Demo autoprodotto (15 Maggio 2011)
Formazione (2010): Bojan, voce;
Thomas, chitarre;
Gabriele, basso;
Fava, batteria.
Provenienza: Pordenone, Trentino Alto – Adige
Canzone migliore del disco:provo una particolare predilezione per “Reign of Ruin”, più che altro perché stavolta i nostri non solo osano non sputare neanche un misero assolo ma esprimono il meglio di loro stessi negli stacchi con relative ripartenze, tutti momenti incredibilmente azzeccati.
Punto di forza del demo:
probabilmente la batteria, che riesce a unire il sacro con il profano senza mostrare un grammo di incertezza.
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A forza di farmi una testa così con gli studi universitari mi sono dimenticato bellamente di Timpani allo Spiedo per parecchio tempo e, peggio ancora, dovete pensare che la rece sul demo dei Blaspherit è stata la prima dopo qualcosa come 2 settimane. L’avevo detto che sarei andato molto a rilento, nonostante la montagna di materiale arrivatami negli ultimissimi tempi. Fortuna che la webzine non abbia delle scadenze precise, se non quelle vagamente adottate dalla mia testa malata…
Testa malata che ultimamente si è entusiasmata del primissimo disco dei Dehumanization, gruppo che si discosta finalmente dallo strapotere black metal che sta imperversando su Timpani allo Spiedo (c’è un ritorno di questo genere dalle mie parti che manco nei primissimi tempi della rivista!), e non senza una certa eleganza di fondo, la quale si fa notare per delle caratteristiche particolarmente interessante, nonostante la giovane età di questo branco di pazzi. Quindi:
1) il lavoro di chitarra è nervoso, psicotico, profondamente a – melodico quasi ai limiti del mathcore, pur essendo strutturalmente di natura in fin dei conti classica. Gli interventi della chitarra solista sono circoscritti agli ottimi assoli, uno per pezzo e lontani ad ogni modo dall’essere delle cascate di note essendo fra l’altro dalla durata breve ma non troppo, oltre al fatto di possedere un’ottima atmosfera. Tale limitatezza della solista è da apprezzare molto in quanto così facendo si rispetta il fatto che ci sia una sola ascia in formazione;
2) la batteria l’ho trovata però più curata e fantasiosa del settore chitarre (le quali infatti appaiono un po’ monolitiche). In non pochi casi, le sue costruzioni sono ostiche ed isteriche, pur cercando di porre un buon equilibrio fra i tempi veloci (non manca neppure qualche blast – beat) e quelli più lenti. Questi ultimi riescono spesso e volentieri a rendere più digeribile l’intero massacro, visto che viene data particolare importanza ad un groove quantomai contagioso.
D’altro canto, la voce non è da meno, soprattutto perché il nostro risulta capace di variare per bene il proprio cantato, passando così dai grugniti (non particolarmente profondi a dire il vero, ma pazienza) a varie urla per finire con delle parti sussurrate presenti nei momenti più atmosferici di “Reign of Ruin” (da menzionare per delle notevoli linee di basso) e “Outburst”. Il comparto vocale è stato curato molto bene anche utilizzando, in maniera però misurata e ragionevole, le sovraincisioni.
Stupisce la lunghezza media dei pezzi, che si attestano sempre intorno ai 4 minuti, e quindi i nostri si sono presi i loro bei rischi, almeno in rapporto alla loro giovinezza e alla scelta di un tipo di death metal di sicuro per niente comune. Da questo punto di vista, è da segnalare specialmente la struttura dei brani, lontana comunque dall’essere veramente poco intelligibile dato che lo schema non è poi così libero come apparentemente sembra (si citi per esempio “Implosion”, addirittura ossessivo in alcune parti). Gli episodi si articolano fra l’altro sfruttando degli stacchi fantastici, esplicati in soluzioni sempre differenti e che non fanno mai calare l’attenzione dell’ascoltatore.
Ma se è vero che i nostri sono alla primissima opera, allora sorprende anche la produzione, pulita e con tutti gli strumenti messi bene in evidenza da far sentire per filo e per segno ogni finezza senza necessariamente scomodare le cuffie.
E’ pur vero che in formazione c’è una vecchia conoscenza di Timpani allo Spiedo. Sto parlando di quel Der Antikrist Seelen Mord che ultimamente mi ha deluso (e non poco) prima con il solo – progetto black depressivo Howling in the Fog e poi con l’esperienza drone Bleeding Void of Utter Mysticism. Insomma, il buon Gabriele si è risollevato, anche se avrei desiderato una sua prestazione (a ogni modo brillante ed efficace) più solista che non si limitasse soltanto ai passaggi meno canonici degli ultimi due pezzi.
Ma in fin dei conti ‘sti gran cazzi! Il disco è pur sempre una bella botta italianissima di death metal tecnico che è un vero calco in culo a chi crede che il metallo estremo debba essere solo primitivo e basta!
Voto: 82
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Implosion/ 2 – Reign of Ruin/ 3 – Outburst
MySpace:
http://www.myspace.com/dehumanizationtn
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Friday, November 25, 2011
Sunday, November 20, 2011
Blaspherit - "Fallen Oath of Black Doom" (2011)
Demo (Silver Key Records, 27 Maggio 2011)
Formazione (2010): Strigoi Verminator, voce/batteria;
Zroknyxgorphallus, chitarre/voce;
Xhankthemoneum, basso/flauto.
