palpabile, e in questo aiutano di certo le tematiche impegnate che non guastano mai;
2) le linee vocali sono spesso di un’ignoranza e di una strafottenza a dir poco magnifiche, essendo fra l’altro caratterizzate, negli episodi migliori, da un ritmo contagioso e inarrestabile;
3) l’inventiva nell’utilizzare vari tipi di voce, come grugniti o urla che farebbero invidia perfino ai gruppi di black/death bestiale come Proclamation (mah, meglio non esagerare…) e compagnia bella. In altri casi, si tentano addirittura vie più o meno melodiche, anche se sempre in maniera rozza, e parti parlate. E non si disdegnano neanche cori dagli interventi puntuali ed energici.
Il bello è che ‘sti ragazzi riescono a mantenere lo stesso tipo di energia anche quando cercano di proporre canzoni un pochino più complesse e dalla durata più sostanziosa (infatti, i vari episodi durano in media 2 – 3 minuti). E’ questo il caso di “Chaos Let Be My World”, che potrebbe essere preso come punto di riferimento per le future produzioni in quanto esso rappresenta praticamente le differenti anime della loro musicalità, ed è curioso come questo brano si poggi quasi esclusivamente sui tempi medi e che, allo stesso tempo, nel grandioso finale ultra – isterico, siano presenti per la prima e unica volta dei blast – beats fulminei.
Anche la finale “A.I.M.” sa essere sufficientemente bizzarra, specialmente perché si conclude in maniera intricatissima e soprattutto all’improvviso. Oddio, forse se si fosse meglio come ultimo pezzo uno più intenso e quadrato sarebbe stato meglio, essendo abbastanza difficile digerire consecutivamente due episodi più strutturati del solito dopo la relativa semplicità di quelli precedenti.
Altro difetto, più che altro formale, dell’opera viene dalla chitarra solista, la quale, oltre a prodigarsi in begli assoli (uno per brano), in “You Can’t See My Face” aiuta la propria compagna con un sovra- riff (o come diavolo lo si possa chiamare), dando così più profondità al tutto. Peccato però che lo faccia in una sola occasione.
Voto: 82
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Walking on the Last Mile/ 2 – You Can’t See My Face/ 3 – Never Look Back/ 4 – iGod/ 5 – Anger/ 6 – Jarhead/ 7 – The Mad/ 8 – Chaos Let Be My World/ 9 – A.I.M.
MySpace:
http://www.myspace.com/troddenshameband
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