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Friday, January 29, 2010
Sacradis - "Damnatio Memoriae" (2008)
1. INTRODUZIONE.
Sono sempre perennemente meravigliato dalle sensazioni che la musica riesce a scatenarmi nella mente, avvolgendomi tutto, e nello stesso tempo divento di pelle d’oca pensando al fatto che da degli strumenti che nulla hanno di umano possano nascere anche emozioni così forti, magari in sé non esattamente positive, da riuscire addirittura ad immergermi in una specie di pace, come se mi trovassi in mezzo alla Natura, mia musa, e ciò mi succede particolarmente con il black metal (che bel paradosso!). E proprio un gruppo come i Sacradis, conosciuti, strano a dirsi, attraverso Rock Hard, secondo me riescono completamente in tale impresa, per quanto siano violenti ma anche e soprattutto di difficilissimo ascolto ed intrisi di una negatività distruttiva. Ma questa, a mio avviso, è Arte nella sua suprema essenza, ossia una cosa che trasforma tutto l’insieme in bellezza, anche perché trattasi di espressione costruttiva e libera dei singoli.
2. PRESENTAZIONE ALBUM.
Tra le varie uscite dell’A.D. 2008 figura orgogliosamente, pubblicato presso la Behemoth Productions, “Damnatio Memoriae”, secondo album dei non esattamente prolifici Sacradis, nati nel 1996 in quel di Genova ed all’epoca dell’ultima opera (sì perché adesso solo i due chitarristi ed il batterista sono rimasti nel gruppo) formati da cinque ragazzacci (Kadath voce, Ülfe ed Eligor chitarre, Winternius basso, e Lord of Fog batteria) pittati ed iper-chiodati manco fossero i Bestial Warlust. E quello che loro hanno creato con quest’album per me è qualcosa di stupefacente. Esso risulta composto da 8 pezzi (compresa l’intro), che dal punto di vista del minutaggio mi paiono tradizionalmente della musica che i nostri suonano, dato che il tutto si esplica attraverso la bellezza di circa 51 minuti, e quindi penso che già qui incominciano i dolori per molta gente. Dolori che probabilmente possono aumentare se inizio a parlare del suono dei Sacradis, che a mio parere è sostanzialmente un black metal svedese (seppur io senta qualche eco dei vecchi Gorgoroth qui e là) che è, come ovvio per moltissimi gruppi che suonano simili, tecnicamente preparatissimo, decisamente vario e fantasioso, ed orientato solitamente entro angoscianti blast-beats anche se, rispetto a gruppi come i vecchi Marduk ed i Dark Funeral, piuttosto frequenti sono i tempi medi come per esempio succede in “Epitaph of the Martyr”. Riguardo il lato prettamente strutturale, i vari pezzi mi sembrano tremendamente strabilianti, oltre a non confondersi fra di loro, dimostrando quindi a mio parere una personalità propria ben definita. Prima di tutto, devo segnalare che le soluzioni non solo sono spesso lunghe (anche se qui raramente vedo passaggi come quelli dei Dawn, se si eccettua, tra gli altri, quello iniziale di “Supremacy of Conscience”, della durata di qualcosa come circa 24 secondi!) ma esse possono essere talvolta interessate da variazioni, molto brevi, fulminee ed imprevedibili, insomma a mio avviso vere e proprie improvvisazioni degne del jazz, delle stesse, giusto il tempo per permettere a qualunque strumento di esprimersi senza vincoli, e creando così ulteriormente quell’atmosfera tempestosa che personalmente respiro in continuazione, e che a volte, proprio a causa di simili tecniche, sfocia in una specie di caos seppur controllato. Bisogna dire però che spesso una stessa soluzione viene variata in modo più fisso (ossia, senza