Provenienza: Næstved (Danimarca)
Pezzo migliore del demo:
probabilmente “Werewolf of the Black Abyss”, specialmente per la sua Babele “caciarona” di urla come se non ci fosse un domani.
Punto di forza del disco:
la voce, sia perché la produzione l’ha stuprata a dovere, sia perché le urla qui proposte sono da leggenda, riuscendo così a trasmettere follia pura.
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Curiosità:
sembrerà strano, ma le 120 copie del demo sono andate in tutto esaurito 2 giorni dopo la sua pubblicazione!
Non posso farci niente ragazzi! Non posso resistere alla tentazione di dare una qualche possibilità di ascolto a gente che se ne infischia altamente di produrre i loro dischi in maniera almeno decente. Il metallaro medio, dopo esser stato scaraventato da così tanto “rumore”, avrebbe praticamente gli incubi per tutto il resto della sua vita. Se no perché, in quella favolosa notte dei tempi in cui fondai Timpani allo Spiedo, l’ho chiamata così? Certo, in passato c’è stata qualche bocciatura inerente soprattutto la produzione (per esempio, quella del demo dei filippini Nekroholocaust, che però a dir la verità l’ho risolta con un senza voto) ma sono state delle eccezioni rarissime a dir poco estreme… in cui nonostante tutto non rientrano i Blaspherit. Infatti, mi pare indiscutibile che loro se la siano cercata una produzione così “inascoltabile”, e fra l’altro non è neanche fine a sé stessa visto che risulta perfettamente funzionale all’atmosfera malatissima da loro creata. Ma se dicessi al metallaro medio con un minimo di cultura che la produzione non è solo inadatta per lui ma che il gruppo che mi appresto a recensire fa parte del bestiale calderone del black/death metal, come dite che reagirebbe? Come minimo con l’infarto, oserei dire.
In parole povere, la produzione è stata cercata principalmente perché la voce è così manipolata da pesanti effetti di riverbero ed eco da risultare angosciosamente innaturale, ed il “problema” è che essa risulta già di suo particolarmente inquietante per mezzo di grugniti belli profondi. I quali vengono alternati, e pure con una buona frequenza, con urla da psicopatico a volte da castrato vero e proprio. E l’effetto sa essere allo stesso tempo demenziale e spaventoso.
La batteria invece la si sente decisamente meglio con l’ausilio delle cuffie da gustare una prestazione che, per quanto poco varia, riesce ad accentare spesso molto bene il riffing stesso. La cosa strana è che, seppur ci sia una proliferazione dei blast – beats notevole come il genere comanda, ben 2 pezzi sono stati costruiti (quasi) esclusivamente sui tempi medio – lenti, declinati anche attraverso un bel groove, ossia "Goat Command Desolation" e "Gods of Goldenwood and Pagan Fire", pezzo quest’ultimo in cui fra l’altro c’è un plagio di proporzioni epiche, e su cui naturalmente ritornerò.
Con le chitarre l’inquietudine assume livelli ancor più assurdi. Infatti, oltre a un tipo di riffing che si avvicina a un death/brutal a dir poco primitivo, la chitarra solista trova spesso espressione, estremizzando la lezione impartita da gente simpatica come i Bestial Warlust, e compagnia. Con un paio di differenze però:
1) gli assoli, o che dir si voglia, sono molto simili fra di loro;
2) essi sembrano stati messi nei vari pezzi quasi “a cazzo di cane”;
Quest’ultimo punto, se da una parte è un aspetto negativo della faccenda, dall’altro è assolutamente positivo, visto che così facendo si riesce a trasmettere un sentore di rovina e follia che è un po’ la cifra stilistica del demo. E non soltanto per una chitarra solista impazzita.
Ascoltatevi infatti "Weltering in Semen and Blood", nel cui finale c’è persino un flauto dalla melodia malandata e stonata (quindi che melodia è?). L’effetto, alla fine, è così fastidioso da risultare perfetto e volutamente ironico (e non scordiamo che anche alcuni jazzisti hanno provato a fare simili esperimenti con strumenti non loro).
Ma anche la struttura di "Gods of Goldenwood and Pagan Fire" non scherza affatto. Prima di tutto, il pezzo è un plagio al passaggio principale groovy di “Baphomet’s Vomit” dei Sadomator (e guardacaso la Silver Key Records è di loro proprietà…) periodo “Sadomatic Goat Cult”, solo riproposto qui all’infinito. Ma il brano è così paranoico da “scadere” in momenti dove il gruppo impazzisce quasi di noia sparando “pause rumoriste” così da perdere progressivamente il tema principale. Fra l’altro, "Gods...." è pure l’episodio più lungo del lotto, visto che dura qualcosa come 5 minuti (e lo standard del terzetto si aggira fra i 2 e i 3 minuti).
Effettivamente bisogna dire che il tipo di struttura che i nostri hanno adottato ha un discorso piuttosto lento, nonostante i ritmi spesso veloci. Infatti, si ha qui la tendenza a ripetere le varie soluzioni musicali più del solito, pur non arrivando all’”estremizzazione ribelle” dell’ultimo brano, ultimo tratto che personalizza (ed appesantisce) abbastanza bene la proposta dei Blaspherit.
