Recensione pubblicata il 14 Aprile 2011 sulla mia pagina FaceBook.
Ep autoprodotto (23 Dicembre 2010)
Formazione (2007): Alex Ielo – voce
Giacomo “Jack” Casile – chitarra
Sid – basso
Antonio “Hamon” Guida – batteria
Provenienza: Reggio Calabria, Calabria
Punto di forza del disco:
indubbiamente la capacità immensa di alternare la melodia con della sana cattiveria, e quindi l’abilità di dosare al punto giusto le varie anime dell’esperienza così da riuscire a potenziare saggiamente l’intera musica.
Migliore canzone:
oddio, scelta difficile! ‘Sto ep ha il difetto di non avere un pezzo che dal punto di vista emotivo riesca a fare più bella figura rispetto agli altri. Tutta la scaletta si attesta su livelli qualitativi molto buoni. Boh, forse “Suffocated Knowledge” con il suo lavoro di batteria bello potente e ricco di stupende rullate ed il riffing un po’ più isterico del solito. Forse…figura kierkegaardiana della minkia!
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C’è stato un tramite illustre fra me e i Cold Aenima, un tramite che ricorda bei tempi lontani (minkia quanto sono vecchio! Ma non avevo 22 anni?). Infatti, questo ep promettente me l’ha mandato da fare Morlock, ex – chitarrista – udite udite – dei Demonia Mundi, che nel Febbraio 2009 vennero ospitati nel 2° numero di Timpani allo Spiedo…oltre che essere il fratello di Giacomo Casile (scriverlo con così tanta nonchalance effettivamente può sembrare un suicidio…). Solo che, e non me ne frega un fico secco di essere accusato di favoritismi, ‘sto disco lo consiglio vivamente a chi cerca melodia applicata ad un bel pacco di potenza seminata con tutta tranquillità nei padiglioni auricolari.
Ma qui non si tratta soltanto di melodia e potenza. No perché, partendo di base da un death metal melodico che richiama molto la disperata lezione svedese senza però dimenticare una ricca dose di furiosi blast – beats che nel suddetto stile spesso manca, si fa prepotente una voglia di rendere sempre più fantasiosa la propria proposta. Alla fine, le influenze sono molte e marcate, la prima delle quali il black metal di impronta sempre specialmente svedese. Di conseguenza, le melodie si fanno talvolta malvagie e fiere, mentre in altre occasioni sposano il taglio più ipnotico del genere, riuscendo infine a raggiungere picchi più tristi come in “Path to Desolation”, il tour de force seppur modesto di “The Shade Has Fallen”.
Oddio, attenzione che non stiamo comunque parlando di un gruppo che fonda il death con il black metal come per esempio gli Unanimated. Ciò non soltanto perché il black è relegato solo in alcuni momenti presenti nei primi due brani e nell’ultimo, ma anche per la notevole attrazione che il quartetto calabrese nutre nei confronti del metalcore. E così ecco spiattellati nei 3 brani centrali chitarre rocciose ed una batteria che ci ricama sopra sputando solitamente severi e tonanti tempi medi tipici del metalcore più militante (avete presente i loro conterranei Land of Hate? Beh, più o meno…).
Da non dimenticare nemmeno il thrash metal, solo che tale genere ha una presa così secondaria sui Cold Aenima che se ne sente soltanto qualche reminiscenza sia sul lavoro ritmico che, in maniera decisamente criptica, nel riffing di “Armageddon Propaganda”, in quest’ultimo caso suonando anche lenti. Guardacaso, la parte funerea del gruppo altrimenti detta doom, seppur ovviamente non dominante, si fa largo nel discorso più di una volta, magari aprendo un pezzo come “To Erase the World”.
Del resto i nostri giovani sono fantasiosi anche circa l’impalcatura strutturale che regge i vari pezzi. E qua bisogna dire che i Cold Aenima, riluttanti ad offrire stacchi e/o pause con relative ripartenze in modo da rendere il più possibile fluido tutto il discorso musicale (anche questo è in fin dei conti un sintomo di una tecnica bella presente nonostante non ci sia manco l’ombra misera di un assolo, al massimo di qualche chitarra sovrapposta all’altra senza però creare alcun riff vero e proprio che completi la melodia della ritmica), sembrano non preoccuparsi molto di proporre delle sequenze di soluzioni come al contrario amano fare per esempio i romani Black Therapy. O almeno non sono così rigidi, dato che prediligono un approccio un poco più libero, magari spezzando potenziali sequenze di soluzioni, come quella piuttosto personali di “To Erase the World” che in sostanza è un 1 – 2 – 1 mod. – 2 mod..
Discorrendo ancora dell’aspetto strutturale di cui i nostri si fanno portavoce, il cantato ha un ruolo non dico marginale, ma secondario forse sì. Tanto che in un episodio come “Suffocated Knowledge” i grugniti per niente catacombali di Alex, alternati a scartavetra menti quasi beffardi simili a quelli dei bresciani Blessed Dead solo in versione meno esagitata, occupano uno spazio abbastanza esiguo. Anche perché il nostro canta spesso e volentieri a monosillabi. Vabbè, non siamo in territori estremi a là Resumed dove la voce è soltanto un pretesto, seppur molto atmosferico, per dar adito a mille virtuosismi, però sentir relegato così un cantato oserei dire potente ma educato è un peccato, anche perché riesce a fare da interessante contrasto con le melodie disperate. E poi, se Alex canta soltanto, usiamola un po’ di più ‘sta voce!
