I Devastator A.D. 2010 sono qualcosa di spaventoso, ed ovviamente in termini molto diversi da quelli che si potevano usare quando in formazione c’era ancora quel pazzo di Albe a dare manforte grazie ad un comparto vocale versatile come pochi. Le sonorità hanno infatti conosciuto un ennesimo cambiamento piuttosto importante così da rendere l’ormai terzetto toscano ancora più interessante per quanto riguarda il cammino evolutivo della propria musica, pressoché imprevedibile. Un cammino sempre in crescendo e quindi perennemente colmo di sorprese senza mai perdere un preciso stile di far musica che pretende un monolite d’intensità sterminatore di ogni potenziale prigioniero.
Tale nuova strada la si intende a partire dalle liriche, che ora sono finalmente in un italiano spacca-ossa privo di quella tendenza al surreale caratterizzante il precedente e magnifico album “Underground ‘n’ Roll”. In tal modo, le liriche sono diventate più esplicite e dirette, anche perché in non poche occasioni viene utilizzato sprezzantemente il “tu”, pretesto sicuramente più brutale per prendere di mira l’assurdità della storia che sta dietro alla Madre di Dio (“Vergine”), la standardizzazione della musica e dei testi al volere della grande industria che permette la vittoria di premi alquanto inutili (“La Bella Musica”), l’umiliazione di sborsare fior di euri alle agenzie pur di dar sfogo alla propria suprema passione (“Sfilata di Moda” in cui c’è fra l’altro un riferimento non poi così sottile sulla questione dell’acqua privata), mentre “Sono un Terrorista” è una celebrazione rabbiosa del proprio essere anti-conformisti e pro-verità lanciandosi in anatemi contro i masochisti della società.
Ovviamente, vista la tipologia corrente delle liriche che comunque non mancano di un umorismo seppur bello duro e senza pietà, l’assalto vocale del chitarrista Rob (sopra) non esita a farla sottolineare attraverso dei vocalizzi ringhianti talvolta urlanti che spesso e volentieri sembrano una versione potenziata dell’ignoranza nichilista del punk-Oi! (mi vengono in mente soprattutto i palermitani Senza Tregua), e nel frattempo il batterista Luca (altrimenti detto Luke, sotto) gli dà una preziosa mano facendo quasi da eco oppure ponendo le basi di un coretto dai contorni animaleschi. In pratica non ci sono voci pulite come nel recente passato, a parte quelle spassose stile telefonata di “Sfilata di Moda” e quei sussurrii inquietanti di “Vergine”, ed è stato scarnificato per l’occasione anche il discorso riguardante le linee vocali, probabilmente meno veloci di quelle di Albe e più monotone (ciò è da rapportarsi soltanto alle variazioni tonali), preferendo quindi per un approccio stavolta decisamente più spontaneo e intollerante.
Cosa questa che però si mette forse un po’ in contrasto con il resto della musica. Va bene, la chitarra sforna un’aggressività ed una cupezza (“Sono un Terrorista” ne è il pezzo esemplare) che nella precedente opera erano soltanto passeggere, ed i ritmi sono così indiavolati senza sparare ancora una volta nemmeno un millisecondo di blast-beat assassino ma in generale dell’attacco in sé non è stato sottratto in sostanza niente. Osservazione abbastanza ambigua e da ridimensionare se per esempio si pensa che le drogate e frequenti incursioni nel rock’n’roll sono state praticamente debellate, eppure la riterrei giusta in relazione alla varietà e fantasia esplicate con tutta tranquillità che mantengono gioiosamente in tiro il lato giocoso del gruppo, anche se stavolta si è portati ad esternarlo esclusivamente con le armi del thrashcore (come credo si sia capito fino a questo punto). A tal proposito, “La Bella Musica” si conclude con uno dei motivi più famosi (ovviamente rimaneggiato) di Ludwig Van Beethoven, quello della bellissima (e tremendamente divergente dal punto di vista emozionale con i Devastator) “Per Elisa” (una “piccola” presa di posizione contro tutti quei gruppetti che sciorinano montagne di cover senza combinare un bel niente?);
oppure come non citare la linea blueseggiante di basso del buon Ricca (o Rikka, sotto) che irrompe improvvisamente in “Sono un Terrorista”, accompagnando fra l’altro un bel assolo?