Devo andare oltre? Da ascoltare solo se si è sicuro di uscire un minimo indenni dall’ascolto.
Voto: 65
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Temple Cult/ 2 – Fallen Oath of Black Doom/ 3 – Six Days of Desecration/ 4 – Werewolf of the Black Abyss/ 5 – Goat Command Desolation/ 6 – Weltering in Semen and Blood/ 7 – Gods of Goldenwood and Pagan Fire
Formazione (2010): Strigoi Verminator, voce/batteria;
Zroknyxgorphallus, chitarre/voce;
Xhankthemoneum, basso/flauto.
Provenienza: Næstved (Danimarca)
Pezzo migliore del demo:
probabilmente “Werewolf of the Black Abyss”, specialmente per la sua Babele “caciarona” di urla come se non ci fosse un domani.
Punto di forza del disco:
la voce, sia perché la produzione l’ha stuprata a dovere, sia perché le urla qui proposte sono da leggenda, riuscendo così a trasmettere follia pura.
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Curiosità:
sembrerà strano, ma le 120 copie del demo sono andate in tutto esaurito 2 giorni dopo la sua pubblicazione!
Non posso farci niente ragazzi! Non posso resistere alla tentazione di dare una qualche possibilità di ascolto a gente che se ne infischia altamente di produrre i loro dischi in maniera almeno decente. Il metallaro medio, dopo esser stato scaraventato da così tanto “rumore”, avrebbe praticamente gli incubi per tutto il resto della sua vita. Se no perché, in quella favolosa notte dei tempi in cui fondai Timpani allo Spiedo, l’ho chiamata così? Certo, in passato c’è stata qualche bocciatura inerente soprattutto la produzione (per esempio, quella del demo dei filippini Nekroholocaust, che però a dir la verità l’ho risolta con un senza voto) ma sono state delle eccezioni rarissime a dir poco estreme… in cui nonostante tutto non rientrano i Blaspherit. Infatti, mi pare indiscutibile che loro se la siano cercata una produzione così “inascoltabile”, e fra l’altro non è neanche fine a sé stessa visto che risulta perfettamente funzionale all’atmosfera malatissima da loro creata. Ma se dicessi al metallaro medio con un minimo di cultura che la produzione non è solo inadatta per lui ma che il gruppo che mi appresto a recensire fa parte del bestiale calderone del black/death metal, come dite che reagirebbe? Come minimo con l’infarto, oserei dire.
In parole povere, la produzione è stata cercata principalmente perché la voce è così manipolata da pesanti effetti di riverbero ed eco da risultare angosciosamente innaturale, ed il “problema” è che essa risulta già di suo particolarmente inquietante per mezzo di grugniti belli profondi. I quali vengono alternati, e pure con una buona frequenza, con urla da psicopatico a volte da castrato vero e proprio. E l’effetto sa essere allo stesso tempo demenziale e spaventoso.
La batteria invece la si sente decisamente meglio con l’ausilio delle cuffie da gustare una prestazione che, per quanto poco varia, riesce ad accentare spesso molto bene il riffing stesso. La cosa strana è che, seppur ci sia una proliferazione dei blast – beats notevole come il genere comanda, ben 2 pezzi sono stati costruiti (quasi) esclusivamente sui tempi medio – lenti, declinati anche attraverso un bel groove, ossia "Goat Command Desolation" e "Gods of Goldenwood and Pagan Fire", pezzo quest’ultimo in cui fra l’altro c’è un plagio di proporzioni epiche, e su cui naturalmente ritornerò.
Con le chitarre l’inquietudine assume livelli ancor più assurdi. Infatti, oltre a un tipo di riffing che si avvicina a un death/brutal a dir poco primitivo, la chitarra solista trova spesso espressione, estremizzando la lezione impartita da gente simpatica come i Bestial Warlust, e compagnia. Con un paio di differenze però:
1) gli assoli, o che dir si voglia, sono molto simili fra di loro;
2) essi sembrano stati messi nei vari pezzi quasi “a cazzo di cane”;
Quest’ultimo punto, se da una parte è un aspetto negativo della faccenda, dall’altro è assolutamente positivo, visto che così facendo si riesce a trasmettere un sentore di rovina e follia che è un po’ la cifra stilistica del demo. E non soltanto per una chitarra solista impazzita.
Ascoltatevi infatti "Weltering in Semen and Blood", nel cui finale c’è persino un flauto dalla melodia malandata e stonata (quindi che melodia è?). L’effetto, alla fine, è così fastidioso da risultare perfetto e volutamente ironico (e non scordiamo che anche alcuni jazzisti hanno provato a fare simili esperimenti con strumenti non loro).
Ma anche la struttura di "Gods of Goldenwood and Pagan Fire" non scherza affatto. Prima di tutto, il pezzo è un plagio al passaggio principale groovy di “Baphomet’s Vomit” dei Sadomator (e guardacaso la Silver Key Records è di loro proprietà…) periodo “Sadomatic Goat Cult”, solo riproposto qui all’infinito. Ma il brano è così paranoico da “scadere” in momenti dove il gruppo impazzisce quasi di noia sparando “pause rumoriste” così da perdere progressivamente il tema principale. Fra l’altro, "Gods...." è pure l’episodio più lungo del lotto, visto che dura qualcosa come 5 minuti (e lo standard del terzetto si aggira fra i 2 e i 3 minuti).