Altra cosa che mi ha poco convinto è la produzione. O meglio, il suono della batteria che, pur offrendo delle prestazioni efficaci su tutti i fronti osando proporre anche interventi un pochino più arzigogolati del solito (“Path to Desolation”), è così plasticoso da sembrare praticamente computerizzato e quindi poco credibile per un batterista in carne e ossa. Ed è questo il minimo comun denominatore (la matematica, quanti tormenti!) che lega veramente i Cold Aenima con gli abruzzesi Resumed del pur magnifico “Human Troubles”. Tale “mancanza” è nettissima sul rullante che in questa maniera diventa più che martellante durante i blast – beats, ma per il resto la produzione abbastanza pulita e ben bilanciata del demo quadra perfettamente.
In fin dei conti un disco perfetto è quasi impossibile. Poi se contiamo il fatto che i 4 giovini calabresi sono alla prima testimonianza discografica, il “problema” non si pone per niente. Suvvia, Flavio, non rompere il cazzo e dai 100!
No.
Voto: 79
Claustrofobia
Scaletta:
1 – To Erase the World/ 2 – Fear the Genius/ 3 – Armageddon Propaganda/ 4 – Suffocated Knowledge/ 5 – Path to Desolation
Sito ufficiale:
http://www.wix.com/otacon00/coldaenima
FaceBook (che ormai è decisamente meglio di MySpace!):
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Sunday, June 19, 2011
Elitaria - "NGC 666 - New Galaxies Catalogue" (2010)
Recensione pubblicata il 13 Aprile 2011 sulla mia pagina FaceBook.
Album autoprodotto (1 Novembre 2010)
Formazione (2005): D666, voce, basso, samples
MB, chitarre, sintetizzatori
Provenienza: Piacenza, Emilia Romagna
Discografia: Our Halo (demo 2005)
The Hermit (demo 2007)
Tyrannize (EP 2009)
Punto di forza dell'album:
sicuramente la fredda meccanicità delle composizioni che con la stessa implacabile freddezza sono decisamente differenti l'una dall'altra divenendo così ancora più inquietanti perchè è come se la musica cambiasse forma ad ogni episodio.
Miglior canzone:
il tour de force di "Soul at Zero", un lento da brividi!
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Dietro agli Elitaria si nasconde letteralmente la storia del Metal estremo nostrano. Infatti, D666 non è altro che Diego Grossi che al tempo che fu cantava nei Trifixion, ovvero uno dei primissimi gruppi death italiani che se ne uscirono nel 1990 con il demo "In the Light of Horror" per poi diventare così sperimentali che forse anche i Cynic si sarebbero spaventati ad ascoltarli. Ed in effetti, ancora oggi quest'irriducibile romagnolo non sta soltanto continuando nella sua opera di annientamento dei padiglioni auricolari ma l'anno scorso ha pubblicato insieme ad MB il primo bellissimo album degli Elitaria, un disco versatile nella sua monolitica e spaventosa freddezza ponendo praticamente il duo sulla stessa lunghezza d'onda dei torinesi Lilyum. Insomma, in parole povere qualcosa di coraggioso che già per questo merita molta attenzione.
Ciò che unisce le due entità è la tendenza a proporre una struttura dei pezzi tremendamente meccanica nella quale una sequenza (nel caso degli Elitaria spesso abbastanza lunga) ben definita viene solitamente rispettata in maniera rigorosa come se si stesse trattando di uno schema a strofa - ritornello. Tanto che in sostanza solo rarissime volte questa catena - che rifiuta quasi nel senso più categorico ogni stacco e/o pausa con relativa ripartenza - si spezza, per esempio in "...and the Silence Shall Be" dove successivamente, invece dell'iniziale 1 - 2 - 1 - 2, viene offerto a botta singola soltanto il 2 per poi tirar fuori identiche le successive soluzioni. E' come la macchina che prende il sopravvento sull'uomo, un'automatica catena di montaggio che elimina dalla faccia della Terra ogni suo contributo.
Non pensate soltanto al fatto che c'è una batteria elettronica efficacemente programmata e che pone un buon equilibrio fra i tempi più veloci e quelli più lenti a scandire martellante il ritmo. No, perchè gli Elitaria fanno anche un uso non esattamente raro di minimaliste fughe strumentali (si pensi a quella di "Totalitarianism As One") nella quale ricami sintetici rimandano ad un'umanità tanto tecnogicamente satura quanto spiritualmente poverissima.
Eppure le cosiddette fughe non relegano per niente in disparte la voce, particolarmente presente ma mai invasiva proprio come accade nei Lilyum. Va bene, non allarghiamoci troppo perchè da queste parti c'è uno stile più semplice e lontano dai virtuosismi di un Lord J. H. Psycho ma D666 ha un'"ignoranza" debitrice del black/death a là Black Witchery solo sparata in versione più greve, alternata talvolta con voci pulite ipnotiche rese quasi robotizzate, che non posso non omaggiare la sua immane cattiveria. Anche perchè le linee vocali, seppur continue, sono sempre belle curate (a tal proposito, segnalo il modo con cui il nostro accenta perfettamente le parole "Nuclear War" in "Arrogance of Persistance"... o sarà semplicemente che quei due termini richiamano LA paura dell'uomo moderno?).