Il loro è un gioco continuo che impone la perenne sorpresa anche attraverso colpi di bacchette (“Sfilata di Moda”) modesti ma efficaci rumorismi assortiti con la chitarra, sovraincisioni isteriche della 6 corde che comunque nella quasi totalità delle volte (eccetto per “Sono un Terrorista”) sono veri e propri assoli schizzati e letteralmente ubriacanti (assenti entrambi nella sola “La Bella Musica”) neanche tanto brevi data la musica velocissima dei nostri. Un gioco ed un’orgia del quale è partecipe fra l’altro la chitarra melodica e festaiola di Silvano dei milanesi thrashettoni Hellstorm, che rende palpabile il proprio marchio più metallico nel finale di “Sfilata di Moda”.
Uno dei miei ultimi motti è: “La musica come gioco”. Ed i Devastator l’hanno rispettato pienamente anche questa volta, rispettando allo stesso tempo la voglia di potenza che il loro massacro esige, soprattutto perché non dimentichiamoci che le canzoni dell’ep pubblicato dalla piccola etichetta Putrido Records (che poi a dir la verità sarebbe semplicemente lo studio di registrazione ma vabbè…) sono di una brevità colossale di chiaro stampo hardcore, cosa che rende decisamente più difficile il compito di qualsiasi artista nel potenziare il proprio assalto. Ma i nostri ci sono riusciti splendidamente riempiendo i timpani dell’ascoltatore con un impatto raro. Un impatto dosato con massicci rallentamenti inediti di metalcore militante mai banali non solo perché aggiungono un tipo di groove che si allontana da quello thrasheggiante tipico del gruppo (“Sfilata di Moda” è lampante a tal proposito) ma anche per via di un inaspettato riffing a volte particolare e contorto in modo da equilibrare il rapporto tecnica (mai fine a sé stessa) – puro istinto selvaggio che forse in “Underground ‘n’ Roll” un po’ mancava. Ed è un impatto dosato perfettamente pure da una struttura-tipo dei pezzi che mi sembra sia stata semplificata, pur contando ancora adesso devastanti ritornelli, e resa ancora più nervosa anche grazie ad una buona ma mai invasiva frequenza degli stacchi e delle pause, giocati in pratica con tutti gli strumenti (da segnalare soprattutto lo stacco in solitario letteralmente inspirato di Rob di “Sono un Terrorista”, che è da leggenda per quanto riguarda momenti simili), da essere paragonati con quelli dei black/deathettoni siciliani Aposthate, abili allo stesso livello di far fremere l’ascoltatore sia di curiosità per i momenti successivi che di panico per l’impatto proposto.
Alla fine l’unico reato da codice penale ravvisabile è proprio la durata misera del disco, visto che i quasi 7 minuti se ne vanno via velocemente così da impedire una vera e propria lettura completa dello stato di salute dei nostri, cosa che li accomuna per esempio al demo leggermente meno “nano” dei calabresi Obskur Dod. Al contempo però il rapporto brevità/potenza costituisce a mio parere IL punto di forza del terzetto, che trova con così tanta facilità moltissimi modi diversi per beccare il climax giusto concludendo ogni pezzo nella maniera più degna possibile in modo da far valere quest’ep dal titolo provocatorio come un ottimo antipasto per la futura produzione e trovando in “Sono un Terrorista” l’episodio indubbiamente migliore di tutto il lotto, non solo per i già citati stacchi e pause ma anche per una cupezza esasperante dura da dimenticare e fra l’altro è pure quello dalla durata maggiore (2:04). Si può dire inoltre (e qua spero di non sparare una cazzata epica) che tale canzone completi il finale dalla melodia un po’ aperta della precedente “Sfilata di Moda” (che poi sarebbe il brano più breve essendo di un minuto e 27 secondi), la quale dona a suo “figlio” una botta più dirompente lasciando l’ascoltatore in una (breve) attesa minacciosa e quindi altamente pericolosa. Ecco dimostrati i meriti tattici-strategici dei Devastator anche nella successione dei pezzi. Ma adesso preferirei un’opera decisamente più sostanziosa così da pesare un’altra volta il loro pazzesco talento sulla lunga distanza.
Voto: 84
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Vergine/ 2 – La Bella Musica/ 3 – Sfilata di Moda/ 4 – Sono un Terrorista
MySpace:
http://www.myspace.com/devastatorcrew
Curiosità:
la scaletta dell’ep riportata su Metal-Archives è un po’ sballata, quindi date ragione alla mia saggezza!
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Friday, December 31, 2010
Tuesday, December 28, 2010
Selva Obscura - "In Noctis Tenebris" (2009)
Nota:
il motivo che sta dietro ad una recensione per me così breve è che semplicemente ho una mole assurda di materiale ancora da recensire (ed in certi casi ancora da ascoltare), quindi non vorrei far aspettare ulteriormente i diretti interessati. E poi, dopo mesi e mesi, fatemi un po' respirare!
