Album autoprodotto (2011)
Formazione (2011): Olly – voce;
Piff – chitarre;
Yuri – basso;
Leo – batteria.
Provenienza: Trieste, Veneto.
Pezzo migliore del disco:
“Redemption Song”.
Punto di forza dell’opera:
l’inventiva generale.
Nota:
faccio osservare che ultimamente i posti di basso e di batteria sono stati presi rispettivamente da Matt e Cap.
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Certo che ultimamente sto facendo dei grossi passi in avanti. Infatti, quando 4 anni fa ho fondato Timpani allo Spiedo, mai avrei immaginato di dare spazio a generi e sottogeneri che esulano dall’oggetto principale della ‘zine quale è il metal estremo. Solo che, a poco a poco, mi sono arrivate richieste interessanti anche inerenti il cosiddetto dark ambient, e così ho cominciato a concedermi delle vere e proprie libertà critiche, come in quest’ultimo caso, dato che di fatto non sono stato contattato dai Left in Ruins stessi. Ma il loro talento è così indiscutibile che per me è quasi un obbligo parlare della loro seconda opera.
Stavolta parliamo di un (sotto) – genere che non è mai stato trattato da queste parti, e che fra l’altro è pure poco diffuso: il powerviolence. Il quale lo si può definire come una variazione/evoluzione, abbastanza difficile da digerire, del punk – hardcore. “Abbastanza difficile” perché è bello tecnico e tremendamente dinamico e isterico, alcune volte fino al parossismo più sfrenato.
Ed effettivamente, i Left in Ruins “sfrenati” lo sono alla grande. La prima caratteristica che infatti balza all’orecchio è la loro grande dinamicità, quindi la capacità di offrire innumerevoli cambi di tempo naturalissimi e che dicono tutto anche nell’arco di un solo ricchissimo minuto. Tale approccio ritmico, che fa uso di frequenti tempi lenti fangosissimi, influenza decisamente la stessa struttura dei pezzi, che si presentano in modo parecchio istintivo e imprevedibile.
Di conseguenza, il discorso è molto inventivo, anche dal punto di vista atmosferico. Per fare qualche esempio, ci sono svisate rock’n’roll come cupissime parti totalmente allucinate, seppur in quest’ultimo caso i deja – vù non manchino anche perché tali momenti sono spesso circoscritti, in maniera limitativa, soltanto alle introduzioni.
Ma non fa niente perché a coprire questa lacuna ci pensa il devastante lavoro delle due chitarre. E’ un lavoro molto collaborativo e profondo, con un’ascia che non poche volte riesce a dare efficacemente manforte, attraverso fulminei interventi, alla compagna. Inoltre, i nostri amano sfondare i timpani dell’ascoltatore per il tramite di feedback malsani che aggiungono più follia al tutto.
Per il resto, spaventoso il comparto vocale irto di urla torrenziali, e altrettanto spaventosa è la produzione, che presenta un bilanciamento dei suoni praticamente perfetto con tanto di basso ignorante in bella vista che fra l’altro apre il disco con fare volpino (che strani termini che uso...).
Oddio, a dir la verità, un brano non così riuscito esiste, più che altro perché abbandona le direttive caratterizzanti i Left in Ruins per un approccio più statico e di stampo crust, cioè “Superior”. E qualcuno a questo punto mi risponderebbe: “e grazie al cazzo, è una cover dei Dropdead!”. In compenso, i nostri sono riusciti a interpretare sufficientemente il brano, soprattutto nel finale, che è stato allungato rispetto all’originale.
Ma in fin dei conti ‘sti gran cazzi, e quindi supportate il gruppo o se no ‘sti brutti ceffi vi fustigheranno a base di visite non previste in casa vostra con annesso concertino spacca timpani!
Voto: 87
Claustrofobia
Scaletta:
1 – L.I.R./ 2 – Wait in Vain/ 3 – What the Fuck (Bite Your Tongue)/ 4 – B.Z. Fuck You/ 5 – Redemption Song/ 6 – No Love/ 7 – Superior (Dropdead cover)/ 8 – Sinking Shits
Sito ufficiale:
http://leftinruins.wordpress.com/ (da cui si può scaricare l’album)
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