Un'altra similitudine che si può tranquillamente sollevare è la capacità di sfruttare le proprie potenzialità per tirar fuori una fantasia che non fa veramente mai stancare l'ascoltatore. Infatti, avendo come base un black/death di stampo industriale, gli Elitaria se ne escono, nell'ordine e per fare qualche esempio:
con l'assolo per niente breve, dalla melodia quasi beffarda e dal discorso molto tecnico della stessa "Arrogance of Persistance";
con i lancinanti ed urlanti acuti rumoristi di chitarra di "We, the Path";
l'apocalittico incubo doom di "Soul At Zero", una canzone che in pratica si basa sullo stesso ritmo di batteria ripetuto per 6 asfissianti minuti;
l'efficacissimo lavoro di basso di "Totalitarianism As One", nella quale fra l'altro la batteria accenta il riffing con dei perfetti colpi sui tom;
la tempestosa "Elite Dogma" con la sua chitarra solista e le svisate black 'n' roll;
le melodie magniloquenti e dissonanti con tanto di complicati intrecci di chitarra dal gusto tipicamente svedese di "An Endless Seed of Hate";
le disturbanti pennellate e i momenti ad intermittenza di "... And Silence Shall Be", l'unico brano del lotto a risolversi con una dissolvenza.
Tutto ciò viene fra l'altro proposto senza preoccuparsi minimamente della durata di ogni pezzo, dato che da "We, the Path" in poi non ci sono più santi a reggere la resistenza di ascoltatori riluttanti a sorbirsi canzoni da almeno 5 minuti ognuna, cosa da apprezzare decisamente e spiegabile specialmente con le lunghe sequenze che i nostri si portano appresso.
In mezzo a tutto ciò, vengono omaggiati i Ministry con la cover "Stigmata" proveniente dall'album "The Land of Rape and Honey" del 1988. Omaggiati senza dimenticare la personalizzazione del brano, dato che gli Elitaria non l'hanno solo estremizzato a dovere velocizzandolo ma è stato anche semplificato per esempio sotto il profilo ritmico. Solo che curiosamente la loro versione è molto più breve rispetto all'originale (quasi 3 minuti in luogo dei quasi 6 minuti) e questa cosa mi incuriosisce non poco vista la tendenza già analizzata del duo di rendere piacevolmente "prolisse" le varie canzoni, e quindi ciò sarà sicuramente oggetto di discussione nell'intervista, anche perchè non mi ha del tutto convinto vista la considerazione appena fatta. D'altro canto la scelta di un pezzo simile mi sembra tremendamente azzeccata dato che è di una paranoia quasi incontrollabile, fissata com'è a ripetere quasi all'infinito quel riff quasi rock 'n' roll. In compenso si è rispettato l'effetto innestato sulla voce, un effetto che chiamerei di lontananza che però in D666 diventa innaturalmente gracchiante.
In pratica, l'unico dubbio che ho di questo disco, che ha una produzione pulita (ossia fredda come giustamente dovrebbe essere) e ben bilanciata in modo da essere sopraffatti da cotanta tecnologia infernale, è che: non si poteva tirar fuori magari un altro assolo (opera fra l'altro di Razor SK dei Forgotten Tomb, che inoltre ha prestato la sua voce nella cover) perchè l'unico presente in "Arrogance of Persistance" non l'ho trovato soltanto stupendamente azzeccato ma anche bello personale? Un mistero in fin dei conti irrilevante.
E ora…buio.
Voto: 92
Claustrofobia
Scaletta:
1 - Intro/ 2 - Arrogance of Persistance/ 3 - We, the Path/ 4 - Soul at Zero/ 5 - Totalitarianism as One/ 6 - Elite Dogma/ 7 - An Endless Seed of Hate/ 8 - ... and Silence Shall Be/ 9 – Stigmata
MySpace:
http://www.myspace.com/elitaria
Sito ufficiale:
http://www.elite666.com/
Album autoprodotto (1 Novembre 2010)
Formazione (2005): D666, voce, basso, samples
MB, chitarre, sintetizzatori
Provenienza: Piacenza, Emilia Romagna
Discografia: Our Halo (demo 2005)
The Hermit (demo 2007)
Tyrannize (EP 2009)
Punto di forza dell'album:
sicuramente la fredda meccanicità delle composizioni che con la stessa implacabile freddezza sono decisamente differenti l'una dall'altra divenendo così ancora più inquietanti perchè è come se la musica cambiasse forma ad ogni episodio.
Miglior canzone:
il tour de force di "Soul at Zero", un lento da brividi!