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Per uno strano caso della vita, il black metal sta ritornando prepotentemente in auge nelle pagine di questa rivista, un po’ come negli ormai polverosi primissimi numeri. Solo che stavolta viene trattato un disco il cui gruppo si è purtroppo sciolto recentemente, assoluta prima volta per “Timpani Allo Spiedo”, e peccato perché i Selva Obscura si facevano portavoce di un black metal a suo modo particolare che va in completo contrasto con l’immagine sognante messa come copertina del demo omonimo, unica uscita discografica del duo.
Quello che vi si trova è infatti un black metal purissimo con qualche richiamo al doom in salsa Hellhammer (“Sacrificio”) e per giunta riempito da un’”ignoranza” punk che si coglie per esempio nel riffing goliardico dell’intro o nella confusione strumentale quivi contenuta. In altre parole, in questo disco di poco più di 19 minuti si viene sopraffatti da quell’attitudine ultra-vecchia scuola che permetteva di cadere brutalmente e senza vergogna nell’abisso apparentemente orrendo degli errori di esecuzione, facendo così rabbrividire l’ascoltatore in un’atmosfera di puro caos che rifiuta ogni parvenza di professionalità e di pulizia del suono. Di conseguenza, le marce, sporchissimi eppur abbastanza comprensibili sonorità devono molto ad un minimalismo tecnico che viene incarnato specialmente nello scheletrico riffing di Dominus Tenebrarum che nonostante la sua povertà (inneggiante la matrice norvegese del genere) riesce a far distinguere lo stesso i differenti pezzi andando così dall’evocativa ed imbottita di qualche inaspettato arpeggio melanconico “Boschi Dimenticati” alla marziale e severa “Errando nelle Oscure Notti Invernali” (forse il pezzo migliore proprio per questo lato del duo, e fra l’altro esso conta pure su una produzione dalle frequenze leggermente più alte e compatte) e dall’epicheggiante e triste “12 Agosto 1944 (Monumento alla Resistenza Italiana)” alle schitarrate un po’ più dinamiche ed “abbellite” del solito di “Sacrificio”. Tutto ciò mentre Waldenbard impazza con uno stile impetuoso fatto di blast-beats non proprio estremi ma angoscianti nel loro continuo incedere, eppure il suo andamento risulta indubbiamente molto meno monotematico rispetto a quello del compagno dato che alla resa dei conti è proprio la batteria quella che regala della sana imprevedibilità a tutto l’insieme, sia con variazioni improvvise che con veri e propri ritmi e/o cambiamenti di tempo. Praticamente il nostro riesce nell’intento di estremizzare a dovere quella sensazione di caos eterno che rende indomabile (molto in linea quindi con l’immaginario spesso naturalistico del demo) e inafferrabile la proposta dei due bolognesi.
Se ciò non bastasse, le urla anarcoidi totalmente al di fuori di ogni ordine precostituito, rasentano l’assurdo perché non solo esplicano una sofferenza che è direttamente imputabile al loro solito “fastidioso” stridolìo che può ricordare gli anatemi di Desecrater dei blackettoni statunitensi Hemlock non risparmiando all’ascoltatore assordanti vette particolarmente acute di puro rumore vocale ma anche una curiosa sensazione attendista che permea ogni brano dell’opera, visto che, affinchè ci si trovi nel crudo e nudo marasma urlante, bisogna sempre aspettare qualcosa come ben 2 minuti (e talvolta di più). E’ come se si fosse voluto eliminare ogni lato vagamente umano spiattellando una “caciara” quasi interamente strumentale che così concepita risulta forse controproducente nella sola “Sacrificio”, più che altro perché, contando anche l’intro (lunga un minuto e 18), il “silenzio” dura troppo così da non mettere subito dopo il fattore vocale che avrebbe dato probabilmente più forza al suddetto pezzo. In compenso vi è semplicemente qualche intervento isolato. Però i nostri latrano in due, ovvero talvolta si esce dai classici binari tirando fuori, oltre ad evocative voci pulite, dei grugniti bassi ma non troppo (entrambi i vocalizzi sono presenti in “Errando nelle Oscure Notti Invernali”), eppure tale dualismo, privo di qualsivoglia specie di effettistica (scelta da me maggiormente apprezzabile visto che così facendo ci si confida soltanto sulle proprie capacità di infondere emozioni), non si nutre affatto di cori e di alternanze, se non in momenti specifici e isolati, dato che il comparto vocale è appannaggio quasi esclusivo di Dominus Tenebrarum.
