Album autoprodotto (2011)
Formazione (2005): Federico Pia, voce;
Paola Atzori, voce pulita ("Deny Your God" e "Desire of Illusion")
Matteo Manca, chitarra;
Davide Sanna, chitarra;
Fabrizio Sanna, aiuto chitarra e sintetizzatori;
Fabio Nonnis, basso;
Gianluca Bassignani, batteria.
Provenienza: Terralba (Oristano), Sardegna
Canzone migliore dell’album:
scelta veramente difficile. Ma pur con un po’ di riserve, citerei “Desire of Illusion”.
Punto di forza del disco:
la voce, a tratti persino malata.
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Per esperienza so che non dovrei partire così ma ho tentato in tutti i modi di farmi piacere veramente il primissimo album dei Riluttanza. Eppure questi 5 sardi presentano delle caratteristiche particolarmente interessanti e che li rendono, seppur non personali (ad esempio il riffing è lineare e classicissimo per struttura) abbastanza inconfondibili. E a dire il vero non fanno neanche parte del metal estremo, almeno non completamente.
Sì perché fondamentalmente ci si trova a che fare con un thrash metal concentrato quasi esclusivamente sui tempi medi, e quindi già si va decisamente controcorrente. Si consideri inoltre che talvolta la batteria dà adito ad un’eccezionale complessità (“Melancholy”) che rende isterico e imprevedibile tutto il discorso, ed in tal senso l’unico peccato è che non si è premuto molto il tasto su questo aspetto, il quale magari poteva giustificare il lato strutturale dei pezzi, che alla lunga hanno poco mordente.
Questa complessità mancata viene in parte compensata da un lavoro di chitarra solista per niente banale e pure abbastanza frequente così da offrire un valido sostegno alla ritmica anche attraverso fulminee variazioni. Purtroppo, il secondo peccato deriva dall’aver poco sfruttato la dimensione dell’assolo, che in alcuni casi (“Scream of Agony” e “Vision in Black” ad esempio) viene completamente dimenticato nonostante la buona cura riposta in questo tipo di momenti, spesso belli espressivi e melodici (“Torment”). Gli assoli infatti in non poche occasioni fanno a cazzotti con una musica emotivamente non molto forte.
E questo a dispetto della tendenza del gruppo a creare composizioni dalla durata per niente esigua, che in teoria dovrebbe portare a ben altri risultati. Ovviamente è da ammirare il coraggio ma sono specialmente i due tour de force dell’opera (“Deny Your God” e “Desire of Illusion”, ciascuno lungo circa 7 minuti) a non reggere. Ciò è dovuto principalmente ad una struttura poco curata, vuoi per un motivo, vuoi per un altro. “Deny Your God” per un finale addirittura orchestrale che viene portato avanti persino per qualcosa come 3 minuti senza però svilupparlo debitamente e per di più sfruttando in malo modo una chitarra che forse poteva protrarre ancora il suo piccolo (e bello) assolo;
“Desire of Illusion” invece, fino ad un certo punto ha una costruzione fantastica, poi si perde così da dimenticare l’ottimo apporto della voce femminile (qui più aggressiva che in "Deny Your God" anche se sempre pulita). Come? Ripetendo all’infinito la stessa soluzione (fra l’altro dal disturbante taglio black metal) ma non apportando nessuna variazione consistente e senza un assolo che probabilmente poteva dare il colpo di grazia subito dopo l’uscita di scena della voce femminile.
L’aspetto strutturale rappresenta guardacaso il limite maggiore dei Riluttanza, che in sostanza si sono auto – ingabbiati in una realtà chiusa e fredda. Vuoi perché preferiscono un approccio particolarmente statico e sequenziale che quindi pone profonda fiducia allo schema strofa – ritornello (o simili); vuoi perché, e questo è tremendamente più importante (come ovvio), in linee generali (ergo semplificando all’osso) ci sono due alternative: o costruire una canzone quasi su un riff specifico (come in “Scream of Agony”) oppure come già scritto cristallizzarsi ad un certo punto su una determinata soluzione (o più di una in sequenza). E quando cercano di uscire, almeno in parte, da questi standard, le cose funzionano meglio. Un caso?
Alla fine, l’unica caratteristica che apprezzo appieno è la voce, l’unico elemento costantemente estremo della proposta. Trattasi infatti di un grugnito che alle volte riesce a trasmettere un’inquietudine notevole (come nella blackeggiante “Vision in Black”), mentre si fa un buonissimo uso, seppur raro, delle sovraincisioni, come nei momenti più tempestosi di “Torment”, altro pezzo dalle inflessioni black e finalmente anche death cui fa cenno Metal – Archives nonché unico episodio a contenere tempi paragonabili ai blast – beats. L’unico problema è che un tipo di cantato così cattivo e “ignorante” da essere quasi fuori contesto vista la rara cupezza dei Riluttanza, i quali in pratica aiutano il cantante solo nei momenti a lui più congeniali. Un po’ come dire che bisogna o estremizzarsi o cambiare cantante…
Infine, c’è la produzione che, per quanto maledettamente rozza e autentica (si sentono per esempio i movimenti dei due chitarristi con la mano deputata a premere le corde), risulta particolarmente curata. Tutti gli strumenti sono stati bilanciati a dovere, compreso il basso che si sente a meraviglia, mentre ho trovato ottimi i suoni in sé, soprattutto quello bello sporco del rullante che rimanda un po’ a quello di “Three Dollar Bill Y’All” dei Limp Bizkit (per favore, non urlate allo scandalo che i Limp pre – 1998 dire che spaccavano di brutto è un eufemismo!).
Però attenzione: come scritto indirettamente più e più volte, le potenzialità ci sono, quindi dare all’album un voto veramente basso è da criminali. Dispiace rimandare a cose migliori un gruppo che ha impiegato ben 4 anni dall'ultimissimo lavoro (un demo di 5 pezzi, di cui 4 sono stati ripresi nell'album) per lavorare su un disco a tratti molto coraggioso. Dai, sarà per la prossima volta in cui farete il culo a tutti!
Voto: 56
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Scream of Agony/ 2 – Melancholy/ 3 – Torment/ 4 – Insomnia/ 5 – Deny Your God/ 6 – Revenge/ 7 – Desire of Illusion/ 8 – Inner Ego/ 9 – Vision in Black
MySpace:
http://www.myspace.com/riluttanza
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Friday, July 29, 2011
Sunday, July 24, 2011
Carnal Gore - "Etrom" (2011)
Album autoprodotto (28 Giugno 2011)
Formazione(2006): Rob, voce;
Steven, chitarra;
Kirk, basso;
Sam, batteria.
Provenienza: Catanzaro, Calabria
Canzone migliore del disco:
indubbiamente “Succubus Dreams” che nonostante al tempo ne parlai come di un brano discontinuo e spezzettato, ora risulta perfetto nel suo rimandare in continuazione il climax finale, soffertissimo, ben ponderato e quindi con una sua nascosta e raffinata esplosività.
Punto di forza dell’album:
la libertà estrema che i Carnal Gore si concedono e che offre loro sviluppi imprevedibili e spesso logici… solo che…. Leggete la recensione suvvia!
Del gruppo potete leggere anche la mia rece del loro secondo demo, che ormai ho rivalutato ampiamente definendolo come un disco degno di notevole attenzione:
http://timpaniallospiedo.blogspot.com/2010/04/carnal-gore-promo-2009.html
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Curiosità:
non fatevi ingannare: cercate di leggere al contrario "Etrom" per far diventare più familiare una parola così apparentemente criptica e fittizia.
Per quanto riguarda il metal, la Calabria è una regione decisamente strana, ed essenzialmente per due motivi:
1) è incredibile ma ogni volta che recensisco un disco di pressoché qualsiasi gruppo calabrese Timpani allo Spiedo conosce certi picchi di popolarità che non avverrebbero neanche con formazioni relativamente famose in campo internazionale come i Kenòs. E questo è indice, se mai ne servisse l’ennesima conferma, di una scena particolarmente agguerrita, unita e direi anche piuttosto regionalista manco si stesse trattando della Sardegna che invece conta al suo interno dei forti movimenti indipendentisti (!);
2) a quanto ho capito, nella Calabria vige letteralmente la legge del melting pot, ovvero la maggiorparte dei suoi gruppi qui recensiti (e non) si esprime attraverso così tante influenze musicali da rendere spesso difficile una loro precisa categorizzazione (penso ai Glacial Fear o gli Acrylate, ma ormai anche la cooperativa Impaled Bitch non scherza affatto). A questa realtà ovviamente non sfuggono nemmeno i Carnal Gore, che fra l’altro, è doveroso scriverlo, tramite il cantante Rob, hanno mantenuto la parola inviandomi per posta tradizionale il primissimo album nonostante la mia precedente rece su di loro non fosse particolarmente entusiastica.
Eh sì, perché i Carnal Gore, pur essendo comunque fondamentalmente un gruppo di death metal ultra – moderno, non lesinano influenze (o semplicemente similitudini) provenienti dal black metal più fiero e magniloquente (“Into the Shrines of Gith”), dal thrash metal, vuoi in maniera indiretta (“Fall of Berith”, che si nutre di personali sonorità rockeggianti che in misura minore sono presenti in altre parti dell’album) oppure filtrato attraverso l’hardcore (“The Ghouls of Malazar”), non dimenticando neanche un po’ di psichedelia (“Serve or Be Served”) come anche qualche momento metalcore, seppur declinato sempre in maniera piuttosto personale.
Di sicuro però l’aspetto più interessante del quartetto lo si ritrova in una certa raffinatezza riguardante soprattutto la parte ritmica. Infatti, il lavoro di batteria è stato curato in modo tale da stupire sempre l’ascoltatore preferendo quindi un approccio eccentrico ma non troppo (si senta a tal proposito il finale da circo di “Fall of Berith” che in pratica si risolve grazie a questo strumento) riuscendo allo stesso tempo ad aiutare tutti gli altri compagni, anche con imprevedibili variazioni generalmente fisse (ossia variazioni che si presentano, sempre per una sola volta, anche durante la ripresa nella canzone di un determinato passaggio) così da regalare ancor più dinamicità ad un discorso che rimane comunque bello contraddittorio. Ma questa raffinatezza concerne anche il settore chitarre, specialmente negli interventi con tapping incorporato sia in “Into the Shrines of Gith” sia in “Succubus Dreams”, immettendo di conseguenza una severa eleganza difficile da riscontrare in circolazione.
Però la struttura delle canzoni è effettivamente curiosa: da un lato ha una bella importanza lo schema a strofa – ritornello; ma dall’altro, i Carnal Gore potrebbero essere definiti tranquillamente come un gruppo di death metal tecnico visto che propongono molti cambi di tempo e quindi una bella dose di inventiva. In linee generali, gli 8 pezzi dell’album si possono suddividere in 4 piccoli blocchi:
- il primo è sicuramente rappresentato dalla versione più classica della formula a strofa – ritornello di cui praticamente sono il simbolo i 3 brani tratti dal promo del 2009 (“Serve or Be Served”, “Into the Shrines of Gith” e, seppur in maniera più bizzarra ma al contempo più ossessiva, “Succubus Dreams”). Una curiosità: la chitarra solista è presente in massima parte nelle ultime due canzoni citate (specialmente nella prima);
- il secondo risulta come un’evoluzione della formula precedente, ovvero prima del famoso schema si snocciola una sequenza del tipo 1 – 2 – 3 – 4 – 3 – 4 dove la soluzione n° 1 è una vera e propria introduzione, fra l’altro spesso bella atmosferica (“Fall of Berith” e, in modo più circolare, “Imprisoned Soul”);
- del terzo filone partecipano i brani inediti (“Etrom”, lo stesso “Fall of Berith” ma anche “The Ghouls of Malazar”, ripresa dal primo disco, questa ricca di cavalcate quasi di burzumiana memoria – ho scritto “quasi”, beninteso!), che in una maniera o nell’altra risultano tutti più complessi e strutturati del solito, presentando quindi uno schema a strofa- ritornello meno scontato;
- “Vile World” invece è un pezzo pressoché unico, visto che semplificando offre una struttura particolarmente paranoica e “ingabbiata” del tipo 1 – 2 – 1 – 2 – 3 – 1 – 2 – 3. Peccato che sia una delle canzoni meno riuscite, soprattutto perché ha una lunga parte finale nella quale la voce non si fa più viva, ragion per cui risulta poco efficace. Per risolvere questo vicolo cieco forse sarebbe servito un assolo, un po’ come fatto in “The Ghouls of Malazar”.
Rimane però il fatto che il discorso, pur spesso risolto in maniera eccezionale oltreché fortemente emotiva, così facendo può risultare controproducente. Sì, perché si ha l’impressione che, partendo da uno schema classico e generico, i nostri vogliano avere la strada più facile per prendere il largo (da cui poi effettivamente nascono le cose migliori), dimenticando di conseguenza per strada il ritornello, e ciò non succede in poche occasioni. Di conseguenza, questa contrastante fiducia in certe sequenze statiche in alcune occasioni risulta un po’ macchinosa così da non riuscire a colpire nelle corde giuste l’ascoltatore (in questo caso si sta parlando di “Serve or Be Served” e “Imprisoned Soul”, pezzo poco riuscito, che sarebbe stato meglio sostituirla con la precedente “Succubus Dreams” che come canzone finale “saluta” degnamente l’ascoltatore in maniera a dir poco superlativa).
Altri dubbi riguardano la totale ri – registrazione (che è ma non è) di 6 pezzi su 8 pubblicati già prima di quest’album (chissà perché l’unico a non essere rientrato in quest’operazione è “Entombed in Pestilence” del demo omonimo datato 2007), cosa che dà una sensazione di deja – vu, di “già sentito” abbastanza fastidiosa. A questo punto, i vecchi brani si potevano almeno un pochino attualizzare, anche perchè sono stati cristallizzati sotto il profilo della produzione, praticamente identica a quella dei passati dischi (attenzione che a dir la verità posso parlare soltanto per “Promo 2009”, dato che non ho mai ascoltato il primo succitato demo) e la differenza, seppur leggera, si sente tra un brano e l’altro.
Voto: 76
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Etrom/ 2 – Serve or Be Served/ 3 – Fall of Berith/ 4 – Vile World/ 5 – Into the Shrines of Gith/ 6 – The Ghouls of Malazar/ 7 – Succubus Dreams/ 8 – Imprisoned Soul
FaceBook:
http://it-it.facebook.com/pages/Carnal-Gore/118617847026
Formazione(2006): Rob, voce;
Steven, chitarra;
Kirk, basso;
Sam, batteria.
Provenienza: Catanzaro, Calabria
Canzone migliore del disco:
indubbiamente “Succubus Dreams” che nonostante al tempo ne parlai come di un brano discontinuo e spezzettato, ora risulta perfetto nel suo rimandare in continuazione il climax finale, soffertissimo, ben ponderato e quindi con una sua nascosta e raffinata esplosività.
Punto di forza dell’album:
la libertà estrema che i Carnal Gore si concedono e che offre loro sviluppi imprevedibili e spesso logici… solo che…. Leggete la recensione suvvia!
Del gruppo potete leggere anche la mia rece del loro secondo demo, che ormai ho rivalutato ampiamente definendolo come un disco degno di notevole attenzione:
http://timpaniallospiedo.blogspot.com/2010/04/carnal-gore-promo-2009.html
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Curiosità:
non fatevi ingannare: cercate di leggere al contrario "Etrom" per far diventare più familiare una parola così apparentemente criptica e fittizia.