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Dietro agli Elitaria si nasconde letteralmente la storia del Metal estremo nostrano. Infatti, D666 non è altro che Diego Grossi che al tempo che fu cantava nei Trifixion, ovvero uno dei primissimi gruppi death italiani che se ne uscirono nel 1990 con il demo "In the Light of Horror" per poi diventare così sperimentali che forse anche i Cynic si sarebbero spaventati ad ascoltarli. Ed in effetti, ancora oggi quest'irriducibile romagnolo non sta soltanto continuando nella sua opera di annientamento dei padiglioni auricolari ma l'anno scorso ha pubblicato insieme ad MB il primo bellissimo album degli Elitaria, un disco versatile nella sua monolitica e spaventosa freddezza ponendo praticamente il duo sulla stessa lunghezza d'onda dei torinesi Lilyum. Insomma, in parole povere qualcosa di coraggioso che già per questo merita molta attenzione.
Ciò che unisce le due entità è la tendenza a proporre una struttura dei pezzi tremendamente meccanica nella quale una sequenza (nel caso degli Elitaria spesso abbastanza lunga) ben definita viene solitamente rispettata in maniera rigorosa come se si stesse trattando di uno schema a strofa - ritornello. Tanto che in sostanza solo rarissime volte questa catena - che rifiuta quasi nel senso più categorico ogni stacco e/o pausa con relativa ripartenza - si spezza, per esempio in "...and the Silence Shall Be" dove successivamente, invece dell'iniziale 1 - 2 - 1 - 2, viene offerto a botta singola soltanto il 2 per poi tirar fuori identiche le successive soluzioni. E' come la macchina che prende il sopravvento sull'uomo, un'automatica catena di montaggio che elimina dalla faccia della Terra ogni suo contributo.
Non pensate soltanto al fatto che c'è una batteria elettronica efficacemente programmata e che pone un buon equilibrio fra i tempi più veloci e quelli più lenti a scandire martellante il ritmo. No, perchè gli Elitaria fanno anche un uso non esattamente raro di minimaliste fughe strumentali (si pensi a quella di "Totalitarianism As One") nella quale ricami sintetici rimandano ad un'umanità tanto tecnogicamente satura quanto spiritualmente poverissima.
Eppure le cosiddette fughe non relegano per niente in disparte la voce, particolarmente presente ma mai invasiva proprio come accade nei Lilyum. Va bene, non allarghiamoci troppo perchè da queste parti c'è uno stile più semplice e lontano dai virtuosismi di un Lord J. H. Psycho ma D666 ha un'"ignoranza" debitrice del black/death a là Black Witchery solo sparata in versione più greve, alternata talvolta con voci pulite ipnotiche rese quasi robotizzate, che non posso non omaggiare la sua immane cattiveria. Anche perchè le linee vocali, seppur continue, sono sempre belle curate (a tal proposito, segnalo il modo con cui il nostro accenta perfettamente le parole "Nuclear War" in "Arrogance of Persistance"... o sarà semplicemente che quei due termini richiamano LA paura dell'uomo moderno?).
Un'altra similitudine che si può tranquillamente sollevare è la capacità di sfruttare le proprie potenzialità per tirar fuori una fantasia che non fa veramente mai stancare l'ascoltatore. Infatti, avendo come base un black/death di stampo industriale, gli Elitaria se ne escono, nell'ordine e per fare qualche esempio:
con l'assolo per niente breve, dalla melodia quasi beffarda e dal discorso molto tecnico della stessa "Arrogance of Persistance";
con i lancinanti ed urlanti acuti rumoristi di chitarra di "We, the Path";
l'apocalittico incubo doom di "Soul At Zero", una canzone che in pratica si basa sullo stesso ritmo di batteria ripetuto per 6 asfissianti minuti;
l'efficacissimo lavoro di basso di "Totalitarianism As One", nella quale fra l'altro la batteria accenta il riffing con dei perfetti colpi sui tom;
la tempestosa "Elite Dogma" con la sua chitarra solista e le svisate black 'n' roll;
le melodie magniloquenti e dissonanti con tanto di complicati intrecci di chitarra dal gusto tipicamente svedese di "An Endless Seed of Hate";
le disturbanti pennellate e i momenti ad intermittenza di "... And Silence Shall Be", l'unico brano del lotto a risolversi con una dissolvenza.
Tutto ciò viene fra l'altro proposto senza preoccuparsi minimamente della durata di ogni pezzo, dato che da "We, the Path" in poi non ci sono più santi a reggere la resistenza di ascoltatori riluttanti a sorbirsi canzoni da almeno 5 minuti ognuna, cosa da apprezzare decisamente e spiegabile specialmente con le lunghe sequenze che i nostri si portano appresso.
In mezzo a tutto ciò, vengono omaggiati i Ministry con la cover "Stigmata" proveniente dall'album "The Land of Rape and Honey" del 1988. Omaggiati senza dimenticare la personalizzazione del brano, dato che gli Elitaria non l'hanno solo estremizzato a dovere velocizzandolo ma è stato anche semplificato per esempio sotto il profilo ritmico. Solo che curiosamente la loro versione è molto più breve rispetto all'originale (quasi 3 minuti in luogo dei quasi 6 minuti) e questa cosa mi incuriosisce non poco vista la tendenza già analizzata del duo di rendere piacevolmente "prolisse" le varie canzoni, e quindi ciò sarà sicuramente oggetto di discussione nell'intervista, anche perchè non mi ha del tutto convinto vista la considerazione appena fatta. D'altro canto la scelta di un pezzo simile mi sembra tremendamente azzeccata dato che è di una paranoia quasi incontrollabile, fissata com'è a ripetere quasi all'infinito quel riff quasi rock 'n' roll. In compenso si è rispettato l'effetto innestato sulla voce, un effetto che chiamerei di lontananza che però in D666 diventa innaturalmente gracchiante.