Del resto ritorna arrogante e bestiale il fantasma del minimalismo, sempre insistente e pesante. E stavolta ci si mette la struttura-tipo dei pezzi ad imporre la sua all’ascoltatore. Infatti, fino ad ora non ho mai beccato nessun gruppo come i Selva Obscura che eleva così tanto l’iterazione di una determinata soluzione musicale, ossia l’estrema ripetitività specialmente del riffing, che si ritrova a dare bordate su bordate ripetendo i propri scarni e generalmente rapidi motivi spesso per qualcosa come una ventina di volte, forse con l’intento neanche troppo velato di ipnotizzare a morte il “povero” ascoltatore sparando così un inedito lato “psichedelico” che induce terrore e allo stesso tempo meraviglia (un po’ come la Natura ed il Cosmo). Ed è per tale caratteristica che la musica del duo bolognese risulta avere alla fin fine un andamento terribilmente lento, nonostante l’assenza quasi totale di stacchi e di pause, e sostanzialmente poco violento a dispetto delle velocità quasi sempre sostenute. Come incapaci di procedere oltre, i brani dei Selva Obscura hanno però tutti un filo conduttore ben preciso che poi costituisce solitamente l’unica soluzione musicale che viene ripresa all’interno del discorso (previe ovviamente le variazioni di Waldenbard), torturando così nuovamente i timpani mai sazi. Per giunta, altro aspetto “doloroso”, il minimalismo estremo viene esternato tranquillamente anche attraverso la stessa partenza dei vari episodi, i quali senza tanti convenevoli esprimono spesso fin da subito il proprio assalto debellando completamente il concetto di introduzione.
“In Noctis Tenebris”, uscito completamente autoprodotto il 1° Giugno del 2009, si conclude con un’outro completamente fondata su un sintetizzatore suonato da Waldenbard (segnalo a tal proposito che il nostro porta avanti anche un solo-progetto dark ambient chiamato Emperor of the Forest) e nel quale dà sfogo ad una semplice ed interessante melodia dai contorni evocativi che però a mio parere non viene sostenuta bene, e probabilmente se si riempiva il discorso di un tappeto tastieristico di poco più accentuato (un po’ come nell’intro dei Torgeist nello split con i Vlad Tepes, ossia “Black Legions Metal” del 1996) forse anche tale episodio usciva meglio.
Ciò che mi piace nella maniera più decisa della musica di questi ragazzi è che ascoltarli è una vera sfida e sinceramente non so se sia stata una scelta volontaria o meno ma secondo me è questo il vero fascino, il vero punto di forza di questo demo, cioè il fregarsene altamente di quello che la gente potrebbe pensare su un’opera spontanea e primordiale che ha dalla sua alcune delle “peggiori” caratteristiche che si possono immaginare. Apprezzabilissima la scelta di utilizzare la nostra lingua, visto che fra gli altri è profondamente appartenente alla nostra storia il ricordo dell’Eccidio di Sant’Anna di Stazzema datato appunto 12 Agosto 1944 e nel quale vennero fucilati 560 innocenti fra i quali si contano anche donne e bambini. Peccato però che la voce ha la tendenza a scavarsi una fossa data la quasi totale incomprensibilità del cantato, cosa che impedisce purtroppo di gustarsi appieno dei testi potenzialmente interessanti non soltanto leggendo gli affascinanti titoli dei vari episodi. Inoltre, pur ammirando una produzione marcissima e dalle frequenze piuttosto basse (a parte per le già citate e curiose elevazioni assordanti della voce facilmente risolvibili con una regolazione accorta del volume dello stereo), non ho trovato molto congeniale (anche perché la cassa non è che si senta così bene), in rapporto alla genuinità caotica dei restanti strumenti, una batteria forse un po’ troppo triggerata che in compenso, grazie alle sue sonorità monotone, riesce a dare un martellamento inquietante e innaturale che spiazza per bene l’ascoltatore. Per il resto, è un disco che i metallazzi più fetidi devono avere necessariamente, disponibile gratuitamente dallo stesso Waldenbard attraverso lo Space del duo ormai sciolto.
Voto: 72
Claustrofobia
Scaletta:
1 – Intro/Maligne Presenze sulle Rive del Lago. 2 – Sacrificio. 3 – Boschi Dimenticati. 4 – Errando nelle Oscure Notti Invernali. 5 – 12 Agosto 1944 (Monumento alla Resistenza Italiana). 6 – Outro/La Via che Porta alle Stelle
MySpace:
http://www.myspace.com/selvaobscura
Curiosità:
il gruppo faceva parte, insieme al solo-progetto black depressivo di Dominus Tenebrarum, dell'Antica Congregazione Croce Arcana. Sicuramente, se ci sarà un'intervista, 'sta cosa sarà oggetto di discussione.