Recensione pubblicata l'8 Giugno 2011 sulla mia pagina FaceBook.
Ep autoprodotto (2011)
Formazione: Sconosciuta (presto la saprete!)
Provenienza: Pordenone, Friuli - Venezia Giulia
Canzone migliore dell’ep:
indubbiamente l’oscura “Ricordi”, follia totale!
Punto di forza del disco:
riflettendoci su, è l’ossessività paranoica ed ipnotizzante delle linee vocali, anche perchè esternate in questo modo dimostrano una buona personalità di fondo.
I Cemento sono il classico gruppo per intenditori. Sì perché il mathcore è (quasi) come il funeral doom: lo ascoltano in pochi, di conseguenza pochi lo suonano. I Cemento sono per Timpani allo Spiedo un evento enorme perché finalmente sono riuscito per la prima volta a far entrare in scuderia una formazione mathcore, una lacuna pressoché imperdonabile. Soprattutto perché questo genere particolarissimo, che muove dal grindcore per partorire qualcosa di nemmeno paragonabile ai generi estremi tradizionalmente conosciuti, è l’essenza stessa su cui è nata questa webzine 2 anni e mezzo fa: l’essenza del puro estremo, sia dal punto di vista psicologico, sia da quello fisico, sia da quello esecutivo e come ultimo da quello compositivo. Insomma, stavolta siamo dalle parti di quell’ultra – violenza che il black metal spesso si sogna soltanto, un’ultra – violenza di cui come già scritto, l’essere fondamentalmente underground è l’effetto principe pauroso (ed in certi specifici casi giustificatissimo).
Suonare mathcore significa in linee generali le seguenti cose:
1) essere particolarmente tecnici fino a costruire fra le altre un riffing isterico e dissonante tanto che i Cemento concedono pochissimo alla melodia ma quando lo fanno riescono a trasmettere una bella dose di disperazione (“Buio” e “Neve” specialmente). Ciò però non significa che non sanno mai essere giocosi con la propria materia, e per questo vi consiglio di ascoltare la bellissima “Violet Wall/You” nella quale vi è un’esilarante citazione della sigla dei Simpson!
D’altro canto, essere tecnici non equivale necessariamente ad esibirsi in assoli infiniti dato che i nostri non ne propongono nemmeno uno, scegliendo al massimo puntatine di chitarra solista come nelle tentazioni rumoriste di “Buio” o nella sofferta maestosità di “Neve” (che nel finale di chitarre ne conta addirittura ben 3!);
2) creare un discorso ritmico sempre in tensione ed in divenire, ergo bello imprevedibile e complicato. I Cemento però riescono ad offrire un seppur fragile equilibrio fra ritmiche più convenzionali e di più raffinate e bizzarre. In parole povere, qui e là affiorano influenze provenienti dal metalcore più roccioso come tupa – tupa con tanto di doppia cassa in perfetto stile speed metal (“Violet Wall/You”), presentando comunque il discorso sempre ovviamente in maniera dinamica e non disdegnando neanche blast – beats, a volte resi così irregolari da stordire l’ascoltatore (“Buio”), e soprattutto senza dimenticare di enfatizzare l’intero l’insieme;
3) come conseguenza di tutto ciò, viene la libertà talvolta estrema che il mathcore si concede nella fase di costruzione strutturale dei pezzi. In alcuni casi, come nei War From a Harlots Mouth, ogni soluzione sembra praticamente staccata dalle altre anche in uno stesso brano come se si stesse cercando di emulare il continuo e irrazionale flusso della mente. Nei Cemento invece non è presente questa caratteristica, anche perché loro risultano incredibilmente capaci di partorire un discorso piuttosto logico e fluido dal punto di vista emotivo (“Violet Wall/You" è il massimo esempio). Inoltre, pur in un modo abbastanza personale e non scontato, in un pezzo geniale come “Ricordi” sono riusciti a rileggere la classica struttura a strofa – ritornello apportando via via pesanti variazioni di natura statica (ossia vale quella stessa variazione per esempio in tutte e 4 le battute, insomma un po’ come