In pratica, l'unico dubbio che ho di questo disco, che ha una produzione pulita (ossia fredda come giustamente dovrebbe essere) e ben bilanciata in modo da essere sopraffatti da cotanta tecnologia infernale, è che: non si poteva tirar fuori magari un altro assolo (opera fra l'altro di Razor SK dei Forgotten Tomb, che inoltre ha prestato la sua voce nella cover) perchè l'unico presente in "Arrogance of Persistance" non l'ho trovato soltanto stupendamente azzeccato ma anche bello personale? Un mistero in fin dei conti irrilevante.
E ora…buio.
Voto: 92
Claustrofobia
Scaletta:
1 - Intro/ 2 - Arrogance of Persistance/ 3 - We, the Path/ 4 - Soul at Zero/ 5 - Totalitarianism as One/ 6 - Elite Dogma/ 7 - An Endless Seed of Hate/ 8 - ... and Silence Shall Be/ 9 – Stigmata
MySpace:
http://www.myspace.com/elitaria
Sito ufficiale:
http://www.elite666.com/
Howling in the Fog - "Emasculated by Endless Unhappiness" (2010)
Recensione pubblicata il 13 Aprile 2011 nella mia pagina FaceBook.
Album, Depressive Illusions Records (1 Ottobre 2010)
Provenienza : Trento, Trentino Aldo Adige
Formazione : Der Antikrist Seelen Mord, voce, chitarre, basso, drum – machine, tastiere
Punto di forza dell’album :
La batteria, decisamente più versatile rispetto al recente passato.
Migliore canzone:
“Suicide Solution”, più che altro perché è l’ultima canzone inedita dell’album e che con il suo lavoro di batteria e le melodie traballanti riesce a rendere finalmente più tangibile il dolore.
Di Howling in the Fog è stata pubblicata anche la rece di “Drained by Suicidal Thoughts”:
http://timpaniallospiedo.blogspot.com/2010/07/howling-in-fog-drained-from-suicidal.html
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Ragazzi, non ce l’ho fatta. Ho cercato in tutti i modi di farmi piacere il primissimo album di Howling in the Fog, ma è stato molto difficile e quella sufficienza per me vale come un brutto voto perché mi è rattristato molto darla dopo essere stato avvolto da quel demo – capolavoro che per giorni e giorni mi ha accompagnato ormai parecchi mesi fa. Ma in fin dei conti perché “lamentarsi” se il giovine artista è veramente giovine? Quindi bando alle ciance ed ecco a voi le ragioni delle mie perplessità.
Il problema è che Der Antikrist Seelen Mord ha ripreso la stessa solfa precedente, pregi e difetti compresi accentuando talvolta questi ultimi. Ma soprattutto non ha colto alla perfezione le intuizioni deliranti, schizofreniche, caotiche e strutturalmente originali di “Last Days”, canzone finale del demo, recensito in queste stesse pagine, “Drained from Suicidal Thoughts”. Ma sarà forse che in questi ultimi tempi mi stanno accadendo molte cose belle, per cui non sono molto predisposto a “deprimermi”? E allora perché quando ascolto i Diocletian l’istinto primordiale di distruggere il mondo ancora viene a galla? Mistero.
Prima di tutto, c’è il difetto originario del solo – progetto, ossia l’utilizzo frequente degli stacchi, delle pause e relative ripartenze, appannaggio quasi esclusivo delle chitarre solo che stavolta viene posta particolare enfasi alla chitarra acustica la quale apre e talvolta chiude brani come “Beloved Loneliness” ed “Emasculated by Endless Unhappiness”. Il problema è che di simili momenti spesso il nostro ne abusa, sia per numero che per lunghezza dato che può capitare che per esempio l’acustica occupi uno spazio di 30 secondi o poco più rallentando quindi notevolmente l’intensità che anche il black depressivo dovrebbe trasmettere, anche perché le pause possono essere pericolosamente appaiate fra di loro. Quel che è più poco indicato è che molte soluzioni musicali vengono introdotte proprio così, rendendo i vari stacchi e pause controproducenti, ergo il discorso diventa semplicistico e veramente poco incisivo. Certo, il nostro alle volte dimostra di essere maturato nella caratterizzazione degli stacchi (si sentano in proposito alcuni di “Choirs Damned by Thoughts of Death” nei quali un basso ed una batteria a trasmittenza danno manforte alla chitarra elettrica). Ma d’altro canto mostra una terribile dipendenza da essi per riuscire a potenziare, spesso invano, tutto l’insieme.
Poi c’è una considerazione più di carattere speculativo da fare: quest’abuso forse non è esattamente in contrasto con delle intenzioni suicide. Infatti, penso che il suicidio sia un atto che non ammette repliche anche perché è il gesto incosciente, da fare senza pensarci troppo, di un essere umano che si distrugge lentamente cadendo in un vortice irto di pensieri dolorosi. In parole povere non sarebbe stato meglio partorire un discorso più fluido, da delirio inenarrabile?