offrire agli ascoltatori quelle improvvisazioni brevissime di cui sopra) magari più e più volte, come avviene nella parte centrale di “Epitaph of the Martyr” oppure nei momenti finali di “Thy Celestial Legion”. I pezzi dei Sacradis risultano, se non sbaglio, costituiti dalle 3 (“Epitaph of the Martyr”) alle 6 soluzioni (“Damnatio Memoriae”), alcune delle quali vengono modificate soprattutto a livello ritmico, e di solito, durante il discorso musicale, ne vengono riprese soltanto 2 (il massimo è invece rappresentato da “Olocaustum” con 3) e nonostante sia assente di solito un qualsiasi schema strofa-ritornello, i primi minuti dei pezzi del gruppo sono dominati almeno da un passaggio (cosa che invece non succede invece proprio per “Damnatio Memoriae”) e che sono spesso e volentieri caratterizzati da una sequenza a due soluzioni che si ripetono consequenzialmente almeno una volta (“Epitaph of the Martyr”, “Perversions and Treacheries”, “Olocaustum” e “Redemption”) anche se in tutte le occasioni come minimo una di esse viene modificata ritmicamente. Inoltre, i passaggi iniziali si ritrovano quasi sempre pure nei momenti finali delle canzoni (eccetto per la sola “Thy Celestial Legion”), e solo in due casi (“Damnatio Memoriae” e la lunghissima “Olocaustum”) non le finiscono direttamente loro. Prima ho scritto che le soluzioni sono spesso molto lunghe anche perché le battute a cui esse sono sottoposte possono essere 6 (esempi lampanti sono “Damnatio Memoriae” oppure “Thy Celestial Legion”) od anche addirittura 8 (“Epitaph of the Martyr”, “Olocaustum”), confermando così la natura dei blackettoni a dilatare per molto una stessa identica soluzione, presentando una voglia sadica verso l’ascoltatore bella notevole. Nonostante ciò però, l’andamento in generale mi sembra comunque sempre ottimamente dinamico, ma questo si leggerà prossimamente. Adesso parliamo della produzione, che mi piace particolarmente. Le frequenze sono concentrate sui medio-alti, e quindi consiglio agli interessati di ascoltare l’album regolando il volume in modo da non sfasciarsi le orecchie, seppur già allenate. Notevole il lavoro circa il bilanciamento degli strumenti, dove mi pare siano stati messi in risalto soprattutto le chitarre ed il basso, ma credo che si poteva fare di meglio con la batteria, un po’ sottotono rispetto agli altri strumenti, considerando soprattutto che il rullante, molto sporco e grezzo in maniera simile a quello di “The Flag of the Inverted Cross”, demo da me da poco recensito dei Violent Assault, solo forse un pochino meno presente, e ciò in particolar modo nell’inizio di “Epitaph of the Martyr”. La situazione peggiora se penso alla cassa, probabilmente troppo in ombra (o sono sordo io?), ma per il resto, la produzione è devastante, bella sporca però comprensibile, facendomi ricordare un po’ quella di “Wings of Antichrist” (pure qui il basso è in ottima evidenza) degli svedesoni Triumphator.
3. L'INTRO.
L’album inizia con un’intro a mio parere decisamente inquietante, dato che prima si sente una specie di vento (ma non lo è), un suono cupo che va e viene, accompagnato da una campana a morto, e poco dopo si fa viva pure una pioggia incessante ed una lamentosa chitarra acustica che intona arpeggi minacciosi e che si fermano e ripartono praticamente in continuazione. Questa è la classica “calma” prima della tempesta, dato che, dopo quasi 2 minuti, parte a raffica e senza pietà “Epitaph of the Martyr”, e qua iniziano i dolori per le “malcapitate” orecchie dell’ascoltatore.