Per quanto riguarda il metal, la Calabria è una regione decisamente strana, ed essenzialmente per due motivi:
1) è incredibile ma ogni volta che recensisco un disco di pressoché qualsiasi gruppo calabrese Timpani allo Spiedo conosce certi picchi di popolarità che non avverrebbero neanche con formazioni relativamente famose in campo internazionale come i Kenòs. E questo è indice, se mai ne servisse l’ennesima conferma, di una scena particolarmente agguerrita, unita e direi anche piuttosto regionalista manco si stesse trattando della Sardegna che invece conta al suo interno dei forti movimenti indipendentisti (!);
2) a quanto ho capito, nella Calabria vige letteralmente la legge del melting pot, ovvero la maggiorparte dei suoi gruppi qui recensiti (e non) si esprime attraverso così tante influenze musicali da rendere spesso difficile una loro precisa categorizzazione (penso ai Glacial Fear o gli Acrylate, ma ormai anche la cooperativa Impaled Bitch non scherza affatto). A questa realtà ovviamente non sfuggono nemmeno i Carnal Gore, che fra l’altro, è doveroso scriverlo, tramite il cantante Rob, hanno mantenuto la parola inviandomi per posta tradizionale il primissimo album nonostante la mia precedente rece su di loro non fosse particolarmente entusiastica.
Eh sì, perché i Carnal Gore, pur essendo comunque fondamentalmente un gruppo di death metal ultra – moderno, non lesinano influenze (o semplicemente similitudini) provenienti dal black metal più fiero e magniloquente (“Into the Shrines of Gith”), dal thrash metal, vuoi in maniera indiretta (“Fall of Berith”, che si nutre di personali sonorità rockeggianti che in misura minore sono presenti in altre parti dell’album) oppure filtrato attraverso l’hardcore (“The Ghouls of Malazar”), non dimenticando neanche un po’ di psichedelia (“Serve or Be Served”) come anche qualche momento metalcore, seppur declinato sempre in maniera piuttosto personale.
Di sicuro però l’aspetto più interessante del quartetto lo si ritrova in una certa raffinatezza riguardante soprattutto la parte ritmica. Infatti, il lavoro di batteria è stato curato in modo tale da stupire sempre l’ascoltatore preferendo quindi un approccio eccentrico ma non troppo (si senta a tal proposito il finale da circo di “Fall of Berith” che in pratica si risolve grazie a questo strumento) riuscendo allo stesso tempo ad aiutare tutti gli altri compagni, anche con imprevedibili variazioni generalmente fisse (ossia variazioni che si presentano, sempre per una sola volta, anche durante la ripresa nella canzone di un determinato passaggio) così da regalare ancor più dinamicità ad un discorso che rimane comunque bello contraddittorio. Ma questa raffinatezza concerne anche il settore chitarre, specialmente negli interventi con tapping incorporato sia in “Into the Shrines of Gith” sia in “Succubus Dreams”, immettendo di conseguenza una severa eleganza difficile da riscontrare in circolazione.
Però la struttura delle canzoni è effettivamente curiosa: da un lato ha una bella importanza lo schema a strofa – ritornello; ma dall’altro, i Carnal Gore potrebbero essere definiti tranquillamente come un gruppo di death metal tecnico visto che propongono molti cambi di tempo e quindi una bella dose di inventiva. In linee generali, gli 8 pezzi dell’album si possono suddividere in 4 piccoli blocchi:
- il primo è sicuramente rappresentato dalla versione più classica della formula a strofa – ritornello di cui praticamente sono il simbolo i 3 brani tratti dal promo del 2009 (“Serve or Be Served”, “Into the Shrines of Gith” e, seppur in maniera più bizzarra ma al contempo più ossessiva, “Succubus Dreams”). Una curiosità: la chitarra solista è presente in massima parte nelle ultime due canzoni citate (specialmente nella prima);
- il secondo risulta come un’evoluzione della formula precedente, ovvero prima del famoso schema si snocciola una sequenza del tipo 1 – 2 – 3 – 4 – 3 – 4 dove la soluzione n° 1 è una vera e propria introduzione, fra l’altro spesso bella atmosferica (“Fall of Berith” e, in modo più circolare, “Imprisoned Soul”);
- del terzo filone partecipano i brani inediti (“Etrom”, lo stesso “Fall of Berith” ma anche “The Ghouls of Malazar”, ripresa dal primo disco, questa ricca di cavalcate quasi di burzumiana memoria – ho scritto “quasi”, beninteso!), che in una maniera o nell’altra risultano tutti più complessi e strutturati del solito, presentando quindi uno schema a strofa- ritornello meno scontato;
- “Vile World” invece è un pezzo pressoché unico, visto che semplificando offre una struttura particolarmente paranoica e “ingabbiata” del tipo 1 – 2 – 1 – 2 – 3 – 1 – 2 – 3. Peccato che sia una delle canzoni meno riuscite, soprattutto perché ha una lunga parte finale nella quale la voce non si fa più viva, ragion per cui risulta poco efficace. Per risolvere questo vicolo cieco forse sarebbe servito un assolo, un po’ come fatto in “The Ghouls of Malazar”.
Rimane però il fatto che il discorso, pur spesso risolto in maniera eccezionale oltreché fortemente emotiva, così facendo può risultare controproducente. Sì, perché si ha l’impressione che, partendo da uno schema classico e generico, i nostri vogliano avere la strada più facile per prendere il largo (da cui poi effettivamente nascono le cose migliori), dimenticando di conseguenza per strada il ritornello, e ciò non succede in poche occasioni. Di conseguenza, questa contrastante fiducia in certe sequenze statiche in alcune occasioni risulta un po’ macchinosa così da non riuscire a colpire nelle corde giuste l’ascoltatore (in questo caso si sta parlando di “Serve or Be Served” e “Imprisoned Soul”, pezzo poco riuscito, che sarebbe stato meglio sostituirla con la precedente “Succubus Dreams” che come canzone finale “saluta” degnamente l’ascoltatore in maniera a dir poco superlativa).
Altri dubbi riguardano la totale ri – registrazione (che è ma non è) di 6 pezzi su 8 pubblicati già prima di quest’album (chissà perché l’unico a non essere rientrato in quest’operazione è “Entombed in Pestilence” del demo omonimo datato 2007), cosa che dà una sensazione di deja – vu, di “già sentito” abbastanza fastidiosa. A questo punto, i vecchi brani si potevano almeno un pochino attualizzare, anche perchè sono stati cristallizzati sotto il profilo della produzione, praticamente identica a quella dei passati dischi (attenzione che a dir la verità posso parlare soltanto per “Promo 2009”, dato che non ho mai ascoltato il primo succitato demo) e la differenza, seppur leggera, si sente tra un brano e l’altro.
Voto: 76
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Etrom/ 2 – Serve or Be Served/ 3 – Fall of Berith/ 4 – Vile World/ 5 – Into the Shrines of Gith/ 6 – The Ghouls of Malazar/ 7 – Succubus Dreams/ 8 – Imprisoned Soul
FaceBook:
http://it-it.facebook.com/pages/Carnal-Gore/118617847026
Tuesday, July 19, 2011
Legacy - "First Assault" (2011)
Mia recensione pubblicata su Suonidistorti.blogspot.com. Inutile dire che a questa prima collaborazione ne verranno anche delle altre.
Ep autoprodotto (Aprile 2011)
Formazione: Ill Frunci, voce;
Salvo, voce aggiuntiva in “Puryfire”;
Marc, chitarra;
Engi, chitarra;
Frank, basso, voce;
Jimmy, batteria, voce.
Provenienza: Perugia, Umbria
Canzone migliore dell’ep:
con un po’ di rammarico “Inside My Mind”, ed il perché lo scoprirete nel corso della recensione.
Punto di forza del disco:
sicuramente la complessità della musica, sia per quanto riguarda la sua struttura sia considerando la voglia di giocare e quindi di osare che i nostri si ritrovano. Un’altra cosa sicura è che questa caratteristica non è stata sfruttata completamente in tutto il disco, e quindi è da sviluppare ed affinare notevolmente.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------Diciamoci la verità: la libertà è un concetto tanto bello da essere maledettamente astruso forse proprio perché è impossibile da raggiungere ormai per ogni essere umano. Dal punto di vista politico la si può rigirare come si vuole: per esempio per i nazifascisti ha a che fare generalmente con il concetto di Nazione e di Razza mentre per i loro storici rivali comunisti tutto ruota attorno al Lavoro. Ma l’utopia perfetta è probabilmente esclusiva della democrazia, che tenta di riunire la Parola e l’Unità nazionale quando in realtà (e di conseguenza) contano solo il dio denaro e/o i piaceri interessati. Per altri invece (come me) la libertà appartiene soltanto agli uomini cosiddetti primitivi, come gli Indiani d’America prima che fossero sterminati dalla civiltà occidentale avanzante, che da loro ha saputo sviluppare la farmacologia moderna, attraverso specialmente la tribù degli Irochesi gli Stati Uniti hanno sviluppato il proprio sistema democratico attuale. Solo che gli Indiani sapevano cosa mangiavano veramente e con cosa chi curavano. Ma adesso?
Guardacaso ai Legacy premono così tanto i massacri etnici (nel caso specifico quello degli Ebrei) da aver messo sulle pagine del libretto di “First Assault” sia una panoramica di un campo di concentramento nazista sia un’agghiacciante foto di cadaveri a brandelli tutti ammassati fra di loro. E poi, tematica cara a questo genere di gruppi, eccovi anche un fungo atomico, simbolo di una paura che volenti o nolenti esiste ancora.
Da tutte queste considerazioni e dal titolo stesso del loro disco, dovrebbe essere già ovvio che ci troviamo di fronte a 5 ragazzi che amano suonare thrash metal. Un po’ sui generis, è vero, ma è pur sempre thrash metal, anche se spesso filtrato attraverso influenze che lo nobilitano rendendolo più raffinato di quanto facesse pensare la copertina.
Infatti, i Legacy, oltre ad esternare un’ottima tecnica, sono riusciti a combinarla ottimamente con un bel pacco di potenza utilizzando fra l’altro questi due aspetti con una valenza strategica a dir poco invidiabile. E soprattutto senza mai dimenticare una capacità continua di stupire l’ascoltatore con il chiaro obiettivo di democratizzare il discorso melodico rendendo praticamente partecipi tutti gli strumenti.
In parole povere, la musica quivi contenuta rimanda spesso ad un thrash metal progressivo che a dir la verità si esplica col passare dei pezzi, i quali pian piano diventano sempre più complessi e sperimentali. Ma anche curiosamente sempre più puliti e potenti sotto il profilo della produzione. Infatti, nell’ordine:
- “Puryfire” è sostanzialmente da ritenere come il pesce fuor d’acqua dell’intera opera. Prima di tutto, strutturalmente parlando si basa su un classico schema a strofa – ritornello nel quale nella seconda parte della formula prendono posto addirittura voci pulitissime e oserei dire smielate, un esperimento che poi nel disco non verrà più ripreso. Di conseguenza, è la canzone più melodica del lotto, a parte la voce che generalmente in tipico stile thrash metal è irriverente anche se non statica (qui e là fanno capolino veri e propri grugniti per esempio), contando inoltre influenze dal death metal svedese in versione appunto melodica. Però, oltre ad essere il brano formalmente meno riuscito (qua i Legacy hanno un approccio alla materia abbastanza convenzionale anche per quanto riguarda il tipo d’intensità e quindi la capacità di stupire l’ascoltatore), lo è soprattutto dal punto di vista qualitativo. Considerazione che va fatta almeno quando il gruppo cerca di riprendere il ritornello in maniera a dire il vero forzata, ossia senza presentare un autentico ponte che giustifichi un ritorno così troppo brusco (una mancanza che poi i nostri “aggiusteranno” brillantemente);
- con “Human’s Hypocrisy” il discorso diventa più serio, preparato e – perché no? – anche personale. La struttura di tale pezzo è infatti meno tradizionale e quindi più libera di quella di “Puryfire”, anche perché stavolta si assiste ad un discorso musicale che a poco a poco diventa sempre più veloce, seppur non in maniera esattamente graduale. Non a caso, l’episodio si conclude improvvisamente in un modo molto convincente e d’effetto. Conclusione che si può giustificare ampiamente prendendo in considerazione non solo una cupezza che finalmente prende piede nonostante certe raffinatezze melodiche di stampi più heavy metal, ma anche per la prestazione eccezionale di una batteria dinamica che riesce ad enfatizzare ottimamente tutto il resto. Da menzionare il lavoro vocale che, se non perfetto nella costruzione delle metriche, riesce a destare stupore soprattutto per certe urla pulite ma lontane, abili a soffocare un climax che stava arrivando un po’ troppo presto (e che quindi non era ancora ovviamente nella testa dei nostri);
- “Inside My Mind” è la perfetta sublimazione del thrash metal progressivo di marca Legacy: più o meno tutti gli strumenti hanno un ruolo melodico, compreso il basso che si immola anche per far da ponte fra una soluzione e l’altra, la chitarra solista è diventata finalmente una protagonista stupenda (2 assoli ed un lavoro di sostegno alla chitarra ritmica mai banale e persino quasi serpentina e orientaleggiante nel finale), mentre si sperimenta addirittura sulle sonorità degli stessi strumenti (per esempio quando uno dei due chitarristi lascia strisciare letteralmente il plettro su una corda creando così un effetto estraniante) lasciando ben presagire un finale – bomba;
- Che lo è in parte, dato che per l’altra metà si avvale di una scelta poco comprensibile riguardante il comparto vocale che però a sua volta appare quasi giustificato dal riffing stesso. Infatti, è incredibile come, partendo da un pezzo decisamente melodico, si sia finiti a costruire un brano dal piglio “ignorante” e beffardo che in certi momenti deve al post – thrash a là Exhorder/Pantera, soprattutto per quanto concerne la voce che fa il verso a Phil Anselmo. Insomma, non capisco proprio quest’improvviso cambiamento stilistico della voce che, per quanto qualitativamente ottimo, risulta praticamente isolato dal resto del disco che per giunta regala un po’ di confusione all’ascoltatore, ormai incapace di considerare in maniera precisa e univoca un gruppo che paradossalmente e nonostante tutto in “Fist Assault” si ritrova a sviluppare in modo ancora più coraggioso ed estremo il discorso della canzone precedente. Fra l’altro il gran finale è pure l’episodio più lungo di tutto il lotto (quasi 7 minuti), e ciò specialmente a causa di un consistente spezzone presumo fatto in casa ricco di silenzi ma neanche privo di fragorosi rotti thrashettoni.
Ma il limite del disco rimane: ascoltando questo disco si ha sempre l’impressione di assistere alla stessa crescita musicale del gruppo, che così facendo ha creato un qualcosa di dispersivo nonostante certe caratteristiche peculiari sviluppate soprattutto a partire da “Human’s Hypocrisy (prima fra le quali l’equilibrio fra i tempi veloci e quelli più lenti). Adesso, anche dato il forte impatto emotivo della loro musica (da questo punto di vista sono stupendi gli assoli), l’obiettivo che i Legacy devono raggiungere è la chiarezza degli intenti, perché ora come ora in non poche volte sembra di ascoltare tutto un altro gruppo, inficiando così inoltre la notevole personalità che spesso questi ragazzi sanno dimostrare. Ma sono giovani (non che io sia vecchio, beninteso…), quindi diamo tempo al tempo.
Voto: 74
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Puryfire/ 2 – Human’s Hypocrisy/ 3 – Inside My Mind/ 4 – Fist Assault
MySpace:
http://www.myspace.com/legacyitalia
Ep autoprodotto (Aprile 2011)
Formazione: Ill Frunci, voce;
Salvo, voce aggiuntiva in “Puryfire”;
Marc, chitarra;
Engi, chitarra;
Frank, basso, voce;
Jimmy, batteria, voce.