Effettivamente bisogna dire che il tipo di struttura che i nostri hanno adottato ha un discorso piuttosto lento, nonostante i ritmi spesso veloci. Infatti, si ha qui la tendenza a ripetere le varie soluzioni musicali più del solito, pur non arrivando all’”estremizzazione ribelle” dell’ultimo brano, ultimo tratto che personalizza (ed appesantisce) abbastanza bene la proposta dei Blaspherit.
Devo andare oltre? Da ascoltare solo se si è sicuro di uscire un minimo indenni dall’ascolto.
Voto: 65
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Temple Cult/ 2 – Fallen Oath of Black Doom/ 3 – Six Days of Desecration/ 4 – Werewolf of the Black Abyss/ 5 – Goat Command Desolation/ 6 – Weltering in Semen and Blood/ 7 – Gods of Goldenwood and Pagan Fire
Thursday, November 10, 2011
Progetto:ChaosGoat.666 - "Cosmic Eraser of Lifeforms" (2009)
Demo (War Kommand Productions, 2009)
Formazione: The Nuclear Goddess, voce, chitarra;
200 – 821 – 6, chitarra;
RBMK – 666, batteria.
Provenienza: Scandicci/Firenze/Fabriano, Toscana/Marche
Canzone migliore del demo:
scelta difficile, ma se devo andare sul sicuro, preferirei citare “Der SataNazi Nuklear Kult”, più che altro perché è corredata da un assolo magnifico e imprevedibilissimo, e che quindi va in netto contrasto con tutto il “rumore” snocciolato con impudica nonchalance.
Punto di forza del disco:
il sentore di rovina che si sente per tutti i 41 minuti dell'opera. Provare per credere.
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Avete presente quelli che si lamentano per una presunta mancanza di creatività che ormai dicono sia presente nella nostra cara musica da molti anni? Bene, chissà come si comporterebbero sapendo che in giro c’è qualche pazzo pronto a utilizzare quella loro stessa creatività per vederla… ridotta in cenere? Prendiamo ad esempio i Progetto:ChaosGoat.666, che farebbero morire d’invidia persino i Bestial Warlust più rumoristi, e che al nostro prode Claustrofobia interessano così tanto perché vuole maciullarsi per bene i timpani (dio quanto è scemo!).
Già, parliamo dei Progetto:ChaosGoat.666 e della loro finora unica demo – cassetta che alla fine è un vero e proprio album, un catalogo di orrori che parte di base da una specie di black/death metal in salsa grind per quanto è pressappochista. E ciò per due motivi principali:
1) la batteria (elettronica?) la quale è quasi sempre sparata all’inverosimile, e ciò significa blast – beats a oltranza senza molta fantasia;
2) le chitarre, ma più per come vengono utilizzate che per il riffing in sé stesso, il quale si presenta sicuramente più curato della batteria (fino a sputare incredibilmente un assolo anche piuttosto lungo e fantasioso in “Der SataNazi Nuklear Kult”… a questo punto peccato che sia l’unico), pur essendo sempre bello “ignorante” come si conviene ad un gruppo del genere. Il riffing viene infatti utilizzato attraverso un tipo di struttura ossessiva, paranoica e minimalista così da proporre talvolta lo stesso riff (o quasi) per tutta una canzone.
A questo si aggiunga il fatto che il gruppo tende a preferire pezzi da 2 – 3 minuti, quindi la pesantezza generale viene compensata da una capacità di sintesi aiutata anche da una buona presenza delle pause con relative ripartenza pure durante uno stesso brano.
D’altro canto, la suddetta pesantezza viene aumentata a dismisura dai seguenti fattori:
1) la voce che, utilizzando talvolta pure la madrelingua, è semplicemente un classico del black/death visto che nel gruppo si trovano delle urla stile Bestial Warlust, solo in versione ancor più raccapricciante, e dei grugniti schifosi;
2) il lavoro fatto in fase di produzione e missaggio, consistente non soltanto nell’effettistica che talvolta manipola spaventosamente le voci, ma anche nei vari rumori di cui sono ricchi i pezzi, andando così dalle sirene d’allarme ai discorsi hitleriani (…) con tanto di folla urlante, da veri e propri spezzoni di film per finire con i cori gregoriani, ragion per cui il demo rimanda continuamente ad un’atmosfera di rovina e irrazionalismo esasperato perfettamente ricreata.
Ma, beninteso, ‘sti pazzi non si fermano soltanto a ciò ma vanno ben oltre, così da distruggere sul serio il concetto stesso di musica. In che modo? In tutti i modi, oserei dire.
Fate conto che alcuni brani sono letteralmente stuprati della base ritmica, di conseguenza tutto quello che si sente è (di norma) una chitarra, voce + “abbellimenti” di sorta fino a presentare in “Male Dictum Est in Fa#“ addirittura una chitarra acustica la cui melodia viene insultata per esempio dall’assurdo comparto vocale, stavolta più sussurrato. Da ciò si può intuire la tendenza a rendere oggetto di blasfemia sonorità piacevoli come certi momenti ambientali che qui e là vorrebbero vanamente “cullare” l’ascoltatore.