4. ANALISI STRUMENTI.
Finalmente, è l’ora dell’analisi strumento per strumento, e com’è ovvio da mesi, si parte dalla voce. La prova del nostro Kadath mi convince pienamente, intenso e devastante, ma anche molto vario e fantasioso nei vari vocalizzi usati. Di solito, la voce è divisa fra delle urla classicamente black metal, molto possenti, e che talvolta riescono a risultare ben più alte al limite dell’isteria più autentica, come avviene nel finale di “Thy Celestial Legion”, e dei grugniti spesso e volentieri belli rozzi ed ignoranti e non particolarmente bassi, che possono sfociare addirittura in veri e propri gutturalismi vomitati (“Olocaustum”). Ma qua il lavoro, e non poche volte, mi sembra esser stato infettato dai vocalizzi particolari di Arioch (o Mortuus a seconda delle circostanze) dei Funeral Mist/Marduk, rendendo così a mio avviso ben più malato e folle tutto l’insieme, anche perché Kadath mi pare quasi si sforzi ad eruttare questo tipo di voci, e credo che possa bastare come esempio soprattutto “Thy Celestial Legion”, sfoggiando secondo me qualcosa che ha del doloroso e del ritualistico, come cercando di cancellare dal proprio corpo e dalla propria mente il fantasma del cristianesimo e di dio, nemici giurati dei Sacradis e di mille altri blackettoni. Ma non mancano neanche parti vocali più pulite ma a mio avviso sempre azzeccate (“Epitaph of the Martyr”, prima in modo più aggressivo e potente, poi quasi nel finale in maniera narrativa ed evocativa, risultandomi quindi in entrambe le situazioni di grande e suggestiva efficacia), come anche dei sussurrii (o qualcosa del genere) nella lunghissima “Olocaustum”, aumentando così per quanto mi riguarda l’aura di malvagità abissale che permea la musica del quintetto genovese. Un aspetto che mi interessa molto è l’effetto-lontananza, come per rappresentare idealmente la natura del misantropo che tenta in ogni modo, lecito o meno, la propria non-appartenenza a tale società che lo soffoca, ma degno di menzione secondo me è pure il riverbero alla voce, forse con l’intento di simboleggiare il messaggio del misantropo di cui sopra che si protrae con violenza nei secoli ma altresì poco comprensibile alle umani genti. Faccio notare inoltre che in “Thy Celestial Legion” ed “Olocaustum” ad un certo punto le urle sono sovraincise, potenziando in tal modo da parte mia la potenza già tirata fuori in abbondanza, seppur nel secondo brano, se non sbaglio, la sovraincisione è su toni leggermente più bassi e catacombali, anche se sempre di parti urlate si tratta. Insomma, la voce, come si legge, non rimane fissa su uno stesso tono, ma cerca, pure se non si sta parlando secondo me del ben più passionale Seb dei Bloodshed (sto facendo un paragone con un altro gruppo che ha partecipato a “Timpani Allo Spiedo”), di variare con una buona frequenza offrendo così a mio avviso maggior intensità. Devo fare i complimenti anche alla costruzione delle linee vocali, le quali penso che siano sempre belle spacca-ossa e senza pietà alcuna, mostrando talvolta un isterismo devastante. Discorso chitarre: apprezzo moltissimo il loro lavoro. Spesso e volentieri esse offrono delle angoscianti melodie, che alle volte mi ricordano una versione più dissonante dei Dawn (come in “Damnatio Memoriae”), mentre in altre occasioni il tono si fa più epicheggiante, e da questo punto di vista un esempio lampante credo sia “Perversions and Treacheries” (brano di cui parlerò in maniera diffusa prossimamente). I riffs, lontani a mio avviso sia dalla “semplicità” di formazioni quali i Dark Funeral ed i Marduk, ma anche dalle note beffarde di certe cose più tecniche degli Handful of Hate (italiani ma vabbè…) e dalla monumentalità dei già citati Dawn, sono sì di solito lunghi e complessi ma faccio notare che molte soluzioni sono divise in due parti simili. Le due asce mi si dimostrano