Provenienza: Perugia, Umbria
Canzone migliore dell’ep:
con un po’ di rammarico “Inside My Mind”, ed il perché lo scoprirete nel corso della recensione.
Punto di forza del disco:
sicuramente la complessità della musica, sia per quanto riguarda la sua struttura sia considerando la voglia di giocare e quindi di osare che i nostri si ritrovano. Un’altra cosa sicura è che questa caratteristica non è stata sfruttata completamente in tutto il disco, e quindi è da sviluppare ed affinare notevolmente.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------Diciamoci la verità: la libertà è un concetto tanto bello da essere maledettamente astruso forse proprio perché è impossibile da raggiungere ormai per ogni essere umano. Dal punto di vista politico la si può rigirare come si vuole: per esempio per i nazifascisti ha a che fare generalmente con il concetto di Nazione e di Razza mentre per i loro storici rivali comunisti tutto ruota attorno al Lavoro. Ma l’utopia perfetta è probabilmente esclusiva della democrazia, che tenta di riunire la Parola e l’Unità nazionale quando in realtà (e di conseguenza) contano solo il dio denaro e/o i piaceri interessati. Per altri invece (come me) la libertà appartiene soltanto agli uomini cosiddetti primitivi, come gli Indiani d’America prima che fossero sterminati dalla civiltà occidentale avanzante, che da loro ha saputo sviluppare la farmacologia moderna, attraverso specialmente la tribù degli Irochesi gli Stati Uniti hanno sviluppato il proprio sistema democratico attuale. Solo che gli Indiani sapevano cosa mangiavano veramente e con cosa chi curavano. Ma adesso?
Guardacaso ai Legacy premono così tanto i massacri etnici (nel caso specifico quello degli Ebrei) da aver messo sulle pagine del libretto di “First Assault” sia una panoramica di un campo di concentramento nazista sia un’agghiacciante foto di cadaveri a brandelli tutti ammassati fra di loro. E poi, tematica cara a questo genere di gruppi, eccovi anche un fungo atomico, simbolo di una paura che volenti o nolenti esiste ancora.
Da tutte queste considerazioni e dal titolo stesso del loro disco, dovrebbe essere già ovvio che ci troviamo di fronte a 5 ragazzi che amano suonare thrash metal. Un po’ sui generis, è vero, ma è pur sempre thrash metal, anche se spesso filtrato attraverso influenze che lo nobilitano rendendolo più raffinato di quanto facesse pensare la copertina.
Infatti, i Legacy, oltre ad esternare un’ottima tecnica, sono riusciti a combinarla ottimamente con un bel pacco di potenza utilizzando fra l’altro questi due aspetti con una valenza strategica a dir poco invidiabile. E soprattutto senza mai dimenticare una capacità continua di stupire l’ascoltatore con il chiaro obiettivo di democratizzare il discorso melodico rendendo praticamente partecipi tutti gli strumenti.
In parole povere, la musica quivi contenuta rimanda spesso ad un thrash metal progressivo che a dir la verità si esplica col passare dei pezzi, i quali pian piano diventano sempre più complessi e sperimentali. Ma anche curiosamente sempre più puliti e potenti sotto il profilo della produzione. Infatti, nell’ordine:
- “Puryfire” è sostanzialmente da ritenere come il pesce fuor d’acqua dell’intera opera. Prima di tutto, strutturalmente parlando si basa su un classico schema a strofa – ritornello nel quale nella seconda parte della formula prendono posto addirittura voci pulitissime e oserei dire smielate, un esperimento che poi nel disco non verrà più ripreso. Di conseguenza, è la canzone più melodica del lotto, a parte la voce che generalmente in tipico stile thrash metal è irriverente anche se non statica (qui e là fanno capolino veri e propri grugniti per esempio), contando inoltre influenze dal death metal svedese in versione appunto melodica. Però, oltre ad essere il brano formalmente meno riuscito (qua i Legacy hanno un approccio alla materia abbastanza convenzionale anche per quanto riguarda il tipo d’intensità e quindi la capacità di stupire l’ascoltatore), lo è soprattutto dal punto di vista qualitativo. Considerazione che va fatta almeno quando il gruppo cerca di riprendere il ritornello in maniera a dire il vero forzata, ossia senza presentare un autentico ponte che giustifichi un ritorno così troppo brusco (una mancanza che poi i nostri “aggiusteranno” brillantemente);
- con “Human’s Hypocrisy” il discorso diventa più serio, preparato e – perché no? – anche personale. La struttura di tale pezzo è infatti meno tradizionale e quindi più libera di quella di “Puryfire”, anche perché stavolta si assiste ad un discorso musicale che a poco a poco diventa sempre più veloce, seppur non in maniera esattamente graduale. Non a caso, l’episodio si conclude improvvisamente in un modo molto convincente e d’effetto. Conclusione che si può giustificare ampiamente prendendo in considerazione non solo una cupezza che finalmente prende piede nonostante certe raffinatezze melodiche di stampi più heavy metal, ma anche per la prestazione eccezionale di una batteria dinamica che riesce ad enfatizzare ottimamente tutto il resto. Da menzionare il lavoro vocale che, se non perfetto nella costruzione delle metriche, riesce a destare stupore soprattutto per certe urla pulite ma lontane, abili a soffocare un climax che stava arrivando un po’ troppo presto (e che quindi non era ancora ovviamente nella testa dei nostri);
- “Inside My Mind” è la perfetta sublimazione del thrash metal progressivo di marca Legacy: più o meno tutti gli strumenti hanno un ruolo melodico, compreso il basso che si immola anche per far da ponte fra una soluzione e l’altra, la chitarra solista è diventata finalmente una protagonista stupenda (2 assoli ed un lavoro di sostegno alla chitarra ritmica mai banale e persino quasi serpentina e orientaleggiante nel finale), mentre si sperimenta addirittura sulle sonorità degli stessi strumenti (per esempio quando uno dei due chitarristi lascia strisciare letteralmente il plettro su una corda creando così un effetto estraniante) lasciando ben presagire un finale – bomba;
- Che lo è in parte, dato che per l’altra metà si avvale di una scelta poco comprensibile riguardante il comparto vocale che però a sua volta appare quasi giustificato dal riffing stesso. Infatti, è incredibile come, partendo da un pezzo decisamente melodico, si sia finiti a costruire un brano dal piglio “ignorante” e beffardo che in certi momenti deve al post – thrash a là Exhorder/Pantera, soprattutto per quanto concerne la voce che fa il verso a Phil Anselmo. Insomma, non capisco proprio quest’improvviso cambiamento stilistico della voce che, per quanto qualitativamente ottimo, risulta praticamente isolato dal resto del disco che per giunta regala un po’ di confusione all’ascoltatore, ormai incapace di considerare in maniera precisa e univoca un gruppo che paradossalmente e nonostante tutto in “Fist Assault” si ritrova a sviluppare in modo ancora più coraggioso ed estremo il discorso della canzone precedente. Fra l’altro il gran finale è pure l’episodio più lungo di tutto il lotto (quasi 7 minuti), e ciò specialmente a causa di un consistente spezzone presumo fatto in casa ricco di silenzi ma neanche privo di fragorosi rotti thrashettoni.
Ma il limite del disco rimane: ascoltando questo disco si ha sempre l’impressione di assistere alla stessa crescita musicale del gruppo, che così facendo ha creato un qualcosa di dispersivo nonostante certe caratteristiche peculiari sviluppate soprattutto a partire da “Human’s Hypocrisy (prima fra le quali l’equilibrio fra i tempi veloci e quelli più lenti). Adesso, anche dato il forte impatto emotivo della loro musica (da questo punto di vista sono stupendi gli assoli), l’obiettivo che i Legacy devono raggiungere è la chiarezza degli intenti, perché ora come ora in non poche volte sembra di ascoltare tutto un altro gruppo, inficiando così inoltre la notevole personalità che spesso questi ragazzi sanno dimostrare. Ma sono giovani (non che io sia vecchio, beninteso…), quindi diamo tempo al tempo.
Voto: 74
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Puryfire/ 2 – Human’s Hypocrisy/ 3 – Inside My Mind/ 4 – Fist Assault
MySpace:
http://www.myspace.com/legacyitalia
Wednesday, July 13, 2011
Bleeding Void of Utter Mysticism - "Insubstantial Depths" (2010)
Ep in cassetta (Depressive Illusions Records, 2010)
Formazione (2010): Der Antikrist Seelen Mord, voce e sintetizzatori;
Lord Svart, chitarra/basso.
Provenienza: Trento/Salerno, Trentino Alto – Adige/Campania
Canzone migliore dell’album:
giudizio che come si vedrà è impossibile da dare….
Punto di forza della cassetta:
probabilmente le parti dark ambient, alcune veramente riuscite oltreché belle suggestive.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------
Circa 34 minuti di desolazione e strazio. Letteralmente. Non esistono altri termini congeniali per descrivere l’opera prima che riunisce 2 protagonisti della scena black depressiva nostrana (mai sentito parlare nella webzine di Dark Paranoia, Howling in the Fog ed Obscura Monotonia Animae?) da cui non poteva che nascere un simile disco. Il quale fra l’altro l’ho ricevuto da Der Antikrist Seelen Mord più o meno un anno fa, e devo dire che scegliere un periodo simile per recensirlo non è mai stato così azzeccato, visto che proprio ultimamente mi stanno arrivando mattanze del genere. Mattanze che sono una novità del tutto assoluta per Timpani allo Spiedo, che a partire da tale ep si ritroverà imbottita anche da opere per niente o solo lontanamente imparentate con il metal estremo.
Sì, perché l’esperienza Bleeding Void of Utter Mysticism tenta di riunire in un solo unico pezzo suggestioni dark ambient, drone e black metal. Infatti, il dark ambient lo si trova nei momenti più atmosferici con tanto di sintetizzatori (ovviamente) e vari campionamenti che si rivelano comunque pochi pur non essendo mai invasivi;
il drone riguarda fondamentalmente la parte ritmica, ovvero la totale incapacità di rendere “umana” ed un poco dinamica la musica così da far scomparire l’essenza stessa del tempo. In parole povere, tutto è immobile, anche perché non vi è nemmeno la più misera traccia di una batteria (!);
il black metal, oltre che l’essere il cugino perverso del dark ambient, è da rintracciare specialmente nelle urla caratteristiche del genere, che però a ben guardare si rivelano un po’ controproducenti a causa di scelte poco comprensibili. Va bene, riescono a interpretare il dolore in vari modi (ossia per esempio attraverso toni bassi con relativi colpi di tosse – chissà se voluti - passando direttamente dall’acuto “castrato” – peccato che venga utilizzato solo in un’unica volta – alle urla black vere e proprie) ma sono essenzialmente due i motivi che si celano dietro i miei dubbi:
1) da queste parti si urla soltanto tanto da spizzicare difficilmente anche una sola parola così da far diventare la voce un elemento di contorno che per giunta risulta con poca coerenza troppo in primo piano. Non poche volte guardacaso affossa gli elementi d’atmosfera impostati invece su frequenze indubbiamente più basse;
2) con ancora poca coerenza la voce spesso sembra seguire un canovaccio tutto suo. Se infatti la musica è perennemente statica, le urla rispettano un procedimento a climax secondo il quale prima si urla “piano” per poi gradualmente esplodere del tutto, ed in 9 casi e mezzo su 10 non ve n’è assolutamente bisogno.
Attenzione però a considerare il progetto come una creatura fondamentalmente dark ambient. Sì, perché, oltre ai sintetizzatori, ci sono due strumenti più tradizionali come la chitarra ed il basso, l’una a tratti lentissimamente melodica mentre l’altro sa essere addirittura (mooolto) più minimalista della compagna. A tal proposito, a quest’ultimo non avrebbe di certo guastato seppur una leggera dinamicità, soprattutto considerando una lunga parte nella quale si alterna ossessivamente e con zero fantasia a passaggi più d’atmosfera.
Molto interessante si dimostra invece la struttura di questo pezzo infinito, che pare rimandare all’eterna ciclicità del dolore. Infatti, ad un certo punto, si rifà viva la chitarra che così si unisce al basso, il quale scompare poco a poco. L’ascia da ora si ritrova a ripetere più o meno le stesse cose che ha suonato nei primi lunghi minuti, con la voce che parimenti in maniera strategica si assenta, anzi, stavolta sparisce del tutto.
Certo, gli aspetti positivi di quest’esperienza si contano praticamente sulle dita di neanche una mano intera. Per questo sarebbe stato forse più saggio testare gradatamente le proprie potenzialità prima di rischiare il tutto per tutto con un’opera dalla durata così ambiziosa, con l’unico risultato di mostrare un’ingenuità comunque non da biasimare necessariamente vista l’età dei nostri. Ma si deve pur dire che soprattutto Lord Svart non è nemmeno nuovo a simili esperimenti, seppur di maggior respiro e quindi dal taglio decisamente più musicale (si citi in tal senso il progetto Monumenta Sepolcrorum con cui collabora insieme al brasiliano Outro). Ergo, per chi vuole cimentarsi in un viaggio del genere dalla difficilissima assimilazione, consiglio come ascolto preventivo la creatura menzionata poc’anzi, e poi… poi si vedrà.
Voto: 52
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Insubstantial Depths
Formazione (2010): Der Antikrist Seelen Mord, voce e sintetizzatori;
Lord Svart, chitarra/basso.
Provenienza: Trento/Salerno, Trentino Alto – Adige/Campania
Canzone migliore dell’album:
giudizio che come si vedrà è impossibile da dare….
Punto di forza della cassetta:
probabilmente le parti dark ambient, alcune veramente riuscite oltreché belle suggestive.
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Circa 34 minuti di desolazione e strazio. Letteralmente. Non esistono altri termini congeniali per descrivere l’opera prima che riunisce 2 protagonisti della scena black depressiva nostrana (mai sentito parlare nella webzine di Dark Paranoia, Howling in the Fog ed Obscura Monotonia Animae?) da cui non poteva che nascere un simile disco. Il quale fra l’altro l’ho ricevuto da Der Antikrist Seelen Mord più o meno un anno fa, e devo dire che scegliere un periodo simile per recensirlo non è mai stato così azzeccato, visto che proprio ultimamente mi stanno arrivando mattanze del genere. Mattanze che sono una novità del tutto assoluta per Timpani allo Spiedo, che a partire da tale ep si ritroverà imbottita anche da opere per niente o solo lontanamente imparentate con il metal estremo.
Sì, perché l’esperienza Bleeding Void of Utter Mysticism tenta di riunire in un solo unico pezzo suggestioni dark ambient, drone e black metal. Infatti, il dark ambient lo si trova nei momenti più atmosferici con tanto di sintetizzatori (ovviamente) e vari campionamenti che si rivelano comunque pochi pur non essendo mai invasivi;
il drone riguarda fondamentalmente la parte ritmica, ovvero la totale incapacità di rendere “umana” ed un poco dinamica la musica così da far scomparire l’essenza stessa del tempo. In parole povere, tutto è immobile, anche perché non vi è nemmeno la più misera traccia di una batteria (!);
il black metal, oltre che l’essere il cugino perverso del dark ambient, è da rintracciare specialmente nelle urla caratteristiche del genere, che però a ben guardare si rivelano un po’ controproducenti a causa di scelte poco comprensibili. Va bene, riescono a interpretare il dolore in vari modi (ossia per esempio attraverso toni bassi con relativi colpi di tosse – chissà se voluti - passando direttamente dall’acuto “castrato” – peccato che venga utilizzato solo in un’unica volta – alle urla black vere e proprie) ma sono essenzialmente due i motivi che si celano dietro i miei dubbi:
1) da queste parti si urla soltanto tanto da spizzicare difficilmente anche una sola parola così da far diventare la voce un elemento di contorno che per giunta risulta con poca coerenza troppo in primo piano. Non poche volte guardacaso affossa gli elementi d’atmosfera impostati invece su frequenze indubbiamente più basse;
2) con ancora poca coerenza la voce spesso sembra seguire un canovaccio tutto suo. Se infatti la musica è perennemente statica, le urla rispettano un procedimento a climax secondo il quale prima si urla “piano” per poi gradualmente esplodere del tutto, ed in 9 casi e mezzo su 10 non ve n’è assolutamente bisogno.