Oppure fate conto che la produzione è così sporca e a tratti “offuscata” da irridere l’ascoltatore, anche perché è stata impostata su frequenze altine. Di certo però, in quanto a sporcizia, le mie orecchie hanno sentito cose infinitamente “peggiori”.
Ma è da menzionare assolutamente anche la stranissima disposizione dei pezzi, frutto della politica repressiva attuata dal gruppo. Si prendano come esemplari soprattutto quelli finali, che niente hanno di quelli tipici del metal estremo. Ciò perché, parlato di “Male Dictum Est in Fa#“, la seguente, ossia “Noise – Imput – Jupiter” è un infinito pezzo atmosferico (7 minuti di durata!) nel quale vi è principalmente una chitarra psichedelica e specialmente quello che sembra un focolare duro a spegnersi (insomma, come scritto a inizio recensione, la creatività ridotta in cenere…).
Certo, una tale metodologia non è esente da pericoli, soprattutto perché in certi casi avrei preferito meno esperimenti (leggasi, riempitivi) e più caos in modo da colpire perfettamente l’ascoltatore sia in senso psicologico che fisico. D’altro canto, il caos è anche questo, radicato però in maniera più profonda e indiretta, ma quel che è sicuro è che simili “creazioni abortite” (come Antonin Artaud chiamava da giovane le sue poesie) sono da amare. E se io dico questo, allora dovete riflettere per millenni prima di comprare una cassetta così sadomaso…
Voto: 71
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Attack to Peace/ 2 – Extirpation of Life from the Universe/ 3 – Nuclear Chaos Over the Realm of God/ 4 – Antilife Terror Strike/ 5 – Necro Alienz Extermination/ 6 - 86. 04. 25. 01. 23. 47/ 7 – Der SataNazi Nuklear Kult/ 8 – New Radiancy/ 9 – Plutonium Uber Alles/ 10 – Planet Hell/ 11 Nozozcas/ 12 – Deus Nobiscum/ 13 – In the Sign of Anti – Materia/ 14 – Male Dictum Est in Fa#/ 15 – Noise – Imput – Jupiter
MySpace:
http://www.myspace.com/progettochaosgoat666
Formazione: The Nuclear Goddess, voce, chitarra;
200 – 821 – 6, chitarra;
RBMK – 666, batteria.
Provenienza: Scandicci/Firenze/Fabriano, Toscana/Marche
Canzone migliore del demo:
scelta difficile, ma se devo andare sul sicuro, preferirei citare “Der SataNazi Nuklear Kult”, più che altro perché è corredata da un assolo magnifico e imprevedibilissimo, e che quindi va in netto contrasto con tutto il “rumore” snocciolato con impudica nonchalance.
Punto di forza del disco:
il sentore di rovina che si sente per tutti i 41 minuti dell'opera. Provare per credere.
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Avete presente quelli che si lamentano per una presunta mancanza di creatività che ormai dicono sia presente nella nostra cara musica da molti anni? Bene, chissà come si comporterebbero sapendo che in giro c’è qualche pazzo pronto a utilizzare quella loro stessa creatività per vederla… ridotta in cenere? Prendiamo ad esempio i Progetto:ChaosGoat.666, che farebbero morire d’invidia persino i Bestial Warlust più rumoristi, e che al nostro prode Claustrofobia interessano così tanto perché vuole maciullarsi per bene i timpani (dio quanto è scemo!).
Già, parliamo dei Progetto:ChaosGoat.666 e della loro finora unica demo – cassetta che alla fine è un vero e proprio album, un catalogo di orrori che parte di base da una specie di black/death metal in salsa grind per quanto è pressappochista. E ciò per due motivi principali:
1) la batteria (elettronica?) la quale è quasi sempre sparata all’inverosimile, e ciò significa blast – beats a oltranza senza molta fantasia;
2) le chitarre, ma più per come vengono utilizzate che per il riffing in sé stesso, il quale si presenta sicuramente più curato della batteria (fino a sputare incredibilmente un assolo anche piuttosto lungo e fantasioso in “Der SataNazi Nuklear Kult”… a questo punto peccato che sia l’unico), pur essendo sempre bello “ignorante” come si conviene ad un gruppo del genere. Il riffing viene infatti utilizzato attraverso un tipo di struttura ossessiva, paranoica e minimalista così da proporre talvolta lo stesso riff (o quasi) per tutta una canzone.
A questo si aggiunga il fatto che il gruppo tende a preferire pezzi da 2 – 3 minuti, quindi la pesantezza generale viene compensata da una capacità di sintesi aiutata anche da una buona presenza delle pause con relative ripartenza pure durante uno stesso brano.