piuttosto fantasiose nel proporre varie soluzioni, ed infatti in brani come “Epitaph of the Martyr” e “Damnatio Memoriae” sento piacevolmente qualcosa che si avvicina molto al black metal depressivo, seppur in modi molto diversi fra loro, dato che nel primo caso il riff è proposto in maniera arpeggiata e di una cattiveria devastante, e credo che qui ci sia un plagio ai Tenebrae in Perpetuum di “Antico Misticismo”, mentre nel secondo l’impronta si fa più disperata e melodica, con un uso maggiore delle pennellate (ma anche gli arpeggi non mancano). Delle parti arpeggiate, molto angoscianti e disturbanti, assolutamente senza nessun misero grammo di melodia, ci sono anche nella canzone che reputo la più inquietante di tutte, ossia “Redemption” (che tratterò a parte in modo più diffuso, e non sempre con parole lusinghiere). Solo in poche occasioni vengono eruttate soluzioni maggiormente semplici e d’impatto, come una presente in “Damnatio Memoriae”, e per non parlare invece dei riffs stoppati, a volte terribilmente dissonanti, i quali a mio parere sono molto particolari per uscite del genere, che si trovano minacciosi nella snervante (in senso positivo) “Perversions and Treacheries”. In “Supremacy of Conscience” è contenuta una soluzione a mio avviso originale per una formazione di puro black metal, considerando soprattutto la sua struttura contorta e, di conseguenza, la sua imprevedibilità ritmica. Mi sono reso conto che di riffs dal sapore maggiormente groovy ce ne sono davvero pochi, dato che qui ci si preoccupa più che altro di spaventare i timpani dell’ascoltatore con un lavoro piuttosto dinamico e strutturato, ma una parte, appunto, groovy per me da menzionare specialmente si fa viva in “Epitaph of the Martyr”, dove una chitarra dai toni bassi e “gracchiati” (e come si esprime mi ricorda terribilmente – qua forse bestemmio! – certo black metal sinfonico) lotta con quella solista. Quest’ultima è particolarmente importante, visto e considerato che spesso e volentieri fa bella figura di sé, seppur non quasi continuamente come i Bestial Warlust di “Vengeance War ‘Till Death” hanno insegnato. Ma sono abbastanza tanti i momenti in cui essa si fa sentire durante il discorso musicale, sia che si tratti di incastonarsi con quella ritmica (“Epitaph of the Martyr” se non sbaglio) che di dominare sull’altra chitarra (che per la verità mi sembrano 2 asce, e da questo punto di vista credo che il massimo esempio sia rappresentato da “Olocaustum”), scegliendo, seppur più raramente, di diventare un assolo vero e proprio, a volte quasi impercettibile, come negli attimi finali di “Epitaph of the Martyr”. In effetti, la chitarra solista in non poche occasioni è praticamente nascosta, così che per l’ascoltatore più esigente diventi un divertimento ulteriore scoprire le gemme dell’abisso musicale dei Sacradis. Un’altra bellezza che ho rintracciato dell’uso dell’altra ascia è che così facendo viene creata un’atmosfera molto più oppressiva, facendo immaginare al sottoscritto mille tempeste che mi si avventano contro da tutte le direzioni possibili, mosse da chissà quale mano invisibile e mostruosa. Segnalo inoltre che nella lunghissima “Olocaustum” c’è un certo punto in cui le chitarre vengono manipolate, partorendo così secondo me un’atmosfera che definirei liquida, quasi psichedelica (nel black? Eh sì), momento che però a mio parere non è completamente riuscito ma di ciò ne riparlerò. Ed ora passiamo al basso, strumento particolarmente curato dai Sacradis, anche perché, in controtendenza a più o meno tutto il black metal, risulta in buonissima evidenza (ed io dico finalmente!). Cosa che per quanto mi riguarda si è dimostrata utile non soltanto per far entrare, con il suono greve del basso, ancora di più l’ascoltatore nell’atmosfera maligna e fredda di “Damnatio Memoriae” ma anche per assaporare per filo e per