quanto fatto dai melodici deathettoni svedesi Armageddon in “Crossing the Rubicon” del 1997, geniale e raffinato album allo stesso tempo superficiale e tronfio) ad un passaggio che precedentemente figurava più semplice e diretto. D’altro canto, a partire curiosamente da “Strade” per finire in “Neve”, il gruppo ricorre almeno una volta ad una pausa bella lunga come a voler separare l’ep in due parti (la prima ben più continua e senza pietà) vagamente distinte solo da questo fattore. Per carità, la pausa sarà anche d’effetto ma a forza di riproporla sembra un po’ troppo semplicistica per potenziare degnamente tutta la musica, ed inoltre, in rapporto alla lunghezza solitamente breve dei pezzi, forse gli stessi ne risentono per riacquistare ed aumentare la tensione creatasi precedentemente;
4) urlare a più non posso tanto che in questo caso l’urlo appare un po’ sgraziato, insomma lontanissimo dalla ferocia di un Kurt Ballou dei Converge, eppure molto suggestivo e disperato. Infatti ci si avvicina in maniera molto similare a quello di Edoardo degli ormai defunti Deprogrammazione, non privandosi però di qualche variazione al tema con le urla più soffocate e gutturali di “Buio” (che conta pure grugniti intensi ed “umani”) oppure con i veri e propri grugniti lerci di “Violet Wall/You”. La caratteristica più interessante proviene dal fatto che qui si ama ripetere spesso e volentieri uno stesso verso per brano massimo per 4 volte di seguito così da creare un’atmosfera pericolosamente paranoica e di accumulazione di tensione la quale culmina inevitabilmente nel finale. Peccato però che la voce viene probabilmente utilizzata in maniera un po’ monodimensionale perché praticamente 5 pezzi su… 7 (indovinate un po’ qual è la strumentale…) si concludono improvvisamente sempre insieme ad un urlo tagliente congedando il tutto. Va bene per qualche brano ma così facendo il gioco diventa un po’ troppo semplice e a mano a mano poco incisivo.
Un po’ meno semplicistica risulta la caratterizzazione dei vari pezzi. Fra i quali ne spiccano soprattutto 3, ovvero:
- “Ricordi”, sicuramente la più bizzarra e personale, anche dal punto di vista emotivo. Riffs ipnotici e disturbanti, vuoti di chitarra e basso, un’atmosfera maledetta e ritualistica acuita da cori maledettamente “spenti” (gli unici, fra l’altro puliti, del disco), così spiritati da non sembrare appartenenti a questo mondo. E attenzione a non trascurare nemmeno quel favoloso e inquietante giro di basso che finalmente s’infila nel discorso melodico dando manforte a chitarre soffocanti e minimaliste;
- “Violet Wall/You”, di cui finora ho elencato tutte le caratteristiche che lo rendono unico tranne quelle influenze thrasheggianti che si trovano nei primi momenti, riletti in chiave piuttosto personale;
- L’Outro, ossia la strumentale dell’opera, tutta fondata su sentimenti contrastanti e su pause molto d’atmosfera che li dividono e legano allo stesso tempo, giocando tutto sui tempi medio – lenti, caso pressoché unico. Prima la musica è melodica e attendista, dopodiché si fa minacciosa e minimalista, infine esplode in una disperazione quasi maestosa, sviluppata egregiamente con la sovrabbondanza di chitarre soliste e con la batteria che si fa lentamente più astratta ed eccentrica, concludendo il brano in maniera sì logica ma al contempo brusca e soffocata visto che dal punto di vista melodico non vi è esattamente un picco emotivo. Così il tutto assume contorni senza speranza e fatalistici.
Come ultima cosa, c’è da parlare della produzione, secca e pulita, con tutti gli strumenti ben bilanciati fra di loro, e pochissimamente propensa a utilizzare l’effettistica.
Voto: 78
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Sassi/ 2 – Buio/ 3 – Vite/ 4 – Ricordi/ 5 – Strade/ 6 – Violet Wall - You/ 7 – Neve/ 8 – Outro
MySpace:
www.myspace.com/tombadicemento
No comments:
Post a Comment