D’altro canto, la suddetta pesantezza viene aumentata a dismisura dai seguenti fattori:
1) la voce che, utilizzando talvolta pure la madrelingua, è semplicemente un classico del black/death visto che nel gruppo si trovano delle urla stile Bestial Warlust, solo in versione ancor più raccapricciante, e dei grugniti schifosi;
2) il lavoro fatto in fase di produzione e missaggio, consistente non soltanto nell’effettistica che talvolta manipola spaventosamente le voci, ma anche nei vari rumori di cui sono ricchi i pezzi, andando così dalle sirene d’allarme ai discorsi hitleriani (…) con tanto di folla urlante, da veri e propri spezzoni di film per finire con i cori gregoriani, ragion per cui il demo rimanda continuamente ad un’atmosfera di rovina e irrazionalismo esasperato perfettamente ricreata.
Ma, beninteso, ‘sti pazzi non si fermano soltanto a ciò ma vanno ben oltre, così da distruggere sul serio il concetto stesso di musica. In che modo? In tutti i modi, oserei dire.
Fate conto che alcuni brani sono letteralmente stuprati della base ritmica, di conseguenza tutto quello che si sente è (di norma) una chitarra, voce + “abbellimenti” di sorta fino a presentare in “Male Dictum Est in Fa#“ addirittura una chitarra acustica la cui melodia viene insultata per esempio dall’assurdo comparto vocale, stavolta più sussurrato. Da ciò si può intuire la tendenza a rendere oggetto di blasfemia sonorità piacevoli come certi momenti ambientali che qui e là vorrebbero vanamente “cullare” l’ascoltatore.
Oppure fate conto che la produzione è così sporca e a tratti “offuscata” da irridere l’ascoltatore, anche perché è stata impostata su frequenze altine. Di certo però, in quanto a sporcizia, le mie orecchie hanno sentito cose infinitamente “peggiori”.
Ma è da menzionare assolutamente anche la stranissima disposizione dei pezzi, frutto della politica repressiva attuata dal gruppo. Si prendano come esemplari soprattutto quelli finali, che niente hanno di quelli tipici del metal estremo. Ciò perché, parlato di “Male Dictum Est in Fa#“, la seguente, ossia “Noise – Imput – Jupiter” è un infinito pezzo atmosferico (7 minuti di durata!) nel quale vi è principalmente una chitarra psichedelica e specialmente quello che sembra un focolare duro a spegnersi (insomma, come scritto a inizio recensione, la creatività ridotta in cenere…).
Certo, una tale metodologia non è esente da pericoli, soprattutto perché in certi casi avrei preferito meno esperimenti (leggasi, riempitivi) e più caos in modo da colpire perfettamente l’ascoltatore sia in senso psicologico che fisico. D’altro canto, il caos è anche questo, radicato però in maniera più profonda e indiretta, ma quel che è sicuro è che simili “creazioni abortite” (come Antonin Artaud chiamava da giovane le sue poesie) sono da amare. E se io dico questo, allora dovete riflettere per millenni prima di comprare una cassetta così sadomaso…
Voto: 71
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Attack to Peace/ 2 – Extirpation of Life from the Universe/ 3 – Nuclear Chaos Over the Realm of God/ 4 – Antilife Terror Strike/ 5 – Necro Alienz Extermination/ 6 - 86. 04. 25. 01. 23. 47/ 7 – Der SataNazi Nuklear Kult/ 8 – New Radiancy/ 9 – Plutonium Uber Alles/ 10 – Planet Hell/ 11 Nozozcas/ 12 – Deus Nobiscum/ 13 – In the Sign of Anti – Materia/ 14 – Male Dictum Est in Fa#/ 15 – Noise – Imput – Jupiter
MySpace:
http://www.myspace.com/progettochaosgoat666
Tuesday, November 1, 2011
Infernal Angels - "Midwinter Blood" (2009)
Album (My Kingdom Music, 28 Settembre 2009)
Formazione (2002): Xes, voce;
Managarmr, chitarre;
Beast, basso;
Asmodeus Draco Dux, batteria.
Provenienza: Potenza, Basilicata
Canzone migliore del disco:
senz’ombra di dubbio “Melody of Pain”, dal sapore a tratti depressivo.
Punto di forza dell’opera:
la voce, che fra l’altro si concede qualche puntatina nella nostra amata madrelingua, sicuramente più evocativa dell’inglese, ragion per cui consiglio di abbandonare in toto quest’ultimo.
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Dite quello che volete ma sinceramente serbavo molte aspettative su questo album. Invece, mi sono purtroppo dovuto ricredere, pur trovando nel disco degli spunti, se non delle caratteristiche propriamente dette, interessanti e non di poco conto. La cosa che mi ha comunque più dato fastidio è stato individuare il problema di questa delusione, ed in effetti l’analisi dell’opera è stata veramente lunga e ponderata in modo da non incappare in argomentazioni poco razionali (è anche vero che con tutti i miei impegni universitari i miei neuroni stanno andando letteralmente in fuffa!). Ma siccome oggi sono dispetto, preferisco trasmettere un po’ di suspence così da partire immediatamente con gli aspetti positivi dell’album.
La voce, ad esempio. Come già scritto nella recensione di “Princeps Malis Generis” dei Byblis, Xes sputa urla quasi gutturali, con l’unica differenza che negli Infernal Angels dà adito a tutte le sue potenzialità espressive, sciorinando quindi un campo d’azione non comune. Infatti, lui va da veri e propri grugniti a voci pulite un po’ ipnotiche (“Melody Is Pain”) – peccato che non siano state utilizzate di più perché regalano un’atmosfera tutta particolare -, dai sussurrii di “Sangue” per finire con urla da incubo e sofferenti come non mai (“Melody of Pain” e soprattutto “Sangue”). In più, si deve dire che il lavoro è stato rifinito veramente bene anche perchè le sovraincisioni sono belle frequenti.