segno gli interventi molto fantasiosi di tale strumento che in tale genere spesso non trova una giusta espressione, andando così tra l’altro coerentemente con tutto l’insieme, molto tecnico, della musica. Infatti, qui il nostro bassista Winternius riempie il discorso creando delle melodie che nelle chitarre non ci sono affatto, ed a tal proposito penso che valgano come principale punto di riferimento “Epitaph of the Martyr”, “Damnatio Memoriae” (dove si inventa un impasto sonoro che mi pare giocoso, quasi allegro!) ed “Olocaustum”. Sinceramente sarei molto curioso di un esperimento del basso con un vero e proprio assolo, magari per rendere ben più cupo il discorso, con tante note diverse che avvolgono minacciosamente l’ascoltatore, e quindi credo che da questo punto di vista i margini di miglioramento ci stanno. Nonostante però la sua importanza nella musica del gruppo, al basso sono attribuiti rarissimi spazi di manovra in cui si erge solitario soltanto lui, come avviene nell’intervento brevissimo ma molto efficace presente in “Supremacy of Conscience”, e l’uso di tale tecnica mi riporta a tutto tranne che al black metal, quindi qua ipotizzo influenze esterne a tale genere. Per quanto riguarda invece la batteria, secondo me Lord of Fog è un batterista a dir poco eccezionale. Il suo stile mi rimanda ad una via di mezzo fra quello di Karsten Larsson, ossia il primo batterista dei Dawn, e Markus Hellcunt quando soprattutto suonava con i Bestial Warlust, gruppo ben diverso dai Sacradis, e mi pare completamente perfetto per la musica del quintetto italiano. Infatti, le evoluzioni fantasiose ed assolutamente imprevedibili del nostro a mio parere si amalgamano decisamente bene con l’isteria di tutto l’insieme, potenziandolo, anche sfoggiando dei tempi che mi paiono computerizzati per quanto sono veloci ed impressionanti, facendomi così immaginare ulteriormente una tempesta di una potenza inarrestabile e di sentimenti tremendamente battaglieri. In tal modo, il lavoro riesce ad unire secondo me la potenza di cui sopra con la tecnica e la fantasia, e del resto le prime due sono caratteri piuttosto fondamentali per il black metal svedese. Una carica che mi prende ancora di più se si pensa agli stop ‘n’ go offerti dalla batteria, soprattutto durante gli stacchi, ma essi sono possibili da sentire addirittura nello stesso discorso musicale, come si può sentire ad un certo punto nella prima ”Epitaph of the Martyr”. Personalmente, Lord of Fog se la cava egregiamente in tutte le direzioni, sia nella costruzione di patterns sui tom-tom (come in “Supremacy of Conscience”) che giocando sul charleston, che spesso e volentieri non è continuo come lo è il rullante e la cassa (vabbè, insomma, si seguono tempi diversi contemporaneamente talvolta), offrendo quindi anche tempi che si incastrano senza che io rintracci delle sbavature fastidiose, e partorendo in tal modo a mio parere pure dei discorsi molto poco comuni nel black metal, e segnalo che di tempi lenti ce ne sono terribilmente di pochissimi, se non rari come, seppur non con continuità, in “Olocaustum”, ed in misura maggiore in “Epitaph of the Martyr”. Insomma, il black metal sarà la fucina metallica dei musicisti in erba, come spesso il genere viene disegnato, ma devo dire che quelli iper-tecnici ed amanti delle variazioni continue non mancano proprio, come è giusto che sia secondo me, e credo che è una gioia per molti sentire questo batterista dalle doti pazzesche, per tutte le invenzioni imprevedibili che Lord of Fog riesce a regalare con una facilità disarmante. Ma faccio ricordare che nella musica dei Sacradis non solo sono presenti gli strumenti tradizionali del metal estremo, ed infatti, in “Supremacy of Conscience” si fanno vive delle tastiere, tra cui pure un semplice e cupissimo pianoforte, regalando così a mio avviso maggior atmosfera al tutto.