Da definire meglio è invece il ruolo della chitarra solista soprattutto perché il suo lavoro è diventato piuttosto meccanico. Mi spiego: nella maggior parte delle volte si fa viva sempre qualche tempo dopo la ritmica, che intanto ripete lo stesso medesimo riff per qualcosa come un minuto. Ciò significa che la solista in tutti i pezzi è quasi sempre incaricata dello stesso lavoro, cioè quello di potenziare la musica in maniera decisamente prevedibile. Ciò comunque non significa che i suoi semplici interventi non siano efficaci, vedasi ad esempio le note traballanti di “Suicide Solution”.
Inoltre, mi piacerebbe sapere dal diretto interessato che senso ha mettere due pezzi d’atmosfera appaiati fra di loro, ossia “Cold June… Cold Void” (l’unica traccia che fra l’altro ha testi in italiano), dominata da chitarre elettriche belle melodiche lentamente sovra incise l’una sull’altra a metà tra il rimprovero e il “perché non farlo?” (sullo sfondo invece c’è un’acustica ed un tappeto minimalista di tastiere) e l’outro, caratterizzata specialmente dalla pioggia scrosciante e da una chitarra acustica resa psichedelica quasi in modo da realizzare la dimensione dell’oblìo. Il fatto è che può anche andare benissimo la prima visto che precede la follia (aaaah, la follia!) della cover dei Silencer “Sterile Nails and Thunderbowels”, solo che a questo punto è forse proprio l’outro ad essere purtroppo il cosiddetto riempitivo. Per due ordini di pensiero: da una parte vi sono troppe pause, i timpani sono troppe volte accarezzati da una strana tendenza all’ordine e alla quiete; dall’altra l’outro, con il suo paesaggio di infinita desolazione, sembra non essere totalmente funzionale al finale selvaggio e rabbioso con cui termina la già citata cover (fra l’altro curiosamente la durata dell’unico album dei Silencer, “Death - Pierce Me”, supera di soli 3 secondi quella di “Emasculated by Endless Unhappiness”!).
In compenso, utili a far da equilibrio ai lati negativi dell’album, concorrono a migliorarne le sorti 3 aspetti del progetto, ovvero:
1) la batteria. A parte che dopo la lunga intro dark ambient l’attacco del rullante è così forte e bestiale da mettere i brividi nell’ascoltatore, passo per passo si scopre quanti miglioramenti ha fatto il nostro nel programmare la batteria elettronica, sempre contraddistinta da un suono più autentico del solito. E’ diventato in pratica più sicuro nei propri mezzi così da spiattellare per esempio i nervosi uno – due di “Suicide Solution” (che consta fra l’altro anche di tempi medi da cavalcata quasi di Burzumiana memoria) oppure quelli più lenti e meno rapidi di “Emasculated by Endless Unhappiness”. Lo stesso discorso vale nella diversificazione fra una battuta e l’altra, magari attraverso puntuali scorribande sui tom;
2) il lavoro del basso, ormai tratto caratterizzante delle produzioni di Der Antikrist Seelen Mord, e che in poche occasioni riesce a sviluppare e rendere completo il riff di chitarra così da immergere ancora di più l’ascoltatore in un’atmosfera opprimente e avvolgente allo stesso tempo. Si citino specialmente le belle melodie incredibilmente più dolci del solito presenti in “Choirs Damned by Thoughts of Death”;
3) “Sterile Nails and Thunderbowels" è sicuramente la canzone che riesce a sollevare notevolmente le sorti del disco. Certo, le pause dominate dalla chitarra acustica sono sempre lì ma l’episodio ha molti tratti sorprendenti e inediti per questo solo – progetto. Prima di tutto, c’è un tripudio di sovraincisioni vocali a dir poco terrificanti per quanto mettono i brividi. La voce fra l’altro qui denota una bella dose di pazzia anche perché è più stridula e sofferta, e a tal punto consiglierei al nostro di utilizzarla un po’ di più magari per non far diventare isolati questo tipo di interventi. Se ciò non fosse abbastanza, bisogna tener presente che il riffing non è arpeggiato ma più che altro pennellato con la conseguenza di risultare più completo e monolitico, riprendendo un po’ la lezione di “Suicide Solution”. Solo che qui il riffing è praticamente isterico, va da una disperazione quasi epicheggiante ad un discorso più beffardo e dalla chitarra solista desolante per finire con la rabbia più esasperante, cosa che permette l’immissione improvvisa di un riffing macabro di chiaro stampo death metal con relativi furiosi blast – beats (anche questi novità assoluta per Howling in the Fog). E tutto sa di apocalisse, di un uomo che finalmente si alza dal suo torpore passivo per scatenare il suo odio distruttivo. Ma è veramente un peccato che proprio la cover sia stata l’unica canzone che mi abbia veramente infuso delle emozioni forti, a parte forse “Suicide Solution”. Bisogna dire che la cover risulta piuttosto fedele al pezzo originale, anche se il lavoro di batteria è stato leggermente semplificato ed inoltre tutta l’atmosfera ha tratti più apocalittici e meno melodici.
