Album (SubSound Records, 2012)
Formazione (2008): Enrico “Tombinor” Giannone – voce;
Marco “Cinghio” Mastrobuono – chitarra;
Luciano “Gux” Robibato – basso;
Massimo “Mastino” Romano – batteria.
Ospiti:
Cristiano dei Fleshgod Apocalypse (assolo in “Forrest Grind”);
Gordo dei Ratos de Porao (voce in “Sacro e Scrofano”);
Tom dei Mumakil (voce in “Dawson Crick”);
Luca Mai degli Spaccamombu (sax in “Dimmu Burger”);
Keijo dei Rotten Sound (voce in “Sermoneta Chainsaw Massacre”).
Provenienza: Napoli/Roma, Campania/Lazio.
Canzone migliore del disco:
“Dimmu Burger”.
Punto di forza dell’opera:
la più infame brutalità unita a un pacco di spassosa imprevedibilità.
Che succede quando i Dr. Gore (Massimo), gli Tsubo (Luciano), gli Orange Man Theory (Marco) e gli Undertakers (Enrico) si alleano per formare un gruppo come i Buffalo Grillz? Beh, il finimondo, risposta scontata. Ma quando ti metti a sfogliare il booklet del loro secondo album, scopri che c’è qualcosa che non va. Detto in parole povere, dove diavolo sono i testi? E perché al posto delle parole c’è una serie infinita di pistole, mitra, fucili, e così via? Tranquilli, ragazzi, vi svelerò tutto fra poco, ma di sicuro questa non è l’unica sorpresa del disco, dato che ne è letteralmente pieno.
Parlando adesso della ciccia (sostanziosa), i Buffalo Grillz sparano un grind metallico e cinefilo (si passa da “Cape Fear” a una scena storica di “Continuavano a chiamarlo Trinità”). L’assalto si basa su blast – beats e tupa – tupa assassini, anche se alla fine è molto più razionale di quello che può sembrare inizialmente visto che per esempio un po’ di sano groove non manca, mentre le canzoni, nonostante tutto, sono spesso abbastanza lunghe, raggiungendo volentieri i 3 minuti di durata. Quindi, l’ascolto integrale dell’album in una sola botta non è proprio consigliabile data l’estrema e martellante brutalità (oh poverino…). La quale viene supportata inoltre da una tecnica non male che riesce a rendere più isterico il tutto.
Fra l’altro, le contaminazioni con altri generi non sono poche. Fra queste, il brutal è ovviamente il più importante, mentre quelle più sorprendenti sono certe intuizioni meshugghiane (“Forrest Grind”), possenti freddure black (“Bufalismo”), ma quella più figa di tutte si trova in “Pig Floyd”, dove a un certo punto c’è uno stacco di chitarra che porta a uno speed metal stradaiolo a là Tank/Motorhead da headbanging sfrenato!
Come se ciò non bastasse, gli ospiti si dimostrano preziosi come non mai, un po’ come successo per “Descent Into Yuggoth” di Megascavenger. Tra le partecipazioni più riuscite, sono da segnalare assolutamente quella di Cristiano, autore di un assolo vorticoso e alienante (a proposito, nel resto dei pezzi gli assoli sono completamente assenti); Keijo che spara delle linee vocali malatissime; e Luca, che con il suo sassofono riesce a rendere incredibilmente malinconica una canzone come “Dimmu Burger” (che, tanto per inciso, in alcuni punti sembra un plagio della devastante “Chalice of Blood” dei thrashettoni Forbidden). Insomma, anche in questo caso, ce n’è veramente per tutti i gusti, e fra l’altro i Buffalo Grillz continuano orgogliosamente la tradizione grind di Timpani allo Spiedo, che fra Absvrdist, Male Misandria, Rejekts e compagnia brutta, ha di che scegliere in quanto a follia compositiva (e di qualità).
L’aspetto però più folle del gruppo è comunque da individuare nell’impianto vocale. Non tanto per il fantastico campionario di voci, che vanno da grugniti potenti a urla indiavolate per non dimenticare i maialismi vari, quanto per il COSA dicono e COME lo dicono. Per il cosa, beh, la risposta è ASSOLUTAMENTE NIENTE. Sì, va bene, si sente qualche parola vera e propria come un “corri Forrest corri!”, ma in sostanza la voce si comporta quasi come uno strumento musicale. Rispetta un ritmo preciso, è bella schematica (forse troppo…), e ripete le stesse… cose durante uno stesso riff. Ecco svelato il mistero dei testi, e fra l’altro nei crediti stessi c’è scritto apertamente “no lyrics”, quindi non ci devono essere dubbi in proposito.
Ma le sorprese non finiscono di certo qui, perché:
1) gli ultimi 2 pezzi + outro sono bonus, e il motivo è evidente data l’anomalia sia di “The Truffer”, un mid – tempo, sia di “La Canzone del Sale”, parodia con ovvie sfuriate grind de “La Canzone del Sole” del grande Lucio Battisti;
2) questo in teoria dev’essere un segreto ma siccome a volte sono uno stronzo inguaribile faccio osservare che i pezzi in realtà non sono 20, bensì 21. La traccia nascosta è fra “Delitto al Blue Grind” e “Sermoneta Chainsaw Massacre”. Ma, beninteso, io non vi ho detto niente…
Per il resto, la struttura delle canzoni è spesso semplicissima e sequenziale, solitamente c’è uno stacco nella parte centrale ma con il passare dei brani questi si possono rivelare anche sorprendentemente più complicati; infine, la produzione è compatta e compressa come il brutal moderno comanda, quindi, secondo i miei gusti, è abbastanza plasticosa ma sinceramente chissenefrega perché è la musica che conta. E che bufalo di musica!
Voto: 86
Flavio “Claustrofobia” Adducci
Scaletta:
1 – Intro/ 2 – Linkin Pork/ 3 – Forrest Grind/ 4 – Lapo ElGrind/ 5 – Manzo Criminale/ 6 – Gux & Gabbana/ 7 – Bufalismo/ 8 – Sacro e Scrofano/ 9 – Dawson Crick/ 10 – Improvvisation Intuition Cassaccium/ 11 – Dimmu Burger/ 12 – Grind Sasso/ 13 – Il Marchese del GrillVision Divan/ 14 – Delitto al Blue Grind/ 15 – (traccia nascosta)/ 16 – Sermoneta Chainsaw Massacre/ 17 – Eau de Vergogn/ 18 – Pig Floyd/ 19 – The Truffer/ 20 – La Canzone del Sale/ 21 – Outro
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