5. LA MIGLIORE CANZONE.
Trattando invece ora la canzone che mi è piaciuta più di tutte, non posso far altro che proferire devozione per “Perversions and Treacheries”. Ma perché ho scelto curiosamente per la canzone più breve del lotto (circa 4 minuti di musica)? In effetti, mi è stato un po’ difficile sceglierla considerando che pure gli altri pezzi sono mediamente qualitativamente ottimi, ma riallacciandomi un po’ con l’introduzione, “Perversions and Treacheries” dal punto di vista emozionale mi prende parecchio, in quanto qui avverto un alone epico e tempestoso, una carica terremotante, anche piuttosto continua, che difficilmente trovo negli altri episodi dell’album (tranne, seppur in maniera quantitativamente minore, in “Olocaustum”), un vento freddo e disperato che cerca in ogni modo di avvolgere l’ascoltatore per inghiottirlo tra le sue impossibili fauci. Per non parlare invece della struttura del pezzo, che a mio parere è molto interessante. Prima di tutto, se non sbaglio, la canzone è caratterizzata dalla presenza di 5 riffs i quali sono stati strutturati attraverso il seguente schema: 1 – 1 mod. – 2 – 1 mod. – 2 mod. – 3 – brevissimo stacco di batteria – 4 – 5 – stacco di chitarra - 1 – 1 mod.. Per quanto riguarda il finale del brano nulla di (solo apparentemente) particolare, dato che vengono ripresi praticamente i primi passaggi. Invece, circa la struttura iniziale, essa può risultare inizialmente un pochino classica per i canoni metal, la quale risulta caratterizzata da una sequenza a 2 soluzioni che si ripetono consequenzialmente almeno per una volta, ed in teoria tutto ciò non dovrebbe far paura. Ed invece no! Infatti, nella seconda occasione in cui il secondo riff si fa vivo viene data in pasto agli ascoltatori una variazione ritmica al tema, trasformando i blast-beats di prima in un tempo medio abbastanza mosso e dinamico, fondato molto sull’uno-due, ed a mio avviso tale scelta è stata veramente azzeccata, così da vivacizzare ancora di più nel momento giusto il discorso musicale, rendendolo in tal modo maggiormente epico e battagliero e preannunciando così l’impennata della parte centrale. Interessante comunque secondo me pure la seconda volta in cui la modificazione, stoppata, del 1° riff si fa viva, considerando che nell’ultimissima sua battuta viene variata, seppur in modo quasi impercettibilmente, proponendo così anche note dissonanti a quelle principali, cosa che invece viene concretizzata in maniera evidente nell’ultima apparizione dell’iniziale soluzione. Inoltre, mi piace moltissimo anche la variazione del riffing nella seconda battuta del passaggio n°4, una variazione che tra l’altro è più dinamica rispetto alla prima botta, pur muovendosi intorno alle stesse linee di partenza. Ma non è finita qui! L’ennesimo pregio che rintraccio in tale brano è il fatto che in esso i classici stacchi di chitarra, una costante dello stile sonoro dei Sacradis, non mi sembrano poi così frequenti come negli altri pezzi, ed infatti qui ce n’è soltanto uno quasi nel finale, nella ripresa del tema in cui è partito il discorso, offrendo invece nella parte centrale un lancinante ed ultra-minuscolo ma efficacissimo stacco di batteria, che rende a mio parere molto più intenso tutto l’insieme.