Attenzione però a considerare il progetto come una creatura fondamentalmente dark ambient. Sì, perché, oltre ai sintetizzatori, ci sono due strumenti più tradizionali come la chitarra ed il basso, l’una a tratti lentissimamente melodica mentre l’altro sa essere addirittura (mooolto) più minimalista della compagna. A tal proposito, a quest’ultimo non avrebbe di certo guastato seppur una leggera dinamicità, soprattutto considerando una lunga parte nella quale si alterna ossessivamente e con zero fantasia a passaggi più d’atmosfera.
Molto interessante si dimostra invece la struttura di questo pezzo infinito, che pare rimandare all’eterna ciclicità del dolore. Infatti, ad un certo punto, si rifà viva la chitarra che così si unisce al basso, il quale scompare poco a poco. L’ascia da ora si ritrova a ripetere più o meno le stesse cose che ha suonato nei primi lunghi minuti, con la voce che parimenti in maniera strategica si assenta, anzi, stavolta sparisce del tutto.
Certo, gli aspetti positivi di quest’esperienza si contano praticamente sulle dita di neanche una mano intera. Per questo sarebbe stato forse più saggio testare gradatamente le proprie potenzialità prima di rischiare il tutto per tutto con un’opera dalla durata così ambiziosa, con l’unico risultato di mostrare un’ingenuità comunque non da biasimare necessariamente vista l’età dei nostri. Ma si deve pur dire che soprattutto Lord Svart non è nemmeno nuovo a simili esperimenti, seppur di maggior respiro e quindi dal taglio decisamente più musicale (si citi in tal senso il progetto Monumenta Sepolcrorum con cui collabora insieme al brasiliano Outro). Ergo, per chi vuole cimentarsi in un viaggio del genere dalla difficilissima assimilazione, consiglio come ascolto preventivo la creatura menzionata poc’anzi, e poi… poi si vedrà.
Voto: 52
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Insubstantial Depths
Thursday, July 7, 2011
Kenòs - "X - Torsion" (2010)
Album (My Kingdom Music, 5 Febbraio 2010)
Formazione: Alessio Giudice, voce;
Fabiana Colombo, voce occasionale;
Domenico Conte, chitarra;
Jaco Pisciotta, chitarra;
Marcello Fachin, basso;
Sergio Gasparini, batteria.
Provenienza: Busto Arsizio (Varese), Lombardia
Canzone migliore dell’album:
sarà strano, ma ho una predilezione per la prima canzone, soprattutto perché c’è una prestazione solista di chitarra superlativa, ma anche per via di un isterismo estremo che nonostante tutto viene alternato a delicate parti femminili, pulite ed angeliche. In questo senso, è veramente l'unico caso che avviene una cosa simile.
Punto di forza del disco:
senz’ombra di dubbio esso è rappresentato dall’immensa capacità dei nostri di sapersi continuamente reinterpretare pressoché in tutti i pezzi non facendo però un’opera dispersiva, e questo merito va ascritto specialmente alla natura isterica e jazzata di un’impalcatura strutturale originalissima e che dire complicata è solo un eufemismo.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------
Curiosità:
“Kenòs” è il sostantivo della parola “Kenosis” (in italiano “kenosi”), che in greco antico significa “vacuità”, “vuoto”, ed è un termine che ha molto a che fare con la religione cristiana nelle sue derive mistiche e teologiche (per esempio nella volontà dell’individuo nell’immolarsi completamente a Dio cercando di eliminare da sé stesso tutti i caratteri negativi dell’esistenza quali possono essere l’egoismo, la paura e così via).
Se c’è un gruppo da mal di testa garantito mi viene in mente soprattutto il nome dei Kenòs. E di certo questi 5 lombardi non potevano scegliere un nome più adatto di questo perché, un po’ come l’antica Grecia, la loro musica è sul serio magnifica, ricercata e dai anche tremendamente esagerata. Niente in “X – Torsion” è scontato, e così forte è l’odio nutrito nei confronti delle convenzioni musicali da aver complicato notevolmente l’ascolto dell’album già a partire dal minutaggio medio dei pezzi che mai e poi mai scendono sotto i 4 minuti e mezzo (“Encounter” – oddio, ci sarebbero i 2 minuti e 20 dell’acustica “I Remember”, dove il cantante fa sfoggio di un’invidiabile prova melodica…). Ma tante sono le caratteristiche di questa formazione coraggiosa che ha fatto letteralmente di tutto per allontanare i potenziali ascoltatori chiusi di mente. Quindi mi sembra più che giusto descriverle una ad una.
LA VOCE:
come insegna la storia dei Kenòs, nella loro musica vi si trovano principalmente urla “scartavetrate” (il cantato dominante) e classici grugniti. Solo che, oltre a queste voci, si può gustare un’infinità di soluzioni diverse come i semi – grugniti narrativi di “2012 Omega Assimilation” oppure le voci melodiche sia di “Room Sexteen” (esternate in maniera rauca) e di “Erocktika (Desert Dancing Raven Queen)” (queste ultime sono incredibilmente smielate!). Di conseguenza non manca neanche il cantato femminile, come nell’ultima canzone citata, che aggiunge un’atmosfera angelica ed innocente utile a far da riuscito contrasto con le parti aggressive. Ma sarebbe un delitto dimenticare i bellissimi cori medievaleggenti di “Erocktika…” e il cantato sciamano ed estatico di “Revolver Revival”, il tour de force del disco, 6 minuti e mezzo a dir la verità molto difficili da digerire.
LA MELODIA:
appannaggio quasi esclusivo delle chitarre, capaci ogni volta di interpretarla in vario modo. E soprattutto sfruttando pienamente ed in maniera saggia la chitarra solista, che non solo con buona frequenza riesce a completare quanto suonato dalla ritmica ma esplica il proprio furore in bellissimi soli di una lunghezza generalmente non comune nel campo del metal estremo, pur non ponendo troppo l’accento su questi viaggi virtuosi come al contrario avviene nel solo – progetto black/thrash Bahal. Certo, alle volte si ha l’impressione che i nostri esagerino un po’ troppo, almeno quando si preoccupano di infilare addirittura ben 4 chitarre (come in “Room Sexteen”), con l’unico risultato di perdere profondità e credibilità dal vivo.
LA CARATTERIZZAZIONE DEI PEZZI:
i quali, sempre rispettando il carattere profondamente melodico di cui sopra, hanno tutti una propria forte personalità, e non soltanto dal punto di vista atmosferico ma anche da quello più strettamente musicale. Tanto per fare qualche esempio, “2012 Omega Assimilation” ha marcate e inquietanti influenze black metal mentre “Bitchswitch” rilegge la lezione del thrash metal contando in conclusione persino un lungo siparietto filo – dance (!). E ancora “Room Sexteen” si ciba di un romanticismo gotico con tanto di tastiere, ed “Erocktika…” è nientepopodimeno che una ballata, mentre “Eyes of Hurricane part. 2” (che in pratica sarebbe la continuazione del pezzo omonimo contenuto nel primo album datato 2004 “Intersection”) potrebbe essere studiata benissimo al conservatorio essendo basata molto su chitarre acustiche per nessuna ragione al mondo banali.
A dir la verità tale brillante e spaventosa caratterizzazione non è stata aiutata molto dalla valenza strategica dei pezzi. O meglio di fatto solo “Revolver Revival” ne esce un po’ male. Sì, perché trattasi di un brano dal riffing principalmente roccioso e compatto (alle volte dal gusto persino new metal) che si regge per tutta la durata su tempi medio – lenti, facendo quindi quasi il verso al pezzo precedente, che essendo una ballata è rigorosamente lento. Ne consegue allora che “Revolver Revival” alza tremendamente di qualche tacca in più la difficoltà d’assimilazione in maniera controproducente, dato che si somma ancora una volta la lentezza ed il metodo strutturale tipico del gruppo. Insomma, in parole povere credo che, per far respirare paradossalmente l’ascoltatore, si doveva come minimo spostare la canzone in un’altra posizione della scaletta per sostituirla con una più veloce, di certo tradizionalmente più assimilabile e “acchiappa – intensità”.
Notevole comunque l’intenzione.
LA STRUTTURA:
visto che prima ho citato il metodo strutturale dei Kenòs, ne approfitto per parlarne.
Prima di tutto, più o meno c’è solo un gruppo italiano che adotta un tipo di struttura simile a quello del quintetto lombardo: gli Eloa Vadaath. Entrambi hanno infatti quest’urgenza di scavare nel profondo di una singola soluzione musicale da rendere isterico e totalmente imprevedibile il discorso in modo da rasentare apparentemente l’improvvisazione jazz. Ma se gli Eloa Vadaath sviluppano il proprio discorso attraverso lo schema strofa – ritornello per poi sbizzarrirsi follemente, i Kenòs fanno uso di vere e proprie sequenze quasi alla maniera degli ultimi Death, quindi belle complesse e di difficile assimilazione, anche se non sono esattamente rigide (può capitare infatti, per fare un esempio, che un passaggio espressosi precedentemente dopo venga abbandonato senza tanti complimenti). Ne consegue una musica dall’assalto molto indiretto e ragionato che “impone” ovviamente una libertà di manovra più limitata rispetto a quella degli Eloa Vadaath, in un certo senso più istintivi e dalle soluzioni musicali più brevi.
Alla luce di tutte queste considerazioni, risulta incredibile constatare come la batteria, pesantemente triggerata (non poteva essere altrimenti data la produzione, artificiosa e imbottita di sovraincisioni vocali) e molto attenta ad offrire un seppur fragile (come si è già visto) equilibrio fra i tempi più veloci e quelli più lenti, sia concentrata più su ritmi in fin dei conti classici e lineari che su partiture più bizzarre ed astruse. E’ forse un modo come un altro per rendere concreta e totale la tradizionale superiorità della chitarra sugli altri strumenti?
Resta il fatto che i Kenòs sono un gruppo unico adattissimo per chi ha voglia di ascoltare qualcosa di tremendamente sperimentale quasi ai limiti dell’astruso, e soprattutto lontano da ogni categorizzazione facile perché al massimo li azzarderei “semplicemente” come un gruppo di metal estremo tecnico.
Voto: 83
Claustrofobia Scaletta:
1 – Room Sexteen/ 2 – 2012 Omega Assimilation/ 3 – Encounter/ 4 – I Remember/ 5 – X – Torsion/ 6 – Bitchswitch/ 7 – Erocktika (Desert Dancing Raven Queen)/ 8 – Revolver Revival/ 9 – AddictionXtinction/ 10 – Eyes of Hurricane part. 2
Formazione: Alessio Giudice, voce;
Fabiana Colombo, voce occasionale;
Domenico Conte, chitarra;
Jaco Pisciotta, chitarra;
Marcello Fachin, basso;
Sergio Gasparini, batteria.
Provenienza: Busto Arsizio (Varese), Lombardia
Canzone migliore dell’album:
sarà strano, ma ho una predilezione per la prima canzone, soprattutto perché c’è una prestazione solista di chitarra superlativa, ma anche per via di un isterismo estremo che nonostante tutto viene alternato a delicate parti femminili, pulite ed angeliche. In questo senso, è veramente l'unico caso che avviene una cosa simile.
Punto di forza del disco:
senz’ombra di dubbio esso è rappresentato dall’immensa capacità dei nostri di sapersi continuamente reinterpretare pressoché in tutti i pezzi non facendo però un’opera dispersiva, e questo merito va ascritto specialmente alla natura isterica e jazzata di un’impalcatura strutturale originalissima e che dire complicata è solo un eufemismo.
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Curiosità:
“Kenòs” è il sostantivo della parola “Kenosis” (in italiano “kenosi”), che in greco antico significa “vacuità”, “vuoto”, ed è un termine che ha molto a che fare con la religione cristiana nelle sue derive mistiche e teologiche (per esempio nella volontà dell’individuo nell’immolarsi completamente a Dio cercando di eliminare da sé stesso tutti i caratteri negativi dell’esistenza quali possono essere l’egoismo, la paura e così via).
Se c’è un gruppo da mal di testa garantito mi viene in mente soprattutto il nome dei Kenòs. E di certo questi 5 lombardi non potevano scegliere un nome più adatto di questo perché, un po’ come l’antica Grecia, la loro musica è sul serio magnifica, ricercata e dai anche tremendamente esagerata. Niente in “X – Torsion” è scontato, e così forte è l’odio nutrito nei confronti delle convenzioni musicali da aver complicato notevolmente l’ascolto dell’album già a partire dal minutaggio medio dei pezzi che mai e poi mai scendono sotto i 4 minuti e mezzo (“Encounter” – oddio, ci sarebbero i 2 minuti e 20 dell’acustica “I Remember”, dove il cantante fa sfoggio di un’invidiabile prova melodica…). Ma tante sono le caratteristiche di questa formazione coraggiosa che ha fatto letteralmente di tutto per allontanare i potenziali ascoltatori chiusi di mente. Quindi mi sembra più che giusto descriverle una ad una.
LA VOCE:
come insegna la storia dei Kenòs, nella loro musica vi si trovano principalmente urla “scartavetrate” (il cantato dominante) e classici grugniti. Solo che, oltre a queste voci, si può gustare un’infinità di soluzioni diverse come i semi – grugniti narrativi di “2012 Omega Assimilation” oppure le voci melodiche sia di “Room Sexteen” (esternate in maniera rauca) e di “Erocktika (Desert Dancing Raven Queen)” (queste ultime sono incredibilmente smielate!). Di conseguenza non manca neanche il cantato femminile, come nell’ultima canzone citata, che aggiunge un’atmosfera angelica ed innocente utile a far da riuscito contrasto con le parti aggressive. Ma sarebbe un delitto dimenticare i bellissimi cori medievaleggenti di “Erocktika…” e il cantato sciamano ed estatico di “Revolver Revival”, il tour de force del disco, 6 minuti e mezzo a dir la verità molto difficili da digerire.
LA MELODIA:
appannaggio quasi esclusivo delle chitarre, capaci ogni volta di interpretarla in vario modo. E soprattutto sfruttando pienamente ed in maniera saggia la chitarra solista, che non solo con buona frequenza riesce a completare quanto suonato dalla ritmica ma esplica il proprio furore in bellissimi soli di una lunghezza generalmente non comune nel campo del metal estremo, pur non ponendo troppo l’accento su questi viaggi virtuosi come al contrario avviene nel solo – progetto black/thrash Bahal. Certo, alle volte si ha l’impressione che i nostri esagerino un po’ troppo, almeno quando si preoccupano di infilare addirittura ben 4 chitarre (come in “Room Sexteen”), con l’unico risultato di perdere profondità e credibilità dal vivo.