Come ultimo argomento da prendere in considerazione c’è la produzione ma qua rimando quasi interamente alle considerazioni fatte per “Drained by Suicidal Thoughts”. A esse si aggiunga che la batteria ha un suono decisamente più forte che in passato, anche se in altre occasioni si mostra stranamente un pochino più debole (“Beloved Loneliness”). Inoltre, è stato tolto finalmente quel curioso suono greve quasi slappato proveniente da chissà cosa, e solo ad un certo punto di “Choirs Damned by Thoughts of Death” si rifà vivo.
Voto: 68
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Introduction to Falling/ 2 – Bowles/ 3 – Beloved Loneliness/ 4 – Emasculated by Endless Unhappiness/ 5 – Choirs Damned by Thoughts of Death/ 6 – Suicide Solution/ 7 – Cold June… Cold Void/ 8 – Sterile Nails and Thunderbowels/ 9 – Outro
MySpace:
http://www.myspace.com/howlinginthefog
Album, Depressive Illusions Records (1 Ottobre 2010)
Provenienza : Trento, Trentino Aldo Adige
Formazione : Der Antikrist Seelen Mord, voce, chitarre, basso, drum – machine, tastiere
Punto di forza dell’album :
La batteria, decisamente più versatile rispetto al recente passato.
Migliore canzone:
“Suicide Solution”, più che altro perché è l’ultima canzone inedita dell’album e che con il suo lavoro di batteria e le melodie traballanti riesce a rendere finalmente più tangibile il dolore.
Di Howling in the Fog è stata pubblicata anche la rece di “Drained by Suicidal Thoughts”:
http://timpaniallospiedo.blogspot.com/2010/07/howling-in-fog-drained-from-suicidal.html
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Ragazzi, non ce l’ho fatta. Ho cercato in tutti i modi di farmi piacere il primissimo album di Howling in the Fog, ma è stato molto difficile e quella sufficienza per me vale come un brutto voto perché mi è rattristato molto darla dopo essere stato avvolto da quel demo – capolavoro che per giorni e giorni mi ha accompagnato ormai parecchi mesi fa. Ma in fin dei conti perché “lamentarsi” se il giovine artista è veramente giovine? Quindi bando alle ciance ed ecco a voi le ragioni delle mie perplessità.
Il problema è che Der Antikrist Seelen Mord ha ripreso la stessa solfa precedente, pregi e difetti compresi accentuando talvolta questi ultimi. Ma soprattutto non ha colto alla perfezione le intuizioni deliranti, schizofreniche, caotiche e strutturalmente originali di “Last Days”, canzone finale del demo, recensito in queste stesse pagine, “Drained from Suicidal Thoughts”. Ma sarà forse che in questi ultimi tempi mi stanno accadendo molte cose belle, per cui non sono molto predisposto a “deprimermi”? E allora perché quando ascolto i Diocletian l’istinto primordiale di distruggere il mondo ancora viene a galla? Mistero.
Prima di tutto, c’è il difetto originario del solo – progetto, ossia l’utilizzo frequente degli stacchi, delle pause e relative ripartenze, appannaggio quasi esclusivo delle chitarre solo che stavolta viene posta particolare enfasi alla chitarra acustica la quale apre e talvolta chiude brani come “Beloved Loneliness” ed “Emasculated by Endless Unhappiness”. Il problema è che di simili momenti spesso il nostro ne abusa, sia per numero che per lunghezza dato che può capitare che per esempio l’acustica occupi uno spazio di 30 secondi o poco più rallentando quindi notevolmente l’intensità che anche il black depressivo dovrebbe trasmettere, anche perché le pause possono essere pericolosamente appaiate fra di loro. Quel che è più poco indicato è che molte soluzioni musicali vengono introdotte proprio così, rendendo i vari stacchi e pause controproducenti, ergo il discorso diventa semplicistico e veramente poco incisivo. Certo, il nostro alle volte dimostra di essere maturato nella caratterizzazione degli stacchi (si sentano in proposito alcuni di “Choirs Damned by Thoughts of Death” nei quali un basso ed una batteria a trasmittenza danno manforte alla chitarra elettrica). Ma d’altro canto mostra una terribile dipendenza da essi per riuscire a potenziare, spesso invano, tutto l’insieme.
Poi c’è una considerazione più di carattere speculativo da fare: quest’abuso forse non è esattamente in contrasto con delle intenzioni suicide. Infatti, penso che il suicidio sia un atto che non ammette repliche anche perché è il gesto incosciente, da fare senza pensarci troppo, di un essere umano che si distrugge lentamente cadendo in un vortice irto di pensieri dolorosi. In parole povere non sarebbe stato meglio partorire un discorso più fluido, da delirio inenarrabile?
Da definire meglio è invece il ruolo della chitarra solista soprattutto perché il suo lavoro è diventato piuttosto meccanico. Mi spiego: nella maggior parte delle volte si fa viva sempre qualche tempo dopo la ritmica, che intanto ripete lo stesso medesimo riff per qualcosa come un minuto. Ciò significa che la solista in tutti i pezzi è quasi sempre incaricata dello stesso lavoro, cioè quello di potenziare la musica in maniera decisamente prevedibile. Ciò comunque non significa che i suoi semplici interventi non siano efficaci, vedasi ad esempio le note traballanti di “Suicide Solution”.