6. IL PRINCIPALE PUNTO DI FORZA.
Ed ora tocca al principale punto di forza della musica del gruppo in questo “Damnatio Memoriae”, e devo dire che la scelta mi è stata alquanto difficile, dato che i Sacradis ne hanno parecchie di frecce al proprio arco, ma se proprio devo decidere allora scelgo per il fantasiosissimo basso, che qui viene sfruttato a dovere riempiendo il discorso musicale con melodie fresche e dimostrando una notevole indipendenza dagli altri strumenti, e ciò rappresenta una rarità nel marcio e cinico mondo del black metal. Questa è assolutamente la prima volta che prendo come principale punto di forza il basso, ma fatemi dire una cosa: le sue improvvisazioni non sono per caso state influenzate dalla tradizione jazz?
7. LE INTRO.
Vorrei segnalare inoltre una secondo me interessante caratteristica dei Sacradis: le intro. Infatti, di tutte le canzoni, soltanto “Epitaph of the Martyr”, “Perversions and Treacheries” e “Redemption” non vengono introdotte da suoni più o meno d’atmosfera non propriamente metal, dato che la prima parte con tutti gli strumenti già a manetta compresa la voce, mentre la seconda con una rullata sempre più potente di Lord of Fog, e “Redemption” inizia con la musica che aumenta lentamente di volume. L’assalto di “Damnatio Memoriae” viene introdotto da una voce bassa e che definirei vomitata, un po’ tra il dolore ed una sfacciata beffa, “Thy Celestial Legion” da delle campane di una chiesa, accompagnate da un suono continuo ma non fastidioso (e da tonfi non ben identificati) e poco dopo da una voce pulita lontana, che mi sembra fare il verso alla messa oppure a qualcosa che preannuncia minacciosamente la fine del vaticano et similia. L’intro di “Supremacy of Conscience” è quella più lunga (è l’unica che raggiunge e supera di circa 20 secondi l’un minuto), anche perché è l’unica veramente strumentale che si ritrova dato che ci sono delle evocative e monumentali tastiere e pure quello che è uno strumento a corda, credo una chitarra non molto amplificata (o è un basso?), la quale ha un suono greve e poco raccomandabile, intenta prima a suonare continuo, poi un pochino più lenta. Inoltre, qui si sentono pure dei cupi sussurrii, come il male che si prepara ad uscire dal buio, nonché versi che mi ricordano tanto la giungla. “Olocaustum” possiede probabilmente l’introduzione più malata di tutte, visto e considerato che in tal caso si sentono varie voci sovraincise, tra urla, grugniti e vocalizzi manipolati che diventano via via sempre più insistenti, dominando su quel suono continuo ed acutissimo che invece poco prima era il principale protagonista. Tra l’altro, nell’inizio è presente anche uno strumento a corda, una chitarra penso che con il passare dei secondi si sente sempre di meno, seppur non venga eliminata. A dire il vero considero una simile intro non azzeccata per “Olocaustum,” in quanto penso che quest’ultima abbia toni più disperati e con dei tocchi epici (ma non come in “Perversions and Treacheries”), e più che altro mi sembra adatta per la seguente “Redemption”, ed il perché ve lo dirò fra pochissimo.