LA CARATTERIZZAZIONE DEI PEZZI:
i quali, sempre rispettando il carattere profondamente melodico di cui sopra, hanno tutti una propria forte personalità, e non soltanto dal punto di vista atmosferico ma anche da quello più strettamente musicale. Tanto per fare qualche esempio, “2012 Omega Assimilation” ha marcate e inquietanti influenze black metal mentre “Bitchswitch” rilegge la lezione del thrash metal contando in conclusione persino un lungo siparietto filo – dance (!). E ancora “Room Sexteen” si ciba di un romanticismo gotico con tanto di tastiere, ed “Erocktika…” è nientepopodimeno che una ballata, mentre “Eyes of Hurricane part. 2” (che in pratica sarebbe la continuazione del pezzo omonimo contenuto nel primo album datato 2004 “Intersection”) potrebbe essere studiata benissimo al conservatorio essendo basata molto su chitarre acustiche per nessuna ragione al mondo banali.
A dir la verità tale brillante e spaventosa caratterizzazione non è stata aiutata molto dalla valenza strategica dei pezzi. O meglio di fatto solo “Revolver Revival” ne esce un po’ male. Sì, perché trattasi di un brano dal riffing principalmente roccioso e compatto (alle volte dal gusto persino new metal) che si regge per tutta la durata su tempi medio – lenti, facendo quindi quasi il verso al pezzo precedente, che essendo una ballata è rigorosamente lento. Ne consegue allora che “Revolver Revival” alza tremendamente di qualche tacca in più la difficoltà d’assimilazione in maniera controproducente, dato che si somma ancora una volta la lentezza ed il metodo strutturale tipico del gruppo. Insomma, in parole povere credo che, per far respirare paradossalmente l’ascoltatore, si doveva come minimo spostare la canzone in un’altra posizione della scaletta per sostituirla con una più veloce, di certo tradizionalmente più assimilabile e “acchiappa – intensità”.
Notevole comunque l’intenzione.
LA STRUTTURA:
visto che prima ho citato il metodo strutturale dei Kenòs, ne approfitto per parlarne.
Prima di tutto, più o meno c’è solo un gruppo italiano che adotta un tipo di struttura simile a quello del quintetto lombardo: gli Eloa Vadaath. Entrambi hanno infatti quest’urgenza di scavare nel profondo di una singola soluzione musicale da rendere isterico e totalmente imprevedibile il discorso in modo da rasentare apparentemente l’improvvisazione jazz. Ma se gli Eloa Vadaath sviluppano il proprio discorso attraverso lo schema strofa – ritornello per poi sbizzarrirsi follemente, i Kenòs fanno uso di vere e proprie sequenze quasi alla maniera degli ultimi Death, quindi belle complesse e di difficile assimilazione, anche se non sono esattamente rigide (può capitare infatti, per fare un esempio, che un passaggio espressosi precedentemente dopo venga abbandonato senza tanti complimenti). Ne consegue una musica dall’assalto molto indiretto e ragionato che “impone” ovviamente una libertà di manovra più limitata rispetto a quella degli Eloa Vadaath, in un certo senso più istintivi e dalle soluzioni musicali più brevi.
Alla luce di tutte queste considerazioni, risulta incredibile constatare come la batteria, pesantemente triggerata (non poteva essere altrimenti data la produzione, artificiosa e imbottita di sovraincisioni vocali) e molto attenta ad offrire un seppur fragile (come si è già visto) equilibrio fra i tempi più veloci e quelli più lenti, sia concentrata più su ritmi in fin dei conti classici e lineari che su partiture più bizzarre ed astruse. E’ forse un modo come un altro per rendere concreta e totale la tradizionale superiorità della chitarra sugli altri strumenti?
Resta il fatto che i Kenòs sono un gruppo unico adattissimo per chi ha voglia di ascoltare qualcosa di tremendamente sperimentale quasi ai limiti dell’astruso, e soprattutto lontano da ogni categorizzazione facile perché al massimo li azzarderei “semplicemente” come un gruppo di metal estremo tecnico.
Voto: 83
Claustrofobia Scaletta:
1 – Room Sexteen/ 2 – 2012 Omega Assimilation/ 3 – Encounter/ 4 – I Remember/ 5 – X – Torsion/ 6 – Bitchswitch/ 7 – Erocktika (Desert Dancing Raven Queen)/ 8 – Revolver Revival/ 9 – AddictionXtinction/ 10 – Eyes of Hurricane part. 2
Wednesday, July 6, 2011
Intervista ai Male Misandria!
Prima o poi doveva succedere. Quest’intervista infatti è la prima nella storia della webzine ad essere stata fatta inizialmente attraverso FaceBook e poi sul più pratico Msn. Inutile dire che è decisamente meglio così.
Risponde Von Pontr, voce/chitarra dei Male Misandria.-------------------------------------------------------------------------------------------------------
La prima cosa che mi salta in mente di chiederti riguarda la lunga stesura dei pezzi dell'album. Cioè, 3 anni di lavoro instancabile, solo che tra il 2007 ed il 2008 avete pubblicato ben due opere. Ecco, come mai nessuno dei 25 brani inediti è stato mai pubblicato prima in uno degli ep precedenti?
I pezzi scritti nel 2007 (pre – “Volizione”) non sono stati contenuti nell’E.P. semplicemente per una questione di tempo...volevamo che l'e.p. suonasse come un lampo: quando ci dicono: "l'ho messo su e non mi sono neanche accorto dell'inizio che era già finito", è il risultato voluto. Per fare questo abbiamo selezionato le canzoni che secondo noi ci stavano meglio per suscitare questo effetto.
Quindi avevate intenzione di partorire un album già 3 anni fa?
Sìsì ma come dico spesso nelle interviste il "deve suonare grind" lo lascio volentieri ad altri gruppi. Noi volevamo solo sfogare quello che avevamo dentro, è suonato così perchè le emozioni dentro di noi suonavano così.
A questo punto quali credi siano le differenze fra voi e chi suona un grind cosiddetto più ordinario? Vi sentite più vicini alla follia di gente come i Converge, Locust ecc...?
Le differenze più che nell'arrivo sono evidenti nel tragitto. Ovviamente per noi è il solito ripetere di non voler avere gruppi di riferimento nella composizione, non voler avere tematiche di riferimento. Finora abbiamo sempre espresso quello che magari altri gruppi fanno di tutto per non ammettere, senza dover far di tutto per piacere a qualcuno. Facendo così ovviamente ci attiriamo vagonate di disapprovazioni ma fa parte del gioco... comunque apprezzo molto i gruppi che hai citato sia per l'originalità e il menefreghismo con cui propongono sempre cose nuove.
La voglia di evolversi in effetti è una gran brutta bestia. Non oso immaginare come sarete fra qualche anno!
Mah guarda, credo che l'evolversi in un gruppo è ciò che lo rende vivo, gruppi come per dire gli Agathocles o gli Anaal Nathraakh (che rispetto ed apprezzo musicalmente), che non han mai cambiato una virgola in quello che fanno, rendono proprio il loro gruppo "un progetto studiato a tavolino" e son le cose che voglio proprio evitare.
L'ostilità mi sembra che l'abbiate sollecitata ancor di più non solo esternando testi incredibilmente un pochino più espliciti del solito ma finalmente anche cantando quasi totalmente in italiano. Non mi dire che una scelta del genere è nata proprio da quest'osservazione!
Mmmh… ma più che ostilità io non mi voglio separare dall'ascoltatore, se testi come quelli di “Non Siete” ti fanno incazzare è un bene e dovresti ringraziarmi perchè ho toccato un punto in te che ti fa star male interiormente e che non vuoi accettare. Il nostro non è odio ma voler solo mettere davanti agli occhi le anomalie che vediamo nella gente. Cioè quello che vogliamo dire non è il solito testo “fuck off and die!”, “il mondo è una merda e mi alieno ad ascoltare Merzbow in autobus”, il nostro è uno “SVEGLIA!” detto da un amico.
Però è anche vero che nonostante tutto "In Stagione di Guerra" sembra quasi fare il verso ai Crass. Ovvero un modo per dire che "il nostro odio è per la verità amore per l'umanità" dato che te ne preoccupi urlando fino allo stremo...e si sa quanto i Crass fossero anarchici fino al midollo.
Sìsì è quello che ho voluto spiegare prima.. comunque non credo che l'aiuto verso il prossimo abbia una valenza politica. Tutte le fazioni politiche tendono ad aiutare il prossimo, chi solo della propria nazione, chi solo del proprio ceto sociale, chi di tutti. Noi con la politica com'è intesa fino ad oggi non vogliamo centrare in quanto per noi è anacronistica
Non vorrei rovinare la sorpresa ai lettori, ma che mi dici però di un testo come quello di "Earth Reset"? Sbaglio o qui c'è qualche riferimento al pensiero dello scrittore israeliano Zecharia Sitchin? Per esempio, i 3600 anni, i sar...?
Sìsì esatto, mi fa piacere che tu abbia colto questo piccolo particolare. Ho letto diversi libri suoi e credo che la sua teoria sia complementare per i dubbi di interpretazioni di correnti cristiane e pre cristiane!
Come rispondi a quanti lo tacciano di divulgare pseudo - scienza?
La scienza secondo me arriva fin ad un certo punto: cerca di descrivere da fuori tutto ciò che fa parte della natura, ovviamente descrivendolo da un punto di vista umano e quindi attraverso solo i nostri 5 sensi. La scienza denigra tutto ciò che non è osservabile e dimostrabile, quindi è un po' limitante considerare non esistente tutto ciò che non riusciamo a percepire con i nostri occhi.
Tuttavia credo che i San Tommaso ci siano dappertutto e non solo contro Sitchin, quindi è anche inutile dilungarsi troppo. E’ questione di elasticità mentale. La nostra mente cerca di farci passare per sbagliato ogni nostro cambiamento interiore. Anche Tesla (geniale fisico serbo naturalizzato statunitense morto nel 1943 che oggi viene apprezzato in lungo e in largo. Su di lui è stato fatto recentemente anche un bel film, “The Prestige” del 2006. Nda Claustrofobia) veniva reputato un mongoloide, ma se fosse stato accettato probabilmente oggigiorno avremmo 2 centrali elettriche ogni 20 case :)
Sì ma secondo te l'umanità non riesce a credere all'esistenza degli alieni o più che altro alla teoria dell'antica astronauta secondo cui noi non siamo altro che prodotti di una civiltà superiore aliena?
Mah, credo che questo sia soggettivo: c'è chi crede agli alieni ma non alla nostra creazione per mezzo di loro... non saprei risponderti con precisione.
Questo tipo di tematiche come si ricollegano alle altre rivolte alla politica (in senso indiretto) e alle debolezze umane?
Beh, sicuramente al controllo dell'umanità da parte di un'elitè in contatto con forze superiori. Oltre a Sitchin mi piace molto Icke (David Icke, scrittore britannico, che infatti è un sostenitore della teoria del complotto secondo il quale i cosiddetti Illuminati – una setta segreta che in passato, ossia nel XVIII secolo, è realmente esistita nella Baviera - stanno tuttora attuando un piano per il controllo totale del pianeta. Nda Claustrofobia) che tratta molto di questi argomenti.
Spiegati meglio.
Il fatto che i potenti cerchino sempre di farci sentire a disagio terrorizzandoci attraverso i loro sistemi mediatici. Il risultato di tutto questo è una schiavitù che, a loro parere, ci farà accettare meglio una possibile dittatura mondiale prossima.
Comunque per non subire gli effetti di questo bombardamento bisogna svegliarsi, e il vero risveglio non consiste nel guardare “Zeitgeist” (un cosiddetto web film diretto da Peter Joseph e di cui sono stati girati 3 episodi, di cui l’ultimo uscito proprio quest’anno, ossia “Zeitgeist: Moving Forward”. Nda Claustrofobia), anzi, fermarsi a ciò è proprio quello che vogliono imporci indirettamente.
Le vostre provocazioni d'altro canto non si fermano di certo ai testi ma anche per le scelte musicali in senso stretto. Per esempio, "In Stagione di Guerra" risulta imbottita di 6 minuti di puro silenzio. Non è che in effetti ci ha messo lo zampino John Cage?
No per niente, non so neanche chi cazzo sia! I 6 minuti di silenzio son stati messi semplicemente per far credere che fosse finito il cd.
Quindi come si spiega il frammento punk con cui si chiude veramente l'album?
Non è che l'abbiamo fatto per introdurre qualcosa di semplice ma solo perché in quel momento pensavamo di fare questa cosa senza pensarci troppo sopra.
Quel che è certo è che è molto in linea con il vostro sentire l'arte.
Più che altro il vero pezzo finale (intitolato “Skins”[come la serie di MTV guardacaso. Nda Claustrofobia]) ci ricordava l'estate e il divertimento, e così l'abbiamo messo come se fosse un post - comprensione del disco. Quindi più che un finale lo definirei un post – finale.
Una specie di congedo in sostanza.
Una frase d'effetto dopo i ringraziamenti di un libro direi
…e che ben contrasta fra le altre cose anche con la suggestiva copertina. Cacchio, avete scomodato addirittura il buon vecchio Hieronymous Bosch! In che modo si lega questo "furto" al contenuto dell'album? Inoltre vi sentite un po' affini con il cattolico Bosch?
Beh, essendo ogni canzone indipendente dalle altre e bene o male descrivente incompletezze umane ci sembrava d'obbligo mettere un trittico del genere, non sarei riuscito a pensare di meglio per descrivere il disco.
Ci sono molte ipotesi sulle credenze religiose di Bosch: si dice che abbia fatto parte anche di sette religiose e congreghe come "La nostra signora" ma secondo me non era cattolico, lo legherei piuttosto allo gnosticismo.
Invece da dove provengono quelle inquietanti illustrazioni che campeggiano qua e là nel libretto?
Le ho trovate su un libro che stavo leggendo in quel periodo. Ci stavano bene con i testi e aiutavano la comprensione a parer mio. Il libro è “psicologia ed alchimia” di Jung
Tutte queste belle cose inerenti il booklet spero non siano destinate a cambiare con un'ipotetica ristampa ora che avete finalmente un'etichetta alle spalle…
Dopo aver leccato il culo a Bosch per 3 risposte vorrei dirti che forse cambieremo grafica per la ristampa …
Oddio, perchè? Già c'è qualche idea per la grafica o è ancora tutto ancora vago?
E’ tutto vago. Mi piacerebbe riuscire a mettere qualcosa di De Sacchis (Giovanni Antonio de’ Sacchis, pittore friulano morto a Ferrara nel 1539. Nda Claustrofobia) ma vedremo ma devo ancora parlarne con gli altri.
Sì ma sempre di opere altrui si tratta! Non è che dietro alla scelta di De Sacchis c'è il fatto che lui era guardacaso di Pordenone?
C’entra sì! Mi piacerebbe riuscire a fare un tributo a questo grandissimo pittore.
La ristampa per la precisione quando dovrebbe uscire?
Tra la fine dell'anno e l'inizio del 2012, non si sa di preciso la data ancora.
A proposito della Suffering Jesus Productions, come cacchio siete riusciti a firmarci? Vi siete anche un po' lasciati prendere da certi gruppi eccentrici dell'etichetta, come i Blackthrone o gli Eliminator?
Beh, semplicemente abbiamo spedito il nostro disco alle etichette più affini.. C'è un'altra band della mia zona sotto Suffering Productions (Sidus Tenebrarum) e mi han parlato bene di ‘sta label, quindi abbiamo provato a fargli sentire il nostro materiale. A dire il vero Edith della Suffering ci ha proposto solo uno split con Malveillance inizialmente, poi ha deciso anche di stamparci il full.
Beh, mi sembra che la collaborazione sia già cominciata bene. Immagino che vi è preso un colpo appena saputa la notizia....
Haha beh oddio un colpo no.. Siamo stati felici di essere stati valorizzati dopo un sacco di no di etichette italiane che apprezzo.