Oppure prendiamo ad esempio le chitarre. Il riffing è di tipo melodico anche se non mancano pezzi più raggelanti e cupi (come “Prologus Odii” e “Sangue”, il quale presenta un lavoro per certi versi particolare e pure agghiacciante), ed inoltre, in un brano come “Inesorabile”, le linee melodiche sanno essere più bizzarre e personali del solito. L’utilizzo della chitarra solista è limitato a pochissime canzoni, specialmente a quelle della seconda parte, così da trasmettere talvolta un clima di tempesta notevole, ragion per cui consiglio vivamente ai nostri di reclutare un secondo chitarrista. Ma in ogni caso, non aspettatevi nemmeno una misera traccia di assoli, totalmente assenti, mentre vi dovete aspettare un po’ di decadenti chitarre acustiche, usate quasi esclusivamente nella prima parte dell’album.
Oltre a ciò, bisogna segnalare il fatto che gli Infernal Angels preferiscano, seppur non in gran lunga, i tempi veloci raggiungendo però raramente la velocità da blast – beat in senso stretto. Ma purtroppo, è proprio dal lavoro di batteria che partono effettivamente le prime impressioni negative, comunque circoscritte e quindi per ora abbastanza secondarie.
Infatti, la batteria presenta, specialmente in episodi come “Prologus Odii” e “A New Era Is Coming” (il quale si avvale di un’ottima introduzione ambientale), un lavoro a volte poco curato e poco abile ad enfatizzare tutto l’insieme, sia perché le soluzioni scelte non sempre si legano bene con il riffing, sia per via di un immobilismo ritmico che non riesce a differenziare veramente i vari passaggi che così facendo sembrano uguali fra di loro anche quando il riff cambia. Poi ci sono altri brani, come “Sangue” (dal finale addirittura paranoico), nei quali il batterista risulta più dinamico del solito, e quando ci si libera dai vincoli sopraddetti il risultato, guardacaso, è decisamente migliore.
Il secondo problema, ben più importante e in parte conseguenza della stessa batteria, riguarda il tipo di struttura adottato dal gruppo. La sua è una struttura oserei dire troppo razionale e poco esplosiva, anche perché spesso ci si fissa con le stesse soluzioni senza proporne effettivamente una nuova che dia il colpo di grazia nudo e crudo. Infatti, in un gruppo nel quale la melodia prevale, per me è sempre sottintesa la capacità di rendere veramente drammatica tutta la musica, cosa che nell’album avverto completamente soltanto in “Melody of Pain”, vero capolavoro dal punto di vista strutturale e quindi emotivo. E’ anche per questo che avrei preferito un utilizzo più frequente della chitarra acustica, visto che essa riesce ad aggiungere quel pizzico in più di sofferenza romantica che gli Infernal Angels hanno praticamente dimenticato nella seconda parte.
Eccetto però nell’outro, spaventoso episodio di natura praticamente atmosferica e ambientale che mette quasi in discussione tutto il resto del disco visto che è stato costruito benissimo nonostante le sue sonorità non siano per nessuna ragione al mondo lo standard per il quartetto, anche perché “Epilogus Humanitatis” non è neanche breve per essere una outro.
In conclusione, nonostante il voto particolarmente basso (almeno per Timpani allo Spiedo), confido nelle potenzialità degli Infernal Angels, che hanno praticamente a portata di mano le soluzioni atte a distruggere per bene i padiglioni auricolari, ragion per cui mi dispiace sentitamente di non dare un giudizio che riletta più correttamente queste stesse potenzialità. Quindi, è da attendersi molto volentieri la loro prossima produzione.
Voto: 64
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Prologus Odii/ 2 – Melody of Pain/ 3 – Midwinter Blood/ 4 – Coronation of Dark Victory/ 5 – Conquering the Throne of Sin/ 6 – A New Era Is Coming/ 7 – Tutto Quel Che Rimane/ 8 – Sangue/ 9 – Inesorabile/ 10 – Epilogus Humanitatis
Sito ufficiale:
http://www.infernalangels.org/
MySpace:
http://www.myspace.com/infernalangels
Formazione (2002): Xes, voce;
Managarmr, chitarre;
Beast, basso;
Asmodeus Draco Dux, batteria.
Provenienza: Potenza, Basilicata
Canzone migliore del disco:
senz’ombra di dubbio “Melody of Pain”, dal sapore a tratti depressivo.
Punto di forza dell’opera:
la voce, che fra l’altro si concede qualche puntatina nella nostra amata madrelingua, sicuramente più evocativa dell’inglese, ragion per cui consiglio di abbandonare in toto quest’ultimo.