8. ALTRI DIFETTI.
Purtroppo però c’è qualcosina che non apprezzo particolarmente, e ciò va oltre gli stacchi, talvolta a mio avviso fin troppi, e della batteria, non così presente rispetto agli altri strumenti. Mi accingo insomma a parlare proprio di “Redemption”, che prima di tutto mi fa venire in mente un’importante considerazione: è l’unico pezzo dalla produzione leggermente diversa se lo si confronta con quella che caratterizza i restanti brani, dato che qui il basso si sente pochissimo, se non per niente, e questo è veramente un peccato, in quanto esso mi risulta fondamentalissimo per la stessa atmosfera che riescono a dare al sottoscritto i Sacradis. Tra l’altro, le stesse frequenze, se non erro, sono leggermente più basse del solito. A proposito di atmosfera, esso si segnala secondo me come l’episodio maggiormente folle, malvagio ed a-melodico di tutto l’album, basato com’è su riff spesso disturbanti (a volte anche piuttosto particolari per un gruppo black), pure su arpeggi terribilmente dissonanti da pelle d’oca, ed il tutto neanche si esprime per quanto riguarda i tempi entro elucubrazioni di blast-beats, dato che stavolta ci si adagia di solito su terrificanti tempi medi, pure piuttosto groovy, nel più tipico senso black metal. Altresì, dal punto di vista strutturale, il brano risulta caratterizzato all’incirca dal seguente schema, che accenna spesso e volentieri una (apparententemente) classica sequenza strofa-ritornello (segnalo che alcuni passaggi vengono un pochino variati): 1 – 2 – 1 mod. (in blast-beats) – 2 – 3 – pausa - 4 – 5 – 2 mod. (in blast-beats e con il riffing leggermente rivisto). Faccio notare che tra il passaggio n°5 e la ripresa del 2° avviene a mio parere il cosiddetto “patatrac”, visto e considerato che il volume della musica si abbassa lentamente, alzandolo poco dopo, e la prima parte della formula viene ripetuta durante i momenti finali, con il discorso che finisce proprio entro questo abbassamento. Notevole la somiglianza a tal proposito con la strumentale “Within the Storm” dei Bestial Warlust nell’album “Blood and Valour”, solo che in tale occasione l’effetto mi pare ottimo e distruttivo, mentre nei Sacradis non mi dice effettivamente niente di niente, non mi colpisce nel punto giusto, forse anche perché “Redemption” non lo ritengo quale brano indispensabile, e se penso infatti che la lunga “Olocaustum” bastava ed avanzava per finire l’album, considerando inoltre il suo pazzesco e vorticoso finale rappresentato dal feedback delle chitarre con seguente e lugubre silenzio, impiegando ben 2 minuti per porre una conclusione, allora credo decisamente che il pezzo da me accusato si poteva pure risparmiare. Ma tant’è…Tra l’altro, ritornando all’effetto psichedelico sulle chitarre, Kadath, durante quell’occasione, si mette ad urlare, per poi essere inghiottito da un effetto come di risucchio che lega bene con quello innestato sulle chitarre, eppure, sarà un’inezia, non mi piacciono le urla che sputa in quei determinati momenti, dato che non le considero molto coerenti con l’effettistica proposta, e forse ci si poteva provare con dei sussurrii ma non con voci ultra-aggressive come quelle solite del nostro cantante.
9. CONCLUSIONE
Tirando le somme, “Damnatio Memoriae” è un album a mio parere di tutto rispetto, tempestoso e senza pietà alcuna per nessuno, inneggiante spesso tempi sparati a mille come se non ci fosse più un Domani, ed intenso e d’impatto come pochi, l’ennesima ottima prova della competitiva scena black della nostra cara penisola, che secondo me di anno in anno migliora sempre di più (ma anche negli anni ’90 non scherzava affatto). Certo, rintraccio problemi di natura compositiva e di produzione, ma per quanto mi riguarda è purtroppo particolarmente importante il brano finale, che lo considero un vero e proprio riempitivo, non finendo così dignitosamente un album spacca-ossa, e di ciò il voto che vedrete più sotto ne risentirà ahimè profondamente. Comunque, vi consiglio di sentire quest'album con calma, senza divorarlo subito, essendo pieno di dettagli che difficilmente si possono sentire a primo acchito, ma anche perchè è bello brutale e con pezzi lunghissimi, come già ampiamente osservato. Attendo con impazienza il prossimo lavoro dei Sacradis, che a quanto ho capito è attualmente in fase di composizione.
Voto: 82
Claustrofobia
Tracklist:
1 – Intro/ 2 – Epitaph of the Martyr/ 3 – Damnatio Memoriae/ 4 – Thy Celestial Legion/ 5 – Supremacy of Conscience/ 6 – Perversions and Treacheries/ 7 – Olocaustum/ 8 – Redemption
MySpace:
http://www.myspace.com/sacradis
Sito dell’etichetta:
http://www.behemothproductions.net