...e tutti i vostri detrattori libertari vi odieranno ancor di più sapendo che i Malveillance hanno fatto parte per un po' di tempo della scena black nazista canadese....
una specie di vaffanculo definitivo?
Nono del passato di Malveillance ce ne freghiamo sostanzialmente. Ha fatto uscite nazi ma ora ha pubblicamente detto che non gliene frega più niente, quindi sarebbe da stupidi basarsi su quello per mandare affanculo qualcuno. Tra l'altro non vogliamo mandare a fanculo proprio nessuno... Le etichette che ci han rifiutato hanno avuto i loro buoni motivi per farlo e rispettiamo le loro decisioni.
Cosa dobbiamo aspettarci con questo split? E soprattutto la vostra partecipazione riguarderà solo brani inediti?
Sìsì solo brani inediti.. le tracce son più metal e compatte delle precedenti. Non ci son canzoni sotto il minuto e mezzo. Questi pezzi sono più articolati di “E.DIN” sia concettualmente che musicalmente. Stiamo pensando anche di inserire 4 brani pre – “Übermensch” (primo ep del gruppo. Nda Claustrofobia), che ho registrato quando avevo 16 anni circa.
Non credi che così facendo ci sarà troppa differenza tra i pezzi vecchi e quelli inediti in tutti i sensi?
Sìsì ci sarà di sicuro ma anche Malveillance metterà dei suoi brani vecchi. Lo split avrà una prima parte di nuovi inediti sia nostri che dell'altro gruppo e poi diciamo un bonus di alcune canzoni vecchie.
Beh insomma, il futuro sembra radioso.
Hahha a quanto pare sì. Ma il mio obbiettivo principale è di riuscire a fare un nuovo full - length con qualche etichetta entro il 2012.
L'intervistona è finita! Vuoi mandare un ultimo saluto agli avidi lettori di Timpani Allo Spiedo?
Abbiamo dovuto aspettare un po' per via dei soldi per pagare lo studio più che altro, ciao e grazie!
Risponde Von Pontr, voce/chitarra dei Male Misandria.-------------------------------------------------------------------------------------------------------
La prima cosa che mi salta in mente di chiederti riguarda la lunga stesura dei pezzi dell'album. Cioè, 3 anni di lavoro instancabile, solo che tra il 2007 ed il 2008 avete pubblicato ben due opere. Ecco, come mai nessuno dei 25 brani inediti è stato mai pubblicato prima in uno degli ep precedenti?
I pezzi scritti nel 2007 (pre – “Volizione”) non sono stati contenuti nell’E.P. semplicemente per una questione di tempo...volevamo che l'e.p. suonasse come un lampo: quando ci dicono: "l'ho messo su e non mi sono neanche accorto dell'inizio che era già finito", è il risultato voluto. Per fare questo abbiamo selezionato le canzoni che secondo noi ci stavano meglio per suscitare questo effetto.
Quindi avevate intenzione di partorire un album già 3 anni fa?
Sìsì ma come dico spesso nelle interviste il "deve suonare grind" lo lascio volentieri ad altri gruppi. Noi volevamo solo sfogare quello che avevamo dentro, è suonato così perchè le emozioni dentro di noi suonavano così.
A questo punto quali credi siano le differenze fra voi e chi suona un grind cosiddetto più ordinario? Vi sentite più vicini alla follia di gente come i Converge, Locust ecc...?
Le differenze più che nell'arrivo sono evidenti nel tragitto. Ovviamente per noi è il solito ripetere di non voler avere gruppi di riferimento nella composizione, non voler avere tematiche di riferimento. Finora abbiamo sempre espresso quello che magari altri gruppi fanno di tutto per non ammettere, senza dover far di tutto per piacere a qualcuno. Facendo così ovviamente ci attiriamo vagonate di disapprovazioni ma fa parte del gioco... comunque apprezzo molto i gruppi che hai citato sia per l'originalità e il menefreghismo con cui propongono sempre cose nuove.
La voglia di evolversi in effetti è una gran brutta bestia. Non oso immaginare come sarete fra qualche anno!
Mah guarda, credo che l'evolversi in un gruppo è ciò che lo rende vivo, gruppi come per dire gli Agathocles o gli Anaal Nathraakh (che rispetto ed apprezzo musicalmente), che non han mai cambiato una virgola in quello che fanno, rendono proprio il loro gruppo "un progetto studiato a tavolino" e son le cose che voglio proprio evitare.
L'ostilità mi sembra che l'abbiate sollecitata ancor di più non solo esternando testi incredibilmente un pochino più espliciti del solito ma finalmente anche cantando quasi totalmente in italiano. Non mi dire che una scelta del genere è nata proprio da quest'osservazione!
Mmmh… ma più che ostilità io non mi voglio separare dall'ascoltatore, se testi come quelli di “Non Siete” ti fanno incazzare è un bene e dovresti ringraziarmi perchè ho toccato un punto in te che ti fa star male interiormente e che non vuoi accettare. Il nostro non è odio ma voler solo mettere davanti agli occhi le anomalie che vediamo nella gente. Cioè quello che vogliamo dire non è il solito testo “fuck off and die!”, “il mondo è una merda e mi alieno ad ascoltare Merzbow in autobus”, il nostro è uno “SVEGLIA!” detto da un amico.
Però è anche vero che nonostante tutto "In Stagione di Guerra" sembra quasi fare il verso ai Crass. Ovvero un modo per dire che "il nostro odio è per la verità amore per l'umanità" dato che te ne preoccupi urlando fino allo stremo...e si sa quanto i Crass fossero anarchici fino al midollo.
Sìsì è quello che ho voluto spiegare prima.. comunque non credo che l'aiuto verso il prossimo abbia una valenza politica. Tutte le fazioni politiche tendono ad aiutare il prossimo, chi solo della propria nazione, chi solo del proprio ceto sociale, chi di tutti. Noi con la politica com'è intesa fino ad oggi non vogliamo centrare in quanto per noi è anacronistica
Non vorrei rovinare la sorpresa ai lettori, ma che mi dici però di un testo come quello di "Earth Reset"? Sbaglio o qui c'è qualche riferimento al pensiero dello scrittore israeliano Zecharia Sitchin? Per esempio, i 3600 anni, i sar...?
Sìsì esatto, mi fa piacere che tu abbia colto questo piccolo particolare. Ho letto diversi libri suoi e credo che la sua teoria sia complementare per i dubbi di interpretazioni di correnti cristiane e pre cristiane!
Come rispondi a quanti lo tacciano di divulgare pseudo - scienza?
La scienza secondo me arriva fin ad un certo punto: cerca di descrivere da fuori tutto ciò che fa parte della natura, ovviamente descrivendolo da un punto di vista umano e quindi attraverso solo i nostri 5 sensi. La scienza denigra tutto ciò che non è osservabile e dimostrabile, quindi è un po' limitante considerare non esistente tutto ciò che non riusciamo a percepire con i nostri occhi.
Tuttavia credo che i San Tommaso ci siano dappertutto e non solo contro Sitchin, quindi è anche inutile dilungarsi troppo. E’ questione di elasticità mentale. La nostra mente cerca di farci passare per sbagliato ogni nostro cambiamento interiore. Anche Tesla (geniale fisico serbo naturalizzato statunitense morto nel 1943 che oggi viene apprezzato in lungo e in largo. Su di lui è stato fatto recentemente anche un bel film, “The Prestige” del 2006. Nda Claustrofobia) veniva reputato un mongoloide, ma se fosse stato accettato probabilmente oggigiorno avremmo 2 centrali elettriche ogni 20 case :)
Sì ma secondo te l'umanità non riesce a credere all'esistenza degli alieni o più che altro alla teoria dell'antica astronauta secondo cui noi non siamo altro che prodotti di una civiltà superiore aliena?
Mah, credo che questo sia soggettivo: c'è chi crede agli alieni ma non alla nostra creazione per mezzo di loro... non saprei risponderti con precisione.
Questo tipo di tematiche come si ricollegano alle altre rivolte alla politica (in senso indiretto) e alle debolezze umane?
Beh, sicuramente al controllo dell'umanità da parte di un'elitè in contatto con forze superiori. Oltre a Sitchin mi piace molto Icke (David Icke, scrittore britannico, che infatti è un sostenitore della teoria del complotto secondo il quale i cosiddetti Illuminati – una setta segreta che in passato, ossia nel XVIII secolo, è realmente esistita nella Baviera - stanno tuttora attuando un piano per il controllo totale del pianeta. Nda Claustrofobia) che tratta molto di questi argomenti.
Spiegati meglio.
Il fatto che i potenti cerchino sempre di farci sentire a disagio terrorizzandoci attraverso i loro sistemi mediatici. Il risultato di tutto questo è una schiavitù che, a loro parere, ci farà accettare meglio una possibile dittatura mondiale prossima.
Comunque per non subire gli effetti di questo bombardamento bisogna svegliarsi, e il vero risveglio non consiste nel guardare “Zeitgeist” (un cosiddetto web film diretto da Peter Joseph e di cui sono stati girati 3 episodi, di cui l’ultimo uscito proprio quest’anno, ossia “Zeitgeist: Moving Forward”. Nda Claustrofobia), anzi, fermarsi a ciò è proprio quello che vogliono imporci indirettamente.
Le vostre provocazioni d'altro canto non si fermano di certo ai testi ma anche per le scelte musicali in senso stretto. Per esempio, "In Stagione di Guerra" risulta imbottita di 6 minuti di puro silenzio. Non è che in effetti ci ha messo lo zampino John Cage?
No per niente, non so neanche chi cazzo sia! I 6 minuti di silenzio son stati messi semplicemente per far credere che fosse finito il cd.
Quindi come si spiega il frammento punk con cui si chiude veramente l'album?
Non è che l'abbiamo fatto per introdurre qualcosa di semplice ma solo perché in quel momento pensavamo di fare questa cosa senza pensarci troppo sopra.
Quel che è certo è che è molto in linea con il vostro sentire l'arte.
Più che altro il vero pezzo finale (intitolato “Skins”[come la serie di MTV guardacaso. Nda Claustrofobia]) ci ricordava l'estate e il divertimento, e così l'abbiamo messo come se fosse un post - comprensione del disco. Quindi più che un finale lo definirei un post – finale.
Una specie di congedo in sostanza.
Una frase d'effetto dopo i ringraziamenti di un libro direi
…e che ben contrasta fra le altre cose anche con la suggestiva copertina. Cacchio, avete scomodato addirittura il buon vecchio Hieronymous Bosch! In che modo si lega questo "furto" al contenuto dell'album? Inoltre vi sentite un po' affini con il cattolico Bosch?
Beh, essendo ogni canzone indipendente dalle altre e bene o male descrivente incompletezze umane ci sembrava d'obbligo mettere un trittico del genere, non sarei riuscito a pensare di meglio per descrivere il disco.
Ci sono molte ipotesi sulle credenze religiose di Bosch: si dice che abbia fatto parte anche di sette religiose e congreghe come "La nostra signora" ma secondo me non era cattolico, lo legherei piuttosto allo gnosticismo.
Invece da dove provengono quelle inquietanti illustrazioni che campeggiano qua e là nel libretto?
Le ho trovate su un libro che stavo leggendo in quel periodo. Ci stavano bene con i testi e aiutavano la comprensione a parer mio. Il libro è “psicologia ed alchimia” di Jung
Tutte queste belle cose inerenti il booklet spero non siano destinate a cambiare con un'ipotetica ristampa ora che avete finalmente un'etichetta alle spalle…
Dopo aver leccato il culo a Bosch per 3 risposte vorrei dirti che forse cambieremo grafica per la ristampa …
Oddio, perchè? Già c'è qualche idea per la grafica o è ancora tutto ancora vago?
E’ tutto vago. Mi piacerebbe riuscire a mettere qualcosa di De Sacchis (Giovanni Antonio de’ Sacchis, pittore friulano morto a Ferrara nel 1539. Nda Claustrofobia) ma vedremo ma devo ancora parlarne con gli altri.
Sì ma sempre di opere altrui si tratta! Non è che dietro alla scelta di De Sacchis c'è il fatto che lui era guardacaso di Pordenone?
C’entra sì! Mi piacerebbe riuscire a fare un tributo a questo grandissimo pittore.
La ristampa per la precisione quando dovrebbe uscire?
Tra la fine dell'anno e l'inizio del 2012, non si sa di preciso la data ancora.
A proposito della Suffering Jesus Productions, come cacchio siete riusciti a firmarci? Vi siete anche un po' lasciati prendere da certi gruppi eccentrici dell'etichetta, come i Blackthrone o gli Eliminator?
Beh, semplicemente abbiamo spedito il nostro disco alle etichette più affini.. C'è un'altra band della mia zona sotto Suffering Productions (Sidus Tenebrarum) e mi han parlato bene di ‘sta label, quindi abbiamo provato a fargli sentire il nostro materiale. A dire il vero Edith della Suffering ci ha proposto solo uno split con Malveillance inizialmente, poi ha deciso anche di stamparci il full.
Beh, mi sembra che la collaborazione sia già cominciata bene. Immagino che vi è preso un colpo appena saputa la notizia....
Haha beh oddio un colpo no.. Siamo stati felici di essere stati valorizzati dopo un sacco di no di etichette italiane che apprezzo.
...e tutti i vostri detrattori libertari vi odieranno ancor di più sapendo che i Malveillance hanno fatto parte per un po' di tempo della scena black nazista canadese....
una specie di vaffanculo definitivo?
Nono del passato di Malveillance ce ne freghiamo sostanzialmente. Ha fatto uscite nazi ma ora ha pubblicamente detto che non gliene frega più niente, quindi sarebbe da stupidi basarsi su quello per mandare affanculo qualcuno. Tra l'altro non vogliamo mandare a fanculo proprio nessuno... Le etichette che ci han rifiutato hanno avuto i loro buoni motivi per farlo e rispettiamo le loro decisioni.
Cosa dobbiamo aspettarci con questo split? E soprattutto la vostra partecipazione riguarderà solo brani inediti?
Sìsì solo brani inediti.. le tracce son più metal e compatte delle precedenti. Non ci son canzoni sotto il minuto e mezzo. Questi pezzi sono più articolati di “E.DIN” sia concettualmente che musicalmente. Stiamo pensando anche di inserire 4 brani pre – “Übermensch” (primo ep del gruppo. Nda Claustrofobia), che ho registrato quando avevo 16 anni circa.
Non credi che così facendo ci sarà troppa differenza tra i pezzi vecchi e quelli inediti in tutti i sensi?
Sìsì ci sarà di sicuro ma anche Malveillance metterà dei suoi brani vecchi. Lo split avrà una prima parte di nuovi inediti sia nostri che dell'altro gruppo e poi diciamo un bonus di alcune canzoni vecchie.
Beh insomma, il futuro sembra radioso.
Hahha a quanto pare sì. Ma il mio obbiettivo principale è di riuscire a fare un nuovo full - length con qualche etichetta entro il 2012.
L'intervistona è finita! Vuoi mandare un ultimo saluto agli avidi lettori di Timpani Allo Spiedo?
Abbiamo dovuto aspettare un po' per via dei soldi per pagare lo studio più che altro, ciao e grazie!
Tuesday, July 5, 2011
Intervista ai Rotorvator!
Intervista pubblicata il 28 Aprile 2011 sulla mia pagina FaceBook.
Per leggere la recensione di "Nahum":http://timpaniallospiedo.blogspot.com/2011/02/rotorvator-nahum-2009.html
Solo una piccola avvertenza:
nella rece per la foga ho confuso "Bridal Chamber" con "Peace on Earth", ed ecco perchè nell'intervista troverete quale miglior canzone la prima e non la seconda.