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Dite quello che volete ma sinceramente serbavo molte aspettative su questo album. Invece, mi sono purtroppo dovuto ricredere, pur trovando nel disco degli spunti, se non delle caratteristiche propriamente dette, interessanti e non di poco conto. La cosa che mi ha comunque più dato fastidio è stato individuare il problema di questa delusione, ed in effetti l’analisi dell’opera è stata veramente lunga e ponderata in modo da non incappare in argomentazioni poco razionali (è anche vero che con tutti i miei impegni universitari i miei neuroni stanno andando letteralmente in fuffa!). Ma siccome oggi sono dispetto, preferisco trasmettere un po’ di suspence così da partire immediatamente con gli aspetti positivi dell’album.
La voce, ad esempio. Come già scritto nella recensione di “Princeps Malis Generis” dei Byblis, Xes sputa urla quasi gutturali, con l’unica differenza che negli Infernal Angels dà adito a tutte le sue potenzialità espressive, sciorinando quindi un campo d’azione non comune. Infatti, lui va da veri e propri grugniti a voci pulite un po’ ipnotiche (“Melody Is Pain”) – peccato che non siano state utilizzate di più perché regalano un’atmosfera tutta particolare -, dai sussurrii di “Sangue” per finire con urla da incubo e sofferenti come non mai (“Melody of Pain” e soprattutto “Sangue”). In più, si deve dire che il lavoro è stato rifinito veramente bene anche perchè le sovraincisioni sono belle frequenti.
Oppure prendiamo ad esempio le chitarre. Il riffing è di tipo melodico anche se non mancano pezzi più raggelanti e cupi (come “Prologus Odii” e “Sangue”, il quale presenta un lavoro per certi versi particolare e pure agghiacciante), ed inoltre, in un brano come “Inesorabile”, le linee melodiche sanno essere più bizzarre e personali del solito. L’utilizzo della chitarra solista è limitato a pochissime canzoni, specialmente a quelle della seconda parte, così da trasmettere talvolta un clima di tempesta notevole, ragion per cui consiglio vivamente ai nostri di reclutare un secondo chitarrista. Ma in ogni caso, non aspettatevi nemmeno una misera traccia di assoli, totalmente assenti, mentre vi dovete aspettare un po’ di decadenti chitarre acustiche, usate quasi esclusivamente nella prima parte dell’album.
Oltre a ciò, bisogna segnalare il fatto che gli Infernal Angels preferiscano, seppur non in gran lunga, i tempi veloci raggiungendo però raramente la velocità da blast – beat in senso stretto. Ma purtroppo, è proprio dal lavoro di batteria che partono effettivamente le prime impressioni negative, comunque circoscritte e quindi per ora abbastanza secondarie.
Infatti, la batteria presenta, specialmente in episodi come “Prologus Odii” e “A New Era Is Coming” (il quale si avvale di un’ottima introduzione ambientale), un lavoro a volte poco curato e poco abile ad enfatizzare tutto l’insieme, sia perché le soluzioni scelte non sempre si legano bene con il riffing, sia per via di un immobilismo ritmico che non riesce a differenziare veramente i vari passaggi che così facendo sembrano uguali fra di loro anche quando il riff cambia. Poi ci sono altri brani, come “Sangue” (dal finale addirittura paranoico), nei quali il batterista risulta più dinamico del solito, e quando ci si libera dai vincoli sopraddetti il risultato, guardacaso, è decisamente migliore.
Il secondo problema, ben più importante e in parte conseguenza della stessa batteria, riguarda il tipo di struttura adottato dal gruppo. La sua è una struttura oserei dire troppo razionale e poco esplosiva, anche perché spesso ci si fissa con le stesse soluzioni senza proporne effettivamente una nuova che dia il colpo di grazia nudo e crudo. Infatti, in un gruppo nel quale la melodia prevale, per me è sempre sottintesa la capacità di rendere veramente drammatica tutta la musica, cosa che nell’album avverto completamente soltanto in “Melody of Pain”, vero capolavoro dal punto di vista strutturale e quindi emotivo. E’ anche per questo che avrei preferito un utilizzo più frequente della chitarra acustica, visto che essa riesce ad aggiungere quel pizzico in più di sofferenza romantica che gli Infernal Angels hanno praticamente dimenticato nella seconda parte.
Eccetto però nell’outro, spaventoso episodio di natura praticamente atmosferica e ambientale che mette quasi in discussione tutto il resto del disco visto che è stato costruito benissimo nonostante le sue sonorità non siano per nessuna ragione al mondo lo standard per il quartetto, anche perché “Epilogus Humanitatis” non è neanche breve per essere una outro.
In conclusione, nonostante il voto particolarmente basso (almeno per Timpani allo Spiedo), confido nelle potenzialità degli Infernal Angels, che hanno praticamente a portata di mano le soluzioni atte a distruggere per bene i padiglioni auricolari, ragion per cui mi dispiace sentitamente di non dare un giudizio che riletta più correttamente queste stesse potenzialità. Quindi, è da attendersi molto volentieri la loro prossima produzione.
Voto: 64
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Prologus Odii/ 2 – Melody of Pain/ 3 – Midwinter Blood/ 4 – Coronation of Dark Victory/ 5 – Conquering the Throne of Sin/ 6 – A New Era Is Coming/ 7 – Tutto Quel Che Rimane/ 8 – Sangue/ 9 – Inesorabile/ 10 – Epilogus Humanitatis
Sito ufficiale:
http://www.infernalangels.org/
MySpace:
http://www.myspace.com/infernalangels