Inoltre, mi piacerebbe sapere dal diretto interessato che senso ha mettere due pezzi d’atmosfera appaiati fra di loro, ossia “Cold June… Cold Void” (l’unica traccia che fra l’altro ha testi in italiano), dominata da chitarre elettriche belle melodiche lentamente sovra incise l’una sull’altra a metà tra il rimprovero e il “perché non farlo?” (sullo sfondo invece c’è un’acustica ed un tappeto minimalista di tastiere) e l’outro, caratterizzata specialmente dalla pioggia scrosciante e da una chitarra acustica resa psichedelica quasi in modo da realizzare la dimensione dell’oblìo. Il fatto è che può anche andare benissimo la prima visto che precede la follia (aaaah, la follia!) della cover dei Silencer “Sterile Nails and Thunderbowels”, solo che a questo punto è forse proprio l’outro ad essere purtroppo il cosiddetto riempitivo. Per due ordini di pensiero: da una parte vi sono troppe pause, i timpani sono troppe volte accarezzati da una strana tendenza all’ordine e alla quiete; dall’altra l’outro, con il suo paesaggio di infinita desolazione, sembra non essere totalmente funzionale al finale selvaggio e rabbioso con cui termina la già citata cover (fra l’altro curiosamente la durata dell’unico album dei Silencer, “Death - Pierce Me”, supera di soli 3 secondi quella di “Emasculated by Endless Unhappiness”!).
In compenso, utili a far da equilibrio ai lati negativi dell’album, concorrono a migliorarne le sorti 3 aspetti del progetto, ovvero:
1) la batteria. A parte che dopo la lunga intro dark ambient l’attacco del rullante è così forte e bestiale da mettere i brividi nell’ascoltatore, passo per passo si scopre quanti miglioramenti ha fatto il nostro nel programmare la batteria elettronica, sempre contraddistinta da un suono più autentico del solito. E’ diventato in pratica più sicuro nei propri mezzi così da spiattellare per esempio i nervosi uno – due di “Suicide Solution” (che consta fra l’altro anche di tempi medi da cavalcata quasi di Burzumiana memoria) oppure quelli più lenti e meno rapidi di “Emasculated by Endless Unhappiness”. Lo stesso discorso vale nella diversificazione fra una battuta e l’altra, magari attraverso puntuali scorribande sui tom;
2) il lavoro del basso, ormai tratto caratterizzante delle produzioni di Der Antikrist Seelen Mord, e che in poche occasioni riesce a sviluppare e rendere completo il riff di chitarra così da immergere ancora di più l’ascoltatore in un’atmosfera opprimente e avvolgente allo stesso tempo. Si citino specialmente le belle melodie incredibilmente più dolci del solito presenti in “Choirs Damned by Thoughts of Death”;
3) “Sterile Nails and Thunderbowels" è sicuramente la canzone che riesce a sollevare notevolmente le sorti del disco. Certo, le pause dominate dalla chitarra acustica sono sempre lì ma l’episodio ha molti tratti sorprendenti e inediti per questo solo – progetto. Prima di tutto, c’è un tripudio di sovraincisioni vocali a dir poco terrificanti per quanto mettono i brividi. La voce fra l’altro qui denota una bella dose di pazzia anche perché è più stridula e sofferta, e a tal punto consiglierei al nostro di utilizzarla un po’ di più magari per non far diventare isolati questo tipo di interventi. Se ciò non fosse abbastanza, bisogna tener presente che il riffing non è arpeggiato ma più che altro pennellato con la conseguenza di risultare più completo e monolitico, riprendendo un po’ la lezione di “Suicide Solution”. Solo che qui il riffing è praticamente isterico, va da una disperazione quasi epicheggiante ad un discorso più beffardo e dalla chitarra solista desolante per finire con la rabbia più esasperante, cosa che permette l’immissione improvvisa di un riffing macabro di chiaro stampo death metal con relativi furiosi blast – beats (anche questi novità assoluta per Howling in the Fog). E tutto sa di apocalisse, di un uomo che finalmente si alza dal suo torpore passivo per scatenare il suo odio distruttivo. Ma è veramente un peccato che proprio la cover sia stata l’unica canzone che mi abbia veramente infuso delle emozioni forti, a parte forse “Suicide Solution”. Bisogna dire che la cover risulta piuttosto fedele al pezzo originale, anche se il lavoro di batteria è stato leggermente semplificato ed inoltre tutta l’atmosfera ha tratti più apocalittici e meno melodici.
Come ultimo argomento da prendere in considerazione c’è la produzione ma qua rimando quasi interamente alle considerazioni fatte per “Drained by Suicidal Thoughts”. A esse si aggiunga che la batteria ha un suono decisamente più forte che in passato, anche se in altre occasioni si mostra stranamente un pochino più debole (“Beloved Loneliness”). Inoltre, è stato tolto finalmente quel curioso suono greve quasi slappato proveniente da chissà cosa, e solo ad un certo punto di “Choirs Damned by Thoughts of Death” si rifà vivo.
Voto: 68
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Introduction to Falling/ 2 – Bowles/ 3 – Beloved Loneliness/ 4 – Emasculated by Endless Unhappiness/ 5 – Choirs Damned by Thoughts of Death/ 6 – Suicide Solution/ 7 – Cold June… Cold Void/ 8 – Sterile Nails and Thunderbowels/ 9 – Outro
MySpace:
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