1) Ciao ragazzi, come la va? Prima di tutto, complimentissimi per aver partorito uno dei dischi più malati che io abbia mai ascoltato, fra l’altro beccandovi il voto più alto come mai successo nei 2 anni e mezzo di storia di Timpani allo Spiedo!
Ciao, noi bene, è un periodo ottimo per Rotorvator. Ti ringraziamo per tutti i complimenti in fase di recensione e per averci dato l'opportunità di fare una intervista, che tra l'altro è la nostra prima (così per me diventa un onore doppio! Nda Claustrofobia).
2) Come primo quesito, vorrei sapere dove e soprattutto come avete registrato il disco, dato che “Nahum” è così sporco da essere praticamente cacofonico. C’è un motivo preciso per il quale adesso state lavorando per una produzione più… umana? Non nascondo che mi mancheranno quelle sonorità “incomprensibili”…
”Nahum” è stato registrato direttamente da noi in sala prove con un computer ed una scheda audio. Il risultato è una via di mezzo tra quello che volevamo fosse il suono generale del disco e i limiti tecnici che avevamo: per capirci, nessun microfono da studio o cose simili.
Per il futuro abbiamo scelto di produrre in maniera leggermente più professionale lavorando con una quarta persona che si occuperà del missaggio. Questo in parte perché volevamo un suono lievemente più nitido e di impatto e in secondo luogo perché il lavoro di mix è lungo e noioso, soprattutto per noi che non siamo esperti, e toglie tempo prezioso alla realizzazione di brani nuovi. Resta il fatto che una produzione dove tutti gli strumenti si confondono nell'impasto noise rimarrà un elemento cardine del progetto.
3) Però di certo è la musica che deve dettar legge. Un black metal cupissimo e minimalista infarcito di una batteria che vira tra dosi inquietanti d’industrial e la sonnolenza del trip – hop, di martiri harsh noise che farebbero impallidire perfino le peggio bestie black/death. Tutto ciò affiancato agli elementi effettivamente più black come le chitarre e la voce, che in ogni canzone sfodera urla sempre diverse. Mi sono dimenticato forse qualcosa? Solitamente come preferite definire la vostra musica e soprattutto potrebbe essere considerata come IL black metal nella sua essenza originaria?
Noi ci definiamo black metal perché Rotorvator è nato dal desiderio comune di suonare questo genere, senza però farci limitare troppo dalla definizione. Siamo tutti ascoltatori onnivori e le influenze più svariate escono molto naturalmente; non ci poniamo paletti su cosa è ortodosso oppure no, finché il risultato ci dà le sensazioni che ci aspettiamo da un nostro pezzo. Per noi il miglior black metal è quello che riesce ad essere nello stesso tempo evocativo e tremendamente grezzo e violento: in questo senso sì, potresti dire che tentiamo di catturare l'essenza del genere, anche se probabilmente un purista non sarebbe molto d'accordo!
4) A proposito di Merlo: come fai ad adattarti così facilmente con delle voci molto differenti l’una dall’altra? E qual è veramente il fine di questa folle varietà?
La voce viene considerata alla stregua di tutti gli altri strumenti ed è finalizzata a contribuire all'impatto sonoro ed emotivo: diversificarla serve semplicemente a rendere quest'aspetto più efficace anche se, come tutto in Rotorvator, avviene in modo molto poco studiato.
5) E’ quasi scontato individuare la migliore canzone del lotto in “Bridal Chamber”, scelta determinata non soltanto da quel terrificante finale ma anche dalle tastiere angeliche che quasi fanno a cazzotti con la generale e violentissima atmosfera da rovina apocalittica. Lo vedete anche voi tale contrasto? Che genesi ha avuto la canzone?
Il pezzo ha avuto una gestazione più complessa del solito ed è forse quello più costruito a tavolino perché faticavamo a trovare una struttura che ci soddisfacesse pienamente. Generalmente i nostri brani vengono composti in modo più spontaneo, suonando assieme in sala prove e discutendo sulla direzione che il pezzo deve seguire man mano che prende forma. Quindi il contrasto c'è, ma non è stato deciso a tavolino, è venuto fuori sperimentando suoni con il sintetizzatore e, trovandolo efficace, l'abbiamo tenuto.
Crediamo che il fatto di non programmare nulla, che ci viene assolutamente naturale, sia una delle peculiarità del progetto.
6) Considero invece il vostro punto di forza la struttura che regge i vari pezzi che è di una particolarità colossale. In pratica riuscite a creare lentamente dei climax anche togliendo gradualmente alcune parti di un brano, facendolo esplodere al contrario. Siete d’accordo? Più per la precisione, c’è un motivo per cui utilizzate una metodologia simile?
Ti abbiamo risposto in parte con la precedente domanda: non escludiamo in futuro di produrre pezzi più complessi , ma per ora tendiamo a suonare nel modo più essenziale e diretto possibile perché in questo modo possiamo concentrarci meglio sulla riuscita globale dei brani. Quando le strutture sono semplici è più facile rendere efficace l'equilibrio tra pieni e vuoti del suono e mantenere la tensione giusta, il senso di minaccia che vogliamo dare. Se c'è forse una cosa che abbiamo discusso per il futuro è quello di curare maggiormente i singoli suoni, eliminando via via quelli che reputiamo superflui, in modo di raggiungere il risultato ottimale con meno elementi.
7) Ho fatto caso che tutti i titoli delle canzoni hanno un riferimento religioso oppure qualcosa che ne a che fare. Eppure nella musica non vi è quasi niente di paradisiaco. Si può sapere quindi di cosa trattate veramente nei testi e questi emotivamente parlando che legami hanno con la musica?
I testi hanno un importanza secondaria rispetto al suono in Rotorvator, sono un veicolo per incanalare al meglio la voce. Sulla prima versione registrata di ogni pezzo le urla non hanno significato, i testi poi si adattano a questi suoni gutturali.
In ogni caso trattano principalmente dell'uomo, del rapporto che ha con ciò che non comprende o accetta e dei comportamenti irrazionali che nascono da questo. Viste le premesse è ovvio che la religione sia un argomento che affrontiamo spesso.
8) Sono rimasto pressoché affascinato dal booklet nel quale disegni inquietanti si stagliano su foto evocative, una delle quali sembra rappresentare Eva tentata dal serpente. Potete rivelarci il loro significato e chi è o chi ne sono gli autori?
Il serpente e la ragazza sono collegati al pezzo “Bridal Chamber”, che tratta di come il male ed il bene siano relativi e facce della stessa medaglia… quindi probabilmente l'immagine della tentazione è stata effettivamente un'ispirazione inconscia!
9) Mi sono reso conto che sono 5 le pagine soprammenzionate, come sono curiosamente 5 le tracce. Sbaglio o a questo punto a ogni determinata pagina sono associate delle specifiche figure? Avete voluto insomma sostituire alla classica trasposizione su carta dei testi delle, per così dire, “sintesi visive” delle varie tracce?
Ci sei andato vicino: 4 figure sono associate ad i pezzi veri e propri, mentre una rappresenta Nahum. Merlo ha realizzato la grafica, scegliendo le foto e facendo i disegni:
il concept di Rotorvator si basa sull'idea di creare un'esperienza rituale, ma evitando i cliché logori del Black Metal e cercando di essere volutamente più ambigui.
Per questo lasciamo, anche nella parte visiva, che sia l'istintualità a guidare la nostre realizzazioni, evitando di caricare la grafica di significati definiti… potremmo dire, con il dovuto rispetto, un po' alla maniera dei surrealisti.
10) Come vi rapportate con la religione e perché avete scelto di prendere in esame proprio il libro di Naum? C’è una ragione dietro alla scelta di rendere “gloria” ad un profeta minore e non ad uno sicuramente più conosciuto?
Nessuno di noi crede ad alcun culto "organizzato": ognuno ha le sue idee sulla spiritualità, ma non hanno posto in Rotorvator… d'altro canto la religione giudeo-cristiana fa parte della nostra cultura e, volenti o nolenti, ne siamo permeati ed influenzati.
Il nome del disco è uscito fuori solo a registrazioni terminate, ci siamo imbattuti in Naum quasi per caso e, come spesso accade nella Bibbia che è un opera letteraria spesso molto potente e evocativa, siamo rimasti affascinati dalle immagini che descriveva, ci ha colpito come dal testo esca questo desiderio fortissimo di vedere annientati i propri nemici. Al di là della potenza delle visioni, ne esce l'immagine di un vecchio fondamentalista che ha come motore principale l'odio religioso. E questo si adattava molto alle tematiche dell'opera.
11) Un altro carattere abbastanza forte della vostra proposta proviene dalla vostra attività concertistica, più che altro perché sembra che poniate un gran bell’accento sull’aspetto teatrale della faccenda, preferendo così mascherarvi. Da cosa proviene quest’intuizione e come vedete sia possibile legare una musica così violenta al teatro? Non è che siete stati influenzati da certi gruppo post – punk?
Tutte le immagini che vedi in Rete che ci ritraggono mascherati provengono dalla stessa, singola, performance che si è tenuta all'inaugurazione di una personale del nostro amico Ericailcane (per saperne di più, basta cliccare sul seguente link: http://www.ericailcane.org. Nda Claustrofobia).L'idea e la realizzazione del travestimento è stata sua, noi abbiamo semplicemente accettato perché ci piaceva l'idea… in realtà di solito suoniamo vestiti normalmente. Siamo interessati ad una parte visiva della performance, ma abbiamo deciso di farla solo se rimane una cosa unica, pensata per una particolare occasione o progetto. Non vogliamo rimanere ingabbiati in un immagine, altrimenti il rischio è quello di diventare caricaturali. Se per influenza post-punk intendi l'idea di creare qualcosa che lambisca altri ambiti rispetto alla musica, sicuramente è qualcosa che vogliamo sviluppare in futuro, anche se Rotorvator rimane prima di tutto un gruppo musicale
12) Potete raccontarci dell’esperienza che avete avuto con la compagnia teatrale Cosmesi? Come ha reagito il pubblico di fronte ad un’alleanza così bizzarra? Riproverete a fare un esperimento del genere?
Come nel caso di Ericailcane, tutto è nato per amicizia e stima reciproca: Kabu, che si occupa dell'elettronica in Rotorvator, ha realizzato alcune delle animazioni di scenografia dello spettacolo precedente di Cosmesi, “Periodo Nero”. Per le esigenze di una scena serviva come colonna sonora qualcosa di estremamente violento, e lui ha proposto “Abiura”, un pezzo del nostro primo EP. Da lì il passo è stato breve: i ragazzi di Cosmesi ci hanno proposto di partecipare attivamente alla realizzazione dello spettacolo successivo e da lì è nato “NeroEP”.
Sin dal principio sia noi che Cosmesi ci siamo resi conto che la cosa avrebbe funzionato solo se non ci fossimo improvvisati attori, ma avessimo fatto l'unica cosa che sappiamo fare, suonare dal vivo: i ragazzi sono stati fantastici a costruire la performance attorno alla nostra musica… non è molto facile creare della azioni teatrali quando nel frattempo sta suonando una musica così assordante e violenta!
Lo spettacolo è stato fatto dal vivo per 3 giorni consecutivi durante il festival di Santarcangelo; tieni conto che è una manifestazione molto popolare in una zona turistica, quindi abbiamo suonato davanti a moltissime famiglie, non proprio il nostro pubblico ideale! Nonostante tutto è andato molto bene e svariate persone, che per loro stessa ammissione mai e poi mai avrebbero ascoltato la nostra musica, ci hanno detto di essere rimaste colpite dall'impatto emotivo della performance.
Per noi l'esperienza è stata fantastica: poter lavorare nel mondo del teatro sperimentale, che noi conoscevamo solo superficialmente, ci ha permesso di vedere la nostra musica da un punto di vista completamente nuovo e ci ha dato un sacco di spunti per il futuro… poi, finito l'ultimo degli spettacoli, vedere Mauro (il chitarrista) completamente ubriaco ed euforico vagare per il centro di Santarcangelo è stata una gioia per gli occhi!
Quasi sicuramente ci saranno delle repliche durante l'estate 2011, anche se dimensioni e costi dello spettacolo non lo rendono certo facile da proporre, sopratutto in questo periodo di tagli estremi alla cultura.
Ci interessano le altre forme di espressione e quindi troviamo molto stimolante confrontarci con realtà che apparentemente hanno poco a che fare con Rotorvator: siamo sempre ben disposti a lavorare in altri contesti e quindi se riceveremo nuove proposte di questo tipo le valuteremo sicuramente. L'unica cosa importante è non tradire il concept del gruppo o la nostra musica.
13) Oltre ad essere ossessionati letteralmente dal teatro, alcuni di voi (se non erro specialmente Merlo) si dilettano nella pittura. E pure qui la mente mi rimanda al post – punk!
In realtà non siamo ossessionati dal teatro, come avrai capito le nostre collaborazioni nascono con amici, persone con cui condividiamo delle idee. Ognuno di noi per hobby o lavoro si dedica alle arti visive, ma l'unico che lo fa assiduamente è Emanuele Kabu. Se vai a vedere il suo sito, potrai capire da dove vengono certi aspetti psichedelici di Rotorvator (http://www.emanuelekabu.org. Nda Claustrofobia)!
14) Una mera curiosità: siete per caso degli squatter? Magari anche di matrice anarchica?
Questa ci ha fatto sorridere! Siamo tre persone che fanno una vita normalissima, anche se un po’ di sano spirito anarchico ci accomuna sicuramente…
15) Cosa bolle nella pentola dei Rotorvator? Come sta andando lo split con Rhuith?
Quest'anno aspettati un bel po' di novità da Rotorvator!
Ci teniamo a precisare che il progetto con Rhuith non è uno split, ma una vera e propria collaborazione. XV è venuto a trovarci a Belluno, ci siamo chiusi due giorni in sala prove con svariate casse di birra e il risultato è un mix di improvvisazione ed editing, magari frammentario per sua stessa natura, ma di cui siamo molto orgogliosi. La cassetta è appena uscita su Dokuro (la Dokuro Records è un’etichetta che si occupa della musica elettronica più folle in circolazione. Per saperne di più: http://www.dokuro.it. Nda Claustrofobia). Ci sarà sicuramente un seguito, non abbiamo ancora nulla di definito, ma ci frullano in testa diverse idee.
A proposito di Dokuro, un'altra collaborazione che faremo prossimamente è con Nodolby, la persona che sta dietro all’etichetta: è un amico e ci piace molto quello che fa, inoltre Kabu ha suonato con lui per quasi 10 anni in un progetto di musica elettronica quindi una cosa assieme è d'obbligo!
Se tutto va bene a Settembre dovrebbero esserci due uscite come Rotorvator. Per primo uno split 10" con i Carlomargot, un duo di musica elettronica, per la Frohike Records e poi il nostro nuovo disco per Crucial Blaze, una serie della Crucial Blast che si occupa di sonorità affini al black metal.
16) L’intervista è finita. Adesso potete sputare liberamente ogni vostro grillo da tempo residente dentro la testa!
Spesso veniamo percepiti come un progetto più legato al mondo dell'arte che alla musica: tutto questo è fuorviante perché il nostro scopo principale è suonare nel modo più devastante possibile!
Quindi chiunque sia interessato a organizzare un nostro concerto, si metta in contatto… non vediamo l'ora di rovinarvi i timpani!
http://www.youtube.com/watch?v=GJDeJXA64Ks
http://soundcloud.com/rotorvator/abiura
http://www.youtube.com/watch?v=MdDqvJmXUSM
Per leggere la recensione di "Nahum":http://timpaniallospiedo.blogspot.com/2011/02/rotorvator-nahum-2009.html
Solo una piccola avvertenza:
nella rece per la foga ho confuso "Bridal Chamber" con "Peace on Earth", ed ecco perchè nell'intervista troverete quale miglior canzone la prima e non la seconda.
