Album (Music for Nations, 1983)
Formazione (1979): Dave King – voce;
Steve Hardy – chitarre;
Bri Smith – basso;
Ian Thompson – batteria.
Località: Sunderland (Gran Bretagna).
Miglior canzone dell’opera:
“Running Out of Time”.
Punto di forza del gruppo:
la struttura dei pezzi unita a un’intensità a dir poco letale.
Copertina: Arthur Ball
Ero un po’ indeciso se recensire “Loose ‘n’ Lethal” dei Savage, che pure ispirarono un sacco i Metallica nei loro primi tempi, o l’album di debutto dei meno influenti, almeno per il metal estremo, Battleaxe. Alla fine, colto da improvvisa illuminazione, ho scelto quest’ultimi, dato che il loro disco risulta forse più indicativo della svolta thrashona che l’NWOBHM stava passando nel 1983, anno nel quale i gruppi inglesi cominciarono a estremizzarsi sul serio, in coincidenza curiosa con i colleghi americani più violenti. Allo stesso tempo, i Battleaxe non suona(va)no puro heavy metal, nonostante la loro tendenza a sparare velocità folli. Però, è meglio andare con calma che sono partito praticamente a razzo, proprio come il gruppo, quindi mettiamoci ad analizzare serenamente (come se fosse un album new age…) questa bella fetta di storia dell’NWOBHM.
“Burn This Town”, dalla copertina magnifica, è composto da 10 pezzi per 36 minuti e mezzo di uno sfrenato hard rock’n’roll bello grezzo eppure tremendamente groovy, specie in brani perfetti come “Running Out of Time”, che fra l’altro deve molto agli Ac/Dc, mentre in altri, come in “Star Maker”, il fantasma più epicheggiante dei Black Sabbath si fa vivo in maniera prepotente. Il gruppo, come già scritto, ama parecchio la velocità, cosa che si evince nello speed metal rockeggiante di “Ready to Deliver” (una delle canzoni più semplici del lotto pur avendo più di un assolo, caso veramente raro per i Battleaxe) e in quello più punk e distruttivo della titletrack, ma per il resto aspettatevi tempi medi, magari punteggiati da ottimi cambi di tempo, che spesso si rivelano fondamentali per la buona riuscita delle canzoni. E, tanto per sottolineare ancor di più la rudezza dei Battleaxe, nell’album non vi è neanche un’ombricina di chitarra acustica, proprio come in “Filth Hounds of Hades” (recensito guardacaso qualche mese fa) dei Tank, ergo le ballate e i sentimentalismi sono totalmente banditi in questo disco.
Ma i Battleaxe non sono soltanto rudi ma anche citazionisti. Per esempio, nel finale del battagliero pezzo autocelebrativo ‘sti ragazzi plagiano nientepopodimeno che (suspence…) l’introduzione di “Am I Evil?” dei Diamond Head, ovviamente in miniatura. Mentre in “Overdrive", e sempre lungo il finale, si può ravvisare qualche somiglianza con gli ultimi secondi di “World War III” dei Bitch. Oddio, in questo caso sto cercando proprio il pelo nell’uovo, perché il primissimo album di questi ultimi uscì nello stesso 1983, quindi è meglio finirla con i pavoneggiamenti, se no rischio di fare gaffe bibliche.
Insomma, l’album mostra una buona varietà così da non stancare l’ascoltatore, ma ancora non ho speso nessuna parolina né sul comparto vocale né sulla struttura dei pezzi. Infatti, il cantante è prodigo di linee vocali contagiose e versatili, avendo fra l’altro un tono spesso cattivo tanto da sfiorare dei veri e propri grugniti, in maniera simile a Donald McKiffe dei Demon Pact (gruppo NWOBHM misconosciuto che merita sicuramente una riscoperta… e fortuna che non mi dovevo più pavoneggiare!). Dall’altro però, il nostro spara a tratti degli acuti isterici e allegri, intensificando così il tutto veramente con poco.
Per quanto concerne invece la struttura dei pezzi, questi ovviamente si poggiano sul più classico schema a strofa – ritornello, anche se proposto in maniera più flessibile del solito, presentando così variazioni, cambi di tempo e di atmosfera inaspettati anche nel finale, qualche stacco (pure bello macho) e un’interazione abbastanza partecipativa fra tutti gli strumentisti (in questo senso, sono fenomenali i siparietti della batteria in “Burn This Town”). Ma soprattutto, il talento compositivo dei Battleaxe lo si percepisce specialmente lungo la parte centrale dei brani, dove i nostri si scatenano alla grande e con una fantasia notevole (soprattutto durante la prima parte dell’album), proponendo di conseguenza anche assoli meno convenzionali del previsto. Volendo fare un paragone, la struttura adottata dai Battleaxe ricorda molto quella istrionica degli Holocaust, il cui “The Newcomers” è una gemma “minore” dell’NWOBHM.
A dir la verità questa sarebbe la formazione
del gruppo periodo "Power from the Universe",
diversa, per 1/4, da quella del debutto.
In parole povere, “Burn This Town”, pur calando un po’ alla fine ("Thor - Thunder Angel", che risulta essere stranamente un po' statica), è un buonissimo concentrato di rock’n’roll stradaiolo con una intensità talvolta così esagitata da sfiorare il punk. Sorprende dunque la svolta melodica che i Battleaxe intrapresero l’anno dopo con il secondo e ultimo album, cioè “Power from the Universe” (ne doveva uscire pure un terzo, “Mean Machine”, ma purtroppo non se n’è fatto nulla), mossa che però fecero anche i gruppi più violenti del movimento come gli Jaguar. Quindi, effettivamente, c’è di che sorprendersi? E, per caso, che reazione avreste se vi dicessi che i Battleaxe, in preda al nuovo entusiasmo generale per tutto ciò che è metal vecchia scuola, si sono riuniti 3 anni fa più incazzati che mai?
“HORNS UP, I’M A DIRTY ROOOCKEEER!”
Ecco, sì, è questa la reazione giusta, CAZZO!
Voto: 82
Flavio “Claustrofobia” Adducci
Scaletta:
1 – Ready to Deliver/ 2 – Her Mama Told Her/ 3 - Burn This Town/ 4 – Dirty Rocker/ 5 – Overdrive/ 6 – Running Out of Time/ 7 – Battleaxe/ 8 – Star Maker/ 9 – Thor – Thunder Angel/ 10 – Hands Off
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