1) Ciao ragazzi, come la va? Prima di tutto, complimentissimi per aver partorito uno dei dischi più malati che io abbia mai ascoltato, fra l’altro beccandovi il voto più alto come mai successo nei 2 anni e mezzo di storia di Timpani allo Spiedo!
Ciao, noi bene, è un periodo ottimo per Rotorvator. Ti ringraziamo per tutti i complimenti in fase di recensione e per averci dato l'opportunità di fare una intervista, che tra l'altro è la nostra prima (così per me diventa un onore doppio! Nda Claustrofobia).
2) Come primo quesito, vorrei sapere dove e soprattutto come avete registrato il disco, dato che “Nahum” è così sporco da essere praticamente cacofonico. C’è un motivo preciso per il quale adesso state lavorando per una produzione più… umana? Non nascondo che mi mancheranno quelle sonorità “incomprensibili”…
”Nahum” è stato registrato direttamente da noi in sala prove con un computer ed una scheda audio. Il risultato è una via di mezzo tra quello che volevamo fosse il suono generale del disco e i limiti tecnici che avevamo: per capirci, nessun microfono da studio o cose simili.
Per il futuro abbiamo scelto di produrre in maniera leggermente più professionale lavorando con una quarta persona che si occuperà del missaggio. Questo in parte perché volevamo un suono lievemente più nitido e di impatto e in secondo luogo perché il lavoro di mix è lungo e noioso, soprattutto per noi che non siamo esperti, e toglie tempo prezioso alla realizzazione di brani nuovi. Resta il fatto che una produzione dove tutti gli strumenti si confondono nell'impasto noise rimarrà un elemento cardine del progetto.
3) Però di certo è la musica che deve dettar legge. Un black metal cupissimo e minimalista infarcito di una batteria che vira tra dosi inquietanti d’industrial e la sonnolenza del trip – hop, di martiri harsh noise che farebbero impallidire perfino le peggio bestie black/death. Tutto ciò affiancato agli elementi effettivamente più black come le chitarre e la voce, che in ogni canzone sfodera urla sempre diverse. Mi sono dimenticato forse qualcosa? Solitamente come preferite definire la vostra musica e soprattutto potrebbe essere considerata come IL black metal nella sua essenza originaria?
Noi ci definiamo black metal perché Rotorvator è nato dal desiderio comune di suonare questo genere, senza però farci limitare troppo dalla definizione. Siamo tutti ascoltatori onnivori e le influenze più svariate escono molto naturalmente; non ci poniamo paletti su cosa è ortodosso oppure no, finché il risultato ci dà le sensazioni che ci aspettiamo da un nostro pezzo. Per noi il miglior black metal è quello che riesce ad essere nello stesso tempo evocativo e tremendamente grezzo e violento: in questo senso sì, potresti dire che tentiamo di catturare l'essenza del genere, anche se probabilmente un purista non sarebbe molto d'accordo!
4) A proposito di Merlo: come fai ad adattarti così facilmente con delle voci molto differenti l’una dall’altra? E qual è veramente il fine di questa folle varietà?
La voce viene considerata alla stregua di tutti gli altri strumenti ed è finalizzata a contribuire all'impatto sonoro ed emotivo: diversificarla serve semplicemente a rendere quest'aspetto più efficace anche se, come tutto in Rotorvator, avviene in modo molto poco studiato.
5) E’ quasi scontato individuare la migliore canzone del lotto in “Bridal Chamber”, scelta determinata non soltanto da quel terrificante finale ma anche dalle tastiere angeliche che quasi fanno a cazzotti con la generale e violentissima atmosfera da rovina apocalittica. Lo vedete anche voi tale contrasto? Che genesi ha avuto la canzone?
Il pezzo ha avuto una gestazione più complessa del solito ed è forse quello più costruito a tavolino perché faticavamo a trovare una struttura che ci soddisfacesse pienamente. Generalmente i nostri brani vengono composti in modo più spontaneo, suonando assieme in sala prove e discutendo sulla direzione che il pezzo deve seguire man mano che prende forma. Quindi il contrasto c'è, ma non è stato deciso a tavolino, è venuto fuori sperimentando suoni con il sintetizzatore e, trovandolo efficace, l'abbiamo tenuto.
Crediamo che il fatto di non programmare nulla, che ci viene assolutamente naturale, sia una delle peculiarità del progetto.
6) Considero invece il vostro punto di forza la struttura che regge i vari pezzi che è di una particolarità colossale. In pratica riuscite a creare lentamente dei climax anche togliendo gradualmente alcune parti di un brano, facendolo esplodere al contrario. Siete d’accordo? Più per la precisione, c’è un motivo per cui utilizzate una metodologia simile?
Ti abbiamo risposto in parte con la precedente domanda: non escludiamo in futuro di produrre pezzi più complessi , ma per ora tendiamo a suonare nel modo più essenziale e diretto possibile perché in questo modo possiamo concentrarci meglio sulla riuscita globale dei brani. Quando le strutture sono semplici è più facile rendere efficace l'equilibrio tra pieni e vuoti del suono e mantenere la tensione giusta, il senso di minaccia che vogliamo dare. Se c'è forse una cosa che abbiamo discusso per il futuro è quello di curare maggiormente i singoli suoni, eliminando via via quelli che reputiamo superflui, in modo di raggiungere il risultato ottimale con meno elementi.
7) Ho fatto caso che tutti i titoli delle canzoni hanno un riferimento religioso oppure qualcosa che ne a che fare. Eppure nella musica non vi è quasi niente di paradisiaco. Si può sapere quindi di cosa trattate veramente nei testi e questi emotivamente parlando che legami hanno con la musica?
I testi hanno un importanza secondaria rispetto al suono in Rotorvator, sono un veicolo per incanalare al meglio la voce. Sulla prima versione registrata di ogni pezzo le urla non hanno significato, i testi poi si adattano a questi suoni gutturali.
In ogni caso trattano principalmente dell'uomo, del rapporto che ha con ciò che non comprende o accetta e dei comportamenti irrazionali che nascono da questo. Viste le premesse è ovvio che la religione sia un argomento che affrontiamo spesso.
8) Sono rimasto pressoché affascinato dal booklet nel quale disegni inquietanti si stagliano su foto evocative, una delle quali sembra rappresentare Eva tentata dal serpente. Potete rivelarci il loro significato e chi è o chi ne sono gli autori?
Il serpente e la ragazza sono collegati al pezzo “Bridal Chamber”, che tratta di come il male ed il bene siano relativi e facce della stessa medaglia… quindi probabilmente l'immagine della tentazione è stata effettivamente un'ispirazione inconscia!
9) Mi sono reso conto che sono 5 le pagine soprammenzionate, come sono curiosamente 5 le tracce. Sbaglio o a questo punto a ogni determinata pagina sono associate delle specifiche figure? Avete voluto insomma sostituire alla classica trasposizione su carta dei testi delle, per così dire, “sintesi visive” delle varie tracce?
Ci sei andato vicino: 4 figure sono associate ad i pezzi veri e propri, mentre una rappresenta Nahum. Merlo ha realizzato la grafica, scegliendo le foto e facendo i disegni:
il concept di Rotorvator si basa sull'idea di creare un'esperienza rituale, ma evitando i cliché logori del Black Metal e cercando di essere volutamente più ambigui.
Per questo lasciamo, anche nella parte visiva, che sia l'istintualità a guidare la nostre realizzazioni, evitando di caricare la grafica di significati definiti… potremmo dire, con il dovuto rispetto, un po' alla maniera dei surrealisti.
10) Come vi rapportate con la religione e perché avete scelto di prendere in esame proprio il libro di Naum? C’è una ragione dietro alla scelta di rendere “gloria” ad un profeta minore e non ad uno sicuramente più conosciuto?
Nessuno di noi crede ad alcun culto "organizzato": ognuno ha le sue idee sulla spiritualità, ma non hanno posto in Rotorvator… d'altro canto la religione giudeo-cristiana fa parte della nostra cultura e, volenti o nolenti, ne siamo permeati ed influenzati.
Il nome del disco è uscito fuori solo a registrazioni terminate, ci siamo imbattuti in Naum quasi per caso e, come spesso accade nella Bibbia che è un opera letteraria spesso molto potente e evocativa, siamo rimasti affascinati dalle immagini che descriveva, ci ha colpito come dal testo esca questo desiderio fortissimo di vedere annientati i propri nemici. Al di là della potenza delle visioni, ne esce l'immagine di un vecchio fondamentalista che ha come motore principale l'odio religioso. E questo si adattava molto alle tematiche dell'opera.
11) Un altro carattere abbastanza forte della vostra proposta proviene dalla vostra attività concertistica, più che altro perché sembra che poniate un gran bell’accento sull’aspetto teatrale della faccenda, preferendo così mascherarvi. Da cosa proviene quest’intuizione e come vedete sia possibile legare una musica così violenta al teatro? Non è che siete stati influenzati da certi gruppo post – punk?
Tutte le immagini che vedi in Rete che ci ritraggono mascherati provengono dalla stessa, singola, performance che si è tenuta all'inaugurazione di una personale del nostro amico Ericailcane (per saperne di più, basta cliccare sul seguente link: http://www.ericailcane.org. Nda Claustrofobia).L'idea e la realizzazione del travestimento è stata sua, noi abbiamo semplicemente accettato perché ci piaceva l'idea… in realtà di solito suoniamo vestiti normalmente. Siamo interessati ad una parte visiva della performance, ma abbiamo deciso di farla solo se rimane una cosa unica, pensata per una particolare occasione o progetto. Non vogliamo rimanere ingabbiati in un immagine, altrimenti il rischio è quello di diventare caricaturali. Se per influenza post-punk intendi l'idea di creare qualcosa che lambisca altri ambiti rispetto alla musica, sicuramente è qualcosa che vogliamo sviluppare in futuro, anche se Rotorvator rimane prima di tutto un gruppo musicale
12) Potete raccontarci dell’esperienza che avete avuto con la compagnia teatrale Cosmesi? Come ha reagito il pubblico di fronte ad un’alleanza così bizzarra? Riproverete a fare un esperimento del genere?
Come nel caso di Ericailcane, tutto è nato per amicizia e stima reciproca: Kabu, che si occupa dell'elettronica in Rotorvator, ha realizzato alcune delle animazioni di scenografia dello spettacolo precedente di Cosmesi, “Periodo Nero”. Per le esigenze di una scena serviva come colonna sonora qualcosa di estremamente violento, e lui ha proposto “Abiura”, un pezzo del nostro primo EP. Da lì il passo è stato breve: i ragazzi di Cosmesi ci hanno proposto di partecipare attivamente alla realizzazione dello spettacolo successivo e da lì è nato “NeroEP”.
Sin dal principio sia noi che Cosmesi ci siamo resi conto che la cosa avrebbe funzionato solo se non ci fossimo improvvisati attori, ma avessimo fatto l'unica cosa che sappiamo fare, suonare dal vivo: i ragazzi sono stati fantastici a costruire la performance attorno alla nostra musica… non è molto facile creare della azioni teatrali quando nel frattempo sta suonando una musica così assordante e violenta!
Lo spettacolo è stato fatto dal vivo per 3 giorni consecutivi durante il festival di Santarcangelo; tieni conto che è una manifestazione molto popolare in una zona turistica, quindi abbiamo suonato davanti a moltissime famiglie, non proprio il nostro pubblico ideale! Nonostante tutto è andato molto bene e svariate persone, che per loro stessa ammissione mai e poi mai avrebbero ascoltato la nostra musica, ci hanno detto di essere rimaste colpite dall'impatto emotivo della performance.
Per noi l'esperienza è stata fantastica: poter lavorare nel mondo del teatro sperimentale, che noi conoscevamo solo superficialmente, ci ha permesso di vedere la nostra musica da un punto di vista completamente nuovo e ci ha dato un sacco di spunti per il futuro… poi, finito l'ultimo degli spettacoli, vedere Mauro (il chitarrista) completamente ubriaco ed euforico vagare per il centro di Santarcangelo è stata una gioia per gli occhi!
Quasi sicuramente ci saranno delle repliche durante l'estate 2011, anche se dimensioni e costi dello spettacolo non lo rendono certo facile da proporre, sopratutto in questo periodo di tagli estremi alla cultura.
Ci interessano le altre forme di espressione e quindi troviamo molto stimolante confrontarci con realtà che apparentemente hanno poco a che fare con Rotorvator: siamo sempre ben disposti a lavorare in altri contesti e quindi se riceveremo nuove proposte di questo tipo le valuteremo sicuramente. L'unica cosa importante è non tradire il concept del gruppo o la nostra musica.
13) Oltre ad essere ossessionati letteralmente dal teatro, alcuni di voi (se non erro specialmente Merlo) si dilettano nella pittura. E pure qui la mente mi rimanda al post – punk!
In realtà non siamo ossessionati dal teatro, come avrai capito le nostre collaborazioni nascono con amici, persone con cui condividiamo delle idee. Ognuno di noi per hobby o lavoro si dedica alle arti visive, ma l'unico che lo fa assiduamente è Emanuele Kabu. Se vai a vedere il suo sito, potrai capire da dove vengono certi aspetti psichedelici di Rotorvator (http://www.emanuelekabu.org. Nda Claustrofobia)!
14) Una mera curiosità: siete per caso degli squatter? Magari anche di matrice anarchica?
Questa ci ha fatto sorridere! Siamo tre persone che fanno una vita normalissima, anche se un po’ di sano spirito anarchico ci accomuna sicuramente…
15) Cosa bolle nella pentola dei Rotorvator? Come sta andando lo split con Rhuith?
Quest'anno aspettati un bel po' di novità da Rotorvator!
Ci teniamo a precisare che il progetto con Rhuith non è uno split, ma una vera e propria collaborazione. XV è venuto a trovarci a Belluno, ci siamo chiusi due giorni in sala prove con svariate casse di birra e il risultato è un mix di improvvisazione ed editing, magari frammentario per sua stessa natura, ma di cui siamo molto orgogliosi. La cassetta è appena uscita su Dokuro (la Dokuro Records è un’etichetta che si occupa della musica elettronica più folle in circolazione. Per saperne di più: http://www.dokuro.it. Nda Claustrofobia). Ci sarà sicuramente un seguito, non abbiamo ancora nulla di definito, ma ci frullano in testa diverse idee.
A proposito di Dokuro, un'altra collaborazione che faremo prossimamente è con Nodolby, la persona che sta dietro all’etichetta: è un amico e ci piace molto quello che fa, inoltre Kabu ha suonato con lui per quasi 10 anni in un progetto di musica elettronica quindi una cosa assieme è d'obbligo!
Se tutto va bene a Settembre dovrebbero esserci due uscite come Rotorvator. Per primo uno split 10" con i Carlomargot, un duo di musica elettronica, per la Frohike Records e poi il nostro nuovo disco per Crucial Blaze, una serie della Crucial Blast che si occupa di sonorità affini al black metal.
16) L’intervista è finita. Adesso potete sputare liberamente ogni vostro grillo da tempo residente dentro la testa!
Spesso veniamo percepiti come un progetto più legato al mondo dell'arte che alla musica: tutto questo è fuorviante perché il nostro scopo principale è suonare nel modo più devastante possibile!
Quindi chiunque sia interessato a organizzare un nostro concerto, si metta in contatto… non vediamo l'ora di rovinarvi i timpani!
http://www.youtube.com/watch?v=GJDeJXA64Ks
http://soundcloud.com/rotorvator/abiura
http://www.youtube.com/watch?v=